venerdì 3 agosto 2018

DOMENICA QUATTORDICESIMA anno B

DOMENICA XIV T.O. anno B
Nel 1962 una èquipe di archeologi israeliani diretta dal prof. Avi Jonah dell'università di Gerusalemme, compì una campagna di scavi tra le rovine di Cesarea Marittima, sede estiva dei procuratori romani in Giudea. Da quelle rovine gli archeologi estrassero una lapide in marmo grigio, di circa 15 centimetri per 12, con quattro righe di iscrizione in scrittura ebraica quadrata, sicuramente non posteriore al terzo secolo prima di Cristo. Su quell'antico marmo, inciso quindi almeno trecento anni prima di Gesù, una grossa sorpresa: il nome di una località, quello di Nazareth. Per la prima volta era raggiunta la sicurezza scientifica dell'esistenza della città ai tempi di Gesù.

Ez 2.2-5
In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».
Sal 122
A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni.
      Come gli occhi di una schiava
      alla mano della sua padrona,
      così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
      finché abbia pietà di noi.
Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.
2 Cor 12.7-10
Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.
Mc 6, 1-6
1 Gesù Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2 Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3 Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?. Ed era per loro motivo di scandalo. 4 Ma Gesù disse loro: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua. 5 E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6 E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando.
Commento
PREMESSA
Le letture di oggi mettono in forte risalto una costante nell’opera salvifica di Dio: la sua potenza si rivela pienamente nella debolezza.
Nella prima lettura il profeta Ezechiele è inviato, da solo, ad un popolo di ribelli e di peccatori; e dunque è destinato al fallimento umano. La sua missione è difficile, e le sue parole suonerebbero sprezzanti per il popolo, se il profeta non avesse condiviso la sorte dei ribelli: deportato come loro, parla loro a nome dello Spirito, che ha preso possesso di lui. Testimone, ma anche attore: in nome della sua missione, egli s’impegna nella stessa avventura dei suoi interlocutori.
Nella seconda lettura l’apostolo Paolo, debole ed infermo, accettando i propri limiti e la propria debolezza, riesce ad esprimere la potenza di Dio in tutta la sua forza; ha appena ricordato le sue estasi mistiche; e per non cedere alla tentazione della superbia, ha una enigmatica spina nella carne (malattia o difficoltà). Egli ha tentato di sfuggire ad essa; ora l’accetta in umiltà. Dio non seleziona dei superuomini; lavora con uomini normali, che hanno le misure della condizione umana e ne accettano tutti i limiti. Ed è proprio nel pieno della nostra debolezza che il Signore viene incontro.
Il racconto evangelico è semplice e scarno. Il ministero di Gesù in Galilea si conclude con un fallimento, col rifiuto da parte dei suoi concittadini. Eppure l’inizio era stato buono. Lo stupore di fronte alla sapienza e ai miracoli di quell’uomo, che credevano di conoscere tanto bene, aveva portato gli abitanti di Nazareth a porsi la domanda giusta, che avrebbe potuto condurli alla fede: Donde gli vengono queste cose?. Sarebbe bastato che si ricordassero di ciò che era stato annunciato da Mosè: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto” (Dt 18,15). Per parlare agli uomini, normalmente Dio sceglie delle persone vicine ad essi. La fede degli abitanti di Nazareth, invece, si arresta proprio davanti al carattere consueto e familiare della presenza di Gesù: non è così che essi immaginavano un uomo di Dio, un profeta. Anche Gesù rimane sorpreso: di fronte al loro scetticismo, si trova come disarmato, incapace di fare miracoli.
Questo racconto può insegnarci due cose.
a) In primo luogo, che si può paralizzare una persona, ridurla all’impotenza, semplicemente non dandole fiducia, buttandole addosso il peso di un giudizio preconcetto. Quante energie soffocate, quanti scoraggiamenti, quanta gioia distrutta dai nostri giudizi decisi e inappellabili su coloro che crediamo di conoscere! Troppe volte, nello sguardo che rivolgiamo agli altri, non c’è posto per la speranza; L’ospite, il vicino, l’ammalato, lo straniero, l’amico, il nostro prossimo insomma: l’incontro con l’altro può essere un momento di grazia, se il nostro cuore è aperto e disponibile. Per manifestarsi, Dio ha davvero bisogno degli esseri umani.
Questa Domenica il Signore è contemplato in un altro episodio della sua Vita pubblica: si presenta ad insegnare, come Profeta e Maestro, la realtà del Regno di Dio, ma nell’umana incomprensione e nell’aperto rigetto.
Chi si comporta come gli abitanti di Nazareth, ossia chi non accetta l'autorità di Gesù sulla sua vita impedisce di fatto al Signore di operare. Sta scritto che a Nazareth Gesù non poté operare miracoli; non è che non volle, ma “non poté”. I suoi concittadini volevano che operasse qualche miracolo, ma non avevano capito che non si trattava di prodigi o di magie al servizio della propria fama. Il miracolo è la risposta di Dio a colui che tende la mano e chiede aiuto. Nessuno di loro tese la mano, tutti semmai avanzavano pretese. No, non è questa la via per incontrare il Signore.
Questa pagina evangelica è un insegnamento salutare per ogni credente: guai a sentirsi sazi perché la sazietà porta a non sentire più il bisogno del Vangelo, guai a ridursi come i nazareni, sicuri di se stessi e delle proprie tradizioni perché questo porta ad allontanare Gesù dalla propria esistenza. Stare davanti a Dio con un atteggiamento di pretesa e non di richiesta di aiuto, significa mettersi fuori dalla sua compassione e dalla sua misericordia. Dio non ascolta l'orgoglioso, ma volge il suo sguardo sull'umile e sul povero, sul malato e sul bisognoso.
A Nazareth, infatti, Gesù poté guarire solo alcuni malati: appunto, quelli che invocavano aiuto mentre passava. Beati noi se, staccandoci dalla mentalità dei nazareni della sinagoga, ci mettiamo accanto a quei malati che stavano fuori e che chiedevano aiuto al giovane profeta che passava.

ANALISI DEL TESTO
1 Gesù partì di là e venne nella sua patria e si suoi discepoli lo seguirono,
Per la prima volta dopo la costituzione del nuovo Israele, Gesù riprende contatto con il pubblico delle sinagoghe della Galilea.
Nel primo contatto la reazione era stata entusiastica; nel secondo aveva cercato di liberare il popolo dall’oppressione legalista. Ora che ha già proposto la sua alternativa per gli oppressi pagani e per quelli di Israele, torna nell’ambiente della sinagoga per esporla a quelli che sono integrati in essa, sperando che aderiscano a lui.
Non viene citata la località di Nazareth, perché la sua patria, terra è il popolo giudaico e, in particolare, la Galilea; questa sinagoga rappresenta tutte quelle della regione, dove Gesù ha esercitato la sua attività.
2 Giunto il sabato, si mise a insegnare in sinagoga. E molti, ascoltandolo, rimanevano stupiti e dicevano: Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i?
Gesù ha il primo contatto con la gente nel giorno di precetto, durante il quale tutti sono obbligati ad assistere al culto sinagogale. La scena descrive in modo tipico l’atteggiamento verso Gesù della maggioranza del popolo praticante che si identifica con la posizione degli scribi. Sono di nuovo colpiti (rimanevano stupiti e dicevano) dal suo insegnamento, ma non riconoscono che la sua autorità sia quella dello Spirito.
Quando parlano di lui, non pronunciano il suo nome, lo indicano soltanto con pronomi che marcano la distanza dalla sua persona e dalla sua attività (costui, queste cose). Se ora non vedono che la sua autorità proviene da Dio (da dove gli vengono queste cose?), si deduce che non può venire che dal demonio; per questo danno un senso peggiorativo al suo sapere e anche alla sua attività (magia?), parlano infatti di prodigi come quelli compiuti dalle sue mani.
3 Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui tra noi? Ed era per loro motivo di scandalo.
Tra loro lo chiamano il figlio di Maria, come se fosse indegno di chiamarsi figlio di un padre, e lo equiparano ai suoi parenti più stretti (suoi fratelli, sue sorelle); risulta loro intollerabile che uno come loro, senza titoli riconosciuti, si faccia maestro e agisca come fa lui. Il rifiuto dei Giudei praticanti è quindi totale.
Il cambiamento di atteggiamento rispetto al passato è dovuto al fatto che nel frattempo, il centro dell’istituzione religiosa ha emanato una sentenza contro Gesù e quelli che una volta avevano riconosciuto in lui l’autorità dello Spirito, si sono piegati a quella sentenza.
I fedeli della sinagoga si sono identificati di nuovo con gli scribi, loro oppressori; l’istituzione religiosa, alla quale essi stessi inizialmente avevano negato credito, è tornata a imporre loro la sua autorità.
È stato tassativamente detto loro che, nonostante le azioni compiute, Gesù, che accoglie nella sua comunità gli ‘impuri’ e nega validità alle istituzioni e agli ideali da queste propagandati, non può essere un inviato da Dio, ma un suo nemico.
4 Ma Gesù disse loro: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua.
Di conseguenza, colui che altrove, come a Cafarnao, era stato visto come un profeta, qui tra la sua gente, non è che un impostore, un agente del demonio.
5  lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.
Gesù, dal canto suo, si presenta come profeta, cioè come ispirato dallo Spirito di Dio, smentendo l’accusa di magia, ma la mancanza di fede impedisce quasi completamente la sua attività (ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì).
6 E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno. Insegnando.
Di fronte a quel regresso Gesù rimane sorpreso. Non entrerà più in una sinagoga. Non c’è più niente da fare con coloro che sono sottomessi all’istituzione religiosa; per troppo tempo sono stati senza un proprio giudizio e ora non si fidano di se stessi né della loro esperienza e, quando i loro dirigenti emettono un giudizio contrario ad essi, li seguono senza vacillare.
Non tutto però è perduto; c’è molta gente del popolo staccata da quell’istituzione religiosa; di fatto, quelli che stanno nei villaggi d’intorno continuano a seguire il suo insegnamento.


LA GRANDE RIVOLUZIONE DEL MESSAGGIO DI GESÙ: l’UMILTA’


= Una volta la moglie del Mulla Nasruddin diceva cose terribili su di lui in modo rabbioso, villano ed aggressivo: era quasi sul punto di scoppiare con violenza. Il Mulla se ne stava però seduto in silenzio e ascoltava. All’improvviso la moglie si voltò verso di lui e gli disse: E così, hai ancora da ridire, vero? Il Mulla rispose: Ma se non ho aperto bocca! Lo so, rispose la moglie, ma stai ascoltando in modo molto aggressivo.
= Umiltà è termine che deriva da humus, terra.
L'umiltà è la zolla feconda che può fecondare qualsiasi seme; è la capacità neutra di far germogliare qualcosa (anche erbaccia).
= La saggezza unita all'umiltà fa germogliare qualcosa che arricchisce l'umanità.
= Cos'è la saggezza senza umiltà?
Su questo argomento non è mai sottolineata abbastanza questa affermazione di Alan Watts: Non c'è niente di più ostentato di una umiltà premeditata.
La finzione dell'umiltà è spesso una maschera ben coltivata per nascondere molto in profondità il senso dell'ego. Il falso moralismo, religioso e psicologico ne fa uso a piene mani, confondendo molti ricercatori sul valore effettivo di questa sana virtù che, per essere autentica, spontanea e non mera apparenza, implica la non identificazione con l'ego.
= Gesù era umile. Anche Dio è umile perché ha avuto e ha tanta pazienza con noi. E l’umiltà di Dio si manifesta nell’umiltà di Gesù.
= Bisogna fare chiarezza sul significato della parola umiltà: Qualcuno crede che essere umile è essere educato, cortese, chiudere gli occhi nella preghiera...
= La chiave interpretativa l’ha fornita Papa Francesco: C’è un segno, un segnale, l’unico: accettare le umiliazioni. L’umiltà senza umiliazioni non è umiltà. Umile è quell’uomo, quella donna, che è capace di sopportare le umiliazioni come le ha sopportate Gesù, l’umiliato, il grande umiliato.
Quindi umiltà non è soltanto essere quieto, tranquillo. No, no. Umiltà è accettare le umiliazioni quando vengono, come ha fatto Gesù. Il cristiano è chiamato ad accettare l’umiliazione della croce, come Gesù che è stato capace di custodire il germoglio, custodire la crescita, custodire lo Spirito.
Non è cosa semplice e immediata. Il Pontefice a riguardo ha ricordato di aver sentito una volta una persona che scherzava: Sì, sì, umile, sì, ma umiliato mai!. Uno scherzo, ma, ha commentato il Papa, uno scherzo che toccava un punto vero. Infatti sono molti coloro che dicono: Sì, io sono capace di accettare l’umiltà, di essere umile, ma senza umiliazioni, senza croce.
Terminando la meditazione, Francesco ha così riassunto il suo pensiero del giorno: Come so se sono umile? Se sono capace, con la grazia del Signore, di accettare le umiliazioni. E ha invitato a ricordare l’esempio di tanti santi che non solo hanno accettato le umiliazioni ma le hanno chieste: Signore, mandami umiliazioni per assomigliare a te, per essere più simile a te.
E— ha concluso — ci dia questa grazia di custodire il piccolo verso la pienezza dello Spirito, di non dimenticare la radice e accettare le umiliazioni.


   PERSONALE

Io, mio Dio, non mi propongo di essere umile, tanto meno chiedo umiliazioni. Imploro soltanto la verità di me stessa. Non mi preoccupo nemmeno di irradiare il bene. Mi affido a Te, vero 

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