venerdì 16 dicembre 2011

M.-D. Chenu, Cosa è stato il Concilio Vaticano II

“Prima la Chiesa faceva dell’immobilità il suo ideale, sotto il nome –  un po’ abusivo – di “tradizione”; ora è nel movimento e la prova è che la Costituzione Gaudium et spes, che fu votata, comincia con un’introduzione che mai prima si era fatta nella Chiesa. Questo Concilio è molto nuovo: ha introdotto un’analisi del movimento del mondo. Dice letteralmente: “siamo in un’era nuova” e questa “era nuova” è la provocazione alla mobilitazione della Chiesa. Questa è la rivoluzione che si è fatta! Dunque è ancora attuale, perché il movimento continua: non è ritornare a delle verità eterne, ma trovarle nel mondo. Certo che bisogna avere la continuità, perché la Chiesa viene da Cristo e dagli Apostoli, ma questo è nel movimento stesso. Ora è l’uomo l’oggetto; non è più direttamente Dio. Il cardinale Colombo di Milano, che era un molto conservatore, dice che questo Concilio non è un Concilio di Dio, ma dell’uomo. E il papa attuale [leggi: Giovanni Paolo II] ha detto che l’uomo concreto è la strada della Chiesa. E’ direi quasi il contrario, o almeno complementare, a quello che si diceva prima, l’uomo è il luogo dove la Chiesa […]  se stessa, già per il fatto che Dio si è fatto uomo, ora l’uomo è il centro del pensiero cristiano. Questa è la rivoluzione.”
Personale: Sì, "l'uomo [ora] è il centro del pensiewro cristiano". Ma mai facendo a meno di Dio!!!!!! Ausilia

martedì 13 dicembre 2011

Appello di preti e laici fiamminghi, National Catholic Reporter, 6 dicembre 2011


"Parrocchie senza prete, Eucaristia ad ore inappropriate, culto senza comunione: la realtà non dovrebbe essere questa! Che cosa sta ritardando le riforme necessarie nella chiesa?
Noi, credenti fiamminghi, chiediamo ai nostri vescovi di rompere l’impasse in cui siamo bloccati. Lo facciamo in solidarietà con i compagni di fede in Austria, Irlanda e molti altri paesi, con tutti coloro che insistono su una riforma vitale della Chiesa.
Noi semplicemente non capiamo perché la guida nelle nostre comunità locali (come ad esempio le parrocchie) non sia affidata a uomini o donne, sposati o non sposati, professionisti o volontari, che già hanno la formazione necessaria. Abbiamo bisogno di pastori dedicati!
Non capiamo perché questi nostri compagni di fede non possono presiedere le celebrazioni liturgiche la Domenica. In ogni comunità attiva abbiamo bisogno di ministri per la liturgia!
Non capiamo perché, nelle comunità in cui nessun prete è disponibile, un servizio della parola non possa includere anche un servizio di comunione.
Non capiamo perché laici qualificati e insegnanti di religione ben preparati, non possano predicare. Abbiamo bisogno della parola di Dio!
Non capiamo perché a quei credenti, di buona volontà, che si sono risposati dopo un divorzio debba essere negata la comunione. Essi vanno accolti come credenti degni. Fortunatamente, ci sono alcuni luoghi in cui questo sta già accadendo.
Chiediamo anche che, nel più breve tempo possibile, sia uomini che donne sposati possano essere ammessi al sacerdozio. Noi, persone di fede, ne abbiamo un disperato bisogno adesso!".

Osservazioni personali: Mi auguro che lo spirito a cui si ispirano questi cattolici non sia, come lo definisce Adista, di ribellione, bensì di buon auspicio per una Chiesa che si rinnova secondo i tempi e le necessità. Ausilia

giovedì 8 dicembre 2011

Gesù di Nazaret. - Dall'ingresso a Gerusalemme alla resurrezione, Libreria Editrice Vaticana, 348 pp., 20 euro,

Ecco alcuni passaggi del libro evidenziati da Andrea Tornielli  

«Di fatto, l'annuncio apostolico col suo entusiasmo e con la sua audacia è impensabile senza un contatto reale dei testimoni con il fenomeno totalmente nuovo ed inaspettato che li toccava dall'esterno e consisteva nel manifestarsi e nel parlare del Cristo risorto. Solo un avvenimento reale di una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l'annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche».
Con queste parole Benedetto XVI, nel secondo volume dedicato alla figura del Nazareno, spiega il «Big Bang» che sta all'origine del cristianesimo nel capitolo dedicato alla resurrezione. Senza un evento «reale», dunque veramente accaduto, e «radicalmente nuovo» - afferma il Papa - non si riescono a comprendere e giustificare i primi passi della fede cristiana
I fatti del Vangelo sono accaduti davvero
«Il messaggio neotestamentario non è soltanto un'idea; per esso è determinante proprio l'essere accaduto nella storia reale di questo mondo: la fede biblica non racconta storie come simboli di verità meta-storiche, ma si fonda sulla storia che è accaduta sulla superficie di questa terra».
L'eucaristia non potevano inventarsela

«L'idea del formarsi dell'Eucaristia nell'ambito della "comunità" è anche dal punto di vista storico assolutamente assurda. Chi avrebbe potuto permettersi di concepire un tale pensiero, di creare una tale realtà? Come avrebbe potuto essere che i primi cristiani - evidentemente già negli anni 30 - accettassero una simile invenzione senza fare obiezioni? [...] Solo dalla peculiarità della coscienza personale di Gesù poteva nascere questo».

Il male del mondo
«Dio non può semplicemente ignorare tutta la disobbedienza degli uomini, tutto il male della storia, non può trattarlo come cosa irrilevante ed insignificante. Una tale specie di "misericordia"», di "perdono incondizionato" sarebbe quella "grazia a buon mercato", contro la quale Dietrich Bonhoeffer, di fronte all'abisso del male del suo tempo, si è a ragione pronunciato. L'ingiustizia, il male come realtà non può semplicemente essere ignorato, lasciato stare. Deve essere smaltito, vinto. Solo questa è la vera misericordia.

Gesù separa fede e politica
«Gesù, nel suo annuncio e con tutto il suo operare, aveva inaugurato un regno non politico del Messia e aveva cominciato a staccare l'una dall'altra le due realtà, fino ad allora inscindibili. Ma questa separazione di politica e fede, di popolo di Dio e politica, appartenente all'essenza del suo messaggio, era possibile, in definitiva, solo attraverso la croce: solo attraverso la perdita veramente assoluta di ogni potere esteriore, attraverso lo spogliamento radicale della croce, la novità diventava realtà. [...] Ma proprio così, nella totale mancanza di potere, Egli è potente, e solo così la verità diviene sempre nuovamente una potenza».

Il sapere scientifico non ci fa conoscere la verità
«Nella grandiosa matematica della creazione, che oggi possiamo leggere nel codice genetico dell'uomo, percepiamo il linguaggio di Dio. Ma purtroppo non il linguaggio intero. La verità funzionale sull'uomo è diventata visibile. Ma la verità su lui stesso - su chi egli sia, di dove venga, per quale scopo esista, che cosa sia il bene o il male - quella, purtroppo, non si può leggere in tal modo. Con la crescente conoscenza della verità funzionale sembra piuttosto andare di pari passo una crescente cecità per "la verità" stessa - per la domanda su ciò che è la nostra vera realtà e ciò che è il nostro vero scopo».

Dunque non solo storia, ma la storia principio- base della verità su Cristo, che ha bisogno della fede per cpaire. Questo è il criterio che mi guida, Ausilia

mercoledì 7 dicembre 2011

Sul precedente post l'intervento di Armando

Gli spunti dalla recensione a quel libro, che io non conosco, mi costringe a riconoscere che sono impreparato ad argomentare alcunché al riguardo: non potrei aggiungere nulla e neppure riuscirei a fare un confronto con la maniera con cui si pensava e presentava Gesù prima del Concilio. Ho l’impressione che le idee del  commento io le abbia sempre avute. Non riesco a ricordare un tempo in cui non le avessi, sebbene questo debba esserci stato.
Ricordo i primi balbettamenti alla scuola di teologia-storia neotestamentaria, quando i professori insistevano sulla identità tra il Gesù della fede e il Gesù della storia: una identità tuttavia che non pretendeva che i vangeli fossero la trama della vita e dell’operato e del dire e discorrere di Gesù. Ricordo che da subito cominciai a sentirmi all’unisono con la immaginata compilazione del magnificat pensando che quei concetti e sentimenti erano talmente verosimili che l’evangelista poteva senza timore di sbagliare attribuirli a Maria, che certo non avrà ricordato, seppure ne avrà parlato, i termini di quella circostanza.
Così immaginavo i discorsi di Gesù: l’evangelista ha trovato comodo, per i suoi fini, metterli dove ha voluto rielaborandoli secondo il suo stile e la sua teologia. Ricordo che ci si dilettava alla ricerca delle ipsissima verba Christi” e ci veniva detto che, forse, l’unica parola era quel ABBA (Pater) che Gesù usava riferendosi a Dio (contrariamente al costume ebraico che non si riferiva a Dio con il termine “Padre”)...
A livello pastorale, però, il Gesù presentato era quello della perfetta aderenza tra racconto e storia. Eppure ciò non mi turbava. Pensavo, infatti, che non si poteva trasmettere il nuovo modo di intendere Gesù alla gente senza il rischio di rovinare tutto per la poca propensione della gente a distinguere.
Allora, però non mi rendevo conto che sarebbe venuto il tempo che questo nuovo modo di presentare Gesù sarebbe stato necessario per rendere accettevole la fede stessa. Oggi occore dirlo, nei modi e tempi giusti della catechesi, prima che le legittime obiezioni facciano breccia e diventino il masso non accompagnato nella
corsa a valle, generando intellettualismi e miscredenze...
E allora come presentare Gesù perché Gesù sia nella storia, ma non opprresso dalla storia?...
Già, il papa come presenta Gesù?...
Armando
Ausilia aggiunge: è interessante che esprimiamo la nostra esperienza di fede. Sì, bisogna evitare intellettualismi e miscredenze, ma cercare di approfondire l'argomento è un modo per illuminare il nostro modo di credere, perché fede e ragione procedano assieme.

martedì 6 dicembre 2011

Elio Rindone, Chi è Gesù di Nazareth? Idee nuove dopo il Concilio, Ilmiolibro Editore, Roma 2011, pag. 240, € 15,00

Alcuni spunti dalla recensione del libro fatta da M. Vigli:

Elio Rindone,  nel suo ultimo libroguida con acume e ampia documentazione il lettore a scoprire il risultato della rivoluzione – qualunque termine sarebbe inadeguato ad esprimere la realtà dei fatti – che si è verificata nell’ambito del pensiero cattolico nei decenni che precedono e seguono il grande evento del concilio Vaticano II…
L’autore ripercorre il cammino che porta al ribaltamento della interpretazione tradizionale della persona  e dell’opera di Gesù… Se ne ricava che i vangeli sono il frutto della rielaborazione di ricordi trasmessi dai testimoni alle comunità dei primi seguaci e costituiscono non tanto una narrazioni di eventi, ma piuttosto un annuncio di fede finalizzato a provocare una decisione esistenziale. Sono perciò da leggere solo  in una prospettiva teologica in un intreccio inestricabile fra fede e storia. Impossibile quindi conoscere il “Gesù storico”: non si può ammettere una perfetta identità tra il Gesù della Storia e il Cristo della fede, predicato dalla chiesa primitiva…..
…. teologi della nuova cristologia [sostengono che l’azione di Gesù] era tesa  a istaurare sulla terra un regno di giustizia e di pace. Ad essa è finalizzata la Chiesa come emerge, specie dagli scritti di Schillebeeckx, che l’autore privilegia perché a suo avviso ha saputo ripensare in profondità il problema cristologico così da offrire il contributo forse più originale  più stimolante al pensiero cattolico post-conciliare.
Essa ne è, infatti, la prefigurazione; suo compito avrebbe dovuto essere l’annuncio di quello.
Nel riflettere su questo rapporto Chiesa/Regno l’autore si preoccupa di chiarire che queste nuove prospettive non vogliono operare una riduzione del vangelo alla dimensione puramente orizzontale, mentre, in realtà è proprio la Scrittura che dà rilevante spazio a tale dimensione.
….
Solo da un Gesù quotidianamente vivente in quelli che si riconoscono nel suo messaggio può nascere una cristologia adeguata al nostro tempo.
****
Mi auguro che qualcuno non trascuri di portare un suo contributo attraverso un commento dell’importante produzione di Benedetto XVI su Gesù di Nazareth. Ausilia

lunedì 5 dicembre 2011

Quel che OGGI ci aspettiamo dai politici cattolici

Da un articolo di Carla Codrignani circa un'attualissima questione:
Non riaprire “la questione cattolica”
Questi cattolici faranno politica in quanto donne e uomini di buona volontà, senza condizionare la loro offerta alla presunzione di essere “in missione” per conto di Dio. Tanto più che riconoscere la libertà religiosa altrui, ospitare lo straniero, accettare la presenza parimenti autorevole delle donne, accompagnare – come fanno le chiese cristiane (cattolica in testa) in Germania – l’inizio e il fine vita al rispetto dell’umanità, accogliere chi sia stato colpevolizzato per una diversità uguale nei diritti, sono riconoscimenti assolutamente compatibili con le scelte del maestro che ha prosciolto l’adultera, privilegiato il samaritano e, soprattutto (per il significato teologico), “la” samaritana.
La stessa pericolosa situazione economica internazionale richiede cautele nel farsi portatori di proposte veritative e l’evidente epoché della storia contemporanea comporta esigenze di nuove competenze, strategie che tengano conto dei mutamenti sociali e dei nuovi saperi e verifichino l’impatto delle riforme sulla nuda vita del mondo. Non conviene assolutamente riaprire “la questione cattolica”: la Chiesa, che non può chiamarsi fuori dal contagio della crisi e che darebbe un grande esempio proprio nell’essere-Chiesa e nel fare qualche passo indietro di fronte alle interferenze di potere, ne riceverebbe solo impoverimento.

sabato 26 novembre 2011

Fede e preghiera

Come è difficile dare una definizione competa sulla fede, altrettanto lo è circa la preghiera.
LA FEDE: Direi, tanto per attenermi ad uno dei modi possibili per parlarne, che la fede è un sentimento che supera, senza farne a meno, i significati soliti che diamo al sentimento, e attinge alle profondità del nostro essere; è un sentimento non nato da noi, che non è frutto nemmeno di una ricerca, ma che è radicato nell'umanità 'compiuta' (cioè tale che compendia tutte le potenze del proprio essere), ed emerge se coltivato, o erompe a nostra insaputa in un momento di grazia. Allora ci si collega con l'essenza profonda di tutto, che un occhio superficiale non riconosce e perciò la colloca lontano dalla realtà (uno dei paradisi immaginari). Ecco: la fede è il contatto con la Realtà vera dentro e fuori di noi, superando la barriere delle apparenze.
La preghiera è quel dialogo interiore che noi stabiliamo con questa Realtà, e si esprime in atteggiamento di ascolto sempre più profondo, fino a farne motivo di stabilità di vita, al di là dei ragionamenti (non contro la ragione, ma un gradino più in alto di essa), e di amore profondo.
LA PREGHIERA: La fede non può alimentarsi che con la preghiera. E, si badi bene, che se la preghiera è sguardo di fede della persona, se questa vive in rapporto con gli altri e col mondo un modocomune di vivere il quotidiano, si dovrebbe dubitare di vivere la fede in forma piena.
CON GLI ALTRI: Non si può prescindere, né da comportamenti coerenti suggeriti dalla fede, né da momenti privilegiati di contatto con essa in comunione con gli altri. Il culto, la liturgia, il confronto comunitario, non sono un surplus: la natura custodisce il frutto in une pelle, in un nocciolo e quant'altro serve a farlo maturare, così si vive le fede nel proprio contesto religioso.  
 E' certo che tutti hanno una fede, come ad esempio quella basata sulla cultura, sull'arte,ecc., ma anche sul danaro, sul potere ecc. Ma la fede religiosa si radica, come detto, al centro del nostro, e risponde agli interrogativi più seri sulla vita , sulla morte, il dolore, la felicità non fugace ....
Circa poi l'adesione ad una fede particolare e vissuta dentro una chiesa, c'è molto da dire, ma per ora mi fermo qui.
Ausilia

sabato 17 settembre 2011

La fede viva nella solidarietà umana

In questo blog dovremmo trattare argomenti di fede, ma questi sono slittati in "Dialoghi e Pensieri" come narrazione del proprio modo di vivere la fede. Qui, senza perdere il richiamo all'esperienza personale, mi piacerbbe che venissero alla luce questioni di fede che scaturiscono dall'osservazione della realtà attorno a noi.
Per ora mi chiedo con insistenza come la chiesa capillare delle parrocchie, ma anche dei gruppi, riesca ad essere una realtà tutt'altro che secondaria nella solidarietà umana. Molta gente trova in essa ciò che non trova altrove, oggi che i luoghi di aggregazione laici si sono 'impoveriti', forse anche perché privi delle risorse di sovvenzione statale. Svisceratamente bisogna riconoscere nei luoghi della laicità un deficit nel ricorso alla genrosità personale, anche perché ogni forma di volontariato si porta addosso un marchio di provvisorietà, e così si deludono le speranze di aiuto di chi ha bisogno e le iniziative resistono per l'insistenza parolaia dei più accaniti. Infatti nei gruppi laici vige un radicalismo di posizioni ideali che ne fa dei luoghi di elite. Si propongono marce, si fa rumore, ma la pratica nella concretezza della vita delle persone è quasi nulla.
Non do risposta, per ora, a questo tema, ma vorrei sollecitarlo come motivo di argomentazione: la durata della carità nelle chiese è più costante, ma, volere o no, è sempre nel formato ridotto di una carità rivestita di beneficenza, mentre nel mondo laico ormai, sfrontatamente, si raccomanda a chi ha bisogno di aiuto di rivolgersi alle parrocchie e si fa poco di COSTANTE nel campo operativo. La domanda la formulo così: la fede non deve essere vero collante di pratiche di solidarietà anche nel mondo laico? Ma quale fede?
Parliamone. Ausilia

lunedì 22 agosto 2011

"Stiano pure scomode, signore" di Giancarla Codrignani

15/06/2011 11:45

Fonte: Il Paese delle donne online
"In movimento", "I corpi delle donne", "Violenza di genere", "Lavoro", "Mondi", "Non violenza", "Religione e laicità", "Politica e rappresentanza", i titoli dei capitoli, non solo indicano in modo ampio i campi d’intervento dell’autrice ma, come dice Clara Sereni nella prefazione, riorganizzano gli scritti "in una costruzione nuova che li lega e li valorizza l’un l’altro, dando conto di un disegno più ampio di quello che può apparire a chi [ ... ] legga di volta in volta gli interventi di Codrignani nelle pagine della rivista".
"Stiano pure scomode, signore" - il titolo accattivante scelto dalla stessa autrice - non fa che esplicitare l’invito alle donne , peraltro sotteso in tutta la sua produzione giornalistica non solo su Noi donne, a praticare quella capacità di rimettere in discussione ordini e assetti costituiti con libertà femminile, cioè di stare ed essere scomode al sistema, sfuggendo alla tentazione dell’omologazione. La ’scomodità’ nella sua doppia accezione può diventare il filo con cui "riprendere a tessere la tela di Penelope" ogni volta che sia possibile.
Oggi, mentre alcuni sindaci di metropoli o città (Milano, Torino, Bologna...) nominano giunte al 50e50, questa pratica va ricordata con le parole stesse di Giancarla Codrignani nel maggio 2007: "Lo spreco del contributo culturale e sociale delle donne è così grande che dà meraviglia vedere che le donne lo accrescono, facendo il maternage alla politica dei maschi e sostenendo il modello neutro. Accettare che la salvezza della patria, della sinistra, del partito, del segretario del partito venga prima degli interessi delle donne, significa che saremo sempre cooptate sul prinicipio della maggior fedeltà agli obiettivi scelti da un’entità politica maschile e, di conseguenza, costrette all’omologazione" (pag. 117).
Per mettere meglio a fuoco il contributo che Giancarla Codrignani ha dato e può ancora dare alla politica delle donne - ed anche a molte di noi singole donne che entrano in relazione con lei - c’è alla fine del libro "una conversazione" a cura di Tiziana Bartolini, svoltasi a fine progetto libro nel dicembre 2010. Si ripercorrono temi politici ed impegni di una donna che continua ad essere in rete con tante altre, ma anche - con toni e parole di grande semplicità e trasparenza - qualche ricordo dell’infanzia, alcune scelte di vita personale e il bisogno di amicizia ("qualche coccola" che serva a risarcire delle fatiche, quello "scambio" che serva a "scaricare le negatività del vivere").
I proventi di questo libro andranno a sostegno della Cooperativa Libera Stampa. Come detto per "Noi donne" da Nadia Angelucci e Tiziana Bartolini in una recente presentazione alla Casa internazionale delle donne, il libro potrebbe diventare il primo di una serie di raccolte di articoli di altre collaboratrici del giornale.
Giancarla Codrignani, Stiano pure scomode, signore, Editrice cooperativa libera stampa, Roma, 2011, pagg. 165, euro 12

venerdì 22 luglio 2011

Risposta al terzo commento di Mauro e chiusura del discorso

Carissimi Mauro e carissimi tutti/e
Niente affatto lusingata perché a me interessa soltanto la verità del mio essere e di tutto, mi chiedo se tu, Mauro, potresti avere la forza di reggere un Donne-Cosi bis da vero conduttore: cosa difficile ma possibile, solo se avessi tempo e costanza nel misurarti con la mancanza di questo senza demordere.
Comunque a me interessava anzitutto che si capissero le mie intenzioni e che potessi scusarmi, com’è giusto, della mia eclissi, anzi sparizione, per un lungo periodo. Interessava, anzi interessa, che non si usi Donne-Cosi facendolo diventare altro da quello che a stento, a mala pena, continuava a rappresentare per molti i quali, anche se in apparenza distratti, hanno sempre colto con intuito inconsapevole ma insistente quel quid che c’era di sostanza. Mi dispiace che le donne mi abbiano capito “fino ad un certo punto”, come è logico avvenga in tutto ciò che è umano; che non se la sentano di reggere da sole, o meglio: da conduttrici,un nuovo Donne-Cosi.
Grazie, Mauro, per avere detto finalmente la verità del mio propormi nel e dopo il sito. Agli altri chiedo perdono per le mie mancanze con tutta la sincerità che spero mi riconoscano e dichiaro la mi immensa benevolenza di sorella.
Davvero tu mi hai permesso, con la tua diagnosi precisa e generosa, di chiarire il mio comportamento-ultima fase; anche se ai referenti il mio modo di esprimermi risultareasse poco comprensibile e/o quant’altro.
Potessi travasare in questo scritto la piena dei miei sentimenti ne sarei felice. Ma la felicità non è mai piena in questa terra.
Vostra Ausilia

mercoledì 20 luglio 2011

Ultima risposta alla lettera di G. Zanon

"Senza troppi distinguo, senza troppe sottigliezze teologiche, senza inutili remore": così ti esprimi, riproducendo proprio il tuo modo di essere e di fare, di cui non ti faccio alcun torto. Per te va bene così. Ed io, che ammiro il tuo cuore, la tua generosità e la tua semplicità, tutta la mia stima.
Ma, tolto l'aspetto personale, che conta moltissimo nel campo dei rapporti interpersonali, la cosa non funziona per tutto ciò che deve assumere un carattere pubblico, meglio: sociale.  Quando, ad esempio, Ernesto fa quello che fa, davvero ammirevole, e tanto, deve avere ANCHE visibilità, se vogliamo che incida sulla formazione dell'opinione pubblica.
Ecco il punto: la nostra rivoluzione-per deve essere, sì, come il granello di senape, ma deve essere socialmente efficace. E, a tal fine, è FONDAMENTALE avere idee di un certo spessore, che non sto qui ad indicare. Il fatto che tu ti trovi bene a lavorare con "chi fa", non basta a definire ciò che fa. Alzare la voce, denunziare, eccetera, vale, e come!, ma dipende dal complemento oggetto. Per me quello che noi dovremmo fare è essere presenza storica che non cerca spazi e pubblicità, ma si impegna ad essere buona semente per abbattere il muro di un'opinione pubblica deformata da tante idee sbagliate su ciò che è saacro e quindi sul valore del sacerdozio (che, tanto per dire un particolare non secondario, non può essere solo maschile con l'appendice del femminile!), sul rapporto Popolo di Dio e Chi, in esso, esercita un ministero. Soprattutto bisogna avere in mente a caratteri cubitali che la nostra è una questione di FEDE.....
Qui anche il mio discorso è pprossimativo per timore di appesantirlo, ma quel che escludo è che non bisogni fare dei distinguo. Altro che!!!
Comunque, meglio con te parlare sul piano del bene che ci vogliamo e sul bene che vogliamo anche per la nostra chiesa.
Ti abbraccio con sentimenti di stima per quel che sei e quel che fai, nonostante ci tenga a rimarcare la differenza di vedute.
Ausilia

lunedì 11 luglio 2011

Alcuni commenti sulla questione celibataria e dintorni

Concordo con  te cara Ausilia il problema è legato alla  struttura gerarchica della chiesa. Per quanto concerne “la buccia di banana” di cui si parla mi infastidirebbe sapere che l’apertura al sacerdozio uxorato  sarebbe dovuta al fatto che ciò costituirebbe il male minore .La questione è legata all’ esclusione  della donna  dal potere, alla sua discriminazione nei secoli portata avanti dalla “chiesa “ costituita da uomini, che la  hanno identificata  come colei che porta il male in sé, basti pensare ai diversi gradi di subordinazione e dominazione a cui la donna è stata  sottoposta. La teologia ,poi  ha sempre avuto qualche problema ad ammettere la piena personalita’ della donna ,basti pensare ad Agostino. La misoginia di cui la chiesa cristiana era  portavoce sfociò nei secoli XVI e XVII nella caccia delle streghe. Il cristianesimo ha poi   identificato le virtù femminili con l’ubbidienza, l’umiltà, il servizio, creando anche una stretta connessione tra donna e peccato, tra peccato e sessualità.. Ancora oggi si esercita o si prova a farlo il controllo sul nostro corpo. Ancora oggi la moglie di un prete è avvertita come diabolica, tentatrice, corruttrice di virtù. Una rivale di Dio. Quando poi si decide di sposare un sacerdote occorre assumersi tutte le conseguenze che questa scelta porta con sé a livello familiare e sociale. Con il dialogo ,la semplicità ,la testimonianza anche silenziosa si possono mutare le opinioni. Con l’ aggressività si ottiene solo una netta chiusura. E’ sulla concezione culturale, antropologica ,teologica della donna che si deve lavorare .Occorre parlarne con i giusti toni, per dare a chi ci ascolta la possibilità di capire, riflettere, come e perché si è giunti alla legge sul celibato, scardinare pregiudizi ,vedere le cose con uno sguardo nuovo. Bianca
*
Quello che colpisce di più è il silenzio delle donne che avrebbero qualcosa da dire, tra le quali mi metto anche io- Un po' perchè distratte dai problemi di tutti i giorni, un po' perchè forse stanche di vedere un sistema che va avanti sempre nella stessa maniera... Però la mia più cara amica mi ha sollecitato ad intervenire scavalcando tutti questi "limiti" e se ciò può essere utile a qualcuno, o a cambiare la mentalità di fondo allora ecco il mio modesto intervento. "La donna è mobile qual piuma al vento, muta d'accenti e di pensier". In questa nota aria si riassume un po' la mentalità di fondo per quanto riguarda l'utilità della donna in ambito ecclesiale, o forse è meglio dire "ecclesisastico". L'importante in questo contesto che la donna "scelga" di non restare "muta d'accenti" ma, al di là delle rivendicazioni, ricordare la sua "dignità" di essere umano al pari dell'uomo, cosa che in qualsiasi contesto democratico sarebbe ovvia, ma che in ambito ecclesiale incredibilmente stenta. Joelle
+
Giuseppe se è vero che conosci Ausilia, sai anche cosa lei intenda per "spiritualità". Non devozioni intimistiche, non caccia al miracolo, non fuga dalla realtà, ma piena immersione in essa. La spiritualità di cui parla Ausilia è la strada per andare al fondo dei problemi. Il celibato opzionale, il sacerdozio femminile... sono argomenti su cui si può lottare, fare rivoluzioni epocali e poi "dentro" rimanere gli stessi di prima. Come persone e come chiesa. Tanto di cappello a chi si impegna attivamente come Ernesto, come Stefania e come immagino anche te e altri. Ma senza spiritualità il rischio è di faticare inutilmente e in questo senso il richiamo di Ausilia è sempre azzeccato. Tanto più azzeccato quanto più rimane la sola a dire certe cose tra di noi.Mauro Borghesi

sabato 9 luglio 2011

Seconda risposta alla mail di Giuseppe

Giuseppe afferma:
Mi domando se il nostro confronto è la lotta col potere gerarchico o se invece il nostro impegno non sia piuttosto un confronto col vangelo e con i suoi valori. Che mi importa dei paludati signori che pontificano...quando, come la statua di Nabuccodonosor ...  siamo qui per vivere e far vivere il vangelo e sui valori di esso cerco il confronto con chi vuole impegnarsi per i preti sposati e per le donne coinvolte con preti.

Con questi paludati signori, come lichiami e non a torto, abbiamo da fare se ci proclamiamo appartenenti alla ciesa cattolica, altrimenti - nulla di male, certo - siamo senza una chiesa oppure in un'altra chiesa. A me piace la chiarezza, ed è per questa che si fa questione circa il celibato dei preti.
C'è una contraddizione di fondo nei soggetti che si scatenano contro, o peggio, ignorano con disprezzo, i paludati; si battono per sostenere che sono-rimangono appartenenti al presbiterio, vogliono amministrare i sacramenti ( e alcuni lo fanno con arbitrio), hanno l'angoscia esistenziale (sic!) perché desacralizzati etc.; parlano di chiesa alternativa, ma dove è questa chiesa se non nell'invisibiltà (come chiesa)? E poi pretendono sposarsi contro la legge a cui si sono legati con una promessa, senza chiedere un permesso o spiegare umilmente i propri motivi che sono seri. E le donne a parlare di innamoramento-amore per un prete, a pretendere che i preti si sposino o ad accettare compromessi!!! E' questo il vivere e far vivere il vangelo?
Certamente confrontarsi col Vangelo è essenziale, ma non possiamo ignorare la storia; non possiamo far finta che tutto ci autorizzi a stare nella chiesa così com'è attraverso la trasgressione, legittima, se vogliamo, ma da clandestini.... Preferisco almeno la denuncia, la messa in evidenza dei controsensi della storia quando ha fatto il suo tempo: o anche l'uscita anonima, ma reale. Se mio marito avesse fatto la scelta del pastorato valdese, sarebbe stato meglio che continuare a soffrire come ha sofferto.
Io, però, per conto mio, debbo essere sincera: alla frequenza dei sacramenti ci tengo, come anche ad i molti tesori di sapienza cumulati (tra tante astruserie, se vogliamo), al bene che si fa in certi luoghi, al fatto che nelle feste religiose ci sia gente sinceramente credente che partecipa col senso del sacro (non idloatrico)... eccetera eccetera.
E vorrei farl camminare la storia........................................... E' per questo che mi piace questionare sul celibato e su quello che esclude la donna nei posti-chiave della vita della chiesa....
Tronco qui, e forse mi sono espressa precipitosamente, ma nutro la speranza di trovare corrispondenza attiva. Vostra Ausilia  

giovedì 7 luglio 2011

domenica 3 luglio 2011

Una prima risposta a Giuseppe

Caro Giuseppe, assieme agli altri,
Nel numero due dici delle cose che accetto perché le affermi con convinzione, ma non mi convincono.
Il tuo parlare nei termini “ne f... del potere ecclesiastico, è il vangelo che ci interessa, è il fratello che ci chiama, è la carità di Cristo che ci spinge!, trovo disprezzo per la chiesa del potere, e allora ti contraddici: disprezzare, è peggio che lottare-per.. E lottare si può senza volere vittorie di Pirro, come quella che ti esaltava nell'augurare che la legge celibataria trovasse una sua contraddizione e un inciampo (traduco con termini soft) attraverso la sicura caduta sulla buccia di banana della pedofilia...
Tutto l’aiuto caritatevole che si può esprimere nel quotidiano privato acquista una rilevanza storica quando ha una portata universalizzante, non se si pone come antidoto unico agli innumerevoli disagi dell’umano; dovrebbe essere, più che rimedio ad una strutturazione che inclina-male, un dovere laico di coscienza per tutti, e certamente lascia il fatto di sostanza immutato.
Il Vangelo! Siamo noi soli che ci accorgiamo della legge d’amore evangelico, anche se questa viene indurita da una struttura radicalmente, antropologicamente, sbagliata! Non ho paura di parlare di sbaglio, errore. La storia ne è disseminata, e il cammino di liberazione deve percorrere le vie impervie della verità e della chiarezza. Il vangelo non può genericamente essere applicato a singole situazioni consacrate dalla storia umana fallibile… Siamo noi tutti, persone di fede, chiamati ad intraprendere le vie meno facili della cultura; e non parlo di quella raffinata ed elevata, ma di quella che incide sul modo di trattare l’umano.
Quello che noi donne non riusciamo a fare capire a voi uomini, è che lo statuto del femminile non deve essere discriminante in nessun modo, nemmeno se ricoperto da adoranti, svenevoli esaltazioni….
La questione femminile, affrontata in materia di carattere religioso-spirituale, ha una portata e n o r m e , anche negli aspetti più comuni dell’umano, figurarsi in quello del potere. Il concetto di gerarchia, pur valido al di là della voglia di azzerarlo, unito a quello dell’esclusività maschile, è pestifero, e nemmeno la devozione mariana riesce a contrastarlo, anzi…
Abbiate pazienza, ma io considero che gli argomenti siano complessi, tanto quanto sono semplificati nella tua penna, e perciò mi fermo qui, perché è già serio quanto ho detto a te e, implicitamente anche ad Ernesto, nonché a chi ha orecchie per intendere.
Ad altra risposta in seguito!
Ausilia (che lotta nel cercare di capire e squinternare  i problemi reali in profondità). 

giovedì 30 giugno 2011

Questione celibataria

Carissima Ausilia, carissimi tutti,
                                                                   trovo finalmente un pò di tempo per intervenire nella interessante chiacchierata avviata tra noi. Lo faccio per punti, per essere più chiaro, per essere più leggibile.

1  Ho aggiunto l'indirizzo di Joelle perchè mi sembra giusto sentire anche il suo parere, lei che ha percorso un lungo tratto di strada nel sito DONNECOSI, lei che avrebbe certamente ancora tante cose da dire.

2  Ausilia, non so che significato dare alla tua affermazione che è quasi inutile lottare perchè '...la vera causa del disagio femminile nella Chiesa è il potere gerarchico...'. Mi domando se il nostro confronto è la lotta col potere gerarchico o se invece il nostro impegno non sia piuttosto un confronto col vangelo e con i suoi valori. Che mi importa dei paludati signori che pontificano...quando, come la statua di Nabuccodonosor dai piedi d'argilla, sono messi quasi quotidianamente di fronte a realtà che li richiama a terra, vedi Bagnasco col caso di don Seppia e di don Marengo, per parlare solo di Genova.
Non siamo qui per lottare contro qualcuno, siamo qui per vivere e far vivere il vangelo e sui valori di esso cerco il confronto con chi vuole impegnarsi per i preti sposati e per le donne coinvolte con preti.
A questo proposito ha tutta la mia stima Ernesto Miragoli: dice con la libertà dei figli di Dio (notevole la sua intervista sul due,intervistato dalla Balivo, lui e sua moglie Paola), scrive con bravura, senza accorgimenti, paure e tattiche (facendo tremare il potere gerarchico, se vuol capire-da leggere il suo articolo 'Bagnasco e don Seppia' sul sito WEBALICE), che io sappia, va anche in Svizzera ad aiutare preti, preti in difficoltà, preti sposati, trovando sempre il tempo tra i suoi molteplici impegni.
Bravo Ernesto, chi se ne f... del potere ecclesiastico, è il vangelo che ci interessa, è il fratello che ci chiama, è la carità di Cristo che ci spinge, senza della quale saremmo cembali squillanti!

3   Ausilia parli di 'rinnovamento spirituale' e di 'un soffio di spiritualità'. Ma certo che ci vuole anche spiritualità oltre la vita cristiana, ma non tiriamola in ballo adesso che stiamo lavorando tra noi  per i nostri fratelli e le nostre sorelle perchè potrebbe diventare anche un ostacolo. Quale spiritualità?
Padre Pio, Chiara Lubich, la Madonna di ....     Ognuno si tenga la sua, quasi per pudore, neanche parliamone. E già che mi hai stuzzicato ti dico che io, ex carmelitano, sono andato dai padri carmelitani di Brescia, per proporre, a nome della mia parrocchia e del relativo Consiglio parrocchiale, una tre giorni di spiritualità carmelitana: S.Teresina, S.Giovanni della Croce, S.Teresa di Avila. E con questo? Il mio impe-gno per la causa dei preti sposati neanche dovrebbe saperlo!

4    Ausilia, quandi dici che sei stata l'asse portante del sito DONNECOSI , non posso altro che riconoscerti tutto il merito di aver aperto una strada, di aver portato una parola di fiducia a tanti cuori infranti, di a-
ver raggiunto con una iniezione di fiducia evangelica  tante persone deluse.
E quando dici che 'si augura che altri possano continuare in maniera innovativa', io non vedo altri in Italia che il BLOG di Stefania Salomone, che va aiutata in tutti i modi, senza troppi distinguo, senza troppe sottigliezze teologiche, senza inutili remore. Lo so, il sito di Stefania è diverso del tuo, molto, ma io ti dico che mi sono trovato bene a lavorare con te (e Joelle) e che ora mi trovo bene a lavorare con Stefania!  

E basta perchè diventerei troppo pesante;attendo una tua, una vostra risposta.
                                                                   
                                                                                              Un saluto carissimo. ciao
                                                                                               Giuseppe Zanon

domenica 26 giugno 2011

Corpus Domini

Oggi è la festa del Corpus Domini. Chi se ne accorge se non i fedeli praticanti?Eppure oggi si fa tanto parlare del corpo, e la relazione con il cibo è avvertita quanto mai. La frase "Siamo quel che mangiamo" ha fatto testo; ma, anche se intrigante, è riduttiva se non si dà al termine 'mangiare' in signficato complessivo di integrazione del corpo con ciò che lo alimenta da ogni punto di vista.
Ebbene, è giusta l'identificazione del corpo con tutte le sue potenze; uno spirito avulso dal corpo non è umano; un corpo avulso dallo spirito che lo vivifica è inerte massa di cellule. Il corpo ètutto l'essere in continua assimilazione ed espansione, proprio come indica il rapporto col cibo.
Ma non voglio disquisire, bensì fare una sottolineatura. In questo blog torniamo spesso sul concetto di umano-divino che caratterizza l'umano integrale, totale. Cristo, perciò, è vero Uomo quanto è vero Dio, e tale suo essere offre a noi perché lo facciamo nostro. Nessuna paura di interpretazione, inaccettabile ai razionalisti puri, della carne di Cristo che si fa cibo. E parliamo, non di un cibo simbolico, bensì reale: della sostanza di Dio incarnato che vuole essere Ununm con noi.
Altro che tanta preoccupazione per la 'facciata'! E' questione di sostanza: siamo carne a contatto con la carne di Dio. Come sperimenta chi si incarna, facendolo proprio, nel dolore altrui.
Se proviamo a rileggere queste semplici frasi alla luce dello Spirito che illumina mente e cuore, ci rendiamo conto di quanta sete e fame abbiamo di Dio!
Ausilia 

martedì 21 giugno 2011

Sviluppare il sito Donne-cosi?

Mi è giunta la domanda sul perché della chiusura del sito Donne-Cosi. Ne sta nascendo un dialogo che riporto e spero si possa sviluppare.

2011/6/20 Ausilia Riggi Gmail <au.riggi@gmail.com>
Sono Ausilia Riggi e sono stata l’asse portante del sito, e ora non esclude, anzi si augura che altri possano continuare in maniera innovativa. Io non me la sento più per mancanza di “energie”, data la bella età di vicina-agli-ottant’anni condita di molte malattie. Il mio dedicarmi alla poesia ed a blog semplici è un modo per sentirmi viva
Ma mi pongo e pongo una domanda: a che pro lottare per le donne che sono coinvolte in svariati modi nella questione celibataria, se la vera causa del disagio femminile nella Chiesa è il sacerdozio gerarchico, che esclude dal potere (gestione verticale e prettamente maschile)? Ma chi vuole questo potere? Ci sono questioni di fondo che le redattrici e i redattori dovrebbero aver chiare e possibilmente nette, anche se da-esprimere in forma semplice.
Tutto il mondo implora inconsapevolmente un soffio di una spiritualità (non di genere!), in controtendenza alla deriva progressista, ecc. ecc. Se mi dice chi è Lei, e perché fa questa domanda, potremmo continuare a parlarne.Grazie, Ausilia Riggi
***
Da: A. ***  Oggetto: Re: risposta a chiusura DONNE C0SI

Gentile Ausilia Riggi, grazie per il suo messaggio. Condivido quanto lei mi scrive riguardo il disagio femminile nella Chiesa: insieme alla questione celibataria è davvero necessario mobilitarsi per decostruire la struttura di potere/controllo delle gerarchie ed il maschilismo alla base di questa. Capisco queste cose più di quanto immagina, perché tutte queste ingiustizie le ho vissute e le vivo sulla mia pelle: come donna, perché sono una donna, nonché come persona che non ha mai voluto rinunciare alla propria indipendenza di pensiero e libertà di parola, la Chiesa cattolica mi ha fatto soffrire davvero molto. Il mio è un caso particolare: sin da quando ero ragazzina ho sentito la vocazione al sacerdozio ed ho dovuto lottare con la crescente frustrazione di non poterla realizzare nella mia Chiesa. Poi, recentemente, mi è capitato di innamorarmi di un prete, anche se ho chiuso presto la questione che, come potrà immaginare, era senza speranza. In ambedue i casi, come donna, non posso competere con la Chiesa-struttura, con la Curia, con il suo potere di plasmare le menti e intrappolare le persone nelle sue logiche e nei suoi schemi. Da qualche tempo mi sono avvicinata all'associazione Women Priests, che si batte per il sacerdozio femminile e più in generale per affermare i diritti di uguaglianza e la dignità delle donne all'interno della Chiesa. Ci sono tante donne straordinarie impegnate in questa causa, ma il nemico è talmente grande che a volte temo che ci vorrà molto, molto tempo prima che tutti gli sforzi fatti portino ad un cambiamento effettivo. Se la questione dei preti sposati è ancora lungi dal realizzarsi, quella del sacerdozio femminile mi sembra ancor più lontana, lontana anni luce. Purtroppo. Questi, in estrema sintesi, sono i motivi e le vicende dietro la mia domanda. Credo ci sia una grandissima necessità di cambiamento....ma come fare...? E' una lotta che lascia spesso deluse ed abbattute
Cordialmente, A.***
Rispondo oggi:
Non ritengo che lottare – tout-cour – contro il potere sia una ricerca di soluzione dell’annosa questione femminile nella chiesa. Tenendo conto che il potere, ogni potere il quale sovrappone gli individui tra di loro vada smantellato pian piano, e che certamente il processo verso la liberazione è sempre, non solo lunga, ma interminabile, tranne che sopraggiunga un’apocalisse ad accelerarla.
Ma nella chiesa, che ha avuto in consegna il Vangelo, non si può tollerare che essa stessa si faccia struttura di potere. Allora, secondo il mio modesto parere, facciamone una questione di fede. E quindi di missione ad agire mediante la trasformazione delle coscienze in seno alla società. Il lato femminile della questione potrebbe prendere una buona piega se usasse strumenti diversi da quelli politici, e cioè attraverso il rinnovamento spirituale. Oh come ne sono convinta!
Che ne diresti (mi sbilancio a darti del tu) se continuassimo a parlarne nel blog Conversazioni, con la prospettiva di lanciarlo come sviluppo di “Donne Cosi”?
Intanto facciamo il tentativo di coinvolgere altre/i. Facciamo della pubblicazione di questo che può divenire un esordio.
Grazie per aver risposto, e, se puoi aggiungere qualche dato personale, come quello anagrafico, va meglio. Secondo me, l’età vetusta può dare frutti meno abbondanti, ma qualitativamente prosperosi…..
Asulia


venerdì 17 giugno 2011

“Il Regno di Dio patisce violenza”

A volte è difficile cogliere il giusto senso di frasi celebri, come questa che nella Bibbia conclude la narrazione dell’episodio fondamentale della storia di Israele, in cui vediamo Giacobbe in lotta con Dio per una notte intera, segnata alla fine da una ferita al femore che lo renderà zoppicante, ma che strapperà una benedizione per il nuovo popolo, fatto erede del ‘Regno’ e cioè dell’assidua presenza divina.
Certamente per capire la Bibbia bisogna entrare nell’atmosfera specifica, tramite una preparazione specialistica. Ma se si porge al popolo con correttezza la quintessenza del nocciolo della verità, forse non è difficile smarrire profondi significati in maniera semplice.
Cosa significa lottare con Dio?
Torna il tema della volontà, tanto malintesa oggi ancor più di ieri, in epoca che punta sulle potenzialità del soggetto da far emergere. Il nodo da sciogliere è proprio nella parte che spetta all’io. E’ Dio a volere una creatura in un certo senso in competizione con Lui. Ecco: il resistere nel progetto di realizzare un destino in cui l’io diventa un noi potenziato dal divino, trasforma il cammino storico, sempre tortuoso, in un itinerario sovra-storico.
La violenza di cui si parla è la resistenza, non l’attacco; che è di Dio stesso. Il duello ‘corpo a corpo’ dà l’idea di quella che mi piace chiamare voglia di incarnazione di Dio …
Una nota personale: a me, per entrare nello spirito della frase, basta puntare sul fatto che è Dio per primo a voler entrare dentro di me. So che non dà luogo a realizzazioni di sorta cedere alla mollezza della vita tranquilla, mentre mi ritrovo di fronte alla possibilità di essere più grande di me stessa, lasciandomi trasportare dal fascino dell’immortalità.
Ausilia  

giovedì 16 giugno 2011

Qualcuno (oh l'anonimato!) si chiede se le fede è "qualcosa a prescindere"?
Come al solito, si cercano definizioni dell'indefinibile, che è sempre legato al mistero. Ecco la mia risposta apertis verbis: la fede nasce dalle profondità del nostro essere, come aspirazione al Tutto, alla trascendenza in cui tutte le cose (e noi stessi) acquistano luce che non scaturisce da noi, altrimenti sarebbe un fattore intimistico o di adesione ad una verità codificata.
Come dire "cosa è" se non attingiamo alla Fonte? Quel che spetta all'essere umano è proprio l'uscita dal solipsismo, connesso ai luoghi comuni, e la ricerca, la disponibilità a ricevere luce.
Sant'Agostino per decine d'anni vagò in ricerca della verità, lasciando, senza saperlo, porte e finestre aperte perché la Luce lo inondasse.
Per avere un sì pieno  bisogna dire dei no a ciò che appare e che svanisce presto. Più che una questione di volontà, si tratta di predisposizione, favorita dalla messa in atto di uno stile di pensiero e di vita che... non si accontenta delle fatue credenze e sentimentalismi. Anche l'umile "ignorante" che ha buon senso, fa già più di un dotto se alza gli occhi al cielo e lo interroga: quante volte l'ho constato!
Ausilia 

giovedì 9 giugno 2011

Armando e il suo... peccato originale

Fa pensare (è il secondo limite di chi vorrebbe dire il proprio pensiero commentando il tuo) la tua percezione del paccato originale provocata dalla interpretzione del teologo Ravasi. Come non essere d’accordo con quella riflessione a cui certe se ne possono aggiungere molte altre!
Io in questi pensieri casco dentro ogni volta che tento di pregare. Al primo rivolgermi a Dio, scatta in me la percezione del mio essere, del mio essermi distanziato da Dio... e mi torna, rattristante ma non angosciante, la seguela del mio vissuto che non voglio dimenticare. Si tratta di questo (ecco il mio essere nel peccato originale): avere messo Dio dapparte, in riserva, non averlo buttato via ma averlo accantonato mentre io mi sceglievo la parte più comoda e alettante. Ecco la mia percezione del peccato originale.  E proprio in quei momenti avverto il bisogno di redenzione, sento che davvero ho bisogno che qualcuno mi rifaccia, mi riavvii, mi ridia il coraggio di avviinarmi a Dio...
E mi pare che senza questa percezione e convinzione del bisogno di redenzione e della sua possibilità non ci sia via per la consolazione...
Anch’io a volte sento il bisogno di dire queste cose e di trovare riscontro nel dialogo con gli smici... Che ne dici?
Armando Zecchin

lunedì 6 giugno 2011

Il peccato originale

La notte scorsa ho sentito una conferenza del grande teologo Ravasi,  sul peccato originale, con commento a Genesi 3.
Che pascolo! Altro che lettura miope che ridicolizza la realtà simbolica della parola biblica!
Il peccato originale è la nudità scoperta dall’essere umano (= Adamo) nel momento in cui si appropria del’albero della conoscenza (parola biblica ….) del bene e del male. Il giardino dove è posto tale albero, che rappresenta l’esistenza umana, è in custodia nostra, e tale albero suona come monito a che non perdiamo l’innocenza creaturale originaria.
Bisogna affidarsi, non alla consapevolezza conoscitiva quale la intendiamo dal punto di vista psicologico, e non ad una scelta coscienziale di libertà, nella quale si concentrano le energie vitali-mortali umane;
e fare
un’apparente rinunzia: alla propria soggettività malata di psicologismo, per lasciarsi riplasmare dallo spirito, soffio di vita divina senza fine.
Se ricostruiamo dentro di noi l'immagine di Di, non diveniamo dèi, ma  ci ritroviamo immersi nell’Unità dialogica di Dio stesso, la Trinità. Dalla trinità umana (corpo-anima-spirito) alla trinità divina, tramite Crsito incarnato nel seno di Maria.
Questa è la felicità sulla terra….
Parole difficili per chi non ha per maestro lo Spirito, come i discepoli che non capivano le parole di Gesù, e per chi non prega, adorando (da = ad os, mettere la mano davanti alla bocca, cioè tacere in modo da ascoltare).