Nel
1962 una èquipe di archeologi israeliani diretta dal prof. Avi Jonah
dell'università di Gerusalemme, compì una campagna di scavi tra le rovine di
Cesarea Marittima, sede estiva dei procuratori romani in Giudea. Da quelle
rovine gli archeologi estrassero una lapide in marmo grigio, di circa 15
centimetri per 12, con quattro righe di iscrizione in scrittura ebraica
quadrata, sicuramente non posteriore al terzo secolo prima di Cristo. Su
quell'antico marmo, inciso quindi almeno trecento anni prima di Gesù, una grossa
sorpresa: il nome di una località, quello di Nazareth. Per la prima volta era
raggiunta la sicurezza scientifica dell'esistenza della città ai tempi di Gesù.
Ez 2.2-5
In quei giorni, uno
spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi
parlava. Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una
razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si
sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli
testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. Ascoltino
o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno
che un profeta si trova in mezzo a loro».
Sal 122
A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni.
Come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.
Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.
2 Cor 12.7-10
a te che siedi nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni.
Come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.
Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.
2 Cor 12.7-10
Fratelli, affinché io non monti in superbia,
è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché
io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore
che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la
forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben
volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.
Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà,
nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono
debole, è allora che sono forte.
Mc 6, 1-6
1 Gesù Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli
lo seguirono. 2 Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti,
ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: Da
dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i
prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3 Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo,
di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?.
Ed era per loro motivo di scandalo. 4 Ma Gesù disse loro: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi
parenti e in casa sua. 5 E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo
impose le mani a pochi malati e li guarì. 6 E si meravigliava della loro
incredulità. Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando.
Commento
PREMESSA
Le
letture di oggi mettono in forte risalto una costante nell’opera salvifica di
Dio: la sua potenza si rivela pienamente nella debolezza.
Nella prima lettura il profeta
Ezechiele è inviato, da solo, ad un popolo di ribelli e di peccatori; e dunque è
destinato al fallimento umano. La sua missione è difficile, e le sue parole
suonerebbero sprezzanti per il popolo, se il profeta non avesse condiviso la
sorte dei ribelli: deportato come loro, parla loro a nome dello Spirito, che ha
preso possesso di lui. Testimone, ma anche attore: in nome della sua missione,
egli s’impegna nella stessa avventura dei suoi interlocutori.
Nella seconda lettura l’apostolo
Paolo, debole ed infermo, accettando i propri limiti e la propria debolezza,
riesce ad esprimere la potenza di Dio in tutta la sua forza; ha appena
ricordato le sue estasi mistiche; e per non cedere alla tentazione della
superbia, ha una enigmatica spina nella carne (malattia o difficoltà). Egli ha
tentato di sfuggire ad essa; ora l’accetta in umiltà. Dio non seleziona dei
superuomini; lavora con uomini normali, che hanno le misure della condizione
umana e ne accettano tutti i limiti. Ed è proprio nel pieno della nostra
debolezza che il Signore viene incontro.
Il racconto evangelico è semplice e scarno. Il ministero
di Gesù in Galilea si conclude con un fallimento, col rifiuto da parte dei suoi
concittadini. Eppure l’inizio era stato buono. Lo stupore di fronte alla
sapienza e ai miracoli di quell’uomo, che credevano di conoscere tanto bene,
aveva portato gli abitanti di Nazareth a porsi la domanda giusta, che avrebbe
potuto condurli alla fede: Donde
gli vengono queste cose?. Sarebbe bastato che si ricordassero di ciò che
era stato annunciato da Mosè: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a
te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto” (Dt
18,15). Per parlare agli uomini, normalmente Dio sceglie delle persone vicine
ad essi. La fede degli abitanti di Nazareth, invece, si arresta proprio davanti
al carattere consueto e familiare della presenza di Gesù: non è così che essi
immaginavano un uomo di Dio, un profeta. Anche Gesù rimane sorpreso: di fronte
al loro scetticismo, si trova come disarmato, incapace di fare miracoli.
Questo
racconto può insegnarci due cose.
a)
In primo luogo, che si può paralizzare una persona, ridurla all’impotenza,
semplicemente non dandole fiducia, buttandole addosso il peso di un giudizio
preconcetto. Quante energie soffocate, quanti scoraggiamenti, quanta gioia distrutta
dai nostri giudizi decisi e inappellabili su coloro che crediamo di conoscere!
Troppe volte, nello sguardo che rivolgiamo agli altri, non c’è posto per la
speranza; L’ospite, il vicino, l’ammalato, lo straniero, l’amico, il nostro
prossimo insomma: l’incontro con l’altro può essere un momento di grazia, se il
nostro cuore è aperto e disponibile. Per manifestarsi, Dio ha davvero bisogno
degli esseri umani.
Questa Domenica il Signore è contemplato in un altro
episodio della sua Vita pubblica: si presenta ad insegnare, come Profeta e
Maestro, la realtà del Regno di Dio, ma nell’umana incomprensione e nell’aperto
rigetto.
Chi si comporta come gli abitanti di
Nazareth, ossia chi non accetta l'autorità di Gesù sulla sua vita impedisce di
fatto al Signore di operare. Sta scritto che a Nazareth Gesù non poté operare
miracoli; non è che non volle, ma “non poté”. I suoi concittadini volevano che
operasse qualche miracolo, ma non avevano capito che non si trattava di prodigi
o di magie al servizio della propria fama. Il miracolo è la risposta di Dio a
colui che tende la mano e chiede aiuto. Nessuno di loro tese la mano, tutti
semmai avanzavano pretese. No, non è questa la via per incontrare il Signore.
Questa pagina evangelica è un
insegnamento salutare per ogni credente: guai a sentirsi sazi perché la sazietà
porta a non sentire più il bisogno del Vangelo, guai a ridursi come i nazareni,
sicuri di se stessi e delle proprie tradizioni perché questo porta ad
allontanare Gesù dalla propria esistenza. Stare davanti a Dio con un
atteggiamento di pretesa e non di richiesta di aiuto, significa mettersi fuori
dalla sua compassione e dalla sua misericordia. Dio non ascolta l'orgoglioso,
ma volge il suo sguardo sull'umile e sul povero, sul malato e sul bisognoso.
A Nazareth, infatti, Gesù poté guarire
solo alcuni malati: appunto, quelli che invocavano aiuto mentre passava. Beati
noi se, staccandoci dalla mentalità dei nazareni della sinagoga, ci mettiamo
accanto a quei malati che stavano fuori e che chiedevano aiuto al giovane
profeta che passava.
ANALISI DEL TESTO
1
Gesù partì di là e venne nella sua patria e si suoi discepoli lo seguirono,
Per la prima volta dopo la
costituzione del nuovo Israele, Gesù riprende contatto con il pubblico delle
sinagoghe della Galilea.
Nel primo contatto la reazione era
stata entusiastica; nel secondo aveva cercato di liberare il popolo dall’oppressione
legalista. Ora che ha già proposto la sua alternativa per gli oppressi pagani e
per quelli di Israele, torna nell’ambiente della sinagoga per esporla a quelli
che sono integrati in essa, sperando che aderiscano a lui.
Non viene citata la località di
Nazareth, perché la sua patria, terra è il popolo giudaico e, in particolare,
la Galilea; questa sinagoga rappresenta tutte quelle della regione, dove Gesù
ha esercitato la sua attività.
2 Giunto il sabato, si mise a insegnare in sinagoga. E molti,
ascoltandolo, rimanevano stupiti e dicevano: Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è
stata data? E i?
Gesù ha il
primo contatto con la gente nel giorno di precetto, durante il quale tutti sono
obbligati ad assistere al culto sinagogale. La scena descrive in modo tipico
l’atteggiamento verso Gesù della maggioranza del popolo praticante che si
identifica con la posizione degli scribi. Sono di nuovo colpiti (rimanevano
stupiti e dicevano) dal suo insegnamento, ma non riconoscono che la sua
autorità sia quella dello Spirito.
Quando
parlano di lui, non pronunciano il suo nome, lo indicano soltanto con pronomi
che marcano la distanza dalla sua persona e dalla sua attività (costui, queste
cose). Se ora non vedono che la sua autorità proviene da Dio (da dove
gli vengono queste cose?), si deduce che non può venire che dal demonio;
per questo danno un senso peggiorativo al suo sapere e anche alla sua attività
(magia?), parlano infatti di prodigi
come quelli compiuti dalle sue mani.
3 Non è costui il falegname, il figlio
di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue
sorelle non stanno qui tra noi? Ed era per loro motivo di scandalo.
Tra loro lo
chiamano il figlio di Maria, come se fosse indegno di chiamarsi figlio
di un padre, e lo equiparano ai suoi parenti più stretti (suoi fratelli, sue
sorelle); risulta loro intollerabile che uno come loro, senza titoli
riconosciuti, si faccia maestro e agisca come fa lui. Il rifiuto dei Giudei
praticanti è quindi totale.
Il
cambiamento di atteggiamento rispetto al passato è dovuto al fatto che nel frattempo,
il centro dell’istituzione religiosa ha emanato una sentenza contro Gesù e
quelli che una volta avevano riconosciuto in lui l’autorità dello Spirito, si
sono piegati a quella sentenza.
I fedeli
della sinagoga si sono identificati di nuovo con gli scribi, loro oppressori;
l’istituzione religiosa, alla quale essi stessi inizialmente avevano negato credito, è
tornata a imporre loro la sua autorità.
È
stato tassativamente detto loro che, nonostante le azioni compiute, Gesù, che accoglie
nella sua comunità gli ‘impuri’ e nega validità alle istituzioni e agli ideali
da queste propagandati, non può essere un inviato da Dio, ma un suo nemico.
4 Ma Gesù disse loro: Un profeta non
è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua.
Di
conseguenza, colui che altrove, come a Cafarnao, era stato visto come un
profeta, qui tra la sua gente, non è che un impostore, un agente del demonio.
5 lì non poteva compiere nessun
prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.
Gesù, dal canto suo, si presenta come
profeta, cioè come ispirato dallo Spirito di Dio, smentendo l’accusa di magia,
ma la mancanza di fede impedisce quasi completamente la sua attività (ma solo
impose le mani a pochi malati e li guarì).
6 E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i
villaggi d’intorno. Insegnando.
Di fronte a
quel regresso Gesù rimane sorpreso. Non entrerà più in una sinagoga. Non c’è
più niente da fare con coloro che sono sottomessi all’istituzione religiosa;
per troppo tempo sono stati senza un proprio giudizio e ora non si fidano di se
stessi né della loro esperienza e, quando i loro dirigenti emettono un giudizio
contrario ad essi, li seguono senza vacillare.
Non tutto
però è perduto; c’è molta gente del popolo staccata da quell’istituzione
religiosa; di fatto, quelli che stanno nei villaggi d’intorno continuano a seguire il suo insegnamento.
LA
GRANDE RIVOLUZIONE DEL MESSAGGIO DI GESÙ: l’UMILTA’
= Una volta la moglie del Mulla
Nasruddin diceva cose terribili su di lui in modo rabbioso, villano ed
aggressivo: era quasi sul punto di scoppiare con violenza. Il Mulla se ne stava
però seduto in silenzio e ascoltava. All’improvviso la moglie si voltò verso di
lui e gli disse: E così, hai ancora da
ridire, vero? Il Mulla rispose: Ma se
non ho aperto bocca! Lo so, rispose la moglie, ma stai ascoltando in modo molto aggressivo.
= Umiltà è termine che deriva da humus, terra.
L'umiltà
è la zolla feconda che può fecondare qualsiasi seme; è la capacità neutra di far
germogliare qualcosa (anche erbaccia).
=
La saggezza unita all'umiltà fa germogliare qualcosa che arricchisce l'umanità.
=
Cos'è la saggezza senza umiltà?
Su questo argomento non è mai
sottolineata abbastanza questa affermazione di Alan Watts: Non c'è
niente di più ostentato di una umiltà premeditata.
La finzione dell'umiltà è spesso una
maschera ben coltivata per nascondere molto in profondità il senso dell'ego. Il
falso moralismo, religioso e psicologico ne fa uso a piene mani, confondendo
molti ricercatori sul valore effettivo di questa sana virtù che, per essere
autentica, spontanea e non mera apparenza, implica la non identificazione con
l'ego.
= Gesù era umile. Anche Dio è umile
perché ha avuto e ha tanta pazienza con noi. E l’umiltà di Dio si manifesta
nell’umiltà di Gesù.
= Bisogna fare chiarezza sul significato
della parola umiltà: Qualcuno crede che essere umile è essere educato, cortese,
chiudere gli occhi nella preghiera...
= La chiave interpretativa l’ha
fornita Papa Francesco: C’è un
segno, un segnale, l’unico: accettare le umiliazioni. L’umiltà senza
umiliazioni non è umiltà. Umile è quell’uomo, quella donna, che è capace di
sopportare le umiliazioni come le ha sopportate Gesù, l’umiliato, il grande
umiliato.
Quindi umiltà non è soltanto essere
quieto, tranquillo. No, no. Umiltà è accettare le umiliazioni quando vengono,
come ha fatto Gesù. Il cristiano è chiamato ad accettare l’umiliazione della
croce, come Gesù che è stato capace di custodire il germoglio, custodire la
crescita, custodire lo Spirito.
Non è cosa semplice e immediata. Il
Pontefice a riguardo ha ricordato di aver sentito una volta una persona che scherzava:
Sì, sì, umile, sì, ma umiliato mai!. Uno scherzo, ma, ha commentato il Papa,
uno scherzo che toccava un punto vero.
Infatti sono molti coloro che dicono: Sì,
io sono capace di accettare l’umiltà, di essere umile, ma senza umiliazioni,
senza croce.
Terminando la meditazione, Francesco
ha così riassunto il suo pensiero del giorno: Come so se sono umile? Se sono capace, con la grazia del Signore, di
accettare le umiliazioni. E ha invitato a ricordare l’esempio di tanti
santi che non solo hanno accettato le umiliazioni ma le hanno chieste: Signore, mandami umiliazioni per
assomigliare a te, per essere più simile a te.
E— ha concluso
— ci dia questa grazia di custodire il
piccolo verso la pienezza dello Spirito, di non dimenticare la radice e accettare
le umiliazioni.
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