venerdì 30 novembre 2012

Vangelo 2 dicembre


2 dicembre 2012 I DOMENICA DI AVVENTO Anno C
Geremia 33, 14-16; 1Tessalonicesi 3, 12-4,2
Luca 21, 25-28. 34-36
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 25 "Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti; 26 mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27 Allora vedranno il Figlio dell' uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. 28 Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina ". 34 "State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, e che quel giorno non vi piombi addosso all' improvviso; 35 come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. 36 Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.
NELL’ANTICA ALLEANZA
Nei conflitti tra popoli e relativi poteri dominanti tra cui si era dispiegata la storia di Israele, spesso si giungeva a momenti culminanti di trapassi e di cambiamenti radicali, vissuti nell’angoscia della fine di tutto. Per far fronte a questa, che il potere religioso avvertiva come destabilizzante, era stata via via elaborata una sistemazione legislativa e normativa in contrasto con l’insistente serpeggiante ricorso all’idolatria tra gli oppressi, quale ancoraggio a divinità surrettizie, prossime e tangibili. Eppure Dio si era rivelato più volte attraverso dei portavoce dell’attesa, i profeti. Essi resistettero sia agli acquietamenti imposti dal potere religioso, sia ai facili diffusi ed illusori acquietamenti offerti dall’idolatria. Si sentivano chiamati, in maniera laboriosa e sofferta, ad infondere nelle menti e nei cuori del popolo ‘eletto’ una prospettiva di attesa, sostanziata di fiducia nelle promesse di un Dio il quale si era più volte manifestato e continuava ad essergli segretamente ‘accanto’. Da qui l’attesa della venuta (=avvento) di un liberatore, chiamato Messia, Cristo in lingua greca, Figlio dell’Uomo (cioè essere umano nella compiutezza) o Figlio di Dio (termine equivalente al precedente). Restava immutato nello sfondo lo scenario apocalittico, espresso in termini che utilizzavano simbolicamente fenomeni catastrofici di carattere geografico e cosmico; ma il senso dell’attesa di un messia-che-ritorna costituiva il filo rosso che attraversava la storia.
IN LUCA
Ai tempi in cui Luca scriveva la città santa era stata distrutta e i suoi abitanti erano stati dispersi. La diffusione della buona novella entrava in un altro terribile vortice: la divergenza col mondo pagano, presso il quale l’adventus significava la venuta e l’accoglienza ad un nuovo imperatore o l’arrivo di una divinità pagana da amalgamare al potere; cosa, quest’ultima, incompatibile con le pretese di superiorità del Dio biblico. Un senso di paura e di angoscia percorreva le comunità nascenti. Luca (ma anche gli altri evangelisti sinottici) torna a confrontarsi col linguaggio apocalittico, ponendolo in bocca a Gesù. Perciò lo ritrae nel tempio, alla fine del suo ministero pubblico prima dell’arresto, nell’atto di ripresentare l’annuncio messianico, sostanziato di speranza per un’ulteriore venuta, definitiva, quasi a maturazione e compimento di quella realizzata da lui nella sua vita terrena.
NELL’OGGI
a) L’alternativa evangelica di un’ulteriore attesa di liberazione messianica, nella chiesa cattolica risulta inquadrata in raffinate elaborazioni teologiche. A ravvivarle sono nuovi, spesso ignoti profeti, seminatori di speranza sulla scia di Paolo, il quale invitava (come nella seconda lettura liturgica di oggi), a ricostruirla continuamente nella tenace persistente vigilanza etica, da invocare attraverso la preghiera; nella purezza delle intenzioni, possibile attraverso l’alleggerimento dai molti pesi derivati dall’egocentrismo. b) Di contro si erge un enorme scoglio, fuori dal cristianesimo e da ogni espressione di fede, “in tutta la faccia della terra” v.35, divenuta preda della sua stessa paura: l’odierno scivolamento verso un nihilismo passivo ed inerte. Ben riprodotto dallo scrittore tedesco Friedrich Duerrematt (1921-1990): un treno sovraffollato, poco dopo la partenza, imbocca un tunnel; la percorrenza richiederebbe pochi minuti, invece diventa interminabile. Non solo, il treno acquista velocità folle e si inabissa tra sporgenze rocciose e discese che sembrano un precipitare verso il centro della terra. Il freno di emergenza è rotto; la cabina di guida è vuota. "Che cosa possiamo fare?", gridò il capotreno nel fragore delle pareti del tunnel. Un giovane "con spettrale serenità" rispose: "Niente". c) Forse un profeta laicissimo, Nietzsche, ha saputo dare al nihilismo un senso davvero inedito nel proporre o intuire la possibilità avveniristica di un’adesione ‘eroica’ al destino, frutto di un umano in grado di superare ogni tipo di umano standardizzato. Vi vedo la versione rinnovata del sia fatta la tua volontà della preghiera consegnataci da Gesù: contro un io voglio adulato ed auto-centrato, un io coraggioso che si consegna all’abisso, può sapere dove abita il Mistero di Dio.

venerdì 23 novembre 2012

Vangelo 25 novembre


 25 novembre 2012 - SOLENNITÀ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO anno B
[Raccogliendo espressioni di Gesù  denudate  il  più possibile dalle sovrapposizioni storiche]
Giovanni 18, 33b-37
In quel tempo 33 Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Sei tu il re dei Giudei?". 34 Gesù rispose: "Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?". 35 Pilato disse: "Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?". 36 Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". 37 Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce".
PREMESSE - COMPOSIZIONE DI TEMPO E DI LUOGO
1) Il più antico manoscritto che riporta il processo di Gesù nel pretorio presso Pilato la mattina del venerdì santo è il frammento di un papiro appartenente a un codice scritto al massimo nei primi trent’anni del secondo secolo (S. Garofalo). Giovanni concede lo spazio di un terzo dell’intera narrazione della passione al dialogo tra i due, certamente spinto da una sua visione dell’accaduto, che costruisce con cura letteraria e teologica. I commentatori mettono in evidenza la struttura concentrica del racconto, articolato in sette scene, di cui il brano di oggi riporta la seconda. Pilato entra ed esce per parlare alternativamente a Gesù (dentro) e ai capi religiosi (fuori) che non vogliono entrare per non macchiarsi e poter celebrare la Pasqua; non compare il popolo. 2) Nell’ultima domenica dell’anno liturgico, la Chiesa celebra la ‘solennità di Gesù Cristo re dell’Universo’. Questa fa riflettere a) sull’uso del termine ‘re’ per i giudei del tempo, b) sull’auto-identificazione che ne fa lo stesso Gesù, c) sulle motivazioni che spinsero Pio XI a promuoverla con l’enciclica Quas Primas dell’11 dicembre 1925 per “riparare gli oltraggi fatti a Gesù Cristo dall'ateismo ufficiale”, d) sul significato che comunemente ne viene desunto.
LA REGALITA’ DI GESU’
1) Un primo pericolo nell’applicazione del titolo di re a Gesù è costituito dall’apoteosi celebrativa (anche la più spiritualistica). Gesù sviscera il senso della propria identità regale-messianica, in contrapposizione a quella propria della religione giudaica, e di cui danno testimonianza alcuni richiami dello stesso Giovanni in 1,49, per bocca di Natanaele e in 12,13 per l’acclamazione del popolo durante l’ingresso a Gerusalemme. Nel cap. 18 occupano la scena i capi religiosi, i quali si simulano dalla parte dei romani che dovrebbero aver timore di un ebreo che si facesse loro re. Illuminante è la precisazione di Gesù nel v.37 del brano odierno, dove allude al suo Regno quale ‘luogo’ della sua “testimonianza alla verità”, tanto che perfino Pilato percepisce nelle sue parole l’ispirazione a valori a lui ignoti. 2) Un altro pericolo attuale è più sottile: il titolo viene associato unicamente alla croce e alla sofferenza sulla falsariga dello stesso Giovanni in 12,32, dove parla della croce come unico mezzo che "attira tutti gli uomini a sé". Lui, invece parla del Regno in tutta la sua trascendenza, mai disgiunta dalla sua dinamica nello stesso mondo, se attraversato dalla testimonianza alla verità, attraverso l’impegno alla costruzione della giustizia e dell’amore qui ed ora.
PILATO
Pittorica è la descrizione che fa Giovanni di un Pilato quasi preso alla sprovvista di dover rappresentare il potere imperiale romano di fronte un uomo il quale tutto ha meno che l’apparenza di un pericoloso sobillatore. Ironico e curioso, riesce a cavarsela con compromessi, ma non riesce a nascondere inquietudine di fronte ad un re che si dichiara testimone di verità e che per essa è pronto a morire.
LA VERITA’
Gesù afferma di essere nella verità e di fare la verità, associandola alla sua diretta testimonianza: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (v.37). Non afferma, come ci saremmo aspettati, “chi ascolta la mia voce è dalla verità”; cioè all’ascolto del suo messaggio deve corrispondere l’orientamento della propria vita. La verità è a) rivelazione che rimanda al Mistero di Dio proteso verso la sua espansione nel mondo; b) non si solidifica nella sua persona in nome di una divinizzazione facile come salvagente (per un’istituzione bisognosa di certezze sistematiche); c) è proposta di risposta umana al destino divino sull’umanità.
IL MISTERO DI GESU’ OGGI
La storia contemporanea mostra i segni d’un messianismo profano che inquadra i valori in una filosofia (specialmente per l’etica), in una sociologia (per i problemi relativi alla dignità umana), in questioni religiose (non ultima quella riguardante le origini del cristianesimo), in altro ancora Al contrario il racconto della passione come ci viene presentato nel quarto vangelo, ben compendiato nel brano liturgico di oggi, permette di decriptare un Gesù cosciente della sua missione, della sua regalità, del suo essere per gli altri: nella dis-identificazione da verità plurali formulate o rispondenti a criteri unicamente razionali. E si può intravedere la possibilità per tutti di alimentare il desiderio e la ricerca della verità, lontano da ogni fascinazione ideolgico-idolatrica; alla sua scuola (senza escludere ogni altro seme di verità sparso nella storia), in vista della liberazione dell’umano dalla sua povertà, incurabile se abbandonata ad una sola dimensione.

venerdì 16 novembre 2012

Vangelo XXXIII T.O.annoB


18 novembre 2012 - XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO anno B
Daniele 12, 1-3;  Ebrei 10, 11-14.18
Marco 13, 24-32
24 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, 25 le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. 26 Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi, con grande potenza e gloria. 27 Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall' estremità della terra fino all'estremità del cielo. 28 Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. 29 Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. 30 In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 31 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. 32 Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo, né il Figlio, eccetto il Padre”.
PREMESSA
Il brano del Vangelo di questa domenica fa parte del "discorso escatologico" (=delle realtà ultime), che in Marco comprende tutto il capitolo 13 e del quale [discorso] costituisce il punto culminante.  Da poco Gesù era uscito dal tempio per dirigersi verso il monte degli ulivi da dove lo si poteva ammirare e aveva risposto ai discepoli stupiti di fronte al suo splendore, annunziandone la distruzione. Chiaro segno, questo, che il capitolo fu redatto in seguito al 70 d.C., dietro varie versioni attinte a più parti, tra le quali quella di Marco è forse la più originale. Gli esegeti prendono in considerazione soprattutto il testo apocalittico di Enoch a cui si ispirano le parole attribuite a Gesù circa l’apparizione del Figlio dell'uomo, quale giudice del mondo, e che Marco identifica in Gesù il Cristo, cioè il Messia; un Messia che mette in guardia i cristiani da alcune forme di accomodamento all'interno della comunità ecclesiale allora in formazione. Infatti il filo rosso che ripercorre e dà senso al testo è evidente nelle espressioni esortative come imparate, sappiate, che significano: ‘non fatevi trovare impreparati’, ‘sappiate custodire e mettere a frutto la buona novella’.
LA FORMA LETTERARIA
Ogni testo escatologico è caratterizzato da espressioni particolari, segni e simboli che necessitano di una lettura approfondita e di una retta interpretazione per evitare un deviante approccio esclusivamente letterale. Non vi si descrivono fenomeni fisici o eventi terminali che sigleranno la fine del mondo, anche se in apparenza le immagini usate sembrano inclinare in questa linea. Già nell’Antica Alleanza le scene sensazionali permeate di indecifrabile terrore trasferivano elementi astronomici prevedibili ed imprevedibili dal futuro della storia al senso della stessa.  La novità evangelica inclina il naturale sacro timore per la dissoluzione nel nulla verso la speranza, nutrita del disegno di salvezza di una nuova creazione. E certamente il redattore del brano aveva presente il testo dell’Apocalisse, contenente la rivelazione di «cieli nuovi e terra nuova».
IPSISSIMA VERBA (= stessissime, precise espressioni) DI GESU’?
Le espressioni precise di Gesù, ricercate da non pochi come àncora alla credibilità del Vangelo, si possono concentrare in qualche detto originale, loghion, se illuminato dal contesto di insieme: a) la breve parabola del fico, albero che nella breve primavera palestinese era indicativo dell'inizio della stagione estiva, è assunta come simbolo di una morte che si rigenera nella risurrezione: “dalla pianta del fico imparate la parabola” v.28; b) l’invito a compiere il passaggio mentale dal senso cronologico a quello messianco cristologico: “quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte” v.29; c) la fiducia, che Gesù vuole ispirare contro ogni paura: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” v.31, scaturisce dalla verità concreta della sua parabola terrena; d) la prospettiva per tutti di piena umanità – gli eletti sono coloro che scelgono di esserlo - “vedranno il Figlio dell’uomo” v.26, si impernia nel suo essere Figlio di Dio in senso equivalente all’essere Figlio dell’Uomo, Messia attraverso il quale si preannunzia l’unificazione dell’umanità in senso universale.
IL QUANDO STORICO
Non c’è un quando preciso, tant’è che Gesù dice di non saperlo indicare con precisione. Quando furono scritte queste righe i cristiani vivevano le terribili persecuzioni di Nerone e Domiziano. In quei momenti drammatici sembrava che l'annuncio evangelico potesse finire; si chiedevano: perché tutti ci perseguitano, ci uccidono, ridono di noi? Marco schematizza la dinamica della salvezza nella storia: c’è un processo storico che si oppone allo sviluppo e alla pienezza umana che si compendia in Gesù col concorso della comunità cristiana. Nella frase “non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”, gli avvenimenti di quel momento sono significativi, come lo era stata la distruzione di Gerusalemme. Dio interviene in seno alla tribolazione e la trasforma in preannunzio di un rilancio in avanti, di una rinascita perpetua. Dio non lascia mai la storia a se stessa.
La NUOVA UMANITA’
Gesù paragona la fine del mondo al tempo dei frutti, quando Lui stesso “manderà i suoi angeli e radunerà gli eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra, all'estremità dei cieli". Nel messaggio di Gesù ci sono speranze fondate nella verità di Dio che egli rivela nella storia degli uomini, condividendone la crescita e la dilatazione oltre ogni confine. Gli angeli sono i suoi collaboratori; gli eletti sono presenti nella comunità di fede, dilatata oltre i confini di una religione. Il giudizio di Dio non consiste di condanne; è trionfo dell’amore di Dio attraverso la collaborazione (il vero ‘raduno’) con tutte le forze storiche operatrici del bene. 

venerdì 9 novembre 2012

XXXII T.O. annoB


11 novembre 2012 - XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - Anno B
1Re 17, 10-16; Ebrei 9, 24-28
Marco 12, 38-44
In quel tempo, 38 diceva loro nel suo insegnamento: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39 avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40 Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa". 41 Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42 Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43 Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro:" In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44 Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei, invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere".
IL BRANO RIPORTATO
C’è da premettere che il materiale offerto dal brano è stato raccolto e sistemato dal redattore (cfr. i testi paralleli di Mt e Lc), il quale forse si riferisce ad una parabola: cosa che conta ben poco o nulla rispetto all’efficacia della concretezza che vi si condensa ed al suo significato complessivo. Si tratta di un ricordo non cancellato da parte dei diretti testimoni, i quali, durante la formazione delle prime comunità di fede, lo sentono risuonare nell’intimo della loro coscienza e lo consegnano alla storia. E’ un miracolo tra i più grandi che Gesù abbia fatto: lasciare impresso in poveri aggiustamenti redazionali la quintessenza di ciò che ha rivelato.
LO SCENARIO
Gesù ha dato fine agli incontri con i capi. Ora, lo ritroviamo nel Tempio. Questo era strutturato in una serie di cortili via via più esclusivi: al primo potevano accedere anche i pagani, al secondo solo gli israeliti, uomini e donne, al terzo solo gli israeliti maschi, al quarto solo i sacerdoti. Nel cosiddetto cortile delle donne, in una parete si aprivano le "bocche" per le offerte, che scendevano nella sottostante camera del tesoro mediante condotti metallici. Le casse erano dodici. Nella tredicesima si gettavano le elemosine spontanee e di poco conto. I sacerdoti incaricati stavano ad aspettare chi gettava un'offerta nel tesoro e proclamava ad alta voce l'ammontare della somma donata. La vedova del vangelo si avvicina a quest’ultima e vi getta “due monetine che fanno un soldo”. – Seduto di fronte al tesoro, Gesù segue il gesto con occhio attento e chiama i suoi discepoli, perché ne traggano un fondamentale insegnamento.
GLI SCRIBI E LA SEVERA CONDANNA DI GESU’
Era molto grande tra il popolo il prestigio degli scribi, in quanto studiosi delle Scritture e scrupolosi osservanti. Ma Gesù, dopo aver dimostrato l’inconsistenza della loro dottrina sul Messia, ne sviscera e condanna severamente il comportamento perché i suoi evitino di ripetere i loro gesti di vanità, che sfiorano il senso del ridicolo, tanto che si estendono fino all’uso di una forma di preghiera recitata a lungo per farsi vedere”.
LA FIGURA RAPPRESENTATIVA DELLE DUE VEDOVE
La pars costruens dell’insegnamento di Gesù è affidata alla figura incarnata in due vedove, la prima dell’Antica Alleanza (prima lettura); e ad essa certamente egli si ricollega nel presentare la seconda. Entrambe hanno quasi-niente e questo offrono, ma con atteggiamento del tutto antitetico rispetto a quello degli scribi: senza rumore alcuno. Sicché il non-detto e il non-palpabile diventano gli unici elementi che fanno da sfondo ad un dono offerto in umile, quasi nascosto gesto di fede semplice, incondizionata, scaturita dal cuore.
IL SENSO PROFONDO DELL’EPISODIO
Dagli elementi analitici bisogna ricavare il perno attorno a cui essi ruotano. Gesù finora ha fatto consistere l’insegnamento della Buona Novella nella capacità di ascolto, da tradurre in umile servizio sostanziato di amore. Ma nelle righe di questo brano dalle parole contate, si apre un nuovo canale di comprensione complessiva del messaggio di Gesù, senza la quale si potrebbero nascondere insidie altamente temibili. Il “guardatevi da” è indicativo. C’è una linea sottile che divide l’uso di un compito fondamentale (quale era quello degli scribi, e cioè la trasmissione e la custodia della Legge, e quello che sarà assunto dai suoi) dal modo di adempierlo. Oltrepassare tale linea significa corroderlo alla radice. Gli aspetti pomposi ed appariscenti del potere possono stravolgere, fino a svuotarlo, lo stesso evangelico servizio d’amore. Gesù impone un alt deciso e nello stesso tempo accorato prima che i suoi lo spargano come seme di Vita. La forma che si dà ad una missione conta quasi più del contenuto. Giustamente i teologi della liberazione parlano (mentre si prodigano concretamente) di missione da svolgere con scelte di povertà, nell'uso di mezzi poveri.

venerdì 2 novembre 2012

Vangelo XXXI T.O. anno B


4 novembre 2012 - XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno B

Deuteronomio 6, 2-6; Ebrei 7, 23-28
Marco 12, 28b-34
In quel tempo, 28 si avvicinò a Gesù uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?» 29 Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; 30 amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31 Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». 32 Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; 33 amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34 Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

UNO SCRIBA
Nello scriba possiamo vedere riassunto il senso della ricerca di Dio. E’ un uomo d’eccezione: mentre fin ora, secondo la narrazione evangelica, si sono avvicinati a Gesù dei gruppi, egli si presenta da solo; appartenente al circolo degli avversari di Gesù, la sua coscienza personale prevale sull’appartenenza al gruppo dirigente. Soddisfatto dalla sconfitta dialettica che Gesù ha inflitto ai sadducei, il partito avverso agli scribi/farisei all’interno del Sinedrio, manifesta il suo pieno accordo con Gesù, tanto che lo chiama “Maestro”. Ma questi lo ricambia con una frase cauta: “non sei lontano dal regno di Dio”, cioè, ‘ricordati che la verità divina è elargita dal Maestro nascosto dentro di te e ti chiede una risposta al di là delle parole; una risposta fatta di ascolto, quintessenza della fede.

I DUE COMANDAMENTI
Ø La differenza tra i due comandamenti è dettata dai limiti umani che cercano di dare una determinazione di misura, ricorrendo al concetto di priorità a seconda dei due destinatari. Limiti che persistono nell’oggi, poiché si continua a sorvolare sul fatto che si tratta di un’unica Legge di amore, la cui misura è data, non da chi risponde ma da chi chiede: sostanza della relazione tra Dio e il prossimo è lo stesso amore totale donato da Dio. Un Dio-altro, che chiede di essere riconosciuto come tale, senza false identificazioni: pena l’uccisione dell’amore.
Ø Il “come te stesso” esplicita l’orientamento concreto da dare all’amore per Dio: che non è culto interessato della propria persona; che consiste piuttosto nel monito paolino per cui è necessario avere un "giusto" concetto di se stessi, ossia sapersi valutare senza esaltazioni eccessive ma anche senza eccessive autocommiserazioni e mortificazioni o deprezzamenti; che soprattutto comporta una cura della propria persona rispettosa di tutte le componenti umane, e cioè della salute corporale, spirituale, culturale.
Ø Gesù non teme di presentare in se stesso l’unità vivente in cui l'amore filiale verso Dio e l'amore fraterno verso prossimo è tutt’uno: non in virtù di una filiazione divina immobilizzata nella trascendenza sostanziale, ma dinamizzata nella piena incarnazione che trascina l’essere umano e tutto il creato nella stessa orbita.

FEDE PREGATA, NON ETICA
Ø Fede è credere nell’amore, accogliere l’amore, fare affidamento sull’amore. Ma non ha senso riempirsi la bocca della parola amore senza la fede. La quale è superamento dell’egocentrismo che ripone ogni fiducia in se stesso, sia pure camuffandola in ideologie di carattere etico.
Ø Nessuno può varcare la linea sottile che si delinea nascostamente in ogni aspetto del divenire temporale. Lo può soltanto la preghiera, la trasformazione in preghiera dell’anelito più profondo del cuore umano.
Ø Introducimi, Divinità avvolta nel Mistero, in un rapporto sempre più profondo con Te, perché il mio andare verso il prossimo sia, come in Gesù, il traboccare di un amore liberamente accettato e donato.