venerdì 31 ottobre 2014

COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI - 2 novembre
preceduta dalla festività di Tutti i Santi
I testi

Gb 19,1-23
Rispondendo Giobbe prese a dire: «Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre s’incidessero sulla roccia! Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso,i miei occhi lo contempleranno e non un altro».

Sal 26
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.

Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.

Rm 5,5-11
Fratelli, la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.

Gv 6,37-40
37 In quel tempo, Gesù disse alla folla: Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori,
38 perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
39 E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
40 Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

Introduzione

- Siamo quasi al termine di un anno liturgico e fra tre settimane inizierà l’Avvento di uno nuovo.
- La società secolare si sta preparando per la festa di Halloween, che ebbe origine in epoca pre-cristiana tra i popoli celtici di Gran Bretagna, Irlanda e Francia settentrionale. Questi popoli pagani credevano che la vita nascesse dalla morte, e quindi celebravano l’inizio del nuovo anno in autunno, quando, cominciando la stagione del freddo e del buio, ricorre più facilmente il pensiero del decadimento e della morte; allora, per reazione, celebravano una festa di carattere orgiastico, in modo da propiziare la fecondazione e quindi la vita.
- La Chiesa ha cristianizzato questa memoria, facendola precedere dalla celebrazione della festa dell’Ognissanti (=tutti i santi), quasi a voler proiettare sulla morte temporale la Vita oltre il tempo senza fine. Punto di riferimento è la fede pasquale nel Cristo.
- I santi sono i glorificati che la liturgia celebra attraverso la lettura delle Beatitudini. Il termine santo deriva dal latino sancire, decretare: cosa che fa la chiesa cattolica attraverso un processo di verifica sulle virtù eccezionali praticate (confermate dai miracoli). [Ma si dovrebbero educare i credenti a riflettere che santo è chi risponde al disegno di Dio quando creò l’essere umano a sua immagine].
- La memoria dei morti è per i cristiani un modo per ricordare che la morte è soltanto un passaggio, una pasqua, un esodo da questo mondo al Padre.
- E vero, nel ricordo di chi vive ci sono anche i morti la cui vita è stata segnata dal male; ma c’è come un istinto del cuore che chiede di onorare tutti: e perciò la preghiera per i morti è un atto di autentica intercessione, di solidarietà con i perdonati, memori della preghiera di Gesù: “Padre, che nessuno si perda… che tutti siano uno!”.

Veloce sguardo d’insieme sui testi

Nella prima lettura Giobbe, sentendo che ormai i suoi giorni vengono meno, afferma di avere una speranza nel cuore, che lo proietta al di là del sepolcro, nella visione di Dio.
Nel salmo 26 l’autore canta con gioia che solo il Signore è luce, salvezza e vita.
Nella seconda lettura Paolo afferma che l’essere umano non può rifiutare di sperare. Pertanto invita a resistere alle angosce e alle incertezze perché l’amore di Dio è infinito. Il fondamento della speranza cristiana sta nella prova di amore che Cristo ha dato sedendo a tavola con i peccatori, facendo comunione con loro e, soprattutto, morendo in croce.
Nel passo del vangelo di Giovanni c’è il proseguimento dell'episodio della moltiplicazione dei pani. In quella occasione Gesù parla della Vita nuova che è venuto a inaugurare.

Analisi di Gv 6,37-40

37 In quel tempo, Gesù disse alla folla: Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori,
Gesù ribadisce il suo riferimento al Padre che ha posto tutto nelle sue mani. Il neutro pan (= tutto), in luogo del plurale tutti coloro che, sottolinea l’unità, l’insieme formato da coloro che lo seguono e perciò partecipano ai doni che il Padre profonde su di lui.
38 perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
Come già in 3,13 l’espressione “disceso dal cielo” non deve essere intesa in senso spaziale; denota la discesa dello Spirito su Gesù, il quale, aderendo alla volontà divina, ha reso tutti figli dello stesso Padre.
39 E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
E’ la prima volta che appare l’espressione l’ultimo giorno che nell’intero discorso si ripete con insistenza. Ha un significato preciso: è il giorno in cui termina e si porta a compimento la creazione con la morte e risurrezione di Gesù; e perciò è il giorno in cui si celebrerà il trionfo finale sulla morte di tutti i credenti.
40 Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Giocando sul doppio riferimento, al presente (nel tempo) e al futuro (nella morte), l’evangelista vuole mostrare che la morte di Gesù sarà il vero ultimo giorno, il grande giorno della festa, quando sarà possibile a tutti accedere alla vera Vita. Concedendo la risurrezione con il dono dello Spirito, Gesù mostra che la realizzazione finale dell’essere umano non è mero prodotto del processo storico, bensì espressione di una comunione tra il credente e Cristo nel comune Padre.

Considerazioni in ordine sparso

- Quella che noi instauriamo con i nostri cari defunti è una relazione di comunione che si realizza nella preghiera. Karl Rahner la compendia con questa implorazione: Signore, dona loro, dopo la battaglia della vita, la pace eterna e la tua luce perpetua risplenda ad essi ed anche a noi: ora come luce della fede, e poi, nell'eternità, come luce della vita beata [=piena].
- La relazione con i defunti, non nella forma banale dell'evocazione di presunti contatti, ma semplicemente nella fede alimentata dalla preghiera e dalla carità, aiuta a percorrere il presente nella prospettiva di essere compartecipi dello stesso destino di gloria e di risurrezione di Cristo.
- Un esegeta avanza una ipotesi audace: si dovrebbe inventare un nuovo termine a posto di risurrezione; perché non si tratta di ri-sorgere (=sorgere una nuova volta), ma di portare a compimento la vita, sganciandola dalla morte.
- La morte, sorella morte, è una porta attraverso cui si raggiunge la dimensione profonda della vita. Bene ha espresso questo concetto una suora pochi minuti prima di spirare: “ora capisco perché sono nata”.
- Sant'Agostino afferma che Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, sono solo degli invisibili.
- Sarebbe cosa migliore parlare, non di immortalità dell’anima, ma di fede nel Dio che ci ha donato la vita piena, di cui Cristo è prototipo e battistrada.
- Il pensiero dei defunti è un salutare richiamo per  i vivi a misurare la fragilità e il rapido flusso delle cose, delle persone e degli avvenimenti, a maturare la sapienza del cuore ed a compiere opere buone.
- Come definire la cultura odierna? Cultura della vita, o cultura della morte? Certamente la morte è tabuizzata in un deludente avvinghiarsi ad una vita che cammina inevitabilmente verso la fine.  
- Diceva il saggio Petit Prince: l'essenziale è invisibile agli occhi.
- La nostra esperienza esistenziale consiste nello scoprire le regole del gioco, il tesoro nascosto, come un feto che cresce per essere poi partorito nella dimensione della pienezza.
- Interessante il richiamo a Giobbe della prima lettura. Mi piace ricordare (al di là del passo liturgico) che egli non si rassegna alle terribili prove a cui è sottoposto e prega attraverso… invettive disperate; infine, quando si pente, non riconosce né confessa colpe mai commesse, ma dà corso ad un dialogo nutrito finalmente di ascolto; da allora non chiede spiegazioni; si lascia inondare dalla Sapienza. E’ bello che un eroe come Giobbe non si arrenda per paura o per esaurimento, per sconfitta o per errore; che ritrovi, piuttosto, il senso di tutto oltre il tutto.


venerdì 24 ottobre 2014

DOMENICA XXX T.O. anno A

DOMENICA XXX T.O. anno A

1) I testi

Es 22,20-26
Così dice il Signore: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso».

Sal 17 (18 nella Vulgata)
Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia,
mia fortezza, mio liberatore.

Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.
Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.

Viva il Signore e benedetta la mia roccia,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato.

1Ts 1,5-10
Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia. Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

Mt 22,34-40
In quel tempo, 34 i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36 “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?” 37 Gli rispose: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti.

2) Veloce sguardo d’insieme

Questa domenica è posto al centro del vangelo e delle altre letture il comandamento grande dell’amore, unico nel suo essere comprensivo di due: Dio e il prossimo.
Es 22,20-26
Basta leggere il passo della prima lettura per incontrare un Dio che vuole essere amato nel più debole: la vedova o l’orfano, l’indigente che  ti chiede un prestito o di cui hai in pegno il mantello per la sua pelle. Egli, presente nei bisognosi, assicura: quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso.
Sal 17
La tradizione più autentica attribuisce questo salmo a Davide che l’avrebbe scritto quando fu liberato da molte peripezie, tra le quali quelle causategli da Saul. E’ un canto di gioia riconoscente verso il Signore perché non è stato indifferente al suo grido di aiuto e gli ha offerto il rifugio sicuro del suo amore; un canto nutrito di fede e di certezza della vittoria anche per il futuro: Invoco il Signore, degno di lode e sarò salvato dai miei nemici. Egli, infatti, è fedele al suo consacrato (il Messia sarà considerato sempre discendente di Davide, e perciò consacrato come lui).
1Ts 1,5-10
Paolo invita la comunità di Tessalonica a perseverare nell'accogliere il suo insegnamento e il suo esempio di vita perché continui ad essere di esempio alle altre Chiese. Il cristiano deve convincere più con l'esempio che con le parole.
Mt 22,34-40
La pagina evangelica pone in stretto rapporto la Scrittura e l’amore. La Scrittura che chiede di amare Dio con tutto se stessi e il prossimo come se stessi si compie nell’amore fattivo e concreto; la prassi dell’amore è compimento della Scrittura, è esegesi esistenziale. Il contenuto della pagina ha lo stesso schema dello Shema' Isràel (Ascolta, o mio popolo), che ogni Israelita ripete tre volte al giorno come suo credo.

3) Analisi di Mt 22,34-40

Matteo non registra alcuna reazione alle polemiche suscitate contro Gesù, anzi lo presenta al contrattacco con un crescendo di presa di distanza da coloro i quali ostentavano la loro religiosità, ma erano lontani dal bene del popolo e dall’amore di Dio.
In quel tempo, 34 i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme
Per far fronte al nemico comune, i farisei si coalizzano con gli sconfitti sadducei, mettendo da parte le loro rivalità.
35 e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova:
Questa volta ad interrogare Gesù è un dottore della Legge che probabilmente aveva colto la novità dell'insegnamento di Gesù. Risulta difficile capire come e perché la domanda sul comandamento principale della Legge potesse metterlo alla prova; la cosa, tuttavia, si capisce senza difficoltà se si tiene conto del fatto che i rabbini di Israele contavano nella Torah (la Legge) fino a 248 precetti e 365 proibizioni, ed era difficile raccapezzarsi per coglierne l’essenzialità.
36 “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”
Per la terza ed ultima volta gli interlocutori si rivolgono a Gesù chiamandolo Maestro. Ma essi mirano, anziché ad apprendere a lui, a controllare le sue idee religiose.
Secondo le tesi prevalenti nelle scuole rabbiniche il comandamento più importante era l’osservanza del riposo del sabato, richiamandosi a Gen 2,2-3, dove si narra che Dio, terminata la Creazione nel settimo giorno, cessò ogni lavoro. Gesù, invece, risponde non con le tavole di Mosè, ma rifacendosi allo Shemà Israel.
37 Gli rispose: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.
Matteo si rifà al Deuteronomio dove si legge: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. Queste parole, che ti ordino oggi, saranno sul tuo cuore: le ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando siederai in casa tua e quando camminerai per strada, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Parlando di cuore, anima, mente, si indicano tre elementi spirituali simili, cioè le energie spirituali e psichiche.
38 Questo è il grande e primo comandamento.
La domanda dell’esperto nella Legge concerne un solo comandamento, il più importante (lett. il grande).
39 Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso.
Gesù non si limita a rispondere ripetendo alla lettera la Legge contenuta nel Deteuronomio; cita anche il testo del Levitico. L’aggettivo simile, in greco ómoios, indica una rassomiglianza forte: nel prossimo si riconosce la propria immagine, la quale, in ultima analisi, è immagine di Dio.  
40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti.
Legge e Profeti, quindi tutta la Bibbia, dipendono (da kremannymi, verbo che evoca l’immagine di oggetti appesi ad un chiodo) dal duplice comandamento dell’amore. L’originalità della risposta di Gesù sta nell’accostare, nel rendere inseparabili, i due comandamenti.

Considerazioni personali in ordine sparso, che vogliono stimolare quelle di chi legge

- Un apoftegma dei padri del deserto narra che Serapione, incontrato un giorno un povero intirizzito dal freddo, si sia denudato per coprirlo con il proprio abito e che, incontrato un uomo che veniva condotto in prigione per debiti, abbia venduto il suo vangelo per pagare il suo debito e sottrarlo alla prigione. Tornato nella sua cella nudo e senza vangelo, a chi gli chiese: “Dov’è il tuo vangelo?”, rispose: “Ho venduto colui che mi diceva: ‘Vendi quello che possiedi a dallo ai poveri’”.
- Il primato di Dio è il grande orizzonte della vocazione del credente, ma, nei fatti, può ridursi a una povera cosa: per amare Dio senza illusioni, si deve dimostrarlo amando il prossimo; la più alta elevazione di carattere mistico rischia, senza la concretezza dell’attenzione ai più deboli, l'impoverimento spirituale.
- L'amore più difficile ed eroico è quello per chi ci vive accanto; è amore dell’accudire, del prendersi cura delle persone con le quali si vive gomito a gomito, o anche incontrate in maniera significativa e spesso messe nel dimenticatoio. E’ amore esigente e scomodo nel suo essere di routine e quindi logorante. In confronto è più facile, perché più appagante, spendersi in varie forme di volontariato, e perfino nella vita dedicata eroicamente al servizio degli altri.
- Mi provoca una sensazione di fastidio la retorica dell’insistente e suadente invito televisivo (da parte di giornalisti, di persone dello spettacolo o importanti per collocazione sociale a contribuire) per raccolte varie a vantaggio di tanti lontani che soffrono gravissimi disagi o sono malati incurabili. Trovo stridente il contrasto delle loro parole con la realtà del personaggio che incarnano.
- L'amore vero è una realtà forte, inflessibile, scomoda; pervade tutta la vita senza fanatismi (oh la mia mamma che ogni domenica, dopo aver servito il pranzo alla numerosa famiglia, indossava lo scialle ed andava a trovare i malati soli o terminali!).
- Amore degli altri e amore di sé sono spesso contrapposti come ciò che è virtuoso a ciò che è peccaminoso. In realtà, amare gli altri come se stessi implica la capacità di sviluppare e nutrire un sano amore di sé, altrimenti si corre il rischio di un altruismo nevrotico. Siamo chiamati ad amare nella concretezza di ciò che siamo, non di ciò che vorremmo essere.

- Come è possibile comandare di amare? Sì, se il comando diviene grazia, se lo sta-scritto diviene relazione umana.

venerdì 17 ottobre 2014

DOMENICA XXIX T.O. anno A

I testi

Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: Io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Per amore di Giacobbe, mio servo, e d'Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c'è alcun altro, fuori di me non c'è dio; ti renderò pronto all'azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall'oriente e dall'occidente che non c'è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n'è altri.

Sal 95 (96)
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie. Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore invece ha fatto i cieli. 

Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Portate offerte ed entrate nei suoi atri.

Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine.

Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicési che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace. Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l'operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione.

In quel tempo, 15 i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17 Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare? 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19 Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?. 21 Gli risposero: Di Cesare. Allora disse loro: Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.

Alcune sottolineature sui 4 testi

Il senso profondo che emerge in tutti e quattro i testi è l’unicità di Dio contro ogni idolatria. 1) Isaia
Il passo che leggiamo è collocato nella seconda parte del libro di Isaia, normalmente chiamata Deuteroisaia. Va inquadrato nel periodo storico della fine dell’esilio babilonese e del ritorno dei giudei nella terra promessa. Tale svolta epocale veniva attribuita all’opera del re persiano Ciro, il quale con le sue vittorie sull’impero babilonese aveva ottenuto il controllo della Siria e della Palestina. Per questi suoi meriti Dio, per bocca del profeta, chiama Ciro eletto; termine che deriva dall’ebraico maschia (=messia) e competeva al re di Giuda in quanto consacrato con l’unzione regale. La frase Io l'ho preso per la destra  (utilizzata anche per il Servo di JHWH) indica, più che un atteggiamento protettivo, la forza stessa del Signore che diventa la forza di Ciro.
Nell’economia dell’oracolo, l’esaltazione di Ciro tende a mettere in primo piano JHWH che sconfigge gli altri dei: Io sono il Signore, non ce n'è altri.
2) Salmo 95
Probabilmente è stato scritto poco dopo la costruzione del tempio di Salomone, prima che avvenisse lo scisma delle tribù del nord.
E’ un invito a sciogliere un canto nuovo inneggiante alla liberazione degli abitanti di tutta la terra: la ripetizione dell’aggettivo tutto si contrappone al nulla a cui sono ridotti tutti gli dèi dei popoli.
La frase finale, il Signore regna, è esortazione a riconoscere la sovranità di Dio attraverso l’atto di un’umile adorazione: Prostratevi al Signore nel suo atrio santo; infatti solo lui giudica i popoli con rettitudine. Il che significa: solo da Lui proviene il governo che può assicurare l’avvento della giustizia tra i popoli.
3) Tessalonicesi
Paolo suole incominciare le sue lettere con un rendimento di grazie a Dio per i beni spirituali di cui considera partecipi coloro ai quali scrive.
In questa sua prima lettera non fa difetto di ringraziamenti per le buone notizie recategli da Timoteo circa la giovane chiesa di Tessalonica, fervente ma esposta ad intimidazioni. Gli preme far conoscere ad essa i suoi sentimenti e la sua aspirazione a confermarla nelle buone disposizioni che dimostra di avere. I nemici avevano dipinti i tessalonicesi come inaffidabili, ma egli (Paolo) non dimentica che essi l’avevano accolto con fede profonda, ed ora confida che, forti degli insegnamenti ricevuti, ma soprattutto della potenza dello Spirito Santo, saranno capaci di resistere all'urto della persecuzione.
4) Matteo
Il vangelo mostra la relativizzazione delle autorità umane. Se l’autorità statale può esigere tasse e tributi, e ad essa va accordato il giusto rispetto, a Dio va riservato quel che conta di più. Al centro dell’economia di un qualsiasi Cesare c’è la produttività e il denaro, al centro dell’economia di Dio c’è l’essere umano, la sua libertà. L’immagine che ognuno di noi porta è l’immagine di Dio, non stampata su una moneta, ma impressa nel cuore e nella coscienza.

Analisi del testo di Matteo

15 [In quel tempo], i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi.
I farisei reagiscono alle parabole di Gesù, radunandosi in consiglio per escogitare un piano contro di lui che rappresenta un pericolo da eliminare. Dal momento che lui agisce come Maestro, occorre tendergli una trappola per coglierlo in contraddizione in modo da fargli perdere la popolarità tra la gente.
16 Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno.
I farisei si servono dei loro discepoli e degli erodiani (collaboratori dei romani, ne costituivano il braccio armato). Essi si rivolgono a Gesù con ossequiente linguaggio curiale chiamandolo maestro, titolo quasi sempre in bocca ai suoi avversari. Nel formulare la loro domanda lodano il suo coraggio e libertà nel manifestare il proprio pensiero, e in tal modo non si accorgono di riconoscere in lui la dote più importante: insegnare la via di Dio secondo verità.
17 Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?
Solitamente il pio giudeo poneva questioni vitali al rabbino, che doveva saper rispondere. Qui la richiesta che era stata preceduta da  adulazione si trasforma subito in un ordine imperativo: dicci (eipè ûn hēmîn); vogliono che Gesù si schieri pro o contro il potere romano. Cesare è il titolo dato ad ogni imperatore romano; in questo caso indica Tiberio. Non chiedono a Gesù un semplice parere, bensì di definire in modo autorevole la questione riguardante la legge del tributo a Cesare: è lecito?.
La trappola è ben congegnata: qualunque sia la risposta che Gesù darà questa gli verrà ritorta contro: se Gesù è favorevole al pagamento delle tasse all’imperatore romano, pagano idolatra, verrà meno a quanto prescritto nel Libro del Deuteronomio: Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Oltre a contravvenire alla Legge, la risposta di Gesù sarebbe stata un riconoscere la legittimità dell’occupazione: cosa che gli avrebbe alienato le simpatie di quanti vedevano in Lui il liberatore dal giogo dei romani (di conseguenza gli erodiani avrebbero assicurato il suo arresto).
18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?
Gesù non risponde alle loro richieste, ma li attacca con una pesante accusa: la domanda non era mirata all’apprendimento, ma dettata dalla loro malvagità (ponērían), termine che appare unicamente qui in tutto il vangelo e che significa propriamente ipocrisia.
19 Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un denaro.
20 Egli domandò loro: Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?.
Ancora una volta Gesù non risponde con teorie ma attraverso esperienze pratiche e chiede che siano loro stessi a rendersi conto di quello che stanno chiedendo.
Per la comprensione dell’episodio occorre sapere che nel “denaro” (d’argento) da essi presentato l’imperatore viene raffigurato come un dio: la divinità era confermata dall’iscrizione: Tiberius Caesar Divi Augusti Filius Augustus; e nel retro, Pontifex Maximus. Gli avversari hanno in tasca del denaro a disposizione, con l’effigie dell’imperatore, senza curarsi della sacralità del luogo (area del Tempio). La moneta è simbolo del potere dominante (dove arrivavano le monete dell’imperatore arrivava il suo dominio); portandola con sé i farisei e gli erodiani dimostrano chi è il loro vero signore.
21 Gli risposero: Di Cesare. Allora disse loro: Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
La tentazione riformula quella del tentatore nel deserto quando il diavolo condusse Gesù su un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria dicendogli: tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai. Gesù – come allora nel deserto – rivendica l’unicità di Dio: vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto.
Gesù non risponde con il loro verbo dare-pagare, ma con un altro, dwmi, che significa restituire; Il denaro è dell’imperatore, ma la vera signoria è di Dio. Globalmente il senso è: date all’imperatore tributi e tasse purché diate a Dio, e a Dio solo, quello che gli appartiene e cioè l’adorazione e il culto.

Riflessioni in ordine sparso  - [fatele anche voi!]
- In Pakistan il 16 ottobre l’Alta Corte di Lahore ha confermato la sentenza di primo grado del 2010: Asia Bibi deve morire. La donna, che ha cinque figli, è una contadina cristiana accusata di essere una bestemmiatrice, in quanto contaminata per infrangere con l’adesione al cristianesimo, le regole della religione islamica. Si tratta di un fatto raccapricciante che tristemente si ripete nella storia e nel mondo a tutti i livelli.
- Il cesare di turno lo troviamo anche a livello privato, nella vita di ogni giorno: sono tanti coloro che schiavizzano o eliminano il “prossimo” (=il più vicino!), nel rapporto ingiustamente sbilanciato uomo-donna, forte-debole…
- Il contesto dell'Evangelo ruota sulla domanda: a chi ubbidire? Quale è autentica autorità? Gesù non rifiuta l'autorità, ma relativizza quella umana. Spesso le nostre appartenenze sono ideologiche in maniera aberrante; spesso aduliamo le nostre opinioni e proviamo raccapriccio per le colpe altrui, senza guardare all’assassino (sic) che si nasconde in noi.
- Il canto nuovo del Salmo mi fa pensare a che cosa sia la novità: la riteniamo facilmente un semplice cambiamento [come il cambiamento infinito di look, soprattutto da parte delle donne, in TV]; invece, la vera novità è freschezza spirituale, è creatività, è tocco divino. Siamo ridicoli quando, per apparire nuovi, seguiamo le mode del momento (anche nell’uso dei termini): le mode annullano la novità, sono delle uniformi!
- Ancor oggi un moralismo spietato ci fa considerare più  peccaminoso un non corretto comportamento sessuale (certamente da non incoraggiare), anziché partecipare alle guerre, non pagare le tasse, comportarsi in maniera irrispettosa nei riguardi dell’ambiente, e mille altre cose che contribuiscono a rendere la polis invivibile…
- Di sicuro l’immagine di Dio non è sulla moneta, Dio non è di compravendita; è nella nostra coscienza, ed esige l’amore.
- Ciò che è di Dio è anche, propriamente, dell’essere umano. E rendere a Dio ciò che è suo implica anche il compito di divenire la propria umanità, di umanizzare il mondo.

venerdì 10 ottobre 2014

DOMENICA XXVIII T.O. anno A

I testi

Is 25,6-10
Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».
Sal 22
Il Signore è il mio pastore: / non manco di nulla. / Su pascoli erbosi mi fa riposare, / ad acque tranquille mi conduce. / Rinfranca l’anima mia. // Mi guida per il giusto cammino / a motivo del suo nome. / Anche se vado per una valle oscura, / non temo alcun male, / perché tu sei con me. / Il tuo bastone e il tuo vincastro / mi danno sicurezza. /// Davanti a me tu prepari una mensa / sotto gli occhi dei miei nemici. / Ungi di olio il mio capo; / il mio calice trabocca. /// Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita, / abiterò ancora nella casa del Signore / per lunghi giorni.
Fil 4,12-14.19-20
Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. 
Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli.

Mt 22,1-14
In quel tempo, 1 Gesù, riprese a parlare con parabole (ai capi dei sacerdoti e ai farisei) e disse: 2 II regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4 Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: Dite agli invitati: "Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!". 5 Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7 Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Poi disse ai suoi servi: "La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze". 10 Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11 Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. 12 Gli disse: "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?". Quello ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti". 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti.

1- Sguardo d’insieme

- Tutti i testi hanno il loro perno nel verbo greco kaleo, che significa chiamo.
Chi chiama e chi sono i chiamati? I testi odierni lo indicano attraverso un gesto simbolico di grandissima portata: l’invito del padre al banchetto nuziale del figlio. Il padre, figura di Dio, è il protagonista che chiama, e i chiamati non sono persone privilegiate perché “scelte da Dio”, ma coloro che, a qualsiasi categoria appartengano, accettano l’invito.
- ISAIA descrive in maniera celebrativa la prospettiva escatologica, cioè l’ultimo atto della storia, quando Dio distruggerà il male e farà trionfare il bene. Usa l’immagine del monte per raffigurare Dio nell’atto di esporsi dinanzi al popolo affinché tutti lo possano vedere, dal momento che la posta in gioco è fondamentale: Egli eliminerà (letteralmente, “divorerà) la morte per sempre. Il passo sarà ripreso nel vangelo di Matteo.
- L’orante del SALMO 22 ha fatto l’esperienza di essere guidato dal Signore in mezzo alle difficoltà tesegli dai nemici; e riconosce che ad agire in lui non sono i suoi meriti, bensì la misericordia di Dio a motivo del suo nome, cioè perché lo vuole Lui (il nome  nel mondo biblico è l’essenza della persona).
La consapevolezza che Dio lo ama per primo gli dà una grande fiducia, cosicché, se dovesse camminare per una valle oscura, simbolo di ogni situazione difficile, non temerebbe le incursioni di briganti o di persecutori. Dio, buon Pastore, lo difende con il suo bastone e lo guida dolcemente con il suo vincastro (quella piccola bacchetta con cui i pastori indirizzano il gregge). Ed ecco il simbolo del banchetto: Davanti a me tu prepari una mensa : se ne accorgano i suoi baldanzosi nemici i quali pensano di averlo ridotto disperato fuggiasco; ungi di olio il mio capo, in modo da rendere lucenti i capelli e quindi bello e fresco l’aspetto; il mio calice trabocca, perché essere sotto la protezione di Dio è vivere nella pienezza dell’amore!
- PAOLO nella sua lettera ai Filippesi, definita "lettera della gioia" anche se scritta dalla prigione, non insiste sulla metafora matrimoniale, ma attraverso la frase Tutto posso in colui che mi dà forza, testimonia una relazione così forte con Dio che può essere espressa nei termini sponsali.
- MATTEO: negli anni 80 d.C. il redattore del suo vangelo si trovò di fronte ad un testo, tramandato dapprima oralmente e poi per iscritto. La sua comunità, composta di convertiti a Cristo intolleranti con chi non accettava Gesù come Messia, era troppo fiduciosa in se stessa e quindi poco impegnata, nella illusione di possedere l’elezione, intesa come una sorta di cambiale per il Regno (luogo della Vita senza morte). Egli (il redattore) decise allora di attualizzare la parabola aggiungendo il secondo racconto relativo all'abito nuziale, dove si riflette l'uso del tempo di fornire una veste adeguata al banchetto ad invitati che tornavano, impolverati e in disordine, da lunghi viaggi: il fatto che alcuni ne siano colpevolmente privi riporta al simbolismo dell’indossare abiti di giustizia e del fare corrispondere alla professione di fede la produzione di opere di bene.

2- Analisi del testo di Matteo

La parabola dei vignaioli assassini di cui parla Matteo nel cap. 21 aveva scatenato contro Gesù l’ira dei sommi sacerdoti e dei farisei, i quali avevano capito che parlava di loro e perciò cercavano di catturarlo. Di fronte a questa minaccia Gesù non solo non indietreggia ma carica la dose in modo polemico.
La parabola è giocata sulla dialettica tra dono e responsabilità.
In quel tempo, 1 Gesù, riprese a parlare con parabole (ai capi dei sacerdoti e ai farisei) e disse: 2 II regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio.
Questa volta è  un re a celebrare la festa di nozze del figlio con un vistoso banchetto. Modellato sul testo di Isaia, il paragone sottolinea la dimensione della gioia, della convivialità e della comunione, voluta da Dio per coloro che riconoscono il suo Amore misericordioso .
Sono evidenti le allusioni, espresse per bocca dei profeti, con l’immagine delle nozze: simbolo all’alleanza di Dio, Re di Israele, con il suo popolo.
3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Col termine servi sono indicati tutti coloro che dipendono dal re, i suoi ministri e i suoi funzionari. Il rifiuto è elemento che evidenzia la tenacia di Dio nel richiamare il suo popolo.
4 Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: Dite agli invitati: "Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!".
La descrizione rimanda al libro dei Proverbi dove la Sapienza invita al banchetto usando termini analoghi.
5 Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari;
Uno dei nemici più insidiosi e diffusi della fede, più temibile anche dell’ateismo e dell’opposizione aperta, è l’indifferenza. Le giustificazioni addotte sono legate al proprio interesse: campo, commercio, affari; quindi ciò che procura guadagno. L’analogia è con gli osservanti, incapaci di concepire un Dio che vuole fare festa (di sua natura improduttiva dal punto di vista materiale).
6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.
L’azione degli invitati corrisponde intenzionalmente a quella dei vignaioli, letta la scorsa domenica.
7 Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
La risposta adirata del re bisogna considerarla secondo il linguaggio della parabola, che non è quello di un racconto storico. Nell’A.T. si usavano immagini simili quando si voleva descrivere l’intervento di Dio contro i suoi nemici o contro una città ribelle.
8 Poi disse ai suoi servi: "La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni;
L’allegoria è che il Regno di Dio annunziato da Cristo, rifiutato dai capi e dalla casta sacerdotale, sarà per tutti, come si afferma nel versetto seguente.
9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
I crocicchi erano in realtà gli incroci delle strade: il termine greco indica la fine delle strade urbane, là dove iniziano i sentieri; quindi i servi devono uscire dalla città e raggiungere i confini del regno. La ricerca degli sconosciuti è sottolineata affinché la comunità di Matteo si aprisse verso tutti.
10 Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il verbo tradotto con radunare è il greco sunagoghé, da cui deriva il termine sinagoga. L’intenzione dell’evangelista è evidente: la nuova sinagoga di Dio è la chiesa.
E’ da notare che i cattivi sono posti al primo posto, come nel discorso della montagna dove si afferma: egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni.
11 Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale.
I temi delle nozze e dell’abito si ritrovano nel libro dell’Apocalisse.
In oriente il re regalava ai convitati anche l'abito nuziale, senza specificare che dovesse essere dato soltanto ai buoni.
L’assenza di abito nuziale è indizio ben più grave di una semplice carenza di educazione; è la privazione di quelle opere e qualità morali che possono ammettere al Regno di Dio e al suo banchetto. Non è sufficiente la vocazione a un compito, bisogna anche adempierlo con fedeltà e impegno così da diventare eletti: termine che non significa privilegiati, bensì ammessi alla festa finale. 
12 Gli disse: "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?
Il termine Amico nel vangelo di Matteo appare tre volte e sempre in senso negativo. Nella bocca del re questo appellativo sottolinea l’aspetto benevolo e la gratuità del re (Dio) contro l’ingratitudine dell’invitato.
13 Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti".
Questa scena finale, piuttosto sconcertante, ispirata alla terribile distruzione di Gerusalemme e del tempio ad opera dei Romani nel 70 d.C., è introdotta solo da Matteo, e alcuni studiosi pensano persino che si tratti di un’altra parabola “incollata” a quella del banchetto nuziale, nota anche a Luca.
In essa Matteo vuole ammonire la sua comunità perché riaffermi la fedeltà al messaggio di Cristo.
Le tenebre esterne sono immagine di una realtà priva di futuro, dove si fa sentire la frustrazione per aver perso una occasione unica. L’immagine è tipica nel linguaggio biblico rabbinico, per indicare il fallimento della propria esistenza.
14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti.
La frase finale inizia con un’immagine positiva: molti (=un semitismo che significa tutti) sono chiamati alla proposta di Vita con Dio.

Poche serie considerazioni

- Bella la sottolineatura della presenza di buoni e cattivi nella sala: la salvezza è offerta a tutti (non sentiamoci migliori di nessuno).
- Poniamoci qualche domanda su quale atteggiamento assumiamo di fronte all´invito di partecipare al Regno della vera Vita. A quale gruppo di invitati somigliamo? agli indifferenti? a chi non ha tempo per chi ha bisogno perché guarda solo ai suoi bisogni? in quale Dio crediamo, nel Dio dei castighi o in quello che invita alla festa e alla gioia? o non crediamo concretamente in nessun Dio?
- In questo nostro tempo splendido e confuso non ci accorgiamo che l’esistenza a cui siamo ciecamente attaccati è un frammento di eterno colmo di inviti, se abbiamo un cuore in grado di accogliere e di condividere.
- L'invito alla convivialità è invito a passare dall'economia delle cose all'economia delle persone, a trovare il tempo per chi incontriamo nel nostro percorso di esistenza, per Dio, per la vita interiore.