venerdì 31 maggio 2013

Corpus Domini

2 giugno 2013 anno C –
Celebrazione del Corpus Domini

CRONISTORIA SULLA CELEBRAZIONE
C’è un episodio vetero-testamentario che fa risalire alla festa commemorativa dell’Antica Alleanza di YHWH col suo popolo. Melchisedek, re di Salem, offre a YHWH pane e vino, benedicendolo e ricevendo da lui a sua volta la benedizione. Pur essendo sacerdote pagano, esprime un sentimento religioso universale, poiché attraverso il suo gesto è benedetto, assieme al suo popolo, anche Abramo e la sua gente. [Oggi, afferma l’esegeta Manicardi, si avrebbe qualche perplessità a vedere il Papa o un Vescovo benedetti da un rappresentante di altra religione; e invece è bellissimo vedere l'Eucarestia dentro una ritualità di benedizione a Dio e all'umanità]. Ma il significato di tale episodio ben poco ha inciso nella Nuova Alleanza.
Nelle prime comunità cristiane si commemorava la cena senza fare un’effettiva cena: ognuno andava a prendere il suo pezzo di pane come un'elemosina e poi andava a mangiarselo per suo conto. Il "Fate questo in memoria di me" non coincideva col “Fate una cena”. Nei secoli III e IV tali comunità furono attraversate dall’angoscia di una crisi epocale che investiva tutta la società. Ciò produsse l’effetto di una loro crescita vertiginosa grazie alla capacità di accoglienza, espressa soprattutto in banchetti condivisi che non tenevano conto di barriere etniche. La gente li praticava, non soltanto per sfamarsi, ma anche per cercare conforto nella religione; intanto esigeva che questa fosse con meno culti e più contatti personali.
La trasformazione in Celebrazione della Cena segna un passaggio netto nella direzione cultuale. Il modo in cui ciò si avvera è, in un certo senso, casuale.
Bisogna risalire al 1252, quando il cadinale Ugo di san Carlo, allora legato pontificio in Germania, la introduceva nella sua circoscrizione. Nel 1263 papa Urbano IV, già arcivesovo di Liegi, sollecitato dal vescovo Enrico di Ghedina e commosso anche dal miracolo di Bolsena, la estendeva a tutta la chiesa, fissando la data della sua celebrazione al giovedì dopo l’ottava di Pentecoste.
Nel 1317, papa Giovanni XXII, la estendeva a tutta la chiesa, ma non voleva farne una ripetizione del giovedì santo, caratterizzato dall’aspetto sacrificale; centro della festa doveva essere un culto gioioso e popolare, senza Messa né processione. In seguito la chiesa cattolica ricalcherà l’aspetto sacirifcale, anziché quello di culto gioioso.
Oggi si tenta, da qualche parte, un’interpretazione sociale della Cena eucaristica: se Gesù ha saziato la fame dei poveri e provocato il miracolo dell’abbondanza, lo stesso avviene quando si condivide quello che si ha, anche se scarso. Ma forse manca una sufficiente attenzione ai molti banchetti dei quali parlano i vangeli: dal come, quando e con chi Gesù mangiava, non è difficile dedurre che predisponesse un suo piano di avviamento dei suoi verso il mistero del suo corpo che vuole offrirsi in cibo [tenteremo qui di seguito di scavare sul significato del cibo eucaristico].


LETTURE DI OGGI
Genesi 14, 18-20; 1Corinzi 11, 23-26;
Luca 9, 11b-17
In quel tempo, Gesù 11b prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12 Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”. 13 Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”. 14 C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: “Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa”. 15 Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16 Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17 Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici Ceste.
Compendio esegetico [con alcune trascrizioni letterali]
Da un punto di vista storico la moltiplicazione dei pani non è la descrizione precisa di un fatto storico: si tratta piuttosto di una costruzione letteraria fortemente influenzata dai motivi teologici che la costituiscono: questi ultimi hanno dato la forma agli elementi della composizione del racconto. Questo non significa che siamo di fronte a un’invenzione della comunità. Il fatto è che quest'ultima ha rivestito con la sua riflessione un evento che non è più possibile descrivere nella sua oggettività.
Seguiamo il testo di Luca da vicino.
11b E avendo accolte le folle Gesù parlava loro del regno di Dio e sanava coloro che avevano bisogno di cure. Gesù nel v. 10 aveva portato con sé i discepoli in disparte. Ma le folle lo avevano saputo e li avevano seguiti. Si incrociano qui due compiti sempre attuali nella Chiesa: il desiderio di ritirarsi con i discepoli e la necessità di accogliere le folle. Gesù riesce a conciliare queste due realtà e a preparare tutti a ricevere il pasto eucaristico. L'ultima parte del versetto ricorda Lc 5,31, le parole dette durante il pranzo di Gesù con Levi e i peccatori: il medico serve a chi ha bisogno di cure. Gesù sta dunque accogliendo i peccatori, invitandoli e preparandoli al pasto che poco dopo avrebbe offerto nella moltiplicazione del pane e del pesce. Qui Gesù è indicato come il "salvatore", che aiuta, che in ogni tempo è presente ai suoi, perdonando e nutrendo.
12 Ora il giorno cominciava a declinare. Allora, essendosi avvicinati i dodici, dissero a lui: “Rimanda la folla, affinché essendo andati nei villaggi e campi attorno alloggino e trovino cibo perché qui siamo in un luogo deserto”. Gli apostoli prendono l'iniziativa - per la prima volta in questo Vangelo - e si rivolgono a Gesù, ma la loro proposta è per lo meno ingenua: come trovare viveri per più di cinquemila uomini nella piccole borgate vicine? Solo Gesù potrà dare una risposta a questa situazione. Il giorno che declina riecheggia l'incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus: «Resta con noi, poiché si fa sera e il giorno è già declinato» (Lc 24,29). Il riferimento alla cena eucaristica è lampante.
13 Ma egli disse a loro: “Date voi stessi da mangiare”. Essi allora dissero: “Non sono a noi più di cinque pani e due pesci, a meno che, essendo andati noi compriamo per tutto questo popolo cose da mangiare”. La risposta di Gesù non è mancanza di realismo. Richiama direttamente l'episodio del profeta Eliseo. Anche lui aveva detto a chi serviva "Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: Ne mangeranno e ne avanzerà anche" (2 Re 4,42). Nel nutrimento dei cento, Eliseo era rappresentato come il nuovo Mosè. Il lettore che conosceva il testo dell'Antico Testamento capiva che Gesù aveva realizzato pienamente la promessa di Jahwè: ne mangeranno e ne avanzerà anche. Al di là di questo, il dialogo tra Gesù e i discepoli serve soprattutto per sottolineare l'opera di Gesù e dei Dodici, e in filigrana l'opera della futura Chiesa. Gli apostoli avevano con loro cinque pani e due pesci. Un pane e un pesce in salamoia erano il sandwich dell'epoca e costituivano una normale cena. Il pesce inoltre era uno dei simboli utilizzati dai primi cristiani perché in greco la parola ichthus era un acrostico delle parole Gesù Cristo Figlio di Dio, Salvatore.
14 C'erano infatti circa cinquemila uomini. Disse poi ai suoi discepoli: “Fateli coricare in gruppi di cinquanta circa”. Luca a differenza di Marco dice il numero dei presenti prima che avvenga il miracolo. Il numero è esorbitante, necessariamente simbolico. Se Eliseo con un pane aveva sfamato 100 persone, Gesù per ogni pane ne sfama 500, quindi il suo potere è 10 volte superiore a quello di Eliseo, 10 è il simbolo della pienezza, quindi Gesù supera Eliseo come il compimento supera ciò che lo ha prefigurato. Il verbo "sdraiarsi a tavola" è stato usato da Luca nel racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24,30) e ricorda il di mettersi a mensa degli antichi.  Luca riprende il numero dei gruppi di cinquanta da Mc 6,40, però non conosce più l'allusione ai gruppi in cui era diviso il popolo di Dio (Es 18,27). Per Luca probabilmente il numero cinquanta rappresenta la media dei partecipanti al banchetto eucaristico in una chiesa locale.
15 E fecero così e fecero coricare tutti. I discepoli e la folla obbediscono all'ordine di Gesù, tutti insieme, come in un movimento liturgico.
16 Avendo preso poi i cinque pani e i due pesci guardando in su verso il cielo (li) benedisse e (li) spezzò e (li) dava ai discepoli per por(li) dinanzi alla folla. E' questo il culmine del racconto: Gesù fa ciò che ogni responsabile di tavola compie prima del pasto: rivolge una preghiera di ringraziamento a Dio (Beraka), spezza e distribuisce il pane ai commensali. Ma alcune espressioni "alzare gli occhi al cielo" e la formula stereotipata indicano il significato proprio che questo gesto di Gesù ha ormai acquistato nella Chiesa: non ricorda più tanto l'evento originale, quanto la prassi liturgica della cena eucaristica. Senza dubbio la comunità postpasquale ha visto nella moltiplicazione.
17 E mangiarono e si saziarono tutti e fu raccolto ciò che era loro avanzato, dodici canestri di pezzi. Il racconto finisce non con la menzione di stupore o di meraviglia dei presenti, ma con il tema della sazietà e dell'abbondanza. In forma narrativa, e quindi come compimento, viene espresso ciò che era stato formulato in 2Re 4,44 come promessa divina: «Ne mangeranno e ne avanzerà anche». Il motivo della sazietà è frequente nella preghiera biblica. Jahwé manifesterà la sua bontà colmando di beni il popolo eletto. L'abbondanza promessa e attesa diventa segno dei tempi messianici. Questi ormai sono arrivati, come sta a significare la finale del racconto della moltiplicazione. I pezzi o frammenti (lo stesso termine klasma indicava nella Chiesa primitiva i resti del pane eucaristico conservato con cura e destinato agli infermi) sono raccolti in dodici ceste. Il nome (kopinos) indicava una grande sporta utilizzata dai giudei in viaggio o dai soldati per il loro equipaggiamento e razione. Il numero è simbolico: dodici indica la totalità e non manca di ricordare la totalità del popolo di Dio: dodici erano le tribù di Israele. Si può pensare anche ai dodici apostoli. E' dunque un richiamo al tema della sazietà, segno della venuta dei tempi messianici, che conclude il racconto della moltiplicazione. Dando da mangiare a chi ha fame, Gesù esplicita la sua comprensione della propria funzione messianica e così, alla sua maniera, a quanto gli suggeriva Satana nella prima tentazione (Lc 4,3-4).

Il CORPO DATO IN CIBO
Gesù si propone come cibo in quanto si offre come corpo-che-si-dona. La centralità del corpo è fondamentale perché lui possa adempiere il suo compito messianico e proporlo agli altri. Nel vangelo di Giovanni si parla del Verbo quale Luce che si fa carne. Questo mistero trova scarso aiuto attraverso i paradigmi offerti dalle formulazioni dogmatiche. Ben lo hanno avvertito tutti i mistici di ogni cultura, compresi i potenziali mistici che tutti siamo chiamati ad essere.  E ci possono aiutare anche riflessioni sul concetto di corpo, che ha preso forma, stranamente, anche attraverso approfondimenti propri del femminismo. Questo fino a poco tempo fa reclamava: “Il corpo è mio e me lo gestisco io”. Ma ulteriori studi avanzano ripensamenti interessanti, basati su tre aspetti degni di esame circa l’importanza del corpo:
a) un corpo da auto-possedere e gestire, riduce il corpo ad una cosa;
b) un corpo da dare identifica il donare con l’essere della persona, la quale in un certo senso si dissolve nel donare;
c) essere un corpo senza perdersi è il ritrovarsi nel proprio corpo come a casa propria: per farsi accoglienza nello scambio reciproco.
Quest’ultima affermazione, unita alla frase “fate queto in memoria di me”,  potrebbe indicare che Gesù si offre in un corpo pronto a donarsi, ma che chiede lo scambio del dono.

PREGHIERA
Gesù, tu mi indichi una via maestra per amare, rispettare e donare il mio corpo. Ma, come sempre, so che non ce la farei mai senza implorazione,
Non m’interessano i devozionalismi cultuali, anche se non voglio disprezzare nulla, perché riconosco di essere nei limti della storia.
Come te, come tanti altri, imploro l’aiuto del Padre che è nei cieli. Perché sono convinta che solo ciò che trascende la temporalità illumina la temporalità stessa.  

venerdì 24 maggio 2013

Trinità Divina annoC


26 maggio 2013 Trinità Divina - Anno C
PREMESSA
La teologia riassume tutto il messaggio della fede cristiana nel mistero della Trinità. Karl Ranher parla della Trinità immanente (quella che non possiamo raggiungere) e della Trinità economica (quella che è al nostro livello perché in essa incontriamo il modello di dedizione reciproca tra di noi).
A mio modesto parere, non si tratta di comprendere l’incomprensibile, ma di trarre da questa celebrazione liturgica spunti di riflessione.
Anche i più navigati esegeti parlano della Trinità come del modello divino esemplare, che si ripercuote sul bisogno umano di comunicazione, di donazione (tipico quello legato alla genitorialità, 
alla bontà naturale, alla creatività), di reciprocità nello scambio umano tra uguali. Ma si potrebbe dire altrettanto che sia questo bisogno umano a proiettarsi, attraverso l’immaginario, nella concezione del divino.
E’ cosa certa che la fede non riguarda né una dottrina codificata attraverso una istituzione, né un fatto psicologico.
Non si può negare che Dio si sia rivelato in ogni luogo e tempo, comprese le culture primitive o ciò che resta di esse, e che, nel rivelarsi, non si è mai identificato attraverso una definizione di sé. Il biblico "Io sono colui che sono" non va interpretato secondo categorie filosofiche, teologiche, dottrinali. Come hanno percepito i mistici presenti in tutta la storia e geografia umana, la rivelazione divina è nel silenzio delle parole. Ma si richiede ascolto interiore.
La rivelazione interiore non è fatto così straordinario come siamo portati a ritenere, perché è propria dell'umano inappagato attraverso  la soddisfazione terrena, e si verifica anche in persone prive di cultura, semplici e sapienti, aperte a cogliere e a praticare il bene. E forse anche chi nella sua esistenza è proteso soltanto verso il godimento dei beni materiali, può fare il salto di qualità attraverso le prove, soprattutto quella estrema della fine.
Noi cristiani possiamo considerare Gesù quale prototipo di una rivelazione del divino, percepita anche da credenti in altre espressioni religiose, nonché da coloro che si definiscono atei unicamente perché si riferiscono alla fede codificata.
Le letture odierne, passate al vaglio di una corretta esegesi, possono aiutare a riconoscere nel messianismo di Gesù un’ottima chiave per affinare lo sguardo interiore teso verso la verità trascendente di Dio, se sgombro di alienanti illusorie esaltazioni para-mistiche.
LETTURE: breve parziale illustrazione di tipo esegetico
Proverbi 8, 22-31 costituiscono un inno di rara bellezza dedicato alla Sapienza che intesse un dialogo con Dio. Un dialogo da cui prende forma, in modo armonico, l'intero creato. Al suo vertice sono collocati i figli dell'Uomo, in compagnia dei quali la Sapienza trova la sua delizia. Ed è proprio in questo incontro gioioso – scrive G. Ravasi - che la Tradizione cristiana ha identificato nella Sapienza divina il profilo di Cristo stesso: per Dio creare è una festa, è gioia, è atto artistico, è pace. Lo conferma il SALMO (letto oggi), che sembra riprendere il tema del ruolo dello Spirito nella creazione del mondo. E’ vero che la realtà terrena, esposta ai condizionamenti temporali, spesso non favorisce la condivisione di questo stato gioioso, ma il fondo dell’anima, come lo chiamano i mistici, ha sempre uno spazio di accesso alla bussola che dà l’orientamento necessario per non perdere il senso della vita.
Romani 5, 1-5 parla dell'amore di Dio effuso nei cuori per mezzo dello Spirito e fa un invito a potenziare le proprie capacità nel semplice riconoscimento del limite e della finitezza, nonché  nell'accoglienza dei suoi doni.
GIOVANNI 16,4b-33
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: 12 “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.
Il discorso evocato da Giovanni è ancora una volta quello letto durante le festività post-pasquali. Sappiamo che è stato attribuito a Gesù, il quale lo avrebbe pronunziato prima di morire come testamento di amore verso i suoi.
Nel passo di oggi è molto presente la situazione di prova vissuta dalla comunità di Giovanni, espulsa dalla comunità ebraica. Da qui il senso di spaesamento degli ebrei passati al cristianesimo. Per ridare fiducia, l'evangelista punta sul fatto che Gesù risorto è tornato al Padre, e dal Cielo ormai protegge i suoi attraverso lo Spirito. Nel testo c'è la contrapposizione tra due tempi: il tempo di Gesù di Nazareth, il quale ha parlato in vita, e il tempo dopo la sua morte, in cui a parlare al cuore umano sarà lo Spirito, per condurre alla verità tutta intera, cioè ultra-terrena.
12 Ancora molte cosa ho da dirvi, ma non potete portar(le) ora.  Il verbo bastàzein significa portare un oggetto pesante. Gesù ha fatto conoscere ai suoi ciò che il Padre gli ha rivelato, ma durante la sua vita terrena per essi era pesante, per mancanza di maturità, reggere il senso di tale rivelazione; dopo la sua fine sarà lo Spirito a tramettere loro in maniera comprensibile l'illuminazione di cui lui era stato inondato.
13 Ma quando verrà quello, lo Spirito di verità, vi guiderà nella verità tutta intera: infatti non parlerà da se stesso, ma dirà quanto ascolterà e annuncerà a voi le cose venienti. Lo Spirito non offrirà credenziali sul raggiungimento della verità piena; ma darà la sicurezza di poterla attingere attraverso la preghiera (e per questo egli è chiamato nel Vangelo Paraclito, cioè Invocato). 
14 Quello mi glorificherà perché prenderà dal mio e (lo) annuncerà a voi. Lo Spirito Santo (il termine santo qualifica sempre la trascendenza), svolgerà adeguatamente il compito messianico di Gesù.
15 Tutte quante le cose (che) ha il Padre sono mie: per questo ho detto che prende dal mio e (lo) annuncerà a voi. Gli esegeti cattolici non hanno dubbi sul senso trinitario di questo brano di Vangelo. Ma già Sant'Agostino si esprimeva in altra ottica: "o carissimi, non aspettatevi di ascoltare da noi quelle cose che allora il Signore non volle dire ai discepoli, perché non erano ancora in grado di portarle; ma cercate piuttosto di progredire nella carità, che viene riversata nei vostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che vi è stato donato, di modo che, fervorosi nello spirito e innamorati delle realtà spirituali, possiate conoscere, non mediante segni che si mostrino agli occhi del corpo, né mediante suoni che si facciano sentire alle orecchie del corpo, ma con lo sguardo e l'udito interiore, la luce spirituale e la voce spirituale che la sola intelligenza umana non sono in condizione di portare". E’ doveroso ricordare che tale consapevolezza era già viva nell'Antica Alleanza: il pio uomo di Dio, in Sap 9,1-18, era perennemente in preghiera perché il Signore mandasse su di lui la sua sapienza.
PREGHIERA
preghiera
respiro dell’anima
in te mi rifugio
per scampare
ad inquieti pensieri
tu li sprofondi
nell’Abisso divino
ed in esso mi acquieto
svuotata di me
e forse per questo resa
capace di attingere
all'AMORE

venerdì 17 maggio 2013

La Pentecoste



19. 05. 2013 - Pentecoste anno C
PREMESSA
Prima di introdurci alle letture è necessario mettere a fuoco il significato della pentecoste nelle prime tappe della storia dell’ebraismo, di cui abbiamo vari racconti. Quello che tutt’oggi prevale per Israele si aggancia alla tradizione ebraica più lontana, risalente al Berit, cioè al Patto o Alleanza che YHWH avrebbe stretto col popolo da Lui prediletto, rivelandosi attraverso Mosè sul monte Sinai: lì gli avrebbe consegnato la Thorà (la Legge fatta di Dieci Parole o Comandamenti.
Tale commemorazione avveniva (e continua ad avvenire) ogni anno nel giorno cinquantesimo a partire dalla pasqua ebraica. Punto di riferimento è la Festa delle sette settimane, durante le quali (7 per 7) sarebbe avvenuta la liberazione dalla schiavitù d’Egitto.
La narrazione è nel libro dell’Esodo con l’uso del termine greco pentecostòs, appunto cinquantesimo, giorno che rimanda al Berit e ne ripete il significato altamente simbolico di ringraziamento a YHWH attraverso l’offerta delle primizie ricavate durante il raccolto.   
Atti 2,1-11
In riferimento alla pentecoste cristiana Luca ci trasporta in tutt’altra atmosfera. La narrazione è una messa in scena suggestiva. Quel che sarebbe avvenuto vuole far risaltare il contrasto con la confusione dei vari gruppi umani e delle loro lingue, avvenuta nel momento culminante delle costruzione della torre di Babele, quando prendeva dimensioni poderose che sembravano sfidare il cielo. L’intento teologico è chiaro: Gesù vuole costruire una comunità di preghiera e di comunione nella semplicità della comunione che rende le diversità occasione di unificazione.
1 Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2 Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3 Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4 e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 5 Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6 A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7 Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: “Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8 E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9 Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10 della Frìgia e della Panfìlia, dell' Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11 Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio”.
Rm 8, 8-17
In Paolo c’è maggiore distacco dal riferimento all’Antica Alleanza. L’uso del termine latino Paraclitus è ben più che una semplice traduzione: denota una visione del tutto personificata dello Spirito Consolatore, il quale rafforza nella fede i convertiti al nascente cristianesimo. Parlando di effusione dei carismi sui cristiani per il bene e l'utilità comune, perché trasformi in figli di Dio il loro essere fatti di carne [attenzione! non si usa tale termine in forma dispregiativa né, tanto meno allusiva alla sessualità].  Non c’è ancora la formulazione del dogma trinitario, ma la premessa c’è tutta.
1. Non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. 2 Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. 3 Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato, e in vista del peccato, 4 perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito. Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne, gli ha condannato il peccato nella carne. 5 Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. 6 Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace, 7 Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero. 8 Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio. 9 Voi però non siete soto il dominio della carne, ma dello Spirito dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 10 E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. 11 E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo dello Spirito che abita in voi. 12 Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; 13 poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l’aiuto dello Spirito voi fate morire le opere della carne, vivrete. 14 Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. 15 E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo “Abbà Padre!”. 16 Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. 17 E se siamo figli, siamo anche eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Giovanni 14, 15-16.23b-26
Il brano del Vangelo di Giovanni coincide in buona parte con quello che abbiamo già ascoltato la VI domenica di Pasqua. Non ci ripetiamo e rimandiamo al commento della scorsa domenica. Breve aggiunta: Nel v. 15 si parla di comandamenti senza specificarli, perché si vuole evidenziare che l’osservanza è un fatto di fedeltà alle esigenze del Vangelo.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15 “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16 e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito, perché rimanga con voi per sempre. 23 Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25 Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26 Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”.
PREGHIERA
Amica preghiera, in te affogano le mie incertezze sulle formule, che pure accetto con una comprensione in grado di attraversare le parole e farsi parola dell’anima.
Non mi di spiace farmi trasportare nella dimensione semplice e fiduciosa del “Veni Creator Spiritus” che invoca aiuto, soccorso refrigerio, sostegno…. Non mi spiace lasciarmi rapire dal desiderio di amare e sperare e credere ancor oggi, in un mondo nel quale la razionalità soffoca la voce del cuore. 

giovedì 9 maggio 2013

Acensione


12 maggio 2013 - Ascensione del Signore - anno C
Atti 1, 1-11; Ebrei 9, 24-28; 10, 19-23
Luca, 24, 46-53
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 46 “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47 e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Di questo voi siete testimoni. 49 Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”. 50 Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51 Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52 Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53 e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Una lettura difficile, in contrasto con la moderna abitudine a leggere in fretta senza sforzarsi di capire.
PREMESSA
Il Vangelo di Luca, come quello di Marco, si chiude senza molte speranze. Quest’ultimo è da considerare autore del primo vangelo a posto di Luca come siamo abituati a pensare. Infatti in Luca è presente la situazione posteriore al tempo in cui  i seguaci, ormai individuati negli apostoli, erano passati dalla stretta credenza giudaica ad una visione universalistica del messaggio di Gesù.
E’ fondamentale tener presente che nel mondo semitico lo scrittore quasi sempre scompare e si affida a colui che gli ha suggerito il tema e lo sviluppa.
Leggendo Luca oggi, sia nel Vangelo sia negli Atti, notiamo la più urgente preoccupazione delle prime chiese cristiane in formazione: Gesù era risorto e quindi ormai presente, realmente vivo tra i suoi, oppure la sua presenza post-pasquale aveva l’impronta segnata dall’ascensione, quale dipartita dalla terra? Il brano evangelico, più scarno e cauto di quello degli Atti, riproduce il clima di attesa dei seguaci di Gesù dopo la pasqua, ma in esso mescolano elementi che sono frutto della maturazione del messaggio gesuano. Per dare sviluppo all’evangelizzazione, i capostipiti di tali chiese, pur lontani ormai da Gerusalemme, continuano a fare riferimento ad essa quale luogo rappresentativo del Tempio, e cioè della tradizione religiosa giudaica.
Gli esegeti sono consapevoli del fatto che quanto afferma Luca in entrambe le opere riproduce, non la verità letterale di fatti e detti, bensì l’elaborazione realizzata successivamente. [Ma perfino nei più esperti tra gli esegeti odierni persistono analoghe sovrapposizioni: dalle trappole della storia non si esce, o almeno bisogna tenerne conto].
Parziale analisi testuale del Vangelo di Luca, tenendo presenti anche gli Atti
La collocazione di tempo e di luogo è nei vv. 44 e 45 non letti nella liturgia di oggi. Gesù è tra i suoi, la sera della risurrezione (vedi 24,36). Dopo il primo momento di stupore e gioia, e dopo averlo riconosciuto come Maestro, se lo rappresentano nell’atto di rileggere con loro le Scritture per far comprendere il senso della sua passione, morte e resurrezione.
Ed ecco il discorso che Gesù avrebbe rivolto ai dodici dopo la pasqua.
46 “Disse loro: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno” - Così sta scritto è richiamo all’Antica Scrittura, nella quale tutto sarebbe stato predetto, anche se ormai urge il come realizzare la predicazione apostolica; il verbo patire è riferito a Cristo, anziché al Figlio dell'uomo (proprio dell’Antica Scrittura); il verbo anastenai, (alzarsi, risorgere) sostituisce il più tradizionale egeirein (svegliare).
47 - e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme - Il versetto dipende dal così sta scritto del v. 46; quindi per Luca non solo la passione, morte e resurrezione di Gesù sarebbe stata predetta, ma anche la missione degli apostoli di annunciare il vangelo a tutte le genti: altrimenti come legittimare la missione cristiana presso i pagani? La conversione ha un aspetto teologico e uno morale, e per Luca il primo è il più importante in quanto indica un volgersi a Dio nel momento n cui si è toccati dalla sua grazia; eppure la parte spettante ai testimoni va di pari passo con la parte dello Spirito Santo. A tutti i popoli non allude ad un contesto apocalittico, bensì ad Is 49,6: "perché tu porti la mia salvezza sino all'estremità della terra" (vedi At 13,47). Cominciando da Gerusalemme: Del tutto lucano il riferimento alla città che era stata centro della vicenda di Gesù e quindi doveva restare luogo teologico propulsore della predicazione della chiesa.
48 “Di questo voi siete testimoni” - Questo versetto ha un chiaro collegamento ad At 1,8 di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra. Il termine testimoni è avvalorato da un mandato che darà forza alla testimonianza.
49 – “Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto" - La conclusione del discorso di Gesù agli apostoli, e della sua missione sulla terra, sottolinea che la potenza viene dall'alto, così come in Is 32,15.
50 – Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51 Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo - Verso Betània: gli Atti, 1,12, dicono sul monte degli ulivi; ma ciò non è contraddittorio. Luca conclude così nel vangelo, ma narra in seguito più distesamente l'Ascensione di Gesù negli Atti, utilizzando probabilmente una tradizione precedente.
51 - Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo - Come al termine di una celebrazione Gesù benedice i suoi. Del resto se pensiamo a tutto il capitolo 24 del vangelo di Luca possiamo vedervi adombrata una celebrazione domenicale di quella che forse fu la prima comunità cristiana, ed è naturale che dopo la lettura delle Scritture (v. 44) e un pasto conviviale (vv.41-43), essa termini con la benedizione di coloro che presiedono e guidano la comunità. Il gesto richiama anche il testo di Sir 50,20-21, sebbene Luca non presenti elementi di una riflessione su Gesù come sacerdote. Altro riferimento possono essere i testi di congedo come Gn 27,4; Tb 10,11; Giud 22,10. E’ da notare che a differenza di At 1,6-12 (dove si dice che il fatto avvenne dopo 40 giorni) qui Gesù ascende al cielo lo stesso giorno di pasqua.
52 Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia - L'evangelista utilizza qui per la prima volta il verbo proskynein (prostrarsi (presente anche in Sir 50,21): si tratta di un gesto di adorazione dovuto solo a Dio. In effetti ora i discepoli hanno un nuovo rapporto con Gesù quale Signore, di cui riconoscono la regalità e la filiazione divina (elementi già presenti nei testi dell'infanzia, capitolo 1 e 2 e che testimoniano come nello scritto di Luca non ci sono elementi di identificazione dell’autore che sarebbe vissuto ad Efeso assieme a Maria, ma piuttosto del redattore, vissuto in epoca posteriore. Il ritorno a Gerusalemme riprende un cardine dei testi di Luca: la centralità di tale città in ordine all’evento messianico. Con grande gioia: la gioia è tipica della comunità post-pasquale (cfr. At 2,46): la partenza di Gesù non è motivo di tristezza, perché con la resurrezione si inaugura la pienezza del tempo messianico.
53 “e stavano sempre nel tempio lodando Dio”  - Il vangelo di Luca ha termine nel luogo in cui era iniziato, il tempio, ora luogo di partenza della grande missione evangelizzatrice rivolta a tutti i popoli. Altro tema caro all'evangelista è la lode di Dio, che ora si riferisce in particolare alla grande opera di Dio della resurrezione. Il tempio resta topos, luogo idealizzato, del  legame tra la prima comunità cristiana e il luogo sacro della fede giudaica tradizionale sino alla sua distruzione nell'anno 70 d.C. La lode di Dio come ultima tappa del vangelo è anche indicativa dell'atteggiamento che Luca si aspetta dalla Chiesa nel suo cammino lungo la storia.
PREGHIERA PERSONALE
Gesù, in te vedo ciò che traspare attraverso coloro che hanno scritto di te, ma che viene soffocato dalla pretesa di dire la verità intera su di te. le certezze storiche che si sono sovrapposte alla verità sono la chiara dimostrazione che la verità di te, come quella di ogni essere umano, è oltre la storia.
Dammi il coraggio di sfidare i condizionamenti della storia con la forza che proviene dalla mia sete di verità; e liberami dalla pretesa di esserne esente.
Dammi la gioia di fidarmi e di affidarmi alla luce dello spirito e del tuo costante riferimento al padre che è nei cieli.

venerdì 3 maggio 2013

VI domenica di Pasqua


5 maggio 2013 - VI Domenica di Pasqua Anno C
Atti 15, 1-2.22-29; Apocalisse 21, 10-14.22-23
Giovanni 14, 23-29
In quel tempo, 23 gli rispose Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il  Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate, non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25 Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26 Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27 Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28 Avete udito che vi ho detto: ‘Vado e tornerò da voi’. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29 Ve l' ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate”.
Parziale elaborazione di studi esegetici
Premessa
E’ fondamentale tener presente il fatto che tutte e tre le letture si riferiscono, non a parole e a fatti letteralmente avvenuti, ma al racconto compilato dal redattore, sicuramente vissuto in un periodo posteriore agli accadimenti (da identificare in periodi diversi, durante la formazione dei primi nuclei delle comunità cristiane).
Un cenno alle prime due letture:
Nella PRIMA - Atti 15, 1-2.22-29 – è descritta la questione che si poneva nel primo Concilio della storia della Chiesa: chi si convertiva al cristianesimo era tenuto ad osservare tradizioni, consuetudini, usi liturgici e prescrizioni puntuali del giudaismo, non ultima la circoncisione.
Era prevalente la provenienza giudaica, ma gli altri a cui Paolo e Barnaba avevano predicato il vangelo non potevano accogliere siffatte disposizioni: perché dovevano adeguarsi a norme della Legge di Mosè? perché farsi circoncidere? Si profilava la convinzione espressa da Paolo in questi termini:  Gal 5, "né la circoncisione conta più nulla, né la non circoncisione, ma l'essere creature nuove e l'appartenere a Cristo, vivendo nella carità reciproca”.
Nella SECONDA LETTURA -  Apocalisse 21, 10-14.22-23 - si descrive l'immagine della città dalle mura che si aprono, attraverso dodici porte; il loro numero, simbolico, indica l’universalità delle direzioni verso cui le prime comunità cristiane ritenevano di dover indirizzare il messaggio di Gesù.
Trasferendo la questione ai tempi attuali, ci si potrebbe chiedere: gli appartenenti alle chiese non cattoliche e alle altre religioni e spiritualità, nonché i non-credenti, debbono considerarsi degli esclusi o la chiesa cattolica è tenuta ad aprirsi anche a loro, pena l’immiserirsi del messaggio di Gesù in una cittadella chiusa? La risposta che si danno Paolo e Barnaba – l’apertura universale – sarebbe valida più che mai oggi, non tanto per la chiesa stessa, ma per l’umanità bisognosa di punti fermi di riferimento. Tali punti possono dispiegarsi in varie forme, ma avrebbero bisogno di trovare un comune denominatore, perché la vera urgenza è un’umanità unificata.
il brano di giovanni
E’ la parte finale del discorso di addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli durante l'ultima cena, che occupa tutto il capitolo 14 del suo vangelo; l’inizio è nel capitolo precedente (13,33), una delle cui parti la liturgia ha collocato nella scorsa domenica.
Gesù aveva annunciato la sua dipartita dal mondo, assicurando che un giorno sarebbe ritornato. Dopo la pasqua i discepoli sono convinti, grazie all’impulso della Spirito, che possono continuare a gioire della sua amicizia e della sua presenza, nonostante la separazione della morte. In realtà il discorso posto in bocca a Gesù è diretto, non ai discepoli presenti nel cenacolo, ma a quelli di tempi successivi.
23 Gli rispose Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” –  a) Gli rispose: la domanda sarebbe provenuta da Giuda Taddeo: Signore, come mai ti manifesti a noi e non al mondo? Siamo di fronte alla solita tecnica giovannea di intavolare un dialogo portato avanti dall'incomprensione degli interlocutori. b) "se uno mi ama...", "chi osserva...: è da notare l’uso della forma impersonale; segno che le prime comunità cristiane si muovevano nella direzione universalistica. c) La dimora, nell’Antica Alleanza identificata nel Tempio di Gerusalemme e prima ancora nella tenda, rappresentava il luogo della presenza di Dio in mezzo agli uomini, (cfr Nm 14,10; Es 26-27); già il re Salomone, 1 Re 8,27, durante la cerimonia di consacrazione del tempio, si chiedeva come fosse possibile che Dio, grande e infinito, potesse ridursi a dimorare in una casa fatta da mani d'uomo.
24 “Chi mi non ama non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” - La dimora di Dio, attraverso questa frase, appare posta nell’intimo delle coscienze illuminate. Non un luogo stabile, né una tenda, ma laddove - sempre in maniera provvisoria perché temporanea - si concretizzano forme rivelative di ascolto della Parola. ‘Parola non mia’, si fa dire a Gesù! La parola di Dio è quella del Padre, cioè della Fonte trascendente della Verità; il nome di Padre specifica che soltanto Lui potrà affratellare gli esseri umani.
25 “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” – Il termine greco Paràclitos significa invocato. Si parla qui di due tappe connesse, ma diverse nell'economia della salvezza: il tempo di Gesù e quello dello Spirito Santo [il temine santo specifica la trascendenza]; a lui è affidato il completamento del disegno divino sull’umanità. Gli sono affidate due funzioni: insegnare e far ricordare. Insegnare, in greco didaskein, significa interpretare in maniera autentica (la Scrittura) e attualizzarla nel presente e nell'avvenire; far ricordare significa, non solo riportare alla memoria un fatto del passato, ma prenderne coscienza.
27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” - La pace, Shalom, è il saluto abituale tra i Semiti, e non è la formula banale tesa  ad augurare l’assenza di conflitti o la tranquillità dell'anima; compendia la quintessenza dei beni messianici promessi. Il redattore non trascura di sottolineare, più che la continuità, la differenza rispetto alla tradizione profetica: Gesù non augura la pace, la dona come un lascito, come un’eredità. La negazione: "non come la dà il mondo" vuole rimarcare la novità gesuana, facendola consistere nella distinzione tra i discepoli e il mondo.  [Ma quale novità è nel tempo degna di questo nome? Solo la novità che, pur scalfita nell’istante, è oltre il tempo].
28Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi ". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me”L’avete udito può essere letto anche in forma interrogativa: avete capito bene? La partenza e la nuova venuta di Gesù (nella gloria della risurrezione) sono due poli di uno stesso avvenimento: croce e gloria. Ancora una volta protagonista è il Padre, che è più grande, in quanto è origine e causa dell’unica Unità realizzabile nella terra.
29 “Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate” - Secondo il redattore del vangelo di Giovanni era necessario che il Cristo dicesse queste cose ai discepoli perché essi potessero capire, e quindi accettare, la croce, non come un tragico fallimento, ma come mezzo salvifico.
preghiera
Padre, illuminaci ed aiutaci a porci sul solco tracciato da coloro che sono stati, sono e saranno disponibili all’azione dello Spirito. il suo nome “Invocato” è chiaro richiamo alla parte che tocca a noi: invocarlo.
Aiutaci a percorrere il filo rosso che fa di persone aperte al richiamo divino, in apparenza isolate nella storia, il centro propulsore nella realizzazione della vera comunità umana.
[Per me, di appartenenza cattolica, sei tu, Gesù, questo centro. Ma più mi lego a te, più mi apro a dimensioni che oltrepassano l’appartenenza stessa].