domenica 12 agosto 2018

DICIANNOVESIMA


Gv 6,21-31
41 Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: Io sono il pane disceso dal cielo. 42 E dicevano: Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo?” 43 Gesù rispose loro: Non mormorate tra voi. 44 Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45 Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46 Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47 In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. 48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50 questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.

[Appena l’incipit della solita] RACCOLTA ESEGETICA
Il Vangelo di questa domenica riporta nella sinagoga di Cafarnao, ove Gesù sta tenendo un lungo discorso sul pane della vita. Gesù, riferendosi al passo biblico relativo alla manna inviata dal cielo al popolo d'Israele nel deserto, applica a se stesso il contenuto del messaggio biblico dicendo: Io sono il pane disceso dal cielo.
I presenti al sentire quell’affermazione si domandano: come può costui affermare di discendere dal cielo? Non viene da Nazareth? Molti conoscono i suoi genitori; ricordano persino i loro nomi. Non è quindi possibile che egli venga dall'alto.
La vicenda di Elia prefigurava questo mistero. Il profeta, perseguitato dalla regina Gezabele, dovette fuggire. Dopo una fuga spossante, si accasciò stanco e triste desiderando solo la morte. Mentre le sue forze, soprattutto quelle dello spirito, venivano meno ecco un angelo del Signore scendere dal cielo, svegliarlo dal torpore in cui era caduto e dirgli: "alzati e mangia!".
Elia vide vicino alla sua testa una focaccia e la mangiò. Ma tornò a coricarsi. Fu necessario che l'angelo tornasse da lui per svegliarlo ancora, quasi a voler significare la necessità di essere sempre svegliati dall'angelo e di continuare a nutrirsi del ‘pane della vita’.

Le mille domande che mi assediano e si precisano attraverso

1) UN MISSIONARIO CHE NARRA UN TIPO DI INIZIAZIONE
Perché i bambini sono felici? Perché sanno di essere amati.
La felicità è qui, il senso della vita è qui: sentirsi amati e poter amare.
Chi si lascia colmare dall’amore, farà traboccare questo amore come sorgente che non secca, come la sorgente di Siloe che non secca nella lunga arsura d’estate. È Dio, questa sorgente di Siloe, come diceva Isaia. È Dio, il quale non desidera altro che effondere il suo amore, e colmarci, e renderci capaci di amare.
In varie luoghi dell'Africa ho notato che, sebbene, un antico rito di iniziazione, che (ora con minor durata) permette ai ragazzi di diventare adulti e poter così assumere una vita di responsabilità con tutti i suoi diritti e doveri. In questa esperienza di iniziazione, obbligatoria per far parte del clan, viene chiesto al giovane di dire addio alla vita passata da bambino e di non voltarsi indietro quando lascia i suoi genitori per andare nella foresta, sebbene la madre pianga a causa della paura e del timore di perdere per sempre il proprio figlio. 
Al giovane iniziato viene insegnata la saggezza degli antenati, i comportamenti da assumere in ogni situazione di vita; gli vengono anche presentati modelli di vita vissuta per imitarli. L'iniziato, in tal modo, deve dimostrare di saper costruire la propria casa, di aver il coraggio di cacciare animali pericolosi, superare varie prove di resistenza e di  isolamento e lasciarsi incidere sul proprio corpo un segno di appartenenza. 
Alla fine di tutto, per accedere alla comunità degli adulti, viene chiesto all'iniziato di affrontare il saggio maestro mascherato che lo aspetta sotto l'albero (simbolo della vita), il quale lo esamina bene e poi gli chiede di avvicinarsi a lui e di imitare la nascita di un bambino. Alla fine di tutto gli rivela che ora è rinato ad una nuova vita, la vita della comunità degli adulti, i quali ora possono contare su di lui in qualsiasi momento.
Da quel momento gli viene dato un nome nuovo, un padrino che lo accompagna nella vita, gli viene preparato un bagno di purificazione e lo si accoglie con danze e gioia grande.  Da qui in poi potrà assumere incarichi per il bene di tutti e potersi anche formare una famiglia. Questa esperienza fatta, non potrà più dimenticarla perché viene ritenuta sacra.
La comunità o il clan, solo ora lo potrà ritenere una persona a pieno titolo, rimarcandogli che ha lasciato per sempre "quel bambino che era prima e le cose usate nella sua infanzia". Ora avrà davanti a se nuovi ideali, un modo nuovo di vivere e dovrà fare scelte  coraggiose e responsabili, dove potrebbe anche essere disposto a perdere la vita per il bene della sua comunità.

Introduco le mie osservazioni:
Dunque la fede prenderebbe le caratteristiche, nelle sue parti essenziali, dalla formazione ricevuta da bambini…

2) UN’ESPERIENZA INTERESSANTE

Fu un'iniziativa avviata nel 1987 dal cardinale Carlo Maria Martini arcivescovo di Milano nella sua diocesi.
Consistette in una serie di incontri a tema ai quali il cardinale invitò esponenti sia dichiaratamente credenti sia non credenti; lo scopo fu quello di dare voce, su varie tematiche, a chi non si definisce credente, al fine di confrontarsi con il credente e con le ragioni della sua fede
Tali incontri furono occasione di incontro e dialogo; gli interventi di alcune edizioni furono raccolti in diverse pubblicazioni.
La sede degli incontri variò di anno in anno, anche in relazione della crescente eco che l'iniziativa ebbe e che portò ad un numero sempre maggiore di pubblico.
L'iniziativa si prolungò, di anno in anno, sino al 2002, anno delle dimissioni di Martini dal suo incarico pastorale a Milano per raggiunti limiti d'età.

Questa esperienza mi porta a farmi una domanda più precisa: chi è l’ateo?
Ecco alcune risposte (non mie, che sono luoghi comuni)

a) Gli atei sono spesso immaginati come intolleranti, immorali, depressi, ciechi alla bellezza della natura e dogmaticamente chiusi all’evidenza del soprannaturale. Persino John Locke, uno dei grandi patriarchi dell’Illuminismo, credeva che l’ateismo non dovesse affatto essere tollerato perché promesse, patti e giuramenti, che sono i legami delle società umane, non possono avere alcuna presa su un ateo. Ciò accadeva più di 300 anni fa. Ma, negli Stati Uniti attuali, poco sembra essere cambiato. Ben l’87% della popolazione afferma di non aver mai dubitato dell’esistenza di Dio; meno del 10% si qualifica atea e pare che la sua reputazione stia sempre più deteriorandosi. Siccome gli atei sono spesso tra gli individui più intelligenti e scientificamente preparati di una società, sembra importante ridimensionare i miti che impediscono loro di giocare un ruolo più importante nel nostro contesto nazionale.
Se si dovesse fare una simile statistica nel nostro Paese le cose cambierebbero di poco.
b) Gli atei credono che la vita sia priva di significato
Al contrario, sono le persone religiose che spesso si preoccupano che la vita sia priva di significato e immaginano che possa essere solo redenta dalla promessa della felicità eterna oltre la tomba. In generale, gli atei sono piuttosto convinti che la vita sia preziosa. Si carica la vita di significato vivendola pienamente. Le nostre relazioni non hanno bisogno di durare per sempre per diventare significative. Gli atei tendono a considerare questa paura priva di senso.
c) L’ateismo è dogmatico
Ebrei, musulmani, altri, affermano che le loro scritture hanno una conoscenza dei bisogni dell’umanità talmente approfondita che potrebbero solo essere state scritte sotto la direzione di una divinità onnisciente. Un ateo è semplicemente una persona che ha preso in considerazione tale affermazione, ha letto i libri e ha trovato l’affermazione stessa ridicola. Non c’è bisogno di prendere tutto per fede, o essere in alternativa dogmatici, per rigettare credenze religiose ingiustificate. Come ha detto Stephen F. Roberts, Io sostengo che siamo entrambi atei, solo che io credo in un dio di meno rispetto a voi. Quando capirete perché rifiutate tutti gli altri possibili dèi, capirete anche perché io rifiuto il vostro.
d) Un’alternativa
Forse il più terribile miscredente è l’INDIFFERENTE

ESPONGO, COME POSSO, UN MIO PENSIERO

Anzitutto spiego perché il discorso che riguarda il vangelo di Giovanni al cap. 6 nei versetti 41-51 mi fa ripiegare dalla solita ricerca esegetica alla ricerca, forse tutta mia, di una lettura che vada otre l’esegesi, per un motivo: leggendo la pericope odierna, mi son chiesta: ma a chi serve, per chi è scritto il vangelo? solo per i praticanti cattolici? Ma Dio non ha a cuore tutta l’umanità?
Le parole lette in Giovanni Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo, mi suonano tristi: l’eternità sarebbe solo per chi mangia il pane-Gesù; e la vita consegnata  da Gesù al Padre sarebbe per il mondo, e non per tante altre vite che non conterebbe nulla
Forse la fede è un grande aiuto per l’umanità che non lo sa trovare in se stessa e vede spesso il vuoto attorno a sé: vuoto di senso principalmente, frustrazione al suo bisogno di vivere a cui nessuna religione, cultura ecc. sa dare una risposta, o è qualcosa di di più profondo?
E che cosa è la rivelazione?
Certamente non è quella che ci hanno insegnato, poiché ci sono tanti e diversificati concetti che la spiegano.
Non mi prolungo.
EPPURE IO CREDO.
Anzitutto se racconto la mia esperienza interiore, non la propongo tale e quale ad altri. Ma si tratta di una via percorribile per alcuni.
E, siccome a me interessa tutta l’umanità, anzi tutto il mondo (oltre la terra, oltre le galassie), penso a Nietzsche che parlava di un mal-tradotto superuomo, il quale in realtà sarebbe stata una umanità piena  quale mai si era realizzata, ma che sarebbe stata l’umanità del futuro… (e morì pazzo per aver concepito tale possibilità).
Io credo alla possibilità di un’umanità rinnovata; ad un’umanità costruita da chi vede tutte le incongruenze della vita e si impegna con se stesso ad agire come se fosse possibile fare qualcosa per il bene di chiunque, ‘come se Dio agisse attraverso di me’. E’ stato detto “chi cambia se stesso può cambiare il mondo”.
E, sapendo di non potercela fare, ricorro a quattro forze: quella della preghiera, quella dell’amore per TUTTI, quella dell’accettazione della mia incapacità, quella di non rifiutare il mio patrimonio religioso, sia pure deformato qual è. Non voglio eliminare le tradizioni dalla mia vita: una Messa partecipata nonostante l’indigeribilità di usi ed abusi ‘sacri’ vale più dell’esegesi più alta. Credere, in ultima analisi, è, vuole essere, per me sentirmi parte di questa umanità non perfetta, ma che qualcuno si deve portarsi sulle spalle ‘sua sponte’, come Cristo…….

venerdì 3 agosto 2018


DOMENICA DICIOTTESIMA T.O. anno B
 Datevi da fare non per il cibo che non dura…
Luca Signorelli (ca.1450-1523). Nel momento culminante della sua carriera, cortonese e attivissimo nell' area umbra, formulò una vera e propria epopea figurativa che destò la più alta ammirazione di Michelangelo Buonarroti e rimase nei secoli a testimonianza di un momento della storia dell' arte italiana di respiro davvero universale.


24 Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25 Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: Rabbì, quando sei venuto qua?. 26 Gesù rispose loro: In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27 Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo. 28 Gli dissero allora: Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? 29 Gesù rispose loro: Questa è l’opera di Dio30  Allora gli dissero: 31 I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo. 32 Rispose loro Gesù: In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33 Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo. 34 Allora gli dissero: Signore, dacci sempre questo pane. 35 Gesù rispose loro: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Raccolta esegetica

INTRODUZIONE
Gesù era fuggito in solitudine sulla montagna, rifiutando l’acclamazione mondana e incredula da parte della folla, che voleva farlo re perché egli le aveva procurato del cibo. Poi nella notte, insieme ai discepoli, era tornato in barca verso Cafarnao, approdando di nuovo sulla riva occidentale del lago di Tiberiade.
Ebbene, ora la folla lo rincorre, ne va in cerca - il verbo ‘ricercare’ nel vangelo di Giovanni è sempre negativo; significa catturare (Gesù) – e, quando lo trova, si rivolge a lui chiamandolo ‘Rabbi’. Rabbi è il maestro della legge: non avevano compreso la novità proposta da Gesù, e cioè un rapporto con Dio completamente nuovo, basato sull’accoglienza del suo amore.
E qui inizia un dialogo tra sordi, un dialogo all’insegna dell’incomprensione, perché la folla chiede il pane per sé, mentre Gesù li invitava a farsi pane per altri. La vita ha una parte biologica che ha bisogno di un alimento superiore: quello che dà ‘vita eterna’. Questa, come afferma  J. Guhrt, non si riferisce ad un’‘altra vita’, ma ad ‘una vita diversa dall’esistenza di prima’.
Questa nuova vita si raggiunge per mezzo della fede, cioè per mezzo dell’adesione a Gesù, al suo messaggio, alla sua maniera ed al suo stile di vita. Quando il Vangelo in noi diventa convinzione, allora si inizia a vivere la vita che cambia noi e il mondo.
Richiesti di operare per il cibo che non perisce, gli interlocutori di Gesù gli chiedono che cosa debbano fare per compiere le opere di Dio, come leggiamo al v.28. La risposta di Gesù spiazza la domanda, attuando il passaggio dalle molte opere all’unica opera, e addirittura identificando l’unica opera con la fede: l’opera è la fede! L’opera di Dio, cioè che consente a Dio di operare nell’uomo, è la fede.
Questo secondo cibo è per la vita eterna, una vita che rimane oltre la morte.
Qui occorre fare attenzione: nessun disprezzo da parte di Gesù per il nostro pane, che egli ci ha chiesto di invocare nel Padre nostro; nello stesso tempo, però, Gesù esorta a desiderare, cioè a lavorare con altrettanta intensità e convinzione in vista di quel cibo che solo Lui può donare, il cibo che dà la vita per sempre. Si tratta di operare per cercare, ottenere, ricevere in dono questo nutrimento e non di andare dietro a lui chiedendogli solo il cibo materiale! Il nutrimento per la vita eterna sarà dato dal Figlio dell’uomo, da Gesù stesso, che il Padre ha segnato con il suo sigillo, mettendo cioè in lui la sua impronta (cf. Eb 1,3), perché il Figlio dell’uomo è immagine del Dio invisibile (Col 1,15), volto del Dio della gloria, parola e racconto che narra il vero e unico Dio (cf. Gv 1,18).

ANALISI TESTUALE
24-27 La gente va dietro a Gesù. Vede che non è salito in barca con i discepoli e, per questo, non capisce come aveva fatto per giungere a Cafarnao. Non aveva capito nemmeno il miracolo della moltiplicazione dei pani. La gente vede ciò che è accaduto, ma non riesce a capire tutto questo come un segno di qualcosa molto più profondo; si ferma alla superficie, cercando pane e vita. Secondo la gente, Gesù fa ciò che Mosè aveva fatto nel passato: dare cibo a tutti nel deserto. Seguendo Gesù, loro volevano che il passato si ripetesse. Ma Gesù chiede alla gente di fare un passo avanti. Oltre a lavorare per il pane temporaneo, debbono lavorare per l’alimento imperituro. Questo nuovo alimento sarà dato dal Figlio dell’uomo, indicato da Dio stesso. Lui porta la vita che dura per sempre. Lui apre per noi un nuovo orizzonte sul senso della vita e su Dio.
28-29 La gente chiede: Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? Gesù risponde che la grande opera che Dio ci chiede è di “credere all’‘inviato da Dio’, ossia, credere in Lui!
Il Discorso del Pane di Vita non è un testo da essere discusso e sezionato, bensì deve essere meditato ed esaminato più volte. Per questo, anche se non si capisce del tutto, non c’è da preoccuparsi. Questo testo del Pane di Vita esige tutta una vita per meditarlo ed approfondirlo. Un testo così, la gente deve leggerlo, meditarlo, pregarlo, pensarlo, leggerlo di nuovo, ripeterlo, rigirarlo, come si fa con una buona caramella in bocca. Si gira e gira fino ad esaurirsi. Chi legge superficialmente il quarto vangelo può avere l’impressione che Giovanni ripeta sempre la stessa cosa. Leggendo con più attenzione, ci si renderà conto che non si tratta di ripetizione. L’autore del quarto vangelo ha un suo proprio modo di ripetere lo stesso tema, ma a un livello sempre più alto e profondo. Sembra una scala a chiocciola. Girando, si giunge allo stesso punto, ma a un livello più alto o più profondo.
30-33 La gente aveva chiesto: Cosa dobbiamo fare per realizzare l’opera di Dio? Gesù risponde: L’opera di Dio è credere in colui che ha mandato, cioè, credere in Gesù. Per questo la gente formula la nuova domanda: “Quale segno fai tu perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera fai?” Ciò significa che loro non capirono la moltiplicazione dei pani come un segno da parte di Dio per legittimare Gesù dinanzi alla gente quale inviato di Dio! Loro continuano ad argomentare: in passato, i nostri padri mangiarono la manna che fu data loro da Mosè! Loro la chiamavano “pane del cielo” (Sap 16,20), ossia “pane di Dio”. Mosè continua ad essere il grande leader, in cui credere. Se Gesù vuole che la gente creda in lui, deve compiere un segno più grande di quello che compì Mosè. Il pane che Dio aveva dato da Mosè non era il vero pane del cielo. Il loro sguardo è rivolto al passato, al pane del cielo, la manna (Es 16,15; Nm 11,7-9; Ne 9,15; Sal 78,24); essi adesso si attendono da Gesù un prodigio simile. Gesù però ha parlato del Padre (6,27) in una prospettiva universale, essi parlano dei nostri padri, facendo riferimento al solo Israele, mentre Gesù, parlando del Padre, fa riferimento all’intero mondo. Venuto dall’alto, sì, ma non era il pane di Dio, poiché non garantisce la vita a nessuno. Tutti loro morirono nel deserto (Gv 6,49). Il pane di Dio, è quello che vince la morte e dà vita!
34-35 Gesù afferma chiaramente: Io sono il pane della vita!. Mangiare il pane del cielo è lo stesso che credere in Gesù ed accettare il cammino che lui ci insegna, cioè: Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera! (Gv 4,34). Questo è l’alimento vero che sostenta la persona, che cambia la vita e dà vita nuova. Questo ultimo versetto del vangelo di oggi (Gv 6,35) sarà ripreso come primo versetto del vangelo della prossima domenica.

Considerazioni
 Il pensiero occidentale, riferimento indiscusso della teologia fino all’ultimo secolo, nel suo approccio all’intera realtà e al problema di Dio ha percorso due strade “lanciandosi” da due diverse piattaforme: la prima di queste, storicamente con il pensiero greco, muove dall’essere, dalla natura, dalla stabilità, mentre la seconda procede dall’esperienza fondamentale della libertà come attività (l’uomo è la sua libertà, non ha la libertà, con evidente matrice cristiana) che, dopo più di due secoli di gestazione, raggiunge la sua piena autocoscienza.
Secondo la prima via “mondo” è un concetto ontologico, mentre nella seconda è storico e si può definire come ciò che la libertà produce nel tempo. Percorrendo questo secondo itinerario la cultura extra-teologica, a partire dagli ultimi quattro secoli, ha conseguito delle acquisizioni importanti che mettono in questione l’intelligenza della fede ereditata dal Medioevo e dall’età barocca sul piano della conoscenza storica, con l’avvento dei metodi storico-critici di accostamento ai testi antichi, e delle conoscenze dei dinamismi umani e sociali, tramite la psicologia e le scienze sociali.
Come unico risultato, non negativo ma insufficiente, va menzionata la rigorosa uniformità e unitarietà del pensiero cattolico unita alla concisione e alla precisione del linguaggio teologico.

Perché non abbiamo pane (=Cibo per tutti)
Non abbiamo pane perché abbiamo perso il senso della vita
Non abbiamo pane perché siamo pigri; niente ci soddisfa, e tiriamo a campare
Non abbiamo pane perché ci manca la speranza nella vita
Non abbiamo pane perché sentiamo una fame che non passa con il cibo
Non abbiamo pane perché ci siamo affidati alle superficialità e ora ci lasciano soli
Non abbiamo pane perché la messa domenicale viene dopo le nostre preoccupazioni economiche, di riposo, di relax. Dopo lo spread e i dati della borsa.
A questo cuore indurito serve una cardioterapia, fatta di preghiera, di ascolto della Parola, di relazioni umanissime e di scuola d’amore. La famiglia, l’amicizia, l’innamoramento, il fidanzamento sono tutte cardioterapie di fronte alla vera immersione nell’Amore di Dio che è imperituro.



Questo soltanto ti chiedo:
Amarti nella Verità

DICIASSETTESIMA


Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'.
Abbiamo tutti bisogno di un po’ di vacanza per disporre del nostro tempo e delle nostre scelte; abbiamo bisogno di un po’ di vacanza per riordinare la nostra vita e verificare quali sono i nostri veri interessi. Di fatto il lavoro, la professione, la stessa vita di famiglia e di casa, i rapporti obbligati con un certo numero di persone, tendono a logorarsi per l’ansietà con cui sono vissuti nell’incalzare delle urgenze. Nella fatica e nell’affanno il criterio del vero e del giusto si offusca ed emergono quei criteri di profitto, di benessere materiale, di successo che oggi si impongono prepotentemente.

LA LITURGIA

Ger 23, 1-6
Dice il Signore: Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore.  Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore. Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia.
Sal 22
Il Signore è il mio pastore: / non manco di nulla. / Su pascoli erbosi mi fa riposare, / ad acque tranquille mi conduce. / Rinfranca l’anima mia. / Mi guida per il giusto cammino / a motivo del suo nome. / Anche se vado per una valle oscura, / non temo alcun male, / perché tu sei con me. / Il tuo bastone e il tuo vincastro / mi danno sicurezza. / Davanti a me tu prepari una mensa / sotto gli occhi dei miei nemici. / Ungi di olio il mio capo; / il mio calice trabocca./  Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita /, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni.
Ef 2, 13-18
Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.
Mc 6, 30-34
30  31 Ed egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. 32 Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. 33 Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. 34 Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

COMMENTO

1. INTRODUZIONE
Giovanni Battista era morto in carcere per volere di Erode Antipa, o meglio di Erodiade. Il racconto di questa morte non ci viene proposto nella liturgia odierna, nella quale si ritorna a parlare del ritorno dei Dodici presso Gesù.
Tutto il gruppo se ne va in un luogo deserto per riposare un po’, ma la folla li segue e questo diventa per Gesù una nuova occasione di insegnamento. L’episodio apre al racconto della moltiplicazione dei pani che Marco racconta nei versetti 6,35-44 (che questa domenica non leggiamo). Ma domenica prossima lo leggeremo nella versione di Giovanni, iniziando una lunga parentesi dedicata a quest’ultimo evangelista e al discorso sul pane di vita, che ci porterà fino alla XXI domenica del tempo ordinario.
Al centro delle letture odierne c’è la rivelazione su Gesù quale autentico pastore assieme alle indicazioni su che cosa significhi esercitare il ministero di pastore nella chiesa.
La denuncia profetica contro i pastori malvagi, cioè contro i re, i capi politici e militari del popolo che facevano della loro posizione di potere un’occasione, non di servizio. ma di sfruttamento, esprime l’istanza della necessaria conversione del potere in servizio da parte di chi detiene autorità.
Fondamento dell’azione pastorale di Gesù è la compassione. Come aveva visto il bisogno dei suoi discepoli, ora Gesù vede il bisogno delle folle, che non respinge: infatti vede la fame che esse hanno di parola di Dio. Gesù accetta di mutare il proprio progetto (riposare un po’), di lasciarsi scomodare, e si impegna nella faticosa predicazione.
La base della predicazione e dell’insegnamento evangelico non può che essere la compassione.
Lo sguardo del pastore Gesù è abitato dalla luce della parola di Dio: così egli sa vedere nella folla un’occasione per obbedire alla parola della Scrittura, la quale chiedeva che il popolo non fosse un gregge senza pastore, ma avesse una guida. Ed è questa obbedienza che, mentre rende Gesù stesso una pecora fedele al Dio “pastore d’Israele” (come recita il salmo 80), lo abilita anche a esercitare un ministero di guida, di pastore. L’Agnello è il Pastore!

2. ANALISI TESTUALE
30 Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
I Dodici, inviati in precedenza da Gesù, tornano molto soddisfatti del loro lavoro. Ma Gesù decide di far capire loro l’errore in cui si trovano, ma non ci riesce. L’errata focalizzazione dell’attività che hanno svolto, contraria all’incarico dato da Gesù, si riflette sull’informazione che gli danno, che non omette niente (tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato), aggiungono il dato nuovo dell’insegnamento: attività che non solo non era stata affidata loro da Gesù, ma che in questo Vangelo è esclusiva di Gesù e che egli esercita solo con ascoltatori giudei.
31 Ed egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.
Ritorna l’annotazione della vita piena che Gesù conduceva: tante persone venivano da lui e, né lui né i discepoli, riuscivano ad andare a mangiare. Quindi Gesù mostra tenerezza nei confronti dei suoi discepoli e li porta in un luogo più tranquillo per riposare.
32 Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
Andarono con la barca (partirono): Gesù viene inserito nel gruppo; non viene citato il suo nome, non figura come centro, né si dice che i discepoli lo seguano.
Marco ripete la menzione del luogo deserto e in disparte, sottolineando la necessità di correggere l’incomprensione.
33  Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.
Quegli uomini non si rassegnano a perdere il contatto con Gesù. L’espressione li videro partire inserisce nuovamente Gesù nel gruppo; Gesù e il gruppo appaiono come un tutt’uno, cioè pensano che Gesù abbia gli stessi obiettivi che i Dodici hanno esposto.
Marco non specifica il luogo in cui si recano Gesù e i Dodici; salgono semplicemente sulla barca e raggiungono un altro tratto di sponda del lago di Genezareth. La folla li vide e li raggiunse da terra. (Non si capisce bene come potessero delle persone a piedi giungere prima di una barca a vela. Comunque questo ci dà idea del grande desiderio della folla di seguire e ascoltare Gesù, di ricevere da lui guarigione).
34 Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Scendendo dalla barca Gesù si avvede della grande moltitudine. La sua compassione è più di una
simpatia umana; è, come nell’Antico Testamento, una qualità divina.
Nell’atteggiamento di Gesù si riafferma l’interesse di Dio per gli esseri umani. Marco riprende la figura del pastore che ha a cuore il suo gregge, un tema molto ricorrente nell’AT. L’attività di pastore si esprime in Gesù principalmente con l’insegnamento. Ma ancora purtroppo Marco non dice cosa insegna, lasciandoci nel vago di quel molte cose.

3. APPROFONDIMENTI
La compassione evangelica è un sentimento ricco, forte e tenero, talora anche sdegnato per le situazioni tristi e di violenza. La compassione fa muovere, non fa rassegnare; non permette chiusura e distrazione. Nella compassione evangelica c'è anche l'inquietudine di Dio contro i cattivi pastori, sino a prendere lui stesso la guida delle pecore. L'ultimo dei profeti, Giovanni Battista, era stato ucciso da non molto témpo, e non c'era più nessun profeta in Israele. E la Parola di Dio era davvero rara, anche se il tempio continuava a raccogliere gente e le sinagoghe continuavano ad essere affollate.
Forse molti dicevano che la religione aveva comunque vinto. Eppure la gente, e soprattutto i poveri e i deboli, non sapevano su chi confidare, su chi riporre la loro speranza, verso quale porta andare a bussare per avere una risposta, un aiuto, un conforto.
Nelle ultime parole del Vangelo di questa domenica riecheggia tutta la tradizione vetero-testamentaria del tradimento dei responsabili. Il profeta Geremia lo grida a chiare lettere ai capi di Israele: Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio popolo. E aggiunge in modo ancor più diretto: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati
 L'accusa e grave. E certamente riguarda anzitutto i pastori; ma non va dimenticato che in certo modo ogni credente è pastore del fratello. Tutti perciò debbono esaminarsi su questo punto. Tutti debbono chiedersi se sentono la responsabilità nei riguardi degli altri credenti, se sentono la comunità come parte delle proprie preoccupazioni. Ogni credente, mentre è certamente discepolo, è anche responsabile della vita degli altri. Il Signore ce ne dà l'esempio.
Il profeta afferma che il Signore stesso si prenderà cura del suo popolo: Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho lasciate scacciare e le farò tornare ai loro pascoli.
Il segreto da cui nasce tale cura è iscritto tutto nella compassione divina.
E’ questa compassione che portò Gesù a inviare i Dodici ad annunciare il Vangelo e a servire i poveri. Tale insopprimibile amore, tale irresistibile passione, continua a spingerlo, appena sceso dalla barca, a riprendere immediatamente il suo lavoro apostolico. Ed è quello che il Maestro continua a chiedere ai discepoli di ogni tempo.

DOMENICA SEDICESIMA T. O. anno b


Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'.
Abbiamo tutti bisogno di un po’ di vacanza per disporre del nostro tempo e delle nostre scelte; abbiamo bisogno di un po’ di vacanza per riordinare la nostra vita e verificare quali sono i nostri veri interessi. Di fatto il lavoro, la professione, la stessa vita di famiglia e di casa, i rapporti obbligati con un certo numero di persone, tendono a logorarsi per l’ansietà con cui sono vissuti nell’incalzare delle urgenze. Nella fatica e nell’affanno il criterio del vero e del giusto si offusca ed emergono quei criteri di profitto, di benessere materiale, di successo che oggi si impongono prepotentemente.

LA LITURGIA

Ger 23, 1-6
Dice il Signore: Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore.  Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore. Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia.
Sal 22
Il Signore è il mio pastore: / non manco di nulla. / Su pascoli erbosi mi fa riposare, / ad acque tranquille mi conduce. / Rinfranca l’anima mia. / Mi guida per il giusto cammino / a motivo del suo nome. / Anche se vado per una valle oscura, / non temo alcun male, / perché tu sei con me. / Il tuo bastone e il tuo vincastro / mi danno sicurezza. / Davanti a me tu prepari una mensa / sotto gli occhi dei miei nemici. / Ungi di olio il mio capo; / il mio calice trabocca./  Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita /, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni.
Ef 2, 13-18
Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.
Mc 6, 30-34
30  31 Ed egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. 32 Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. 33 Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. 34 Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

COMMENTO

1. INTRODUZIONE
Giovanni Battista era morto in carcere per volere di Erode Antipa, o meglio di Erodiade. Il racconto di questa morte non ci viene proposto nella liturgia odierna, nella quale si ritorna a parlare del ritorno dei Dodici presso Gesù.
Tutto il gruppo se ne va in un luogo deserto per riposare un po’, ma la folla li segue e questo diventa per Gesù una nuova occasione di insegnamento. L’episodio apre al racconto della moltiplicazione dei pani che Marco racconta nei versetti 6,35-44 (che questa domenica non leggiamo). Ma domenica prossima lo leggeremo nella versione di Giovanni, iniziando una lunga parentesi dedicata a quest’ultimo evangelista e al discorso sul pane di vita, che ci porterà fino alla XXI domenica del tempo ordinario.
Al centro delle letture odierne c’è la rivelazione su Gesù quale autentico pastore assieme alle indicazioni su che cosa significhi esercitare il ministero di pastore nella chiesa.
La denuncia profetica contro i pastori malvagi, cioè contro i re, i capi politici e militari del popolo che facevano della loro posizione di potere un’occasione, non di servizio. ma di sfruttamento, esprime l’istanza della necessaria conversione del potere in servizio da parte di chi detiene autorità.
Fondamento dell’azione pastorale di Gesù è la compassione. Come aveva visto il bisogno dei suoi discepoli, ora Gesù vede il bisogno delle folle, che non respinge: infatti vede la fame che esse hanno di parola di Dio. Gesù accetta di mutare il proprio progetto (riposare un po’), di lasciarsi scomodare, e si impegna nella faticosa predicazione.
La base della predicazione e dell’insegnamento evangelico non può che essere la compassione. 
Lo sguardo del pastore Gesù è abitato dalla luce della parola di Dio: così egli sa vedere nella folla un’occasione per obbedire alla parola della Scrittura, la quale chiedeva che il popolo non fosse un gregge senza pastore, ma avesse una guida. Ed è questa obbedienza che, mentre rende Gesù stesso una pecora fedele al Dio “pastore d’Israele” (come recita il salmo 80), lo abilita anche a esercitare un ministero di guida, di pastore. L’Agnello è il Pastore!


2. ANALISI TESTUALE
30 Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
I Dodici, inviati in precedenza da Gesù, tornano molto soddisfatti del loro lavoro. Ma Gesù decide di far capire loro l’errore in cui si trovano, ma non ci riesce. L’errata focalizzazione dell’attività che hanno svolto, contraria all’incarico dato da Gesù, si riflette sull’informazione che gli danno, che non omette niente (tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato), aggiungono il dato nuovo dell’insegnamento: attività che non solo non era stata affidata loro da Gesù, ma che in questo Vangelo è esclusiva di Gesù e che egli esercita solo con ascoltatori giudei.
31 Ed egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.
Ritorna l’annotazione della vita piena che Gesù conduceva: tante persone venivano da lui e, né lui né i discepoli, riuscivano ad andare a mangiare. Quindi Gesù mostra tenerezza nei confronti dei suoi discepoli e li porta in un luogo più tranquillo per riposare.
32 Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
Andarono con la barca (partirono): Gesù viene inserito nel gruppo; non viene citato il suo nome, non figura come centro, né si dice che i discepoli lo seguano.
Marco ripete la menzione del luogo deserto e in disparte, sottolineando la necessità di correggere l’incomprensione.
33  Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.
Quegli uomini non si rassegnano a perdere il contatto con Gesù. L’espressione li videro partire inserisce nuovamente Gesù nel gruppo; Gesù e il gruppo appaiono come un tutt’uno, cioè pensano che Gesù abbia gli stessi obiettivi che i Dodici hanno esposto.
Marco non specifica il luogo in cui si recano Gesù e i Dodici; salgono semplicemente sulla barca e raggiungono un altro tratto di sponda del lago di Genezareth. La folla li vide e li raggiunse da terra. (Non si capisce bene come potessero delle persone a piedi giungere prima di una barca a vela. Comunque questo ci dà idea del grande desiderio della folla di seguire e ascoltare Gesù, di ricevere da lui guarigione).
34 Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Scendendo dalla barca Gesù si avvede della grande moltitudine. La sua compassione è più di una
simpatia umana; è, come nell’Antico Testamento, una qualità divina.
Nell’atteggiamento di Gesù si riafferma l’interesse di Dio per gli esseri umani. Marco riprende la figura del pastore che ha a cuore il suo gregge, un tema molto ricorrente nell’AT. L’attività di pastore si esprime in Gesù principalmente con l’insegnamento. Ma ancora purtroppo Marco non dice cosa insegna, lasciandoci nel vago di quel molte cose.

3. APPROFONDIMENTI
La compassione evangelica è un sentimento ricco, forte e tenero, talora anche sdegnato per le situazioni tristi e di violenza. La compassione fa muovere, non fa rassegnare; non permette chiusura e distrazione. Nella compassione evangelica c'è anche l'inquietudine di Dio contro i cattivi pastori, sino a prendere lui stesso la guida delle pecore. L'ultimo dei profeti, Giovanni Battista, era stato ucciso da non molto témpo, e non c'era più nessun profeta in Israele. E la Parola di Dio era davvero rara, anche se il tempio continuava a raccogliere gente e le sinagoghe continuavano ad essere affollate.
Forse molti dicevano che la religione aveva comunque vinto. Eppure la gente, e soprattutto i poveri e i deboli, non sapevano su chi confidare, su chi riporre la loro speranza, verso quale porta andare a bussare per avere una risposta, un aiuto, un conforto.
Nelle ultime parole del Vangelo di questa domenica riecheggia tutta la tradizione vetero-testamentaria del tradimento dei responsabili. Il profeta Geremia lo grida a chiare lettere ai capi di Israele: Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio popolo. E aggiunge in modo ancor più diretto: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati
 L'accusa e grave. E certamente riguarda anzitutto i pastori; ma non va dimenticato che in certo modo ogni credente è pastore del fratello. Tutti perciò debbono esaminarsi su questo punto. Tutti debbono chiedersi se sentono la responsabilità nei riguardi degli altri credenti, se sentono la comunità come parte delle proprie preoccupazioni. Ogni credente, mentre è certamente discepolo, è anche responsabile della vita degli altri. Il Signore ce ne dà l'esempio.
Il profeta afferma che il Signore stesso si prenderà cura del suo popolo: Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho lasciate scacciare e le farò tornare ai loro pascoli.
Il segreto da cui nasce tale cura è iscritto tutto nella compassione divina.
E’ questa compassione che portò Gesù a inviare i Dodici ad annunciare il Vangelo e a servire i poveri. Tale insopprimibile amore, tale irresistibile passione, continua a spingerlo, appena sceso dalla barca, a riprendere immediatamente il suo lavoro apostolico. Ed è quello che il Maestro continua a chiedere ai discepoli di ogni tempo.

DOMENICA QUINDICESIMA T.O. anno B


Am 7, 12-15
In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno. Amos rispose ad Amasìa e disse: Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele.
Salmo 84
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: / egli annuncia la pace / per il suo popolo, per i suoi fedeli. / Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme, / perché la sua gloria abiti la nostra terra. // Amore e verità s’incontreranno, / giustizia e pace si baceranno. / Verità germoglierà dalla terra / e giustizia si affaccerà dal cielo. // Certo, il Signore donerà il suo bene / e la nostra terra darà il suo frutto; / giustizia camminerà davanti a lui / i suoi passi tracceranno il cammino. 
Ef 1, 3-14
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

Mc 6,7-13
In quel tempo, Gesù 7 chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8 E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9 ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10 E diceva loro: Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11 Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro. 12 Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13 scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Commento

INTRODUZIONE
Negli anni 70, epoca in cui Marco scriveva il suo vangelo, le comunità cristiane vivevano una situazione difficile, senza orizzonte. Umanamente parlando, non c’era futuro per loro. Nel 64, Nerone cominciò a perseguitare i cristiani. Nel 65, scoppiò la rivolta dei giudei della Palestina contro Roma. Nel 70, Gerusalemme fu totalmente distrutta dai romani. Perciò l’evangelista narra l’invio alla missione dei discepoli, affinché sia per loro fonte di luce e di coraggio.
La liturgia odierna verte, appunto, sulla missione che Gesù affida a Dodici, scelti a tale scopo. Per Marco la comunione con Gesù precede e nutre la missione; non si può annunciare ciò che non si vive. I Dodici l'hanno accompagnato già da un certo tempo, hanno ascoltato i suoi insegnamenti, hanno condotto vita comune con Lui. Ora devono lanciarsi nella missione predicando la conversione e offrendo la ‘buona notizia’, e non solo a parole.
La missione è una proposta di vita. Come tale allora deve avvenire nella massima povertà di mezzi, al di fuori di ogni ricatto. L'unica ricchezza che accompagnerà i Dodici è quella avuta dal Cristo: il messaggio e il dominio sui demoni, come segno della presenza del Regno.
Il disprezzo che i Nazaretani avevano mostrato per Gesù fu forse una delle ragioni per le quali, racconta Marco, Egli mandò i suoi apostoli in missione nelle regioni circostanti. Tolse così, a quelli che l’avevano conosciuto fanciullo, il pretesto di non credere alla buona novella, e inaugurò solennemente Egli stesso quella missione di preparazione e di evangelizzazione che non avrebbe dovuto interrompersi mai più.
La ristrettezza dei mezzi dovevano attenersi avrebbe evitato di mutare la missione in in un affare e li avrebbe spinto a volgere gli occhi a Dio in segno di  fiducia e avrebbe spinti a coltivare la ricchezza dello spirito suscitano le ricche energie della carità.
Marco pone delle condizioni all'annuncio, una sintesi per ricordare ai discepoli con quale stile sono chiamati ad annunciare il Regno.
I discepoli sono mandati ad annunciare il Regno a due a due. Non esistono navigatori solitari tra i credenti, tutta la credibilità dell'annuncio si gioca sulla sfida del poter costruire comunità. Parlare della comunità in termini astratti è bello e poetico. Convivere nella propria comunità, con quei membri del gruppo, affrontando ogni giorno insieme le varie difficoltà del quotidiano fa passare dalla teoria alla pratica. Fare comunione pone un limite alle ombre che abitano in ciascuno: senza eliminarle, la luce che porta il vangelo illumina e trasporta su un piano ben diverso dalla solita convivenza. L'annuncio della Parola coinvolge la vita delle persone; è il volto nuovo di una vita nuova, che crea legami profondi, diretti e stabili. E quando si riparte, non ci si porta dietro niente; il testimone riprende il cammino povero come si era presentato.
Le istruzioni del Signore per la missione dei Dodici non li risparmia dallo scandalo da lui subito nella sua città. Anzi, la regola prima e universale è proprio il contrasto tra la potenza dell'annuncio e la debolezza dei predicatori, testimoni sempre inadeguati rispetto al cambiamento radicale della vita che è chiesto, prima a loro e poi agli uditori. Una vita assolutamente nuova, non garantita, ma esposta e affidata alla potenza di Dio.

ANALISI TESTUALE
7 Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri.
Dinanzi alla chiusura mentale della gente della sua comunità, Gesù lascia Nazareth ed inizia a percorrere i villaggi nelle vicinanze. Ma i ‘missionari’ possono andare da soli: devono andare due a due, perché due persone rappresentano la comunità meglio di una sola e si possono aiutare a vicenda. Hanno potere sugli spiriti immondi; cioè devono essere di sollievo agli altri nella sofferenza; e, attraverso la purificazione, devono aprire le porte di accesso diretto a Dio.
8 E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9 ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
Poi dà loro minuziose istruzioni sul modo di comportarsi; non devono portare provviste (pane) e nemmeno bisaccia, cioè la sacca tipica dei mendicanti per conservare quanto potrebbero ricevere per il cammino; tanto meno debbono portare denaro, che darebbe loro la sicurezza di non rimanere sprovvisti nel caso non ricevessero niente.
10 E diceva loro: Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì.
Gesù aggiunge altre istruzioni sul contatto con le genti che i discepoli incontreranno e quale deve essere la loro reazione in base all’accoglienza che riceveranno. Non si parla di andare nelle sinagoghe, istituzione giudaica: sarebbe cosa contraria allo scopo dell’invio.
Devono accettare l’ospitalità che viene offerta loro senza cambiare casa, per non indisporre la buona volontà della gente né oltraggiare l’ospitalità offerta. Non devono informarsi su chi li accoglie; devono accettare quello che viene loro offerto senza mostrarsi restii nei confronti delle usanze del posto. Per i Dodici, il nuovo Israele, questa istruzione implica un cambiamento radicale di mentalità: entrare in casa di pagani disprezzati dai Giudei, e dipendere da loro per la sopravvivenza. Con ciò, Gesù vuole che dimentichino la loro identità giudaica per mettersi sul piano dell’umanità.
11 Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro.
Può accadere che un gruppo (un luogo) rifiuti di accettare la presenza degli inviati.
Se accade questo, devono lasciare quel luogo, ma, andandosene, devono fare un gesto di accusa, ciò che facevano i Giudei uscendo da un territorio pagano; ora significa che i veri pagani, quelli che non conoscono il vero Dio, sono quelli che si oppongono all’uguaglianza e solidarietà umane; non si definisce il pagano in base alle credenze, ma in base al modo di comportarsi.
12 Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse,
Ricevute le istruzioni, i Dodici si mettono in cammino. Non si precisa dove vanno né quanto dura il viaggio. Ma l’attività che svolgono non coincide per niente con quella assegnata loro da Gesù.
Anzitutto, si dedicano a proclamare, esortando a emendarsi (si convertisse), cosa di cui Gesù non ha fatto menzione; cioè, fanno loro il messaggio del Battista al popolo giudaico, esortando a un cambiamento individuale, senza proporre un ideale alternativo di società; al contrario per Gesù, l’emendarsi doveva essere solo una condizione per costruire la società nuova o regno di Dio.
13 scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
L’espulsione di demòni e l’atto di curare sono in parallelo con i gesti effettuati da Gesù a Cafarnao prima di esporre il programma universalista e di rompere con l’istituzione giudaica (ma non impongono le mani come si dice di Gesù in 6,5).
I Dodici, da una parte, liberano dall’adesione fanatica al sistema giudaico (espulsione dei demòni); dall’altra, suscitano nel popolo abbattuto la speranza di un messia davidico restauratore della gloria della nazione (l’ungere con olio, ricorda l’unzione dei re d’Israele).
Tutto indica che essi si rivolgono solo a Giudei e che perseverano nella loro mentalità riformista; non propongono l’alternativa-Gesù, ma il rinnovamento d’Israele.

ALDA MERINI – UNA PERSONA ‘LIBERATA’

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da argenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d’oro
e l’albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l’assenzio
di una sopravvivenza negata.
Alda Merini, da “La Terra Santa” 1983
Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima,
il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola
come una trappola da sacrificio,
è quindi venuto il momento di cantare
una esequie al passato.
Alda Merini, da “La Terra Santa”
Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie,
fino a quando mi imprigionerai?
anima circonflessa,
circonfusa e incapace,
anima circoncisa,
che fai distesa nel corpo?
Alda Merini, da “La Terra Santa”
Io sono folle, folle, folle d’amore per te .
io gemo di tenerezza perché sono folle, folle, folle
perché ti ho perduto .
Stamane il mattino era cosi caldo
che a me dettava quasi confusione
ma io era malata di tormento
ero malata di tua perdizione.
Alda Merini, da “Folle, folle, folle di Amore per te”
A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
per tanti anni, non per costruivi tombe,
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà
quotidiana.
Alda Merini, da “La vita facile”
Le mie impronte digitali
prese in manicomio
hanno perseguitato le mie mani
come un rantolo che salisse la vena della vita,
quelle impronte digitali dannate
sono state registrate nel cielo
e vibrano insieme
ahimè
alle stelle dell’Orsa maggiore.
Alda Merini
Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.
Alda Merini, da “Vuoto d’amore”
Bacio che sopporti il peso
della mia anima breve
in te il mondo del mio discorso
diventa suono e paura.
Alda Merini
Non avessi sperato in te
e nel fatto che non sei un poeta
di solo amore
tu che continui a dirmi
che verrai domani
e non capisci che per me
il domani è già passato.
Alda Merini, da “Folle, folle, folle di Amore per te”
Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.
Alda Merini, da “Clinica dell’abbandono”
Solo un mano d’angelo
intatta di sé, del suo amore per sé,
potrebbe
offrirmi la concavità del suo palmo
perché vi riversi il mio pianto.
La mano dell’uomo vivente
è troppo impigliata nei fili dell’oggi e dell’ieri,
è troppo ricolma di vita e di plasma di vita!
Non potrà mai la mano dell’uomo mondarsi
per il tranquillo pianto del proprio fratello!
E dunque, soltanto una mano di angelo bianco
dalle lontane radici nutrite d’eterno e d’immenso
potrebbe filtrare serena le confessioni dell’uomo
senza vibrarne sul fondo in un cenno di viva ripulsa.
Alda Merini
Bambino
Bambino, se trovi l’aquilone della tua fantasia
legalo con l’intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l’ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell’acqua del sentimento.
Alda Merini
Il Poeta raccoglie i dolori e sorrisi
e mette assieme tutti i suoi giorni
in una mano tesa per donare,
in una mano che assolve
perché vede il cuore di Dio.
Ma la città è triste
perché nessuno pensa
che i fiori del Poeta
sbocciano per vivere molto a lungo
per le vie anguste della grazia.
Alda Merini, da “Alla tua salute, amore mio”
Amore,
vola da me
con l’aeroplano di carta
della mia fantasia,
con l’ingegno del tuo sentimento.
Vedrai fiorire terre piene di magia
e io sarò la chioma d’albero più alta
per darti frescura e riparo.
Fa’ delle due braccia
due ali d’angelo
e porta anche a me un po’ di pace
e il giocattolo del sogno.
Ma prima di dirmi qualcosa
guarda il genio in fiore
del mio cuore.
Alda Merini, da “Alla tua salute, amore mio”
Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia.
Alda Merini, da “Alla tua salute, amore mio”
Sono folle di te, amore
che vieni a rintracciare
nei miei trascorsi
questi giocattoli rotti delle mie parole.
Ti faccio dono di tutto
se vuoi,
tanto io sono solo una fanciulla
piena di poesia
e coperta di lacrime salate,
io voglio solo addormentarmi
sulla ripa del cielo stellato
e diventare un dolce vento
di canti d’amore per te.
Alda Merini, da “Alla tua salute, amore mio”
Del tutto ignari della nostra esistenza
voi navigate nei cieli aperti dei nostri limiti,
e delle nostre squallide ferite
voi fate un balsamo per le labbra di Dio.
Non vi è da parte nostra conoscenza degli angeli,
né gli angeli conosceranno mai il nostro martirio,
ma c’è una linea di infelicità come di un uragano
che separa noi dalla vostra siepe.
Voi entrate nell’uragano dell’universo
come coloro che si gettano nell’inferno
e trovano il tremolo sospiro
di chi sta per morire
e di chi sta per nascere.
Alda Merini, da “La carne degli angeli”
“Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita”