venerdì 27 marzo 2015

DOMENICA delle PALME - anno B

I testi

Is50,4-7
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io no n ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.
Sal 21
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!».
      Un branco di cani mi circonda,
      mi accerchia una banda di malfattori;
      hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
      Posso contare tutte le mie ossa.
Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto.
      Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
      ti loderò in mezzo all’assemblea.
      Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
      gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
      lo tema tutta la discendenza d’Israele.
Fil 2,6-11
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!»,a gloria di Dio Padre.
Mc14,1-15,47
1 Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bétfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli 2 e disse loro: Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. 3 E se qualcuno vi dirà: "Perché fate questo?", rispondete: "Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”. 4 Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. 5 Alcuni dei presenti dissero loro: "Perché slegate questo puledro?". 6 Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. 7 Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. 8 Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. 9 Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! 10 Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!".

Quadretto d’insieme

Le due letture (Is 50,4-7 e Fil 2,6-11) mettono a punto il significato della morte di Gesù, in chiave profetica la prima, cristologica ed ecclesiale la seconda.
Il salmo presenta una forte aderenza a molte delle sofferenze del Cristo crocifisso: un giusto sofferente e perseguitato, pieno di speranza in Dio. L’autore intende proporre un modello di sofferente che sostenga i fedeli nel momento della prova più terribile, cioè quando sono rifiutati dalla loro stessa gente.
Il vangelo che commentiamo è una breve pericope riguardante la processione delle Palme. Marco usa ben sette versetti per parlare dell'animale che Gesù utilizza per il suo ingresso nella città santa, un puledro (che da Mt 21,5 sappiamo essere un asinello). Gesù, cavalcandolo, si mostra come colui che realizza diverse profezie legate al re Messia, mentre i versetti seguenti si riallacciano ad episodi dell’AT di intronizzazione.

Analisi del Vangelo
1 Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bétfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli
Marco colloca Gesù (che viene da Gerico dove ha compiuto l'ultimo miracolo di guarigione) in un ambiente geografico molto preciso: Gerusalemme, centro della vita cultuale e nazionale e i villaggi limitrofi, Betània (che funge da luogo di appoggio nel suo soggiorno presso la città santa) e Bétfage, posta tra le due località precedenti; infine il monte degli Ulivi, che rappresenta il luogo dove Gesù si ritirava per trascorrere la notte e per insegnare ai suoi discepoli.
2 e disse loro: Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui.
Parole e gesti hanno significato simbolico: i due inviati dovranno trovare nella tradizione d’Israele tracce dell’ideale del messianismo pacifico; devono andare al villaggio, termine usato da Marco per indicare incomprensione per quello che Gesù fa (infatti è di fronte, cioè contrapposto a Gesù e ai suoi); il puledro indica un asinello anziché la mula che era la cavalcatura regale, quindi Lui è un messia completamente diverso da quello atteso; è un puledro legato, in quanto il popolo giudaico mutila o imbavaglia il senso della Scrittura e gli inviati di Gesù debbono slegarlo, riscattare l’immagine del vero Gesù.
3 E se qualcuno vi dirà: "Perché fate questo?", rispondete: "Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”.
La risposta -Il Signore ne ha bisogno- significa che Gesù ha bisogno di quei testi antichi per invalidare nei discepoli l’idea messianica dell’istituzione e della gente.
4 Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. 5 Alcuni dei presenti dissero loro: "Perché slegate questo puledro?". 6 Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.
Quello di Gesù non è un ingresso come tanti: lui non è un pellegrino qualsiasi che si reca nella città santa per la Pasqua, ma qualcosa di più. Lo svolgimento dell'azione, dal ritmo lento, sembra poi guidata dall'esterno: tutto si compie come aveva detto Gesù, cioè è un fatto profetico.
7 Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra.
I mantelli sono figura della persona (basta confrontare l’episodio della guarigione del cieco). Gesù vi salì sopra: cioè vi si installò, come sarà presto seduto alla destra di Dio.
8 Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi.
Stendendo i mantelli stesi per essere calpestati, molti vogliono simboleggiare la sottomissione ad un messia dominatore al quale si sottometterebbero volentieri alla maniera di un re-despota di questo mondo, e altri spargono fronde al suolo come omaggio a quel Messia.
9 Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! 10 Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!".
L'attenzione si sposta da Gesù a quanto accade accanto: agli astanti che gettano i mantelli sul puledro e ai suoi piedi e a tutti coloro che, accorsi, acclamano: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” che è una citazione del salmo 118, divenuta un saluto abituale per i pellegrini che si recavano a Gerusalemme.
Il verbo gridare è stato adoperato dall’evangelista per gli spiriti impuri e per il cieco di Gerico, che hanno l’immagine del messia tradizionale, discendente di Davide.
L’Osanna! -espressione ebraica che significa “salvaci”- è tratto dal salmo 118 che veniva cantato per celebrare i generali vittoriosi.
L'aggiunta -del nostro padre Davide- mostra tutto l’equivoco: mentre Gesù ha parlato del Padre del cielo, loro attendono il regno di un dominatore che si impone con la forza, con la violenza. Proiettando la figura di Gesù nella messianicità dinastica dei discendenti di David, viene tolta la novità disarmante e dirompente che Gesù  è venuto ad annunziare.

Una riflessione personale

La fede comune è fatta di attesa, di speranze. Ci si esalta per lo straordinario, quasi a volersi compensare per le delusioni umane e a voler riempire uno spazio, che purtroppo è destinato a restare vuoto di quella Verità capace di saziare davvero.
Non c’è illuminismo che abbia squarciato il velo del sacro col quale drogare le insoddisfazioni terrene. Invece abbiamo bisogno di capovolgere i nostri punti di vista dall’orizzonte ben limitato.
Non ce la faremo mai, fino a che continueremo a saziarci di ciò che perisce e non lasceremo pregare in noi lo Spirito di Dio.

venerdì 20 marzo 2015

V DOMENICA di QUARESIMA anno B

I testi

Ger 31,31-34
Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato.
Sal 50
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
      Crea in me, o Dio, un cuore puro,
      rinnova in me uno spirito saldo.
      Non scacciarmi dalla tua presenza
      e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Insegnerò ai ribelli le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.
Eb 5,7-9
Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.
Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
Gv12,20-33
20 Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21 Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22 Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23 Gesù rispose loro: È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24 In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26 Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27 Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28 Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». 29  La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30 Disse Gesù: Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31 Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32 E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. 33 Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Veloce sguardo d’insieme sui testi

Nella prima lettura il profeta Geremia annuncia che ci sarà una nuova alleanza, non più scritta su pietra ma impressa nel cuore.
Nel salmo l’autore chiede al Signore di creargli un cuore puro, cioè capace di amare veramente; implora perdono per tutti i suoi peccati e il dono del suo santo spirito. Egli, da parte sua, promette di annunciare a tutte le genti, con umiltà, le sue vie affinché esse possano tornare a Lui.
Nella seconda lettura, dalla lettera agli Ebrei, viene presentato un Cristo che nell'ora della morte si manifesta, non come un Dio, ma in tutta la sua umanità; infatti chiede l’allontanamento della prova finale, ma nello stesso tempo si consegna al Padre nell'obbedienza più completa. Attraverso questo gesto di estrema generosità egli arreca salvezza a sé e a tutti coloro che sapranno fare la stessa offerta.
Nel brano del vangelo, che segue immediatamente la narrazione dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme, l’azione si svolge a partire dalla domanda di alcuni greci che vogliono vedere Gesù. Ed ecco l'annuncio dell'ora della sua passione e morte che, in fasi successive, viene indicata come momento della sua glorificazione.

Analisi del brano evangelico

20 Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci.
Tra la folla dei pellegrini giunti a Gerusalemme per la Pasqua e che avevano accolto trionfalmente Gesù, sono identificati i Greci, i quali figurano tra coloro che sono considerati stranieri in quanto di diversa provenienza religiosa.
21 Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
E naturale che i Greci si rivolgano all’apostolo Filippo (già il suo nome è greco) perché egli, essendo di Betsàida, situata fuori dalla Giudea e luogo di confine con i territori pagani, poteva avere una mentalità più aperta degli altri, tutti fortemente nazionalisti.
Era davvero difficile vedere Gesù per coloro che erano considerati non conformi alla Legge, in quanto irrispettosi delle regole di purità.
22 Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
Filippo appare insicuro e condizionato dalla tradizione nazionalista e per questo si consulta con Andrea (anche lui dal nome greco), uno dei due discepoli che fin dall’inizio aveva seguito Gesù.
23 Gesù rispose loro: È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato.
Gesù, più che rispondere alla richiesta, parla della fatidica ora che rintocca in tutto il corso del vangelo di Giovanni. L’ora della morte in croce è l’ora dell’epifania dell’amore di Cristo, vissuto all’estremo per tutti gli esseri umani.
24 In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Introdotta dalla formula solenne amen, amen, vi dico, l'immagine del granello che deve morire per dare frutto sottolinea la fecondità e la necessità della sua morte imminente (Giovanni si scosta dalle analoghe parabole sinottiche che evidenziano la potenza del regno di Dio).
Il riferimento al grano richiama anche alcuni passi del discorso sul pane di vita del cap.6 e altri testi, come quello della vite e i tralci del cap.15.
25 Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
Questo versetto spiega ulteriormente l'idea espressa nel precedente. L'uso di parole diverse in greco per indicare la vita è significativo: psyché si riferisce alla vita di questo mondo, ed è opposta alla zoè aiònios, la vita eterna. La contrapposizione è rafforzata dai verbi antitetici amare-odiare (da intendere secondo l'uso semita) e perdere-custodire.
I sinottici riportano più volte questo insegnamento, ma nel testo di Giovanni assume un significato specifico a causa del contesto in cui è inserito. Infine è da ricordare che la vita eterna per Giovanni è la comunione con Dio.
26 Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà.
Continuando il discorso del versetto precedente, il testo afferma che anche i seguaci dovranno seguire la via del maestro.
L’evangelista scrive tenendo presente la storia di Israele, in particolare la persecuzione e la fuga del re Davide, inseguito dal proprio figlio Assalonne. Davide, abbandonato da tutti i connazionali in quanto straniero passato al servizio di YHWH, promette a Lui incrollabile fedeltà con le parole: Per la vita del Signore e la tua, o re, mio signore, in qualunque luogo sarà il re, mio signore, per morire o per vivere, là sarà anche il tuo servo (2Sam 15,21).
È anche opportuno ricordare che la scena è ambientata nella valle del Cedron, la stessa dove Giovanni ambienterà la cattura di Gesù.
Il termine servitore (=diacono), significa aiutante, collaboratore. Gesù avverte che non lo si può servire-aiutare standogli lontano, a distanza di sicurezza, ma occorre seguirlo, anche a costo della perdita della vita per ottenere il riconoscimento del Padre.
27 Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!
Riprende il tema dell'ora. Giovanni sembra qui anticipare la preghiera accorata di Gesù nell'orto degli ulivi e la sua piena adesione alla volontà del Padre.
Il senso della preghiera di Gesù, in cui è utilizzato il verbo sozo, salvami, più che una richiesta rivolta al Padre perché allontani la prova della passione e morte (che non sarebbe in linea con quanto affermato nel vv.24-25), appare come la richiesta di trovare sostegno nella lotta che sta per affrontare.
28 Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La voce udita dall’esterno è in realtà una voce interiore dalla quale Gesù è confortato nella sua debolezza umana e sospinto verso la dimensione gloriosa.
29  La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30 Disse Gesù: Questa voce non è venuta per me, ma per voi.
Quanto la voce afferma è destinato ai presenti, o meglio ai lettori (come nell'episodio della Trasfigurazione, che secondo alcuni esegeti Giovanni inserisce qui velatamente).
Nella lingua ebraica qol ha il significato sia di voce che di tuono (Es 19,16.19). Era così che Dio parlava con Mosè: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce.
31 Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.
La prospettiva specifica di Giovanni è evidente se confrontiamo questo versetto con Lc 22,53 quando Gesù, appena prima di essere arrestato, afferma: "questa è la vostra ora e il potere elle tenebre". Mentre Luca mette in luce il ruolo del maligno nella passione, il quarto vangelo è interessato a mostrare che proprio nella passione la forza del male viene definitivamente sconfitta.
32 E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. 33 Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
Mentre il versetto precedente parla della vittoria di Cristo in negativo, indicando la sconfitta del maligno, questo ne parla in positivo, affermando la sua elevazione-glorificazione: la croce è l'inizio della sua risalita verso il Padre.
33 Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
Il commento finale dell'evangelista non è una semplice esplicitazione: è l'affermazione che la morte di Gesù, legata alla sua ora, è conforme alla volontà del Padre, il quale lo vuole glorificare.
 
Una riflessione

In tutte le crisi che attraversiamo non possiamo preoccuparci solo di noi stessi, chiudendoci nella solitudine: il chicco di grano deve morire in quanto chicco se vuole fruttificare.
La vera morte è la sterilità di chi non offre in dono la propria vita ma vuole conservarla gelosamente.

venerdì 13 marzo 2015

IV DOMENICA di QUARESIMA anno B


IV DOMENICA di QUARESIMA anno B

I testi

2 Cr 36,14-16.19-23
In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni». Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».
Sal 136
Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.
      Perché là ci chiedevano parole di canto
      coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni,
      i nostri oppressori:
     «Cantateci canti di Sion!».
Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.
      Mi si attacchi la lingua al palato
      se lascio cadere il tuo ricordo,
      se non innalzo Gerusalemme
      al di sopra di ogni mia gioia
Ef 2,4-10
Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.
Gv3,14-21
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: 14 Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21 Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.
Veloce sguardo d’insieme sui testi
I testi liturgici proclamano che la storia è retta dall'iniziativa di Dio, il quale, in quanto Padre, offre la salvezza a tutti, ma la condiziona alla scelta dei singoli.
La prima lettura presenta la chiusura umana ad accoglierla. L'essere umano, prigioniero della sua sterile sufficienza, rende inefficace il proposito divino.
Il salmo è la commemorazione del crollo di Gerusalemme nel 586 a.C.
E’ pervaso di malinconia: Se mi dimentico di te, Gerusalemme, / si dimentichi di me la mia destra. / Mi si attacchi la lingua al palato / se lascio cadere il tuo ricordo (la mano destra è fondamentale soprattutto per il suonatore di cetra, e la lingua è decisiva per un cantore). Poiché Gerusalemme è simbolo vivente della presenza di Dio ed è al di sopra di ogni mia gioia, il ricordo serve a farla vivere al di là della sua fine.
La seconda lettura evidenzia che la salvezza è grazia opera gratuita di un Dio ricco di misericordia e di bontà.
Il brano del vangelo di oggi è per molti aspetti difficile: Giovanni, infatti, testimone della passione e morte di Gesù sul Golgota, dopo la resurrezione di Gesù, nella meditazione di tale evento, lo legge in modo altro rispetto ai vangeli sinottici. In questi Gesù aveva annunciato per tre volte la necessità della sua passione, morte e resurrezione, e per tre volte tale annuncio aveva atterrito i discepoli. Anche il quarto vangelo attesta che per tre volte Gesù ha parlato di questa necessità, ma ciò che nei sinottici è infamia, tortura, supplizio in croce, per Giovanni diventa invece innalzamento, cioè gloria promessa di Vita senza fine: la morte di Cristo è la sua pasqua di risurrezione, e tale diviene per chi segue le sue orme.
Analisi del vangelo
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: 14 Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Menzionando il serpente, il testo fa riferimento a un episodio della storia d’Israele, raccontato in Nm 21,9: nel deserto, di fronte al problema dei serpenti velenosi che uccidevano il popolo, Mosè fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita. Così ora ciò che salva gli uomini dalla morte è il fissare lo sguardo in colui che è prototipo dell’umanità, l’aspirare alla pienezza umana del Cristo innalzato in croce (i Padri della chiesa indicarono spesso in Gesù l’antitipo del serpente innalzato che libera dalla morte).
16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
La parola mondo, tipica della prima parte del quarto vangelo, indica testualmente, o tutta l'umanità, o chi, opponendosi a Dio, ha bisogno di essere salvato. Dio dona il Figlio, nel senso che attraverso di lui l'umanità può comunicare con Dio. Non bisogna dimenticare che nel cristianesimo primitivo era radicata la convinzione di essere già nella condizione di risorti.
17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Si ripresenta il tema del versetto precedente in modo negativo. Il verbo condannare va inteso in modo equivalente a giudicare; un giudicare che non è esercizio di potere, da parte del Cristo sull'umanità, la quale in tale modo resterebbe oggetto passivo. L'Inviato del Padre, al contrario, la provoca a prendere parte attiva al disegno divino di salvezza, cioè di Vita senza fine. Il concetto è sviluppato nel versetto seguente.
18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
Qui c’è un richiamo al Deuteronomio (30,15-19), al salmo 119, ai Proverbi (6,23), dove era la fedeltà alla Legge la via attraverso cui l'umanità poteva giungere alla vita. L’evangelista vuole evidenziare che credere in Cristo significa riscoprire il giusto senso della Torah, aspirare alla pienezza che si è resa possibile attraverso di Lui, modello dei figli di Dio.
19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.
Le opere malvagie che sono espressione negativa di fronte alla rivelazione di Dio, stranamente sono opposte alla verità e non alle opere buone. Per capire cosa intenda Giovanni per opere sarebbe bene leggere un altro suo testo (6,28-29), in cui il termine è abbinato alla fede: Che cosa dobbiamo fare per operare le opere di Dio? domandano i giudei e Gesù risponde: L'opera di Dio è che crediate in Colui che egli ha mandato. Le opere sono, in ultima analisi, la scelta positiva o negativa che il singolo fa di fronte alla rivelazione offerta dal Cristo.
20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21 Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.
Rifiutare la luce che promana dalla rivelazione di Gesù significa -sembra dire Giovanni- opporsi radicalmente al disegno di Dio nella creazione. Ma non si tratta di credere ad un’idea di Dio. Alla sua volontà si aderisce col fare la verità, cioè col tradurla nella vita.
 
Una riflessione personalissima
Mi chiedo a che serva la (doverosa) comprensione della contestualizzazione delle parole proposte dalla liturgia, se esse non vengono confrontate con il vissuto personale.
L’attualità presenta un quadro che non è esagerato definire squallido: ovunque compaiono-assieme segni contrapposti: voglia di esorcizzare la morte e ricerca di tutto ciò che è fatuo e distruttivo.
Ne faccio un brevissimo, non ordinato, elenco: fanciullezza esaltata e ‘violata’ in famiglie inqualificabili per molti aspetti; bullismo che nei meno giovani diviene violenza spietata; curiosità e desideri appagati di ciò che svuota; velocizzazione frenetica che non offre spazi di riflessione; modo di comunicare virtuale alienante; lacerazioni sociali nel piccolo del privato e nel grande della politica, dell’etica, di tutto il mondo (antico!) dei valori; incapacità di scoprire le possibilità offerte dall’interiorità…
Potrei continuare, ma non manca chi denunzia: manca chi lancia nella Terra un seme di Bontà, ed ha la pazienza di farlo maturare sottraendolo alla corruzione.
E, non sapendolo fare, non ricorre alla preghiera, che è grido implorante verso il Cielo.

venerdì 6 marzo 2015

III DOMENICA di QUARESIMA - anno B


III DOMENICA di QUARESIMA anno B

I testi

Es 20,1-17
In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
Sal 18
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.
      I precetti del Signore sono retti,
      fanno gioire il cuore;
      il comando del Signore è limpido,
      illumina gli occhi.
Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.
      Più preziosi dell’oro,
      di molto oro fino,
      più dolci del miele
      e di un favo stillante.
1Cor 1,22-25
Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
Gv 2,13-25 13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15 Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: "Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!". 17 I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. 18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". 19 Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". 20 Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 23 Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24 Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25 e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

Sguardo d‘insieme sui testi

Il decalogo
La lettura del decalogo mostra che Dio esige per sé il dono totale del suo popolo, perché solo rapportandosi a lui gli israeliti possono entrare nella dinamica della liberazione da lui offerta, la quale consiste, in radice, nella vittoria sul proprio egoismo e sul peccato. Il castigo, in caso di trasgressione, è attribuito a Dio in senso metaforico: in realtà, chi si ribella a lui provoca il male a se stesso. I comandamenti non pretendono di fissare in modo esauriente e definitivo ciò che bisogna fare o evitare per far piacere a JHWH, ma piuttosto intendono delimitare un campo di azione nel quale ciascuno deve operare per il bene di tutti in modo responsabile: Dio lascia all’essere umano la libertà di scegliere tra il bene e il male.
Il salmo
Il pio salmista non sente la Legge come un’imposizione gravosa, ma come un dono meraviglioso con il quale JHWH guida la sua vita. Mediante l’osservanza dei comandamenti sa di poter costruire la sua esistenza su un fondamento sicuro. Perciò afferma che JHWH sarà per lui una rupe (zûr) e un redentore (gô'el). Il timore di Dio non è fatto di paura, ma di ascolto: i suoi giudizi sono più dolci del miele e di un favo stillante.
Paolo ai Corinti
Questo testo si situa nella prima sezione della lettera in cui Paolo affronta il tema della divisioni della comunità in partiti, secondo gli insegnamenti di singoli predicatori: i giudei si aspettano segni, sêmeia, analoghi a quelli compiuti in favore degli israeliti quando erano schiavi in Egitto; i greci invece vorrebbero possedere una sapienza consistente nella conoscenza delle leggi che reggono il mondo, allo scopo di possederlo e dominarlo. In contrasto con queste aspettative umane Paolo annunzia Cristo crocifisso, estaurômenon: il fatto che sia usato un participio perfetto passivo significa che, anche dopo la risurrezione, lui resterà per sempre il crocifisso, con tutto ciò che questa prerogativa comporta: la rinunzia a qualsiasi forma di potere. La croce di Cristo capovolge tutti i criteri e le aspettative umane e manifesta un Dio che per salvare l’umanità non ha scelto la forza, ma l’amore.
Il Vangelo
Dopo le prime due domeniche con i testi classici di apertura dedicati al racconto delle tentazioni e della trasfigurazione di Gesù, raccontata da Marco, la liturgia offre alla lettura alcuni brani del vangelo di Giovanni. La pericope di questa domenica pone al centro dell'attenzione Gesù che parla del tempio come casa del Padre mio.
Il tempio di Gerusalemme è l’unica istituzione religiosa del popolo ebraico che sia sorta non per comando divino, ma per l’iniziativa di una persona, il re Davide. Nonostante ciò, l’idea di un Dio che abita personalmente in mezzo al suo popolo ha segnato profondamente la vita religiosa di Israele, facendo di Gerusalemme e del tempio, con i suoi riti e pellegrinaggi, il cuore della vita religiosa e sociale del giudaismo. Di fronte a questa realtà così importante il Gesù giovanneo si colloca in modo bivalente: da una parte si presenta come colui che porta a compimento nel suo corpo l’esperienza religiosa di cui il tempio era il segno, al punto tale che il tempio stesso e il suo corpo giungono quasi a identificarsi; dall’altra egli mostra come sia il tempio che il suo corpo devono essere distrutti per dar vita al tempio escatologico che è il suo corpo risorto.

Analisi del Vangelo

13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Nel quarto vangelo la missione di Gesù si svolge soprattutto nella città santa, a differenza dei sinottici che invece ambientano il ministero pubblico in Galilea.
L'introduzione della pericope fa menzione della Pasqua dei Giudei, espressione tipica di Giovanni, che intende porre una netta separazione tra la festa ebraica e la pasqua cristiana.
Secondo l'evangelista Gesù andò tre volte a Gerusalemme per celebrare tale festa, e quella del testo odierno è la prima pasqua.
Tale festa era celebrata ogni anno nel plenilunio di primavera come memoriale dell’esodo dall’Egitto, l’azione salvifica con cui il Signore ha creato il suo popolo.
14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15 Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: "Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!".
Come Geremia, Gesù critica la pratica religiosa che il tempio sembrava richiedere a nome di Dio: cioè il sacrificio di animali. Di fronte allo spettacolo poco edificante e ancor meno religioso del commercio di tali animali, che si svolgeva nel cortile del tempo riservato ai pagani come scorciatoia per raggiungere il monte degli ulivi, Gesù richiama il senso profondo del tempio e dell'attività che vi si deve svolgere.
Quello di Gesù è un gesto messianico che si rifà a testi dell’AT. A differenza dei sinottici, Giovanni non definisce il tempio casa di preghiera, ma casa del Padre mio. Si tratta di un distinguo importante: il tempio come dimora di Dio è un dato tipico e tradizionale nell'AT, centrato sul culto a lui dovuto; in questo testo Gesù, chiamando Dio Padre, invita a scoprire la figliolanza divina, quale si realizza in lui e quale è aperta a coloro che seguono le sue orme.
17 I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.
Quando i discepoli lo videro compiere quel gesto, come condanna eloquente del sistema religioso su cui si reggevano il tempio e il sacerdozio, lo ritennero pieno di passione come Elia e ricordarono le parole del salmo 69: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. In realtà questo è un commento redazionale per dire che  la vicenda di Gesù si svolgerà nel segno dello zelo per Dio (è da notare l’uso del verbo al futuro, perché l’evangelista aveva presente la resurrezione).
18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". 19 Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". 20 Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?".
Come altrove nei vangeli, davanti ai gesti profetici di Gesù (in questo caso l'autorità esercitata sul tempio e su quanto vi accade), i giudei, o più in generale i suoi avversari, chiedono un segno prodigioso a garanzia dell'autorità di Gesù. Ma il segno proposto da lui si pone su di un piano completamente diverso: non un prodigio strepitoso, segno di potenza, ma un gesto profetico. Giovanni gioca intenzionalmente sull'ambiguità del verbo
risorgere: in greco eghéiro significa sia innalzare un edificio, sia far risorgere un morto.
21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Questi due versetti sono redazionali: l'evangelista precisa il senso delle parole di Gesù come profezia della sua pasqua. Il corpo indica l'umanità di Gesù, in cui si manifesta Dio.
La fede nella Scrittura è posta dall'evangelista sullo stesso piano di quella nella parola detta da Gesù, a significare che solo dopo la resurrezione i discepoli compresero appieno la portata delle sue parole e gesti.
23 Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24 Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25 e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
Questi tre versetti costituiscono un sommario (come se ne trovano anche nei sinottici) che riassume l'attività di Gesù e ne anticipa il senso.
Gesù non si fidava di loro, cioè non accettava il ruolo che intendevano attribuirgli, perché non voleva lasciarsi strumentalizzare. Per la frase, Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo, rimando a qui di seguito.

Considerazioni e suggestioni personali

Alcune lettrici e lettori mi hanno scritto circa le mie riflessioni evangeliche sul Dolore, in commento all’atteggiamento di Gesù, il quale voleva formare i suoi discepoli a vedere in lui, non un messia glorioso, ma compagno del Dolore umano fino ad accettare la passione e morte, pegno della sua risurrezione.
Ecco come si esprime una lettrice:  
ho appena riletto le tue riflessioni personali sulle letture della domenica scorsa e mi accorgo che sono incentrate sul Dolore. Tu sostieni che il "Dolore può aprire sconfinati spazi di felicità". Se lo sostieni vuol dire che ne sei convinta, e allora ti chiedo: potresti allargare questo concetto?
Ecco in risposta le mie suggestioni, che si concentrano attorno all’ultima frase della pericope evangelica odierna, Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
- Gesù è Maestro della Legge, intesa come espressione, più che di obblighi, di amore. Questa parola magica che dà senso all’esistenza, è la più malintesa e bistrattata. Sinonimo di ricerca di pienezza e di felicità, l’amore umano non è tale se devia o si arresta di fronte alla prova. La frase, allora, va letta in un’ottica universale. Cristo non è venuto a salvare (= dare pienezza di vita) coloro che si definiranno cristiani. Al contrario, come affermava Giovanni XXIII, “è il cristianesimo che deve tendere a coincidere con l’umanità”. Come si esprime un esegeta del vangelo odierno, il vangelo è un libro in cui gli attori non contano per il loro nome e cognome, ma per la loro appartenenza all’umanità.
- Potrei riportare tante citazioni di autori di ogni tempo ed appartenenza per esprimere lo stesso concetto: bisogna scavare nel nostro cuore per dare senso all’inevitabile Dolore e, in tal modo, trasformarlo in dono di amore. Cristo lo ha accettato totalmente, non per stupido dolorismo!, ma per contagiarci del suo amore per l’umanità.

Alcune citazioni:
Un cuore è una ricchezza che non si vende e non si compra: si dona (Gustave Flaubert).
La vera bellezza, dopotutto, consiste nella purezza del cuore (Mahatma Gandhi).
Se hai la passione per la sacra felicità, getta via la tua arroganza e diventa un ricercatore di cuori (Rumi).
La mente si arricchisce di quel che riceve, il cuore di quel che dà (Victor Hugo).
Tutti dicono che il cervello sia l’organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore, ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi. Nei ragionamenti del cervello c’è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le emozioni (Rita Levi-Montalcini).
L’inverno è nella mia testa, ma una eterna primavera è nel mio cuore (Victor Hugo).
La nostra mente è una spugna, il nostro cuore è un fiume. Non è strano che molti di noi preferiscano assorbire piuttosto che scorrere (Khalil Gibran).
La sola cosa che il cuore può vedere è ciò che si chiama Dio, il divino (Osho).
Segui il consiglio del tuo cuore, perché nessuno ti sarà più fedele di lui (Siracide).
Il cuore dell’uomo è come il vestito del povero; è dove è stato rammendato più volte che è più forte (Paul Brulat).
Come una candela ne accende un’altra e così si trovano accese migliaia di candele, così un cuore ne accende un altro e così si accendono migliaia di cuori (Lev Tolstoj).