venerdì 26 luglio 2013

XVII Domenica T.O. anno C

28 luglio 2013 XVII DOMENICA T. O. Anno C
Genesi 18, 20-32; Colossesi 2, 12-14
Luca 11, 1-13
1 Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2 Ed egli disse loro: Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; 3 dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, 4 e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione. 5 Poi disse loro: Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, 6 perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, 7 e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, 8 vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. 9 Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10 Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 11 Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 12 O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13 Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono.
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N.B. Commentare dal punto di vista esegetico il vangelo di oggi in maniera alquanto sufficiente richiederebbe la trattazione di non pochi libri. Qui si fa un’estrema sintesi, che si avvale degli studi condotti da sommi esegeti, tentando di renderli in qualche modo accessibili. Ma tutto per cenni, pur senza mancare di focalizzare alcune questioni.
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IL SIMBOLO DEL PADRE
a) nei miti extra-biblici
Noi occidentali siamo assuefatti a far risalire il simbolo del Padre ai miti biblici presenti nell’Antico Testamento. E sappiamo che  in esso c’è traccia di culture extrabibliche. A queste è bene accennare.
Papa Luciani, durante l’Angelus del 10 settembre 1978, si espresse così: “Dio è papà, più ancora è madre. E forse attingeva questo modo di dire-Dio alla sua profonda bontà; certamente era lontano dal far suo il pensiero della differenza di Luce Irigaray e di altre teologhe femministe.
Oggi dovrebbe essere maturata una riflessione sui simboli del maschile e del femminile a prescindere da ogni schermo ideologico. Infatti in campo simbolico gli opposti si richiamano l’un l’altro e sono equivalenti.
Nelle tracce del Dio biblico che si rivela ai grandi profeti, non risulta che abbia definito se stesso. Il suo nome, JHWH, consiste di quattro consonanti che, in quanto tali, sono impronunciabili. Nell’Io sono colui che sono rivelato ad Abramo, il predicato ripete il soggetto, e quindi non esprime alcuna qualità; ma la frase così formulata risale al Medio Evo.
Per individuare il significato da dare al termine Padre nella preghiera cosiddetta di Gesù, è utile accennare alla cultura arcaica e risalire addirittura al Paleolitico. Ma in esso il primo modo di riferirsi all’essere supremo non riguarda il simbolo del Padre, bensì quello della Madre. Dal 30.000 al 1000 a.C. sono state disseminate in tutto il mondo numerose figure femminili steatopigie [dalle parole greche stéatos = grasso, adipe, e puyné = natiche] che si possono vedere anche in alcuni nostri musei. Le culture primordiali sono state pervase, per così dire, dalla percezione della  potenza misteriosa intrinseca alla generatività femminile e l’hanno caricata del senso di una mediazione in grado di attingere direttamente alla Fonte della vita, oltre la precarietà del terreste. Da qui il culto della Gran Madre, cioè della Madre terra, da cui si sprigiona la vita.
La Grande Dea assumerà altre personificazioni in altri tempi e luoghi. Ne citiamo solo alcune. In Grecia troviamo Divinità dell’amore: Ishtar-Astarte-Afrodite-Venere; della caccia: Ecate, Artemide-Diana; dell’agricoltura: Demetra-Cerere e Persefone-Proserpina. Sono parimenti celebri in America Estsanatlehi, in Cina Quan-Yin, in India Durga. Eccetera eccetera. (Detto per inciso, Jung colloca la potenza numinosa della Grande Madre nell’inconscio).
Più tardi, nell’epoca medievale, tutte saranno simboleggiate nel vaso femminile: il calice del Sacro Graal, che ha un potere spirituale il quale si estrinseca, non solo nella conoscenza e nella saggezza, ma soprattutto nella verità, nell’amore, nella giustizia. Tanto che la spiritualità della Grande Madre riemerge oggi in varie forme, dall’ecologia all’interesse verso i temi dell’unione, dell’integrazione, della pace.
Dulcis in fundo, tutte le espressioni del simbolismo femminile sono state trasferite nella Vergine-Madre Maria; e il dogma trinitario ha completato il quadro della femminilità divinizzata. 
Gli studi etnografici hanno dimostrato che la priorità storica del femminile non è di merito, come vorrebbero alcuni studi femministi; è relativa al fatto che il simbolo della maternità si afferma attraverso il passaggio dalla preistoria, quando tribù nomadi violente sopravvivevano grazie alla caccia, alla storia, quando si hanno le prime società stabili, legate alla terra da lavorare tramite la formazione di famiglie nelle quali la presenza femminile offriva garanzie di un vivere pacifico. Con ciò non si vuol dire che la violenza sia di pertinenza maschile, poiché TUTTO CIO' CHE E' UMANO E’, in forme diversificate, IN ENTRAMBI I GENERI.
b) nella Bibbia 
Sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento la preghiera è rivolta al Padre. L’invocazione aramaica abba’, papà, sta alla radice del Padre nostro, recitato oggi. Nell’Antico Testamento essa aveva un carattere in prevalenza verticale e pubblico, essendo indirizzata al Cielo (in cui si immaginava collocata la Sovranità di un Dio lontano e trascendente), ed era celebrata dai sacerdoti nel Tempio, il luogo di culto per eccellenza. Ma noi sappiamo che  Dio Padre era invocato anche dai Profeti, i quali trasferivano la verticalità del Divino nell’immanenza del cuore umano.
In perfetta linea con questi ultimi, è ritratto dagli evangelisti un Gesù in preghiera fuori dal Tempio, nel deserto, in montagna e in solitudine; e i discepoli lo spingono a farli partecipi del suo ‘strano’ modo di rapportarsi a JHWH: non spettava a loro inaugurare il Regno con la legittimazione della sua autorità messianica?
c) nell’ottica femminista
Gesù, nell’ottica femminista - alla quale si accomunano esegeti evangelici schierati sulla linea del dissenso - avrebbe assunto un carattere provocatorio rispetto alla cultura ebraica: lo dimostrerebbe in particolare il suo comportamento verso il mondo femminile negli incontri con donne, portato all’estremo limite, tanto da farne delle testimoni della risurrezione. Il volto femminile di Dio si sarebbe incarnato in un discepolato di eguali inaugurato dalla predicazione di Gesù, in forza della quale, come leggiamo in Gal 3,28 non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Tale volto femminile sarebbe stato espunto a partire dall’epoca romana marcatamente maschilista.
MISURATI RICHIAMI ESEGETICI
Padre nostro che sei nei cieli
Tutto il vangelo di Luca è pervaso del tema della preghiera di Gesù: nel Battesimo di Giovanni solo lui dice che Gesù sta pregando e riferisce di tanti altri momenti in cui egli si apparta per pregare. Nella marcia verso Gerusalemme il suo modello di preghiera risulta affidato ai discepoli attraverso il suo esempio più che con l’insegnamento.
Simone Weil, celebre mistica ebrea del secolo scorso, notava con ironia una certa contraddizione tra la vicinanza evocata dal termine Padre e lo ‘stare nei cieli’.
Dal punto di vista ebraico il fatto che Luca trascuri l’aggiunta "nostro’ rimanderebbe ad Abramo (cf. Is 51, 2; 63,16).
Sia santificato il tuo Nome
Nulla è così biblico come questa prima richiesta. Maria la canta nel suo Magnificat: santo è il suo Nome, e in ciò si accorda con le parole del salmo 113, 1-3 Benedetto il Nome del Signore.
Venga il tuo Regno
Questa richiesta traduce in forma di preghiera il cuore della predicazione di Gesù. Egli stesso, come dice Origene, era autobasileia, si identificava nel suo regno e lo attualizzava.
I padri della chiesa conoscevano una variante di questa seconda richiesta attraverso Ez 37, 9: “il tuo santo Spirito venga su di noi e ci purifichi. Vieni dunque con il tuo Spirito, soffia sulla tua creazione, soffia dai quattro venti su queste nostre ossa”.
Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra
La volontà di Dio viene fatta in cielo dagli angeli: così si esprimono i padri della chiesa (cf. tra l'altro Sal 103, 21); e continuano: possa ora questa volontà essere compiuta anche sulla terra da noi uomini. (Ciò corrisponde a una visione tipicamente matteana della chiesa e della storia).
Dacci oggi il nostro pane 'quotidiano
Alla quarta richiesta, ogni traduttore inciampa nell'aggettivo che viene a qualificare il pane richiesto. In greco c'è epiousion (la parola reca è detta sia in genitivo sia in ablativo, ed è quindi impossibile distinguere se si tratti del male o del maligno).
Qualunque significato possiamo dare al termine, si dovrà riconoscere la contrapposizione ad un altro pane. Ora, sembra che la migliore spiegazione di questo ricercato aggettivo consista nel considerarlo derivato dal sostantivo ousia: in greco il prefisso epi è necessario per la formazione di un aggettivo. Ousia significa natura, essenza, realtà, ma anche potere e possesso. Allora, tradotto, l'aggettivo significa essenziale.
Nella struttura di questa preghiera si esprime una preziosa percezione, tipicamente ebraica: anche ciò che ci si è procacciato con le proprie mani è un dono. Nel momento in cui si sta per appropriarsene, bisogna imparare a riconoscerlo per quello che realmente è (un dono di Dio), e perciò a riceverlo in gratitudine e condividerlo in fraternità.
Un padre della chiesa ha anche questa osservazione: "Il povero ti chiede un pezzo di pane, e tu chiedi a Dio la vita eterna! Da' al povero, per diventare degno di partecipare alla vita di Cristo. Parlare di pane quotidiano, su di un pianeta dove milioni di persone soffrono la fame quotidiana, è un assurdo. Allora non si tratta solo di benedire Dio con cuore grato prima di fruire dei cibi. "Ho fame", grida oggi "uno di questi piccoli, mio fratello".
E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori
Il perdono sta al cuore del lieto annunzio di Gesù e non c'è testo del N.T. che non annunzi a chiare lettere il "perdono dei peccati".
La seconda parte della frase ha meravigliato molti commentatori, sia dal punto di vista letterario sia da quello teologico e spirituale: la preghiera a Dio non viene condizionata da una promessa dell'uomo? In Luca ciò diventa una questione, come si nota dal suo ‘infatti’: una vera argomentazione.
E non farci entrare nella Prova, ma liberaci dal Maligno
Perché tuo è il Regno, la potenza e la gloria nei secoli
La tentazione è vista come uno spazio nel quale si teme di dover entrare. La preghiera è allora un pressante appello: non condurci dentro la fornace di fuoco, la prova. Questa preghiera e la sua formulazione ricordano la preghiera notturna di Gesù nel Gethsemani. La preghiera cristiana, imitando l'agonia di Gesù, discende fin dentro questa fornace di fuoco e continua a gridare: "Signore, salvaci!". A certi santi è dato di dovere esperire la loro esistenza come ‘nell'inferno’, mentre ottengono come unica parola da udire: ‘Sta' saldo e non disperare’. Paolo risolve la questione col suo invito a partecipare direttamente alla grande sofferenza messianica (cf. Paolo in Col 1.24). [Non è meglio inoltrarsi nell'abisso divino?].
Prestissimo, nella tradizione cristiana del Padre Nostro, si è avvertita la difficoltà di una preghiera che termina con "il Maligno". La tradizionale preghiera ebraica è particolarmente istruttiva da questo punto di vista: "tutte le preghiere hanno come scopo la Pace, e non c'è preghiera che non si concluda con una richiesta di pace". Perciò già nella versione della Didachè, e anche in alcuni antichi manoscritti di Matteo, ma soprattutto nei libri liturgici, si è concluso il Padre Nostro con una dossologia.

In questa, che non è priva di paralleli nella bibbia e nelle liturgie ebraiche, la preghiera sfocia in lode e compie in tal modo il movimento: da speranza e attesa a vittoria e gloria.

preghiera nuda
non so chi tu sia per te stesso
ti lanci oltre l’essere e il nulla
ogni istante nel creato sei storia
fai tuo il dolore dei poveri cristi
contro il male non offri barriera
ma di pietà tutto attraversi
e spalanchi le porte all’ingresso
nel tuo regno d’amore


venerdì 19 luglio 2013

XVI DOMENICA T.O. anno C

21 luglio 2013 XVI DOMENICA T.O. anno C
In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».
Col. 1, 24-28
Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
Luca 10, 38-42
38 In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39 Ella aveva una sorella di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40 Marta, invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma il Signore le rispose: Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42 ma di una cosa sola c’è bisogno. ria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta.
PREMESSA
- L’episodio che Luca racconta si colloca dopo la parabola del Buon Samaritano e riprende in altro modo la stessa questione, vissuta vivacemente in seno alla sua comunità in un periodo di accelerazione nella crescita.
- Le poche pennellate con le quali Luca riproduce la scena di Gesù presso  Marta e Maria in un primo momento appaiono veridiche. Eppure dietro ad esse si nasconde il filtro della tradizione orale vissuta in seno alla comunità, sicché l’episodio non si può riportare  ad un preciso fatto.
La mancanza di assoluta attendibilità storica sorprende? Se così fosse, ci si comporterebbe da persone rimaste con l’appetito di racconti ‘veri’ dei quali i bambini non dubitano, appagati come sono dell’alimentazione della loro fantasia. Per persone adulte la verità dovrebbe risultare, più che dai fatti, dalla loro valenza simbolica: è questa che li illumina del’unica verità alla quale anela il cuore umano. Non si può restare fissi ad una concezione mitologica della storia quando si è verificato un marcato trapasso dal tipo di società nutrito di mitologia a quello di società improntato alla pura ricerca della verità. Non è auspicabile che nella storia si chiuda il capitolo dei racconti, ma che il loro fascino sia visto per quello che è: pertinente alla sfera dell’immaginifico, che è fondamentale a livello antropologico e spirituale.
- Mi riservo di enucleare nella conclusione spunti personali che aiutino a sfuggire alle interpretazioni stereotipe ancor oggi dominanti sulla questione. Per anticipare una di esse ecco una  prima osservazione che nasce dall’evidenza: mentre nella parabola del samaritano si accennava ad una soluzione del dilemma tra il dire ed il fare a vantaggio del fare, nel racconto che leggiamo oggi pare risulti in vantaggio il dire, anche se attenuato nei toni (secondo lo stile compromissorio, che dà e non dà preminenza ad una cosiddetta ‘chiamata privilegiata’ alla sequela di Cristo).
ANALISI DEL TESTO LUCANO
38 Ora, mentre essi erano in cammino, egli entrò in un villaggio; una donna di nome Marta lo accolse. 39 Ed ella aveva una sorella chiamata Maria, la quale, sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola.
Il villaggio non è indicato con un nome preciso, ma sappiamo che si tratta di Betania. Lì Gesù trova accoglienza nella piccola casa a pianterreno, di cui ormai è padrona Marta (il nome aramaico di Marta significa padrona). Le due sorelle dell’amico di Gesù, Lazzaro, erano solite, anche dopo la morte del fratello, offrirgli un ambiente familiare.
Nella casa mediorientale non esistono le sedie, si sta seduti per terra. Essere seduti ai piedi di qualcuno significava accoglierlo ed ascoltarlo. Ad esempio c’è Paolo che dice di essere stato istruito “ai piedi di Gamaliele”, oppure nel Talmud si dice: “sia la tua casa un luogo di convegno per i dotti; impolverati della polvere dei loro piedi e bevi con sete le loro parole”. L’atteggiamento di Maria non è né di adorazione né di contemplazione: lei ascolta Gesù e si comporta da discepola. La parola da ascoltare in greco è chiamata logos e si riferisce, non soltanto all’insegnamento attraverso la parola, ma soprattutto al suo contenuto, il quale non può non avere risvolti nella pratica.
[Nelle divagazioni di un esegeta trovo la descrizione poetica di quegli incontri, che mi piace trascrivere, anche se parzialmente: - in queste soste Gesù ritrovava i colori e gli odori della sua casa, collocata su a Nord, a Nazareth o a Cafarnao; era stanco dell’accalcarsi attorno a lui della folla che lo ascoltava, ma era esigente; e poneva domande che il più delle volte erano tranelli. Quando si stancava, Gesù salutava i suoi e si allontanava fino alla valle del Cedron, a pregare. Lì sedeva, molto probabilmente su un sasso, all'ombra di un ulivo secolare; poi alzava lo sguardo dalla terra assetata, e guardava la sua città, avvolto in un oscuro presentimento di sconfitta, di amante deluso, di morte].   
40 Marta era assorbita per il molto servizio; fattasi avanti, disse: «Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti!».
Ecco far capolino il tema dibattuto nella comunità di Luca: la diaconia nel suo duplice aspetto, di servizio in funzione della diffusione del vangelo e di servizio materiale, appesantito dalla grande affluenza di poveri alle mense. C’erano divisioni tra i fedeli di origine greca i quali lamentavano che le loro vedove fossero messe in disparte, e quelli di origine giudaica tra i quali prevaleva la concezione di un servizio della Parola distinto e di carattere prioritario rispetto al servizio delle mense.
41 Ma il Signore, rispondendo, le disse Marta, Marta, ti affanni e ti agiti per molte cose;
Il doppio vocativo Marta, Marta, tipico dell'Antico Testamento (cf. Gn 22,1), è utilizzato da Luca anche altrove (At 9,4; 22,7 ecc.).
Nelle parole poste in bocca a Gesù c’è tutto un significato simbolico: come Marta, anche i discepoli durante la missione si erano preoccupati di molte cose; era necessario far chiarire dallo stesso Maestro che la cosa più importante è quella di avere i nomi scritti nel cielo, cioè di essere conosciuti ed amati da Dio (Lc 10,20).
Mentre Luca non esita ad affermare che la priorità riguarda l’intimo rapporto con Dio, alimentato dalla contemplazione dell’ascolto umile e costante, gli esegeti di ieri e di oggi argomentano, chiariscono, dimostrano…; un modo tipico del dire e nel medesimo tempo non-dire. Ecco uno di questi ragionamenti che a molti pare convincente: la priorità non è di merito, bensì di fatto, di causa-effetto; lo spirito, irrobustito per avere attinto all’ascolto, diviene idoneo a profondersi nel servizio ai fratelli; non è il servizio materiale che Gesù biasima, ma l'affannarsi, il preoccuparsi in modo ansioso; et similia…
42 ora, c'è bisogno di una sola cosa. Maria, infatti, ha scelto la parte buona, che non le sarà tolta.
Di parte migliore si  parla nei salmi 16 e 119, nei quali ai fa scaturire il bene dalla fonte divina e si stimola alla cura della Parola e a pre-servarla nella sua integrità.
Fa eco al monito posto in bocca a Gesù la parabola del buon samaritano, dove il prete ed il levita sono talmente presi dai loro compiti religiosi da dimenticare l'essenziale del loro servizio, la compassione di Dio. Se Maria abbandonasse il suo atteggiamento di preghiera in presenza di Dio, non scoprirebbe quanto sia importante il dare la parola di conforto agli sfiduciati.
Per Luca, preoccupato di dare una formazione spirituale alla sua comunità, Maria concorda maggiormente con l’atteggiamento del Servo di Dio, poiché, come il Servo, lei si trova in atteggiamento di preghiera. Anche Gesù assume il ruolo di servo, cioè di Servo annunciato in Is. 50,4: “Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati”.
CONCLUSIONI PERSONALI
- E’ stato detto: le prime due letture si illuminano a vicenda nel confronto. Ma non meno illuminante è il confronto con la lettura di Paolo, di cu Luca era discepolo. Forse leggiamo Paolo attraverso l’ottica delle formulazioni dogmatiche, ma egli vuole dire semplicemente che sopporta tante sofferenze nell’annuncio e che tale carico non gli è pesante per la fede e la gioia di comunicare il mistero di Dio attraverso opere di bene.
- La soluzione della questione del rapporto tra vita contemplativa e vita attiva ci è stata data a iosa da sempre, ma in maniera conciliante, forse ipocrita (in buona fede!). Allora tentiamo di fare chiarezza.
Non è tanto la chiesa ( e le chiese) a volere negare che il ruolo di servizio della Parola di fatto genera un privilegio rispetto all’umile servizio materiale. E’ soprattutto la gente, nella sua generalità, a voler contare su persone di garanzia in ordine a tutto ciò che concerne il problema per eccellenza: la propria salvezza, o comunque la si voglia chiamare; si aspira a fornirsi di una garanzia, mediatrice della Verità sull’essere umano. Per esemplificare basti accennare al furore fanatico di fronte ai preti, tanto più se occupanti ruoli elevati, a persone ‘consacrate’ e quindi diverse dal comune modo di essere, di persone carismatiche da idolatrare; un furore che investe tutti – atei e credenti DOC in prima fila -. E’ uno scempio che non so come si possa evitare, tale e tanto è l’intreccio con la disponibilità offerta dai ruoli di prestigio. Il prestigio di non pochi eterni leader politici di cui ci lamentiamo impallidisce di fronte a quello delle persone ‘religiose’, dall’umile suorina ai vari don e padri, a monsignori, vescovi e su-su fino ai papi.
E, per favore, non si dica che i problemi sono stati risolti dallo stesso Gesù: io, ad esempio, lo nego, da credente nell’eccezionale carisma  di Gesù verso il quale è orientata tutta la mia vita.
- Invece! C’è un invece, che è il benvenuto: costituito dai mistici.
Qui ne avrei una folla da citare e non posso essere selettiva: perciò ne cito alcuni quasi a caso.
Cominciamo da Meister Eckhart, il grande mistico domenicano del Medio Evo, che dà una simpatica interpretazione dell’episodio di Marta e Maria. Ecco come sfugge ad ogni teorizzazione: Marta sapeva già come lavorare e vivere in presenza di Dio; Maria non sapeva e stava imparando, e per questo non poteva essere interrotta!
Il frate carmelitano Giovanni della Croce, caposcuola in campo mistico, era ben attivo: in poco più di 10 anni percorse a piedi nella Spagna 27.000 chilometri.
Teresa d'Avila non rimaneva mai ferma, occupata com'era nella fondazione di tanti monasteri. Da lei voglio estrarre qualche citazione tra le meno estasianti, ma che denota il suo parlare franco e schietto. In Cammino di perfezione, Città Nuova 1980 leggiamo: Se ambedue le sorelle fossero rimaste assorte, non ci sarebbe stato nessuno che desse da mangiare all’Ospite… (p.114); la contemplazione è un mero dono di Dio. E siccome non necessaria alla salvezza, né Dio la richiede in dotazione aggiuntiva, non tema [l’anima] che qualcuno venga a domandarglierla… Io sono stata quattordici anni senza poter fare neanche meditazione, senza abbinarla alla lettura…  In fondo cosa ne sappiamo noi se le delizie di cui sopra provengono da Dio o da demonio? (pp.112-113). …Cercate di farvi un concetto esatto di Dio, ricordando che egli non bada a tante minuzie… (p.245).
Giacomo Cusmano (1880), umile uomo che temeva una possibile aureola dopo morte (che invece gli hanno pervicacemente posto in testa), fondatore dell’Opera nella quale ho fatto la mia esperienza di vita religiosa per quindici anni, in un tempo di carestia che provocava a Palermo almeno un morto per fame al giorno, percorreva ogni giorno l’intera città bussando alla porta dei ricchi e chiedendo, non soldi, non pasti, ma un semplice boccone tolto da ogni singolo piatto (per tener vivo il ricordo ad ogni boccone) e, fatto il giro, ripercorreva la città in cerca degli affamati a cui distribuirli: bocconi - vera eucaristia! La frase che ripeteva continuamente, contemplazione nell’attività, era tutto il suo essere.

Nessuno dei mistici ha risolto il problema in via teorica. Ma tutti hanno visto brillare il volto invisibile di Dio, riflesso nel Crocifisso, nel misero, nel lebbroso, nell’emarginato.

venerdì 12 luglio 2013

XV domenica T.O.

14 luglio 2013 XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno C
Deuteronomio 30, 10-14; Colossesi 1, 15-20
Luca 10, 25-37
In quel tempo, 25 un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26 Gesù gli disse: Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi? 27 Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il tuo prossimo come te stesso». 28 Gli disse: Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai. 29 Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30 Gesù riprese: Un uomo  scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32 Anche un levita giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33 Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34 Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35 Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”.36 Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti? 37 Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: Va’ e anche tu fa’ così.
Dt 30, 10-14
Mosè parlò al popolo dicendo: «Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l'anima. Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: "Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?". Non è di là dal mare, perché tu dica: "Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?". Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».
Col 1, 15-20
Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra,sia quelle che stanno nei cieli.


PREMESSA sul brano di Luca
E’ bene associare la lettura di Luca alle prime due letture proposte dalla liturgia. Dal nesso fra le tre parti si può ricavare un senso in grado di ampliare ed approfondire il significato complessivo, che altrimenti resterebbe affidato a suggestioni scontate e superficiali.
- Dt 30, 10-14 trasporta la parabola posta in bocca a Gesù nella comunicazione di YHWH a Mosè; soprattutto il v.14 - questa parola è moto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché la metta in praticaaiuta a superare visioni parziali, come quella riguardante la presunta preminenza del fare sul dire o viceversa.
- Paolo, riportando tutta la creazione a Cristo ed alla sua morte di croce liberatoria, trasporta verso problematiche che si scavano in seno al quadro d’insieme; la frase -Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili-, collegata all’inquietante domanda posta dal dottore della Legge: che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? potrebbe indurre a trovare risposte definitive in Cristo, anziché là dove la colloca YHWH vicina a noi, nella nostra bocca e nel nostro cuore. il Cristo di cui parla Paolo è quello che cerchiamo implicitamente, non per ascoltare la voce di Dio, ma per rifugiarci in un comodo idolo.
NOTE ESEGETICHE
a) Luca , discepolo di Paolo
Un testo preziosissimo, scoperto da A.M.Muratori (sec.XIX), il cosiddetto canone muratoriano, riporta al II secolo: “terzo è il libro del Vangelo secondo Luca. Questo Luca è un medico che, dopo l’ascensione di Gesù, Paolo prese con sé come compagno di viaggio. Egli scrisse in nome proprio e secondo il suo punto di vista, per quanto non avesse visto personalmente il Signore nella carne”.
Da tale codice risulta l’intenso rapporto tra Luca e Paolo. Entrambi non hanno conosciuto direttamente il Gesù storico e hanno in comune la riflessione teologica, fatta con gli strumenti offerti dalla teologia giudaica dell’epoca. L’esegesi biblica non può sorvolare su questi dati.
b) Il brano di Luca
[Per ora prescindiamo dai primi capitoli sull’infanzia e da quelli riguardanti il ministero di Gesù in Galilea].
- A partire dal cap.9 v.50 si apre un grande quadro che continua per dieci capitoli: Gesù, da figlio dell’antico Israele che peregrinava verso la terra promessa, è in continuo cammino verso Gerusalemme con la bisaccia, il bastone da viaggio, i calzari.
- Eppure Gesù è in cammino per incontrare persone e comunicare loro il suo messaggio. E lo fa collocando i suoi gesti in un contesto di parole, così come vediamo nella parabola del buon Samaritano: in questa sono presenti disquisizioni dottrinali, di cui Gesù si serve per richiamare alla concretezza dell’agire.
- Il punto focale della parabola è nel verbo greco esplanchnísthe, che letteralmente equivale ad arehamîm. La traduzione offerta dai LXX  [la sigla deriva dalla leggenda che riportebbe ai settanta (settantadue) anziani i quali accompagnarono Mosè al Sinai e ricevettero la Tôrāh]  è espressa col termine compassione; ma in tal modo non sarebbe evidenziato il senso che si coglie nella scrittura biblica antica, dove splanchna esprime l’amore insistente di YHWH, fatto di tenerezza viscerale al di fuori di ogni aspetto mistificatorio.
CONSIDERAZIONI
- A proposito del termine esplanchnísthe mi pare cosa opportuna riandare in particolare ad Isaia 43,25: “Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati”. E’ stupendo il riguardo a me stesso: significa che il perdono di Dio è dono fatto anzitutto a stesso! Davvero, forse,  impoveriamo la misericordia divina quando la imploriamo con gemiti e suppliche invece di tradurla in fiducia e abbandono, che corroborino l’impegno umano. Martin Luther King si chiede se non è bene invertire il senso comunemente dato alla compassione verso il malcapitato; cioè, nell’aiutare il prossimo, non c’è tanto da chiedersi che ne sarà di lui, se non mi fermo?, quanto "che ne sarà di me, se non mi fermo?.
- A questo punto mi pare di poter avanzare il diritto a dire la mia in un celere flash:
la domanda, così come la pone M.L.King, induce ad una revisione di vita che tenga conto delle omissioni umane. Sono queste i peccati veri, non quelli ispirati ad una concezione di tipo masochistico. Le omissioni non sono da espiare con gesti ascetici, ma da cancellare attraverso un orientamento deciso di vita, affidato all’aiuto divino. Si capisce: tra inevitabili cadute.


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venerdì 5 luglio 2013

XIV domenica T.O. anno C

07/07 2013 XIV DOMENICA T.O. anno C
Isaia 66, 10-14c; Galati 6, 14-18
Luca 10,1-20
1 Dopo queste cose, il Signore designò altri settanta (settantadue) discepoli e li mandò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove egli stesso stava per andare. 2 E diceva loro: La messe è grande, ma gli operai sono pochi; pregate dunque il Signore della messe perché spinga degli operai nella sua messe. 3 Andate; ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. 4 Non portate né borsa, né sacca, né calzari, e non salutate nessuno per via. 5 In qualunque casa entriate, dite prima: "Pace a questa casa!". 6 Se vi è lì un figlio di pace, la vostra pace riposerà su di lui; se no, ritornerà a voi. 7 Rimanete in quella stessa casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno del suo salario. Non passate di casa in casa. 8 In qualunque città entriate, se vi ricevono, mangiate ciò che vi sarà messo davanti, 9 guarite i malati che ci saranno e dite loro: "Il regno di Dio si è avvicinato a voi". 10 Ma in qualunque città entriate, se non vi ricevono, uscite sulle piazze e dite: 11 "Perfino la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate tuttavia questo, che il regno di Dio si è avvicinato a voi". 12 Io vi dico che in quel giorno la sorte di Sodoma sarà più tollerabile della sorte di quella città.13 Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida; perché se in Tiro e in Sidone fossero state fatte le opere potenti compiute tra di voi, già da tempo si sarebbero ravvedute, prendendo il cilicio e sedendo nella cenere. 14 Perciò, nel giorno del giudizio, la sorte di Tiro e di Sidone sarà più tollerabile della vostra. 15 E tu, Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino all'Ades. 16 Chi ascolta voi ascolta me; chi respinge voi respinge me, e chi rifiuta me rifiuta Colui che mi ha mandato. 17 Or i settanta tornarono pieni di gioia, dicendo: “Signore, anche i demoni ci sono sottoposti nel tuo nome”. 18 Ed egli disse loro: Io vedevo Satana cadere dal cielo come folgore. 19 Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e su tutta la potenza del nemico; nulla potrà farvi del male. 20 Tuttavia, non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.
PREMESSA
a) Quale approccio alla lettura dei vangeli
Nel brano proposto dalla liturgia odierna emerge con forza un problema di fondo sull’approccio alla lettura dei vangeli.
E’ grave che, mentre nel trattare la materia mitologica (il cosiddetto mondo delle favole), nessuno pretende un riscontro storico con i detti e i fatti narrati, nella lettura dei vangeli si confondono senza scrupoli la realtà storica (innegabile) e quella che vi si è sovrapposta.
Dal momento che è prevalsa l’abitudine a leggere i vangeli attenendosi all’interpretazione letterale, corroborata dall’autorità di chiese ben recintate entro confini dottrinali, una persona avveduta dovebbe preoccuparsene: come si possono leggere i vangeli (e tanto più porgerli agli altri) se si è privi di una corretta conoscenza e verifica dei testi? Questi, infatti, traggono il loro humus dalle circostanze di tempo e di luogo in cui parole e fatti sono stati affidati alla scrittura.
Anche una persona di media cultura non dovrebbe sottrarsi  al dovere di fare i conti con la storia e con la propria coscienza; cioè di comportarsi, non tanto da credente o non-credente, ma da persona appartenente all’umanità, nella quale ogni prodotto è patrimonio comune  per il bene comune.
Ma sarebbe contro-produttiva ed inefficace una semplice operazione demolitrice di interpretazioni ufficiali, consolidate da lunga tradizione.
Uno studio appassionato dei vangeli non si fonda soltanto sul fattore cognitivo (che spesso inciampa in varie scuole di pensiero); esige PENETRAZIONE PERSONALE E SPIRITUALE (mai arbitraria e senza confronto!) che permetta di raggiungere IL CUORE DEL MISTERO, 
Il brano di Luca di oggi offre tanti spunti per affrontare il problema e cercare una soluzione di carattere metodologico (risalendo alle fonti) e spirituale (accompagnando alla ricerca la preghiera). 
b) La fonte Q
Gli studiosi hanno cercato da tempo di risalire alla/e fonte/i a cui hanno attinto gli evangelisti. Facciamone cenno.
Pare che il Vangelo secondo Marco, o almeno una sua versione iniziale, costituisca la prima fonte a cui hanno attinto gli altri vangeli. Una seconda è quella chiamata con termine tedesco Quelle che significa fonte; per cui si parla di fonte Q. Si tratta di un ipotetico documento, contenente una raccolta di loghia di Gesù, vale a dire di frasi da lui pronunciate. Marco e Q sarebbero stati due documenti circolanti tra le prime comunità cristiane per mantenere viva la memoria di quello che Gesù aveva fatto e detto nella sua vita.
Non è necessario pensare a due documenti scritti: la cultura ebraica del tempo era prettamente orale: tanti racconti venivano fissati in una certa forma senza bisogno di scriverli, ma semplicemente tramandandoli a memoria. In definitiva la fonte Q non è una fonte storica, ma una ipotesi scientificaAlcuni studiosi hanno suggerito invece che la fonte Q possa essere il cosiddetto Vangelo di Tommaso, il quale raccoglie oltre cento frasi attribuite a Gesù, in parte presenti anche nei sinottici.
ALCUNE NOTE ESEGETICHE sul brano odierno
1 Dopo queste cose, il Signore designò altri settanta (settantadue) discepoli e li mandò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove egli stesso stava per andare.
L’invio dei discepoli come missionari è raccontato soltanto da Luca.
Dopo queste cose: è chiaro l'aggancio con il testo di domenica scorsa.
Il Signore designò: Gesù, in veste regale e messianica, compie un atto a carattere ufficiale e manda davanti a sé i discepoli scelti come suoi araldi. Sono 70 o 72 a seconda dei due codici usati nella scrittura. Il numero è simbolico: riporta alla totalità della missione che già secondo Gen 10,1-32 doveva esprimersi ‘tra i popoli della terra’.
Inviati ad annunciare il regno di Dio non sono gli apostoli, ma altri. Ci si può meravigliare che Gesù mandi tanti discepoli davanti a sé; e la meraviglia aumenta se leggiamo che, secondo lui, gli operai sono pochi. Ma sembra chiaro che qui si sovrappongono l'esperienza della prima comunità cristiana e il senso di universalità del messaggio.
A due a due: nell'invio degli apostoli non era stato specificato questo particolare; qui si vuole mettere in risalto il carattere collegiale dell’invio. Andare a due a due era una precauzione contro eventuali pericoli, ma soprattutto proveniva da una prassi giuridica: i testimoni di un fatto, per essere credibili, dovevano essere almeno due (Dt19,15).
2 Diceva loro: La messe (è) molta, ma gli operai (sono) pochi. Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe.
L'immagine della messe abbondante nell'Antico Testamento è relativa al giudizio finale di Dio su tutti i popoli. Siccome l’affermazione si trova pari pari in Matteo 10,37, si deve desumere che essa risalga alla fonte Q, comune in Matteo ed in Luca. L'immagine della messe numerosa o matura era utilizzata dai profeti e dall'ambiente apocalittico. Anche Gesù parla del giorno del giudizio come di una mietitura quando spiega la parabola della zizzania (Mt 13,36-43). Però in questo brano di Luca le messi mature indicano la nuova prospettiva universalistica, che contrasta col numero esiguo degli evangelizzatori. E siccome la missione deriva da Dio, gli inviati, per renderla feconda, debbono ricorrere a Lui con la preghiera.
3 Andate! Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo a lupi.
Il tema è ricorrente nella letteratura greca (Omero) e anche in quella biblica (Is 11,6; 65,25; Sir13,17). Per Luca l'immagine ha un significato paradigmatico: i missionari sono indifesi come agnelli e non debbono ricorrere alla violenza. Ci può essere anche un esplicito riferimento alla figura del servo di Jahvè quale è descritta da Is 53,7: come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori.
4a Non portate borsa, né bisaccia, né sandali,
Come è stato richiesto ai Dodici (Lc 9,3) anche i settantadue non possono portare borsa (per i soldi del viaggio), bisaccia (per i viveri), sandali. Colpisce la radicalità di questa affermazione: non portare con sé l'indispensabile per il viaggio non si spiega solo con la brevità del percorso; suppone il diritto all'ospitalità e comporta il rischio di non essere accolti, la dipendenza totale da coloro a cui sono inviati e il coraggio di fermarsi presso il primo accogliente senza temere di contrarre qualche impurità. Alla base di questo comportamento si trova la fiducia totale in Dio che sa offrire aiuto e protezione ai poveri per il suo Regno (Lc 12,22ss). Il contegno così dimesso ed indifeso di questi discepoli itineranti attirava l'attenzione ed era una dimostrazione diretta del loro programma.
4b e non salutate nessuno per la via.
Solo Luca riporta il divieto di salutare per strada. Questa indicazione potrebbe ispirarsi a 2Re 4,29 e avere motivo di urgenza: non perdere tempo in gesti e parole di cortesia, usuali in Oriente. Il significato preciso di questo divieto però rimane aperto nella linea del radicalismo della fonte Q. Luca, almeno,  vuol sottolineare che il compito missionario impone di evitare ogni distrazione.
5 In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!".
Gesù ha dato un contenuto nuovo al termine ebraico Shalom, sinonimo di saluto: In Is 52,7 e Na 2,1 è proprio compito dei messaggeri degli ultimi tempi annunciare a Israele la pace e dunque l'inizio del tempo della salvezza. Offrendo la pace alle famiglie di Israele, i discepoli realizzano il dono escatologico della pace, segno dell'avvento del Regno di Dio.
6 E se là c'è un figlio di pace, riposerà su di lui la vostra pace; altrimenti, ritornerà a voi.
Accogliere il saluto di pace rende efficace l’annuncio (vedi l'episodio di Zaccheo). La pace riposerà: nell'A.T. questo verbo è utilizzato per parlare dello Spirito di Dio (Nm 11,25; 2Re 2,15).
7 Rimanete in quella casa, mangiando e bevendo quello che c'è da loro, perché l'operaio è degno della sua ricompensa. Non spostatevi di casa in casa.
Questo versetto è composito; è formato da tre detti tra di loro indipendenti, forse già uniti dalla fonte Q: a) è una raccomandazione che può risalire al Gesù storico, il quale chiamava i suoi collaboratori a stabilire la comunione di tavola con gli ospitanti senza timore riguardo agli alimenti impuri e senza pretese, accontentandosi di quanto venga loro offerto; b) il detto l'operaio è degno della sua ricompensa è stato inserito in un secondo momento, poiché allude ad un diritto, mentre nel testo originale il messaggero è totalmente in mano all'ospitante e può correre il rischio di non essere accolto;  c) è' possibile che l'evangelista abbia ripreso la regola di Mc 6,10b già applicata ai Dodici (cf. Lc 9,4), per applicarla ai 70/72; e probabilmente il testo risponde a un altro problema missionario della Chiesa primitiva: la tentazione di andare in cerca di alloggio migliore.
8 E in qualunque città entriate e vi accolgano, mangiate quello che vi sarà posto dinanzi.
A partire da questo versetto, l'attenzione si rivolge alla città come luogo della missione. E’ sottesa una preoccupazione della Chiesa primitiva, quando la missione si estese alle città pagane e diventò più acuto il problema della purità alimentare. Ne abbiamo un'eco in Paolo 1Cor10,27 Se qualcuno non credente vi invita e volete andare, mangiate tutto quello che vi viene posto dinanzi, senza fare questioni per motivo di coscienza. Bisogna anche tener conto della visione di Luca, per il quale la vera meta dell'attività missionaria è la città dove la casa rimane la base degli evangelizzatori.
9 e curate gli infermi che (sono) in essa, e dite loro: "Il regno di Dio si è avvicinato a voi".
Questo versetto afferma uno stretto legame tra predicazione e guarigioni, viste come segno della vicinanza del Regno di Dio (il termine vicinanza fu interpretato in riferimento al fattore temporale).
10 Ma in qualunque città entriate e non vi accolgano, uscite sulle sue piazze e dite: 11 "Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, (la) scuotiamo su di voi. Tuttavia, sappiate questo, che il regno di Dio si è avvicinato".
Il gesto di scuotere la polvere dai piedi va fatto in città come atto che tutti possano vedere: l'azione missionaria è un'attività pubblica che si svolge alla luce del giorno.
12 Vi dico che in quel giorno sarà più tollerabile (la sorte) per Sodoma che per quella città.
Più che un senso di vendetta contro le città non accoglienti, la sentenza mette in luce la serietà della decisione richiesta dinanzi all'annuncio della venuta del Regno di Dio.
13 -16
Questi versetti sono ricorrenti in altri passi biblici, nei quali sono elencati i moniti rivolti a chi non ascolta i messaggeri.
17 Ora, tornarono i settanta (settantadue) con gioia, dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome!.
Luca vede la missione come confronto con le forze sataniche del male. La gioia (che egli non manca mai di sottolineare) caratterizza il ritorno dei discepoli, contenti del successo missionario conseguente al potere di sottomettere i demoni, così come si legge nell’invio dei Dodici. Questa coincidenza del potere conferito agli apostoli con quello conferito ai comuni discepoli può suggerire che in campo missionario non ci debba essere separazione tra i due poteri.
18 Ma egli disse loro: Osservavo Satana cadere dal cielo come folgore.
Nella concezione biblica Satana stava nei cieli: era un funzionario della corte divina, un ministro di Dio. Basta leggere il libro di Giobbe, dove si parla di Dio che riceve i suoi figlioli, tra i quali c’è Satana. E nell’Apocalisse è importante la definizione che viene data dell’episodio della cacciata di Satana dal cielo, in quanto adempimento della prospettiva escatologica.
Luca presenta un Gesù consapevole che l'agire salvifico di Dio è all'opera e che il suo Regno, mentre è proteso verso il compimento finale, è già presente. 
19 Ecco, vi ho dato il potere di calpestare serpenti e scorpioni, e ogni potenza del nemico, e niente vi nuocerà.
La protezione divina dei discepoli si estende contro le numerose e varie manifestazioni nocive - seduzioni e tormenti - che satana può recare all'essere umano, e che i messaggeri dovranno affrontare e superare.
20 Tuttavia, non gioite per questo, poiché gli spiriti si sottomettono a voi, ma gioite poiché i vostri nomi sono scritti nei cieli.
Qui Luca è sulla linea di Paolo, il quale mette in guardia contro la stessa tentazione di sentirsi a posto perché si è adempiuto a dei precetti tanto da poter celebrare la propria bravura e bontà. Ed è lo stesso Paolo ad indicare la via per superare tale tentazione: con l’ascesi, vissuta nella gioia che scaturisce dall’orientamento del cuore verso la speranza profetica e messianica.
CONSIDERAZIONI PER L’ATTUALITA’
La liturgia di questa domenica sollecita a vivere la caratteristica missionaria di annunciatori e testimoni di Cristo in un mondo senza speranza.
La vita condotta da Gesù come profeta itinerante e mai installato e la condotta dai discepoli che lo hanno seguito sono dati che indicano una continuità tra Gesù ed il gruppo dei veri discepoli.
Il teologo J.Castillo afferma che Il movimento di Gesù è stato e sarà sempre un movimento ‘contro-culturale’. Ma certamente sono ricorrenti nella storia tanti fenomeni di radicalismo in controtendenza con i tempi (oso annoverare tra questi il movimento 5stelle, pur con tutte le sue intemperanze). A mio modesto parere la fede in Cristo, l'inviato dal Padre che a sua volta invia, non può ridursi a fattore culturale o contro-culturale… Condivido in parte l’analisi di Ileana Mortara, la quale afferma: l'elemento più sorprendente in questa "magna charta" del missionario, e che invece spesso viene dimenticato, è proprio il fatto che altissime responsabilità e seri rischi sono accompagnati da una grande calma e dalla serena dignità del messaggero, al quale non è chiesto altro che di proclamare il lieto annuncio, passando subito, nel caso di rifiuto, ad altri destinatari, perché "la messe è molta"; e soprattutto perché dietro l'inviato è Dio a realizzare il suo piano di amore attraverso modalità misteriose, a noi sconosciute. Ma stessa vede nella preghiera l'elemento-chiave che darebbe senso a tutto il brano. Le chiederei di quale tipo di preghiera l'esegeta parli.
Per centrare la quintessenza del vangelo di oggi forse è meglio rintracciarla attraverso il modo di porsi di papa Francesco:
quando risponde all'ingenua domanda dei bambini sul perché del suo rifiuto a servirsi dei privilegi propri del suo status, sottolinea che la sua non è nemmeno questione di radicalità evangelica, bensì di personalità, cioè di 'essere fatto così'; e a qualche professore avrebbe risposto che la sua è questione di psichiatria!
Più volte egli esorta ad uscire e ad andare verso le periferie nelle quali la speranza sembra essere morta e regna la paura del futuro; e  sappiamo che, per lui, queste periferie sono collocate anche nel cuore delle città.
La sua proposta di seguire la chiamata divina sfugge a quei fattori di suggestione che caratterizzano gruppi fanatici ed entusiasti; ed infatti in qualche occasione egli ha messo in evidenza che non gli piacciono le esaltazioni per la sua persona.
Papa Francesco sfugge anche agli atteggiamenti di preghiera accorata per le vocazioni. Centra l'obiettivo della chiamata nell'ascolto della voce interiore e nella preghiera semplice accompagnata da gesti concreti.
Il senso del suo universalismo non ha alcun carattere di propaganda e il suo impegno missionario è intensamente carico di umanità.
Nella pubblicazione dell'enciclica a quattro mani con papa Benedetto egli appone la sua firma senza epiteti: Franciscus. E' quel che riesce a fare, dovendo difendersi da troppe insidie alla sua semplicità. E non è poca cosa il suo desiderio di mescolarsi alla gente; soprattutto ai bimbi, ai sofferenti che vuole toccare ed abbracciare, ai carcerati che non ha potuto vedere ed ai quali ha fatto  giungere un suo scritto, ai rifugiati a Lampedusa con i quali vuol solidarizzare, non accompagnato dai politici e quindo dai loro intenti...
Anch'io a volte mi chiedo perché non fa di più: perché continua a fasciarsi di 'bende' di vario genere o a proclamare santo questo o quella o ad accettare i freni che gli impongono... Ma ho fiducia nel suo sapere ciò che vuole e nel metterlo in atto in ciò che gli è possibile.