venerdì 19 gennaio 2018

DOMENICA III T.O. anno B


DOMENICA III T.O. anno B

Mc1,14-20

14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio,15 e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo. 16 Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17 Gesù disse loro: Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini. 18 E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 19 Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. 20 E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
 

Prima Lettura

Gio 3, 1-5. 10

Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Alzati, va' a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore. Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

Salmo 24-25

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.
      Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
      e del tuo amore, che è da sempre.
      Ricòrdati di me nella tua misericordia,
      per la tua bontà, Signore.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.

Seconda Lettura

1 Cor 7, 29-31

Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!

 

C o m m e n t o

 

BREVE INTRODUZIONE

Quest’anno liturgico leggiamo il Vangelo secondo Marco, il più breve ed il più asciutto dei quattro, che non pretende di descrivere come avvennero realmente i fatti, ma va alla sostanza di ciò che narra.
L’evangelista non aveva mai incontrato Gesù tu a tu; aveva seguito Pietro, e ora scrive per cristiani provenienti dal paganesimo.
Il suo è un racconto di vocazione conservato nella memoria, scritto da lui quando era giovane, su suggerimento di Simone il pescatore (al quale fu dato il nome di Pietro), per i discepoli di Roma e per Babilonia.
Ora Marco si propone di affidare il suo vangelo alla comunità, nonché ad ogni credente che si faccia, a sua volta, testimone nella pratica di vita e missionario della Parola di Dio.

 

LA LITURGIA ODIERNA

Sulla scena della liturgia di oggi, appare innanzitutto il profeta Giona, uomo famoso nella Scrittura [attenzione: non è storia!] per la sua riluttanza ad eseguire l'incarico missionario affidatogli da Dio di predicare a Ninive e per la conseguente punizione di finire gettato in mare e ingoiato da un pesce che nel ventre rimase per tre giorni.
Nella liturgia lo vediamo in giro per la grande città di Ninive, perché, una volta ravvedutosi, ha riacquistato la fiducia di YHWH ed ha eseguito il suo compito di predicare ed esortare i Niniviti alla conversione.
Il motivo per cui Giona aveva inizialmente opposto un rifiuto alla sua missione è semplice: la città in cui veniva inviato non aveva fede. Giona si trovò a percorrere tre giornate di cammino esortando alla conversione cittadini refrattari. Per questo il suo linguaggio si fece duro e categorico: Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta. Ad un trattosi verificò un repentino cambiamento… E anche YHWH si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare ai Niniviti, e non lo fece.
E' in ragione della conversione che i discepoli, intenti a gettare le reti in mare, vengono coinvolti nel progetto di appartenenza al Cristo e di missionarietà.
Giovanni e Andrea, nella domenica scorsa, Lo avevano seguito nel suo percorrere la Galilea, sua terra natale, per inoltrarsi fino a Cafarnao, centro economico e militare della zona del lago, e casa paterna dei figli di Zebedeo. Poi, dato che il Battista ormai era stato consegnato (con questo verbo riferisce letteralmente il giovane Marco, come ad indicare una provvidenzialità anche negli eventi umani più balordi),  Gesù ne prende il testimone, ne prolunga l’opera, dà senso al sacrificio del cugino, vissuto per preparagli la strada.
La predicazione di Gesù è riassunta da Marco in pochi versetti densi di sconvolgente novità: il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo! Ora, oggi, adesso, Dio è qui.
La gioia che traspare da questo grido si poggia sulla fede e sulla speranza.
Le promesse fatte da Dio attraverso i profeti nel passato, annunciando il suo intervento in favore del popolo, sono diventate tempo compiuto. Di conseguenza bisogna passare dal compimento da parte di di Dio, all’adempimento da parte dei discepoli.
Marco, per dare un significato al tempo che sta avvenendo, usa il temine greco kairòs, che significa l’occasione da non perdere; la  reale possibilità offerta a tutti e non solo ad Israele, di dar corso ad un cammino di liberazione, di giustizia, di pace.
Marco dipinge la Chiamata col linguaggio della professione di chi dovrà metterla in pratica. I pescatori di pesci, gli annunciatori del vangelo, dovranno usare studio e pazienza nel cercare persone di buona volontà alle quali annunziare la salvezza; come  la pesca, anche l’apostolato è fatica e lotta.
Il comando di Gesù ha effetto immediato: i due fratelli, Andrea e Simone, subito lasciarono le reti e lo seguirono: nessun indugio sui particolari del distacco dal lavoro, dalla famiglia e dalla casa…..

 

IL REGNO DI DIO È VICINO
La messa in gioco è il regno di Dio: il regno di Dio è vicino.
Per regno di Dio si intende una società alternativa, dove anziché il salire ci sia lo scendere, anziché il comandare ci sia il servire.
Bisogna stare attenti quando si presenta la sequela di Gesù come privilegio distintivo degli ‘eletti’, come se ci fosse una categoria speciale di chiamati ad una ‘vita perfetta’. Seguire Gesù è prendere sul serio il progetto del Regno di Dio, e quindi l’aspetto decisivo è credere che il Vangelo, la Buona Notizia, deve orientare l’esistenza di ciascuno. Gesù si conosce vivendo come è vissuto lui.
Il Venite dietro di me ricorda la chiamata di Eliseo da parte di Elia, di cui parla il libro dei Re; e l’espressione pescatori di uomini introduce con cautela il concetto di una missione universale, non limitata al popolo giudaico.
Ogni  coppia di fratelli rappresenta un settore diverso della società galilaica; nella prima, formata da Simone e Andrea, il rapporto è di uguaglianza; non è menzionato il patronimico e i loro nomi sono greci, a dimostrazione del minore attaccamento alla tradizione; e il gruppo attivo è di umile condizione (di pescatori senza una propria barca).
Quelli che formano la seconda coppia, Giacomo e Giovanni, hanno nomi ebraici, che dimostrano l’appartenernaza a un settore più conservatore, nel quale ci sono rapporti di disuguaglianza.  Giacomo e Giovanni sono, per un verso, soggetti al padre Zebedeo, figura di autorità e rappresentante della tradizione; per un altro verso, godono di una situazione privilegiata rispetto ai salariati. Questi due fratelli non sono ancora attivi, ma desiderosi di agire (riparavano le  reti) e, rispetto ai primi due, hanno un livello economico più alto (barca propria, salariati).

 

APPROFONDIMENTO: la chiamata nel NT, in particolare nei vangeli

Nellambito neo-testamentario, la vocazione colloca il chiamato nella sfera della salvezza scaturita da Cristo, in conseguenza della quale egli è chiamato ad essere creatura nuova.
Rivolgendosi agli irrequieti cristiani della comunità di Corinto, sua croce e delizia, Paolo li descrive quali santificati in Cristo Gesù. E’ proprio la santità, in quanto apportatrice di una profonda immersione nello spirito di Dio, il dato fondamentale della vocazione cristiana in generale e di ogni vocazione in particolare.
Ma cos’è la santità di cui si parla qui?
La santità è propria di quanti accettano di aderire alla Chiamata con fede piena e libera. Il vocabolo ebraico qadōš, santo, è stato tradotto in greco con un significativo àghios, che letteralmente vuol dire non terreno.
Chi è santo non è tale per meriti propri, ma ha il dovere (non il privilegio!) di vivere in sintonia con la santità di Dio, senza per questo dover evadere dal mondo in cui Lui l’ha collocato al fine di renderlo ‘segno’, come spiega Paolo, della sua misteriosa ed ineffabile presenza nel mondo.
Da ciò scaturisce la dimensione missionaria della vocazione cristiana, in forza della quale ogni cristiano diventa un collaboratore attivo di Cristo nella diffusione del suo vangelo, facendo della propria personale chiamata alla salvezza un dono da condividere con tutti. La vita è pienamente realizzata se è donata nel servizio agli altri e nella missione.
Il credente è colui che dà una risposta personale alla ‘Chiamata’.
Molti sono i modi di realizzarla nelle particolari vocazioni, il cui obiettivo finale, in un certo senso utopico, è la trasformazione dell’umanità in comunità, destinata ad entrata nel circuito di amore dello stesso Dio. Infatti la vocazione cristiana ha una dimensione universale.
Ciò non è apparso subito chiaro ai discepoli di Gesù, profondamente impregnati di cultura ebraica, e pertanto convinti che il privilegio di essere membri del popolo eletto, scelto in modo esclusivo da YHWH come suo popolo, fosse riservato alla ristretta cerchia degli eletti, salvati da Cristo.
Ma addentriamoci un po’ nel concetto di Chiamata per scoprire quale spiritualità essa può apportare in chi risponde ad essa. [Sarebbe interessante ed utile un confronto con formazioni religiose diverse dal nascente cristianesimo, e che forse sono, ieri come oggi, più robuste per condizioni storiche e geografiche. Tale confronto farebbe evitare  i fanatismi di chi si arrocca nella propria appartenenza e, in seno all’appartenenza, in un particolare gruppo].
La spiritualità è, in senso molto ampio, vita nello Spirito di Dio, resa visibile attraverso sentimenti, atteggiamenti, scelte e relazioni umane inconfondibili e responsabili. In altri termini: vivendo con coerenza la propria fede, il credente rende riconoscibile ed espansiva la propria spiritualità, fatta di intima comunione con il Dio. Per questo ogni scelta vocazionale va supportata da un’adeguata maturità umana e spirituale, ricca di valori etici, pena il fallimento e la nocività per sé e per gli altri.
Vivere la spiritualità intrinseca alla Chiamata, non è un evento formale e statico, ma l’inizio di un cammino, di una via precisa verso la santità. La doverosa coerenza tra vocazione e perfezione cristiana determina ed impone il ricorso a tutti i mezzi necessari, personali e comunitari, umani e soprannaturali; cosa raggiungibile attraverso la preghiera, solitaria e partecipata, nonché il ricorso costante agli aiuti spirituali provenienti da una comunità sensibile ed attenta alle difficoltà di ogni suo membro.
I Padri del III e IV secolo insistevano sulla proposta della vita verginale come condizione migliore nei riguardi di quella matrimoniale, pur vista come buona e santa perché voluta da Dio stesso. L’interesse per la verginità consacrata è viva sia presso i Padri sia della Chiesa occidentale, sia di quella orientale. Ambrogio ha espresso questa considerazione: [La donna] non pecca se sposa… Quella non viene ripresa, questa, [la vergine] è lodata (De virginibus). A sua volta, Gregorio di Nissa affermava: la vita secolare è soggetta a molte distrazioni, per cui non si può fare a meno di raccomandare la vita basata sulla verginità come porta d’ingresso ad una condotta più saggia. (Egli se ne intendeva, visto che aveva avuto esperienza matrimoniale).
Non tutti i Padri della Chiesa trattavano l’argomento con equilibrio ed obiettività.
Agostino di Ippona poneva quasi sullo stesso piano il valore della verginità e quello del matrimonio, in quanto le differenti condizioni di vita possono essere orientate verso lo stesso fine: la santità. Inoltre egli coglieva, in quanti sceglievano la verginità consacrata, un pericolo subdolo e pericoloso: la superbia. Per rimanere fedeli al proprio stato di vita consacrata, i vergini e le vergini dovevano conservarsi umili nel cuore, evitando atteggiamenti di orgogliosa presunzione [finalmente c’è qualcuno che usa per la scelta verginale sia il maschile che il femminile].
In tempi più vicini Giovanni Paolo II così sottolineava il carattere sponsale della verginità vissuta per il Signore: Il consiglio evangelico della castità è solo una indicazione di quella particolare possibilità… .
La Congregazione per l’educazione cattolica parla così della scelta verginale: La verginità certo implica la rinunzia alla forma di amore tipica del matrimonio, ma la rinunzia è compiuta allo scopo di assumere più in profondità il dinamismo insito nella sessualità, di nutrire l’apertura oblativa agli altri e di trasfigurarla mediante la presenza dello Spirito, il quale insegna ad amare il Padre ed i fratelli come il Signore Gesù. In definitiva, la verginità, accolta come dono o carisma, assume il valore di una testimonianza dell’amore gratuito e libero con cui Dio ama gli gli esseri umani. La castità, allora, è il segno profetico per eccellenza dei cieli nuovi e della terra nuova (cf. Ap 21,1) in cui Dio sarà tutto in tutti (1Cor; Col 3; Ef 4), senza distinzioni e senza limiti perché Egli è l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine (Ap 21,6) di tutta la creazione.
Detto in parole più povere: la scelta verginale divenuta stato di vita può essere opportunità per essere liberi di dare il meglio di sé a Dio e agi altri. Ma il meglio non è criterio di valutazione assoluta; è sempre da trovare, adoperando tutti i mezzi, senza mai presumere di sé. Aiuto indispensabile è lo spirito di preghiera,
Ecco perché risuona ripetutamente nelle pagine dei vangeli il termine conversione. E’ un termine che si fa monito per tutti. Ai consacrati, ed ugualmente a tutti coloro che hanno accettato l’invito di Dio ad essere suoi profeti (meglio: testimoni), in in un mondo ostile, indifferente od attratto dai falsi valori, contrari alla dignità umana, è dedicata questa breve sintesi sul tema de la Chiamata nei vangeli.
Eppure sono passati 2000 anni e ben pochi hanno messo in pratica il Occorre che i chiamati facciano quello che è possibile, come se dipendesse tutto da loro. Occorre che essi abbandonino le reti dei propri schemi mentali, degli attaccamenti, della tendenza a lasciarsi andare. Tocca a loro ascoltare e rendere Dio presente nella storia.

venerdì 12 gennaio 2018

II DOMENICA T.O. anno B


 

Gv1,35-42

Il giorno seguente, Giovanni era nuovamente là con due dei suoi discepoli. 36 E, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: Ecco l'Agnello di Dio. 37 E i due discepoli, avendolo sentito parlare, seguirono Gesù. 38 Ma Gesù, voltatosi e vedendo che lo seguivano, disse loro: Che cercate?. Essi gli dissero: Rabbi (che, tradotto, vuol dire maestro), dove abiti?. 39 Egli disse loro: Venite e vedrete. Essi dunque andarono e videro dove egli abitava, e stettero con lui quel giorno. Era circa l'ora decima. 40 Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due che avevano udito questo da Giovanni e avevano seguito Gesù. 41 Costui trovò per primo suo fratello Simone e gli disse: Abbiamo trovato il Messia che, tradotto, vuol dire: "Il Cristo"; 42 e lo condusse da Gesù. Gesù allora, fissandolo, disse: Tu sei Simone, figlio di Giona; tu sarai chiamato Cefa, che vuol dire: sasso.

 

C o m m e n t o



1. LO SGUARDO DI GESU’ E LA CHIAMATA

Giovanni l’evangelista introduce la Chiamata a seguire Gesù attraverso l’incontro (che pare) casuale di due discepoli di un altro Giovanni, detto il Battezzatore o Battista. Essi sono due: Andrea e un altro di cui non dice il nome (in quanto è lui stesso, autore del vangelo che leggiamo).
Colpisce molto la scrittura dettagliata e con riferimenti precisi di questo Autore, come se ciò che racconta derivasse da una sua diretta esperienza. E ci sono validissime ragioni per ritenere il suo vangelo indipendente dai sinottici, anche perché alcuni passi tradiscono l’impronta di un’esperienza personale.
Già questo fattore colpisce il lettore, consapevole di leggere una testimonianza vissuta.
Il racconto che abbiamo davanti descrive la testimonianza di Giovanni Battista, che fa seguito al prologo e introduce la chiamata dei primi discepoli che hanno incontrato Gesù.
Mentre si suppone che il Battista abbia già parlato di Gesù alla folla di coloro che andavano a farsi battezzare, adesso è solo con due discepoli. Egli fissa lo sguardo su Gesù. Il verbo che qui troviamo tradotto con fissare, nel greco emblepsas esprime un sentimento particolarmente intenso
Il lettore potrebbe chiedersi perché lo stesso Giovanni che li aveva battezzati non abbia seguito Gesù. Evidentemente la tradizione non ha voluto spingere il collegamento tra Giovanni il Battista e Gesù fino al punto di far pensare che il movimento del primo sia confluito in quello del secondo. I due personaggi restano distinti; i loro punti di vista, specialmente circa la venuta escatologica, non sono identici.
E’ interessante notare la bellezza e la suggestione che esercitano le poche pennellate che ritraggono lo scenario di questo incontro. La prima chiamata è fatta di una semplice domanda: Che cercate?, il cui senso va aldilà di una generica richiesta di informazione su cosa li abbia spinti a cercarlo.
La domanda sembra voler entrare nel cuore degli interrogati per conoscere se è davvero Dio e null’altro il fondamento del loro cercare. Ma questo essi lo avvertono già, quasi senza saperne il perché. E Gesù, senza proporsi come colui che potrebbe fare a meno di chiedere, aspetta una risposta: debbono essere essi stessi a riconoscere il motivo del cercare!
Verrebbe da sottolineare che Gesù abbia fatto loro una domanda-tranello, e che il gioco gli sia riuscito. Infatti i due chiamati, Andrea e l’innominato discepolo, lungi dal voler evadere la risposta, dimostrano di saper leggere nel proprio cuore: perciò chiedono di poter realizzare un’esperienza di convivenza con Lui. Non hanno l’esigenza di sapere quello che debbono fare e/o non fare per seguirlo; vogliono soltanto iniziare un cammino nuovo sottola Sua guida.
[Nulla viene detto dell'altro discepolo. Come spesso avviene all'interno del Quarto Vangelo, questi rimane un personaggio volutamente anonimo. Tale anonimato può essere letto in vari modi, giacché un silenzio si presta a più interpretazioni rispetto a qualsivoglia affermazione. Vorrei suggerirne due. In prima istanza il discepolo innominato potrebbe essere quello che Gesù poi amerà più degli altri (affermazione che può suonare scandalosa ma che ricorre nel testo giovanneo). Tale lettura, però, non è fondata su un qualche riscontro nel testo; oltre al fatto che si tratta di dar voce ad un silenzio, c'è da aggiungere che la figura del discepolo amato compare nel Quarto Vangelo soltanto a partire dal tredicesimo capitolo. Pertanto, supporre che possa trattarsi di lui nel contesto della pericope è un'illazione, lontana da un'ipotesi verificabile.]
Nel tuffo in un tu-a-tu tra Gesù e gli interlocutori, risuona la risposta divenuta domanda: Rabbi, dove abiti?  Essa dimostra che la trasformazione dei ‘chiamati’ aveva inizio.
Perché anche noi sappiamo porci questa domanda e darci la stessa risposta, dobbiamo capire che il quid del cercare è la metanoia, la trasformazione, la quale non ha niente a che fare con l’imitazione del Maestro; è opera di Dio, al quale ci si affida.  

 

2. ECCO L'AGNELLO DI DIO!

a) L’elemento essenziale del messianismo biblico era che Dio avrebbe mandato il suo inviato per liberare il suo popolo, cambiare la situazione degli oppressi, instaurare un Regno di pace e di giustizia.
Noi siamo messianici, cristiani, perché crediamo in questo sogno che Dio ha voluto far nascere in mezzo al suo popolo. Purtroppo, a volte abbiamo trasformato il titolo di Messia assieme a tutte le sue implicazioni escatologiche e politiche, in un innocuo nome proprio, Gesù Cristo, come se Cristo fosse semplicemente il cognome di Gesù. Così abbiamo de-messianizzato il cristianesimo. Dobbiamo risvegliare il nostro sogno, e recuperare tutto il senso del nostro essere cristiani.
b) Il Messia incontrato da questi discepoli è colui che toglie il peccato del mondo: ‘togliere’ sta per prendersi carico, assumere ogni situazione di violenza e di ingiustizia, e dar corso ad un’umanità nuova. E’ questo che intendeva dire il primo dei due, Andrea: Ho incontrato colui che ricrea l’umanità, che darà un nuovo inizio alla storia.
E’ un sogno grande. Si tratta di ri-messianizzare il cristianesimo, riproponendo in ogni era, ad ogni mutazione sociale, il sogno dei primi chiamati.
c) Un primo rimando biblico per la comprensione dell’espressione Ecco l'Agnello di Dio, usata da Giovanni Battista per indicare la persona di Gesù è la figura dell'Agnello vittorioso nel libro dell'Apocalisse; in 7,17 l'Agnello è il pastore dei popoli; in 17,14 l'Agnello schiaccia le potenze malvagie della terra: al tempo di Gesù si immaginava che alla fine della storia sarebbe apparso un agnello vittorioso o distruttore della potenza del peccato, delle ingiustizie, del male.
d) Tale idea è in sintonia anche con la predicazione escatologica di Giovanni il Battista, il quale ammoniva che l'ira era imminente (Lc 3,7), che la scure era già posta alla radice dell'albero, e che Dio era pronto ad abbattere e a gettare nel fuoco ogni albero che non portasse buoni frutti…
Per molti padri orientali la figura dell’agnello è ricavata dalla profezia di Isaia che presenta il Servo del Signore come un agnello mansueto davanti ai suoi carnefici: Maltrattato si lasciò umiliare, era come agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori (Is 53,7). Sempre in Is 53,5-6, iI Servo-Agnello è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità; per le sue piaghe noi siamo stati salvati, il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di tutti noi. Egli, non toglie, ma porta, i nostri peccati per espiarli e cancellarli.
C’è chi ha pensato che il Battista parlando di Gesù abbia usato il termine aramaico talya’ che significa sia servo che agnello. Allora il riferimento a Isaia sarebbe ancora più chiaro ed esplicito.
 
3. ‘RESTARE’ CON CRISTO
La prima indicazione data da Gesù ai due è: Venite e vedrete.
Nel quarto vangelo i verbi venire e vedere sono parole di invito a che i chiamati si accostino alla sua esperienza. Ed essi andarono... e restarono con lui.
E’ da notare l'insistenza, tipica di Giovanni nell’uso del verbo ménein, rimanere, restare, abitare.
A questo punto troviamo una precisazione che stupisce un po': Era circa l'ora decima, ovvero circa le quattro pomeridiane. Come mai questo richiamo cronologico? Si tratta di evidenziare un momento preciso che ha segnato una svolta nella loro vita. Invece alcuni esegeti danno una interpretazione di tipo simbolico: dieci sta a dire la pienezza del tempo ormai giunto. E ancora per altri starebbe a significare l'ora del tramonto, con riferimento all'antica alleanza rappresentata dal Battista che prelude al giorno nuovo.
Giungiamo così all'ultimo passaggio (vv.40-42): Andrea Accosta il fratello Simone per annunciargli lo straordinario incontro avvenuto con Gesù. Le sue parole sono un chiaro segno di fede: Abbiamo trovato il Messia. Se prima Gesù era solo un Rabbi, dopo essere stati con Cristo si è realizzata in loro una conoscenza più profonda del Messia e quindi una crescita di fede,.
Circa il cambiamento del nome di Simone in Pietro, c’è da dire che nella tradizione biblica un nome nuovo sta ad indicare un cambiamento nella vita e nel destino di una persona. Ma in questo caso, più che di un nome, si tratta di un soprannome, indicante, in senso amichevolmente ironico, l'avere la testa dura come una pietra. Ma alcuni esegeti dissentono da questo modo di leggere il vangelo di Giovanni: Simone Testadura è colui che difficilmente si sposta dalle sue idee, oppure, detto in senso più spirituale, ha una tempra solida come una roccia.
La sequela di Cristo è frutto di una ricerca continua, che sfocia nello stupore di una risposta dall’Alto, come avvenne ad Elia, il quale, al risveglio da un sonno profondo dovuto alla stanchezza causata da un travagliato pellegrinaggio al monte di Dio, si trovò accanto pane ed acqua.
Concludo con qualche preghiera di chi ha vissuto la chiamata:

 

 

«Non devi fare nulla, ma abbandonare la tua volontà alla propria disposizione. Le tue cattive qualità si indeboliranno e ti tufferai con la tua volontà nell'Uno dal quale uscisti in principio. Tu giaci prigioniera delle creature: abbandona la tua stessa volontà e morranno in te le creature e le loro  cattive inclinazioni, che ti trattengono perché tu non vada a Dio» [1]
(Jakob Böhme, Dialogo tra un'anima illuminata e una priva di luce, n. 48)

 

«Non è volontà di Dio che l'anima si turbi di qualche cosa e che soffra tormenti: se essa, nei casi avversi del mondo soffre, ciò accade per la debolezza della sua virtù, poiché l'anima del perfetto si rallegra in ciò in cui si affligge quella di un imperfetto.»
(Giovanni della Croce, Avvisi e sentenze)

 

«Tutte le immagini non mi fanno bene, non posso nutrirmi se non della verità. Per questo non ho mai desiderato visioni. Non si possono vedere, sulla terra, il Cielo, gli Angeli tali quali sono, preferisco aspettare dopo la morte»
(Teresa di Lisieux, Novissima verba, 5 agosto)

 

«Tutto il bene che hai decretato per me in questo mondo, donalo ai tuoi nemici; e tutto ciò che hai decretato per me nel paradiso, concedilo ai tuoi amici. Io non aspiro che a te solo.»

(Rābi´a al-´Adawiyya, I detti)

 

«Beato il servo che accumula nel tesoro del cielo i beni che il Signore gli mostra e non brama di manifestarli agli uomini con la speranza di averne compenso, poiché lo stesso Altissimo manifesterà le sue opere a chiunque gli piacerà. Beato il servo che conserva nel suo cuore i segreti del Signore».
(Francesco d'Assisi, Regole ed esortazioni, XXVIII, FF 178)

 

«La peggiore malattia oggi è il non sentirsi desiderati né amati, il sentirsi abbandonati. Vi sono molte persone al mondo che muoiono di fame, ma un numero ancora maggiore muore per mancanza d’amore. Ognuno ha bisogno di amore. Ognuno deve sapere di essere desiderato, di essere amato, e di essere importante per Dio. Vi è fame d’amore, e vi è fame di Dio.»
(Madre Teresa di Calcutta)

 

«Non deve l'animo nostro essere turbato, nessuna cattiva parola deve sfuggire dalla nostra bocca, amorevoli e compassionevoli vogliamo rimanere; e noi illumineremo quella persona con animo amorevole, da essa muovendo irradieremo il mondo intero, con ampio, profondo, illimitato animo, schiarito di rabbia e rancore»
(Majjhimanikaya, I, 21)