sabato 30 luglio 2016

DOMENICA XVIII T.O. anno C


Lc 12,13-21

 

 

13 In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15 E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». 16 Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17 Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18 Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20 Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21 Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

 

Commento

 

Una delle singolarità di Luca sono le parabole, che talvolta, come quella di domani, non trovano corrispondenza in nessuno degli altri evangelisti. All’interno delle sue parabole Luca raggiunge il livello più alto dal punto vista letterario e spirituale.

Il ricco stolto che investe tutto nei suoi beni e la notte si ritrova la morte come giustiziera, suscita in chi legge un fascino oscuro. Si tratta di un uomo solo, senza famiglia e senza relazioni sociali, piegato sula sua pancia che, riempita, gli poteva dare sicurezza. E invece, col sopraggiungere della morte, lo strapperà alle illusioni.

C’è in Luca, come afferma Ravasi, sensibilità per la giustizia e ripulsa per la ricchezza sfrontata ed oscena di fronte alla miseria della povera gente.

Altri esegeti fanno notare che il ricco della parabola dice sempre ‘io’ (io demolirò, costruirò, raccoglierò…), usa sempre l’aggettivo possessivo ‘mio’ (i miei beni, i miei raccolti, i miei magazzini, me stesso, anima mia); nessun altro e nessun’altra prospettiva entra nel suo orizzonte.

La liturgia offre alla lettura questo tema anche attraverso un passo del  Qoèlet. Tale autore ripete ben 38 volte il termine ‘vanità’, in ebraico hebel, dal significato di soffio, vapore che si dilegua, e che, sotto il profilo religioso, può essere paragonato allo Spirito.

Eppure Gesù non evoca la morte come una minaccia per farci disprezzare i beni della terra. Il Vangelo, nel suo insieme, non contesta il desiderio di godere le brevi gioie del quotidiano. Dice che l’uomo non vive di solo pane; e induce a riflettere sul fatto che la Vita vera si alimenta di vita donata; al contrario chi accumula tesori per sé, è votata alla morte, perché le ricchezze non servono a tal fine.

In realtà il tema principale del vangelo di oggi è nella linea della tradizione israelitica, la quale riteneva che i beni materiali siano segno di benedizione e ricompensa per una vita onesta.

Il vangelo di Luca è particolarmente attento alla giustizia, allo scandaloso contrasto tra chi pensa solo ad arricchirsi e chi non ha il necessario. A questo scandalo il cristiano non può rispondere solo con gesti caritatevoli; deve adoperarsi perché sia restituito a tutti il diritto ad una vita dignitosa. (ecco perché in Luca le Beatitudini parlano di poveri senza l’aggiunta “in spirito”).

La chiave di lettura della pericope di oggi consiste in questo: la giustizia prima di tutto, quindi prima ancora della carità. Ecco, infatti, la raccomandazione che tutti dobbiamo ascoltare «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede»

La comunità di Luca ha elaborato quanto l’evangelista ha scritto per fare risaltare l’immagine di un Gesù misericordioso, cioè con il cuore pieno di attenzione verso gli affamati, gli assetati ecc. in senso reale, concreto.

   

Qualche nota analitica

 

A quel tempo, l’eredità aveva a che fare con l’identità delle persone e con la sopravvivenza; perciò quando la famiglia era grande, c’era il pericolo che l’eredità fosse divisa in piccoli pezzi di terra che non avrebbero potuto garantire la sopravvivenza di tutti. Per questo, onde evitare la disintegrazione dell’eredità e mantenere vivo il nome della famiglia, il primogenito riceveva il doppio degli altri figli.

Alla provocazione della questione tra i due fratelli, si aggiunge la parabola dell’uomo stolto, (in greco aphròn, termine dispregiativo che alcuni traducono addirittura con scemo o insensato). Letta in positivo, la parabola ha, sì, parole severe di condanna, ma invita a sperare nell’unico Bene, che è il Signore di tutti i beni.

Prima conclusione della parabola: la sicurezza materiale scompare di fronte alla morte improvvisa. Seconda conclusione: la vera sicurezza è diventare ricco davanti a Dio. Diceva Agostino nelle Confessioni: "Tu eri dentro di me e io ero fuori".Quando la nostra aspirazione si ferma al creato, muore l'unico luogo che in noi è capace d'incontrare l'infinito, il punto immortale dell'uomo, fuori dal quale c’è limite e finitezza. Le persone felici sono quelle che non sono dominate dai beni e sono capaci di dire: "quello che è mio è anche per te”.

domenica 24 luglio 2016

DOMENICA XVII T.O. anno C


  

DOMENICA XVII T.O.  anno C
 
Lc 11,1-13
 
1 Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».  2 Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; 3 dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, 4 e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione». 5 Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, 6 perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, 7 e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, 8 vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. 9 Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10 Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 11 Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 12 O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13 Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
 
Commento
 
INTRODUZIONE
 
- Molti credono che il Padre nostro sia nato nella formulazione che troviamo nei vangeli; invece era la preghiera ebraica biblica tradizionale. E c’è da aggiungere che l’invocazione al Sommo Dio era presente anche in altre culture.
- Nei vangeli sinottici c’è una leggera differenza tra la versione di Matteo e quella di Luca. Tra l’altro Matteo si esprime con piglio più marcatamente ebraico.
- Gli esegeti concordano nel ritenere la versione di Luca come la più antica. Accenniamo a come si è giunti a tale assunto. Gli scrittori successivi ad ogni opera, solitamente aggiungevano qualcosa alla versione originale, ma non toglievano mai la parte essenziale. E quella (versione) di Luca è la più breve, quindi non ritoccata. Inoltre tutta la produzione lucana è fortemente contrassegnata dal posto centrale che ha la preghiera, mai scissa dalla dimensione orizzontale; proprio mentre sia gentili sia giudei avevano convertito la preghiera e la pratica ad essa ispirata, in atto meramente esteriore.
- Nel Pater si condensa tutto il contenuto evangelico. Già Tertulliano chiamava il Padre nostro Breviarium totius Evangelii. La stessa cosa vediamo confermata in altre testimonianze. Ne ricordiamo alcune: Teresa d’Avila affermava che dobbiamo far compenetrare intelletto e volontà dalla preghiera del Pater. Una consorella di Teresa del Bambino Gesù racconta che, quando Teresa lo recitava, alcune lacrime brillavano nei suoi occhi. E Madre Teresa di Calcutta si esprimeva con questa immagine: Dio guarda la Sua mano e nel palmo vede inciso il nome di coloro che traducono in pratica il Pater.
 
ANALISI TESTUALE
 
1… uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 
La domanda di quel discepolo sembra ingenua; rra infatti scontato che il Pater fosse già la preghiera ufficiale. Anzi nell’AT Dio è presentato non solo come Padre ma anche con atteggiamenti di madre.
Quel discepolo, dopo aver chiesto che Gesù insegni, a coloro che facevano parte della comunità, a pregare, aggiunge: come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. Risulta chiaro che il maestro di ciascuna comunità fornisse i suoi particolari insegnamenti per formare i membri della comunità in modo da caratterizzarla.
 
2 Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre…
Gesù invita i discepoli a rivolgersi a Dio nella preghiera chiamandolo Padre. A differenza di Matteo, Luca non aggiunge l'aggettivo "nostro", accentuando meno l'aspetto comunitario; d'altra parte, il fatto d' invocare il comune Padre costituisce il miglior collante dell'unità comunitaria dei discepoli. Dire “Padre” significa entrare nell’atmosfera di familiarità che qualifica chi prega come figlio.
… sia santificato il tuo nome: chiedo cioè che il Suo nome sia santificato dalla mia vita; chiedo che la Sua persona sia visibile nella mia.
… venga il tuo regno: Il verbo greco non significa “venga”, ma si estenda: dal momento che c’è una comunità di discepoli la quale ha accolto le beatitudini di Gesù, il Regno di Dio c’è già.
Dalla Bibbia, soprattutto dai salmi e dalle parabole di Gesù, si ricavano alcune caratteristiche del regno di Dio sulla terra, un mondo dove vi sia giustizia, riconciliazione; un mondo liberato da tutti i mali: discriminazione, violenze, sofferenza, fame… Venga il regno di Dio dentro i cuori e nelle coscienze perché siano orientate verso i valori del Regno; entri anche nelle famiglie, nelle strutture della società, nelle leggi, nelle impostazioni della politica e dell’economia, nelle strutture sanitarie, negli ospedali, nelle scuole…
Nel salmo di oggi leggiamo: Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto, / hai stimolato nel mio essere la forza. // Ti renderanno grazie, Jahweh, tutti i re della terra / perché hanno udito le parole della tua bocca.
 
3 dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano
L’aggettivo epiousion, avendo l’articolo davanti, designa un pane speciale, che si distingue dagli altri. E’ un aggettivo derivante da due elementi: epì = sopra, ousìa = essenza, realtà, sostanza; quindi il pane chiesto è un pane necessario e sostanzioso, non superfluo.
Ma la parola ‘pane’ richiamava anche alle menti delle prime comunità cristiane certe frasi di Gesù, come ad es. “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
- Il pane da chiedere non è il mio, è il nostro pane, di tutti.
A questo punto c’è da dire che il significato vero di questa domanda è delucidato anche attraverso la parabola che segue alle tre suppliche. Se la prima e la terza parte del brano hanno dei paralleli nella tradizione sinottica, la parabola centrale è propria del solo Luca. Egli la inserisce quasi a commento della coppia dare-ricevere nella quale si dispiega il tu a Tu della preghiera per ottenere il nutrimento necessario.[Ho avuto la sensazione che l’agire divino sia mirato a farsi importunare, ai fini di far maturare, nel cuore dell’orante, la certezza che la sua insistenza avrebbe avuto la meglio solo quando, non il Padre, ma il figlio si convertisse. Non capita così anche ai genitori quando essi quasi-fingono di non voler ascoltare i figli affinché la richiesta non serva da scorciatoia per ottenere senza impegnarsi?]  
- Dicendo ogni giorno, le prime comunità cristiane si ricordavano della manna, cibo speciale che scendeva dal cielo, ma solo nella quantità che bastasse per un unico giorno: se lo si raccoglieva in sovrappiù, il giorno dopo ammuffiva.
 
4 e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione.
Questo versetto consta di una duplice richiesta: di perdono e di aiuto nella tentazione.
C’è qualcosa di sconcertante nell’una e nell’altra richiesta. Nella prima pare strano il voler mercanteggiare con Dio il perdono. La chiave per sciogliere l’enigma l’ho trovato in Madre Teresa di Calcutta, nella frase “Perdonare per essere perdonati”. Che significa: come  osare di ottenere il perdono se io non perdono? Non è che io debba fare il primo passo, ma non posso ottenere la grazia del perdono per via di una preghiera. A volte sembra impossibile perdonare un’offesa che soffoca perché schiacciante; ci vorrebbe una terapia per superare un’ingiustizia che Dio stesso non dovrebbe tollerare. Ci sono difficoltà spirituali che hanno la connivenza dei nostri istinti, del nostro temperamento, della nostra situazione psicofisica quando è corrosa dal risentimento. . Eppure una terapia c’è. la terapia della misericordia.
 
4 e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore
La prima riflessione da fare è questa: perdonare i peccati non è un dovere di giustizia. Per giustizia i debiti devono essere restituiti, il creditore ha diritto alla restituzione. Il debitore non può mai esigere che gli vengano condonati i debiti: pertanto il perdono non si può pretendere; si può chiedere, ma rimane sempre una gratuità.
È un dono, anzi un superdono. Davanti a Dio, se abbiamo fatto qualche peccato, non abbiamo nessun diritto di ottenere il perdono, ma lo possiamo implorare. I nostri sforzi senza l’aiuto di Dio sono orientati non a pretendere il perdono, ma a rafforzare la nostra preghiera.
e non abbandonarci alla tentazione
Questa è una brutta traduzione, quasi che sia Dio ad indurci in tentazione.
Il significato di questa richiesta dipende dalla parola prova, in greco peirasmòs che ha due significati: tentazione (al male, al peccato) e lotta (difficoltà, pericolo, prova…).
Mettendo insieme i due significati la preghiera prende questo senso: che le prove della vita non diventino una tentazione; che nelle prove, nelle difficoltà, io non ceda, non mi abbatta, non mi allontani da Dio, non cada nel male; che siano piuttosto dei test che verificano la mia fede, la mia volontà di bene.

DUPLICE RIFLESSIONE
 
a) Il comportamento cristiano
Il comportamento non è motivato da senso di giustizia o di diritto naturale o di filantropia, ma è fondato sull’imitazione di Cristo. I cristiani hanno un unico comandamento che è il loro distintivo: Amatevi come io vi ho amato (cfr. Gv 13,34-36), dove la paroletta più importante è come.
Frutto anche di una logica interna è far ridondare sugli altri un dono che noi per primi abbiamo ricevuto: “io sono stato perdonato da Dio, sono stato graziato senza nessun mio merito… sono così contento che perdono a mia volta anche se l’altro non lo merita”.
b) Suggerimenti concreti
Si sente dire spesso: “Perdono, ma non dimentico”. Paolo spiega che non si tratta di dimenticare l’offesa, ma di guardarla bene in faccia e di superarla con il bene. Gesù non dimentica i nostri peccati, li conosce molto bene, ma ci perdona  E allora, per fare come Gesù dobbiamo dire: “Non dimentico, ma perdono lo stesso pienamente”.

domenica 17 luglio 2016

DOMENICA XVI T.O. annoC


DOMENICA XVI T.O. annoC
 
Lc 10, 38-42
 
38 In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39 Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40 Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42 ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
 
 
Commento
 
Chi vive la vita cristiana sa di dover esprimere la fede sul doppio binario della preghiera e della messa in pratica che ne scaturisce; detto in termini vetero-testamentari, dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo.
L'interpretazione tradizionale della pericope di oggi, a partire dai Padri della Chiesa, ha sempre posto l'accento sul contrasto tra vita attiva e vita contemplativa, rappresentate da Marta e Maria; contrasto che si è sempre risolto con l’attribuzione della superiorità della vita contemplativa sulla vita attiva.
= Da una lettura attenta del testo risulta che il problema si pone al di là di questa semplicistica contrapposizione; si tratta di una questione più radicale che cercheremo di delucidare
= A partire dai primi anni di vita, la fede si sviluppa gradualmente nella vita familiare, nel contesto parrocchiale, in altri luoghi formativi, come ad esempio nella scuola affidata a religiosi o a laici esemplari e preparati. E, guardando all’oggi, ci sarebbe molto da dire sulla preparazione inadeguata delle persone, causata, a sua volta, dalle inadeguatezze dei loro maestri. Per giunta la formazione dei cristiani, col passare degli anni, spesso si riduce al solo ascolto dell’omelia del celebrante, la quale, anche nella bocca di eloquenti espositori, è il condensato di un’esegesi approssimativa, figlia di una teologia povera di sviluppi.
= Torniamo alla pericope odierna.
L’interpretazione della frase “Maria ha scelto la parte migliore” non può non tener conto del contesto comunitario in cui Luca scriveva il suo vangelo, quando si profilavano problemi di divisione dei compiti tra chi porgeva la Parola in maniera (ritenuta) autorevole e fedele alla prima tradizione apostolica e chi invece si occupava di mense, della conduzione della casa ecc. La parte migliore spettante a Maria divenne la base per attribuire un valore di superiorità qualitativa a chi aveva l’onere di continuare l’opera evangelizzatrice di Gesù o, in un secondo tempo, a chi si ritirava nella vita solitaria del deserto, e ancora in seguito, nei monasteri.
Non è da dimenticare che precedentemente Luca aveva parlato dell’estensione del ruolo di evangelizzatori, oltre che ai 12 apostoli, ai 72 discepoli; e (aveva parlato) del dottore della legge che aveva ridotto i comandamenti ad uno solo: "Amerai il Signore Dio tuo su tutte le cose ed il prossimo tuo come te stesso" (Lc 10,27). Considerando questo come unico comandamento, risultava privo di efficacia il gesto del Buon Samaritano rispetto al comportamento del sacerdote e del levita, i quali non avevano degnato di uno sguardo il malcapitato nella strada da Gerusalemme a Gerico. (E certe idee si sono trasmesse fino ai nostri giorni: pian piano hanno agito -diremmo oggi- nel subconscio, costruendo una mentalità fondata su paradigmi condizionanti).
Qui abbiamo messo insieme parabola e realtà. Ma è il caso di ricordare che cadremmo in un’altra ingenuità nel fare dei distinguo precisi. L’evangelista non si proponeva di fare la cronaca esatta degli avvenimenti narrati e delle relative parabole; fatti e parabole servivano allo stesso scopo: focalizzare l’insegnamento di Gesù.
= Tornando alla frase “Maria ha scelto la parte migliore”, non ci fermeremo più a fare preamboli, non discuteremo sulla possibilità di un litigio tra Marta e Maria, ma rileggeremo il testo sondando in esso in profondità.
- Le due sorelle rappresentano in forma tipologica le caratteristiche della comunità lucana.
-Il ritratto (ideale) di Maria ai piedi di Gesù in ascolto della Sua parola non riguarda semplicemente la sua posizione concreta, ma definisce la sua identità: Maria è colei che sta ai piedi di Gesù. Anche l’evangelista Giovanni ce la presenta così: alla morte del fratello Lazzaro, Maria, chiamata da Marta, “si gettò ai piedi di Gesù” (Gv 11,32); oppure, alle soglie della passione, Maria cospargerà di olio profumato i piedi di Gesù (Gv 12,3). Maria è la donna seduta a terra ai piedi di Gesù; sembra che questa sia la sua posizione naturale. Ma quel che conta è la sua posizione di ascolto, di confidenza, di rispetto, di sottomissione, di affidamento. Maria non sta facendo qualcosa ai piedi di Gesù, ma è uditrice della Parola, è colei che crede a ciò che Gesù le dice senza parole e che lei si lascia plasmare in cuore. Questa è la sua identità.
E Marta? No, non va contrapposta a Maria. L’ascolto e il fare-per debbono abitare entrambi dentro di noi; e non contrapposti, bensì composti; come  le sorelle, che in tal modo potevano essere capaci di una vera ospitalità nei confronti del Maestro.
Così facendo, potremmo leggere le parole di richiamo di Gesù come la chiamata insistente e forte a lasciarsi amare da Lui: questa è la “parte buona che non le sarà tolta”, l’unica cosa necessaria.
Maria è discepola perché accetta il dono di Gesù. Non è colei che serve Lui, ma colei che accetta il servizio di amore che le presta il Maestro, amministrandole il dono della Parola, rivelandole il Suo amore.
= Forse oggi, in una società frenetica e scriteriata, è più che mai urgente il richiamo alla dimensione contemplativa della vita cristiana. E’ nota l’asserzione di un noto teologo del nostro tempo: “Il cristiano del ‘2000 o sarà un mistico o non sarà cristiano” (K. Rahner).
Tuttavia il tema principale del brano è quello dell’accoglienza. Il forte richiamo di Gesù a Marta giunge anche in un tempo in cui la mistica viene confusa con dottrine misteriosofiche per persone e per gruppi che non sempre si sporcano le mani aiutando gli altri.
Dobbiamo liberare dalle nostre costruzioni e costrizioni mentali sia la Marta sbagliata sia la Maria sbagliata.
E non è un lavoro facile. Ci va un’intera esistenza per conservare il tesoro cumulato con l’assiduo ascolto interiore, e per poterlo spendere a favore di noi stessi e degli altri nei momenti di bisogno.
 
N.B. Mi sono servita ampiamente degli approfondimenti fatti da esperti. Questi non sono stati copiati. Talvolta si sono mescolate in me le loro tesi e le loro parole; ma la miscela è tutta frutto del materiale che ho dentro di me.

venerdì 8 luglio 2016

La parabola del buon samaritano



DOMENICA XV T.O. anno C

Luca 10,25-37


25 Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» 26 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» 27 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». 28 Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa' questo, e vivrai». 29 Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» 30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s'imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. 32 Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. 33 Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; 34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all'oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno". 36 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté nei ladroni?» 37 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va', e fa' anche tu la stessa cosa».

 

Commento (breve per non scoraggiare la lettura)

 

v.30 «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico».
= La discesa di cui si parla è tale in senso concreto, al di là del suo valore simbolico: iniziando da Gerusalemme -luogo del Tempio- 818 metri di altezza sul livello del mare, si scende sino a Gerico -città sacerdotale- 258 metri sotto il livello del mare; e il percorso è ripido, disagiato, in quei tempi molto pericoloso.
= Diamo per scontata la conoscenza della parabola e concentriamo l’attenzione sulla seconda domanda del dottore della Legge a Gesù: v.29 «chi è il mio prossimo?».
Gesù non risponde esponendo una tesi; la fa desumere dallo stesso interlocutore attraverso il modo in cui agiscono i personaggi della scena.
Sia il sacerdote sia il levita, di fronte al samaritano tramortito dall’aggressione, passarono oltre. ll verbo greco è antipaparélthen, che significa schivare; il che rende evidente la volontà di evitare il contatto fisico; infatti il sacerdote, se avesse toccato un ferito, peggio ancora un morto, avrebbe contratto un’impurità e, per liberarsene, gli sarebbe toccato di sottoporsi a riti di purificazione. Invece il samaritano, in quanto appartenente ad un popolo ostile ai giudei, avrebbe dovuto, lui sì, passare oltre; ed invece il samaritano è proprio lui il soccorritore.
= E’ bella la descrizione (Luca è un artista della penna) dei gesti amorosi e dei rimedi che il samaritano compie per riparare i danni fisici prodotti  dall’aggressione; ogni particolare è toccante, e il punto più alto è alla fine: il samaritano accompagna l’uomo soccorso ad una locanda affinché possa riprendersi sostandovi alcuni giorni; e intanto lui paga preventivamente di tasca sua. Sarebbe interessante confrontare il racconto lucano con quello apocrifo per poter osservare meglio quali deformanti particolari e stereotipi si sono aggiunti e sovrapposti fin dai primi tempi della formazione delle comunità cristiane. Invece Luca misura le parole per dipingere i  gesti del samaritano; procede con ritmo veloce, efficace, intenso: ne ebbe pietà… fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura….
Ogni azione è una pennellata che dipinge lo stato d’anima da cui scaturiscono quelle azioni, e cioè la compassione, espressa col greco splagchnizesthai; sicché il significato risulta: si sommossero le sue viscere: lo stesso verbo con il quale nella Bibbia si parla della misericordia di Jahvé nei confronti dei poveri e dei deboli.
= Eppure parecchia gente che ancor oggi va a Messa ad ascoltare la parola di Dio cade facilmente nella trappola della commiserazione e del pietismo verso l’uomo soccorso, mentre si profonde in espressioni di ammirazione per il soccorritore. E da ciò difficilmente si ricava una riflessione profonda. Il racconto di Luca merita ben altro commento, il più breve possibile, ma fedele al testo e tale che rispecchi gli atteggiamenti di Gesù.
= Il dottore della legge vuole una risposta oggettiva su chi è il prossimo, mentre la parabola è un appello all’essere prossimo. Nel vangelo apocrifo c’è un loghion, cioè un detto autentico di Gesù, uno dei pochissimi rimastici,: Ama tuo fratello come l’anima tua, proteggilo come la pupilla dei tuoi occhi.
= Sulla strada da Gerusalemme a Gerico c’è una pietra sulla quale un pellegrino medievale ha inciso in latino una considerazione che recita così: Se persino sacerdoti e leviti passano oltre la tua angoscia, sappi  che il Cristo è il buon samaritano che  avrà sempre compassione di te.
= So di usare a volte nei miei scritti una mordente ironia, ma in questo caso mi darete un po’ di ragione. Perché imploriamo: Abbi pietà di noi, sii misericordioso, perdonami,  e simili? E’ la nostra supplica che sommuove le viscere del BuonDio, o siamo noi che non sappiamo capovolgere la supplica da grido di aiuto a ringraziamento gioioso? Lui è sempre pronto ad aiutarci, ma se noi siamo così lamentosi nella preghiera, forse crediamo poco che Dio è la nostra unica sicurezza. Il salmo 18, proposto oggi dalla liturgia, è dalla mia parte!:

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.
      I precetti del Signore sono retti,
      fanno gioire il cuore;
      il comando del Signore è limpido,
      illumina gli occhi.

….

sabato 2 luglio 2016


Luca 10,1-12.17-20
 
In quel tempo, 1 il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2 Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3 Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. 8 Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9 guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. 10 Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11 “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. 12 Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città». - - - - -
17 I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». 18 Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19 Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20 Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
 
Premessa per capire correttamente il linguaggio del testo

- Luca è l’unico a menzionare questa seconda missione che viene affidata a 72 discepoli, dopo quella dei 12 apostoli. Il numero 72 è usato in riferimento alla tavola delle nazioni di cui parla la Genesi. La missione dovrà effettuarsi al di là della Palestina. E’ chiaro che la visione di Luca è universalistica e perciò in tutto il suo vangelo la missione di Gesù e, di seguito, dei discepoli, appare protesa verso i grandi orizzonti.
La pericope che leggiamo oggi riguarda ancora il periodo pre-pasquale. Gesù, ormai consapevole dell’avvicinarsi della Sua passione e morte, si preoccupa di formare i continuatori della Sua missione, in modo che essi, dopo la Sua risurrezione, si facciano missionari del nuovo corso, inaugurato, sì, da Lui, ma che dovrà avere la dimensione di storia universale.
La missione è presentata come un pellegrinaggio concreto e, nello stesso tempo, spirituale. Luca si serve di questa struttura letteraria soprattutto per mettere in bocca a Gesù parole rivolte ai Suoi e a tutti, credenti e non credenti: parole in cui è adombrata una grande verità, poco comprensibile allora ai Suoi, e perciò espressa attraverso immagini sotto forma di raccomandazioni per il viaggio da intraprendere. Forse i discepoli non le capirono nel loro significato, ma è certo che esse furono trasmesse, altrimenti Luca non avrebbe potuto raccontarle a noi; e noi forse siamo ancora più distratti e più superficiali, o, comprendendole attraverso lo studio, non siamo capaci di farle diventare sostanza della nostra vita.
- Ecco cosa dovremmo fare per dare spazio nel nostro intimo ad una verità di fondo, da imprimere nel nostro orizzonte concettuale e sentimentale: L’ESISTENZA TEMPORALE È CAMMINO VERSO UN PUNTO OSCURO, DIETRO IL QUALE C’È LA LUCE. INFATTI LA MORTE NON È FINE DEFINITIVA, BENSÌ PUNTO NODALE NEL QUALE VITA TEMPORALE E VITA IMPERITURA SI INTRECCIANO FINO A SFOCIARE NELLA RISURREZIONE, INIZIO DELLA VITA VERA.
 
Commento sotto forma di puntualizzazioni frammentarie
 
- La missione è delineata ai discepoli in imperativi essenziali: precarietà nelle vesti (non compaiono nemmeno i calzari), sparuto numero di missionari (sono pochi gli operai!), situazione costante di pericolo (vi mando come agnelli in mezzo a lupi), non indugiare più del tempo necessario presso chi li ospita (non fermatevi…)… Sono tutti elementi che li abiliterà ad essere credibili nel farsi portatori di una pace poco conosciuta perché di carattere interiore.
- L’andare a due a due è dovuto, non solo al fatto che la legge riconosceva come valida in tribunale solo la testimonianza concorde di due o tre persone, ma anche alla necessità di dare un segno evidente della solidarietà di cui il regno di Dio è portatore.
- Il Pregate e l’Andate, imperativi esortativi, dimostrano tutta la sollecitudine di Gesù perché i ‘mandati’ si facciano missionari intrepidi della Buona Novella della Salvezza.
- La direttiva di mangiare quello che viene offerto da che li ospita deriva dalla necessità di superare la distinzione mosaica tra cibi puri e impuri, la cui osservanza avrebbe reso impossibile la missione tra i gentili.
- Al rifiuto da parte di una città i discepoli dovranno reagire scuotendo sui responsabili la polvere dei loro piedi; inoltre l’atto di scuotere la polvere dei piedi (non dei sandali, perché i discepoli, secondo Luca, non ne avranno) equivale a un gesto profetico che indica l’esclusione dalla salvezza escatologica e la minaccia di un giudizio di condanna senza sconti.
 
Commenti personali
 
I toni del testo circa il giudizio e la condanna, con tanto di riferimenti biblici, riescono duri e anche ostici per noi moderni; e di fatto li troviamo incompatibili con la misericordia di Dio.
Ma noi ormai sappiamo che la novità del vangelo non è contrapposta alla Scrittura dell’AT. Il contrasto dipende da una lettura miope della Legge Antica; invece, ad esempio, anche in tempi lontani i salmi cantavano l’esperienza dell’adorazione di Dio in un cuore purificato; anche il salmo 65 adottato dalla liturgia odierna, recita: Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!» (con l’aggettivo ‘terribile’ si esalta lo splendore dell’azione divina).
Tanti episodi, detti ecc. della vita di Gesù sono ricalcati su quelli dell’AT, con il semplice scopo di ancorare il dire e il fare di Gesù alla storia della salvezza, che è disegno divino fin dalla creazione del mondo
Quel che il credente non esperto di Bibbia non deve rinunciare a capire è un concetto di fondo: il regno di Dio, cioè il cambiamento di rotta che si inaugura con la predicazione di Gesù (e in seguito dei discepoli) e che avrà il suo culmine con la Sua passione e morte, non deve dipendere più da strette osservanze, ma da una mentalità nuova, impostata sulla priorità da dare al rapporto filiale tra Dio e l’essere umano, e al rapporto fraterno di tutti gli esseri umani tra di loro. Rapporto di comunione, che si realizza mediante la grazia, cioè il dono della partecipazione alla Vita divina, che Dio vuol concedere a tutti, aspettando il nostro sì.
-  L’espressione: v.18 Vedevo Satana cadere… è ricalcata su Isaia 14,12, a riguardo della caduta di Nabucodonosor. Qui significa: su chi disprezzerà gli ambasciatori di Gesù, cadrà il giudizio negativo di Dio (lo stesso di quello che segnò, secondo il racconto leggendario della genesi, la decadenza di Lucifero (o Astro, o Angelo di luce), ad Angelo delle tenebre.
L’annunzio che compare al v.11, Il Regno di Dio è vicino vuole assicurare che è ancora possibile la conversione, ma che è l’ultima possibilità [Noi, invece, sappiamo che per Dio c’è sempre un’ulteriore possibilità…. Diceva il santo curato d’Ars, citato dal teologo Balthasar: “credo nell’inferno, ma sono sicuro che è vuoto”. Sì, anche i mostri attuali di cui parlano le cronache, ci piaccia o ci faccia raccapriccio,  dovranno convertirsi e salvarsi].