sabato 30 luglio 2016

DOMENICA XVIII T.O. anno C


Lc 12,13-21

 

 

13 In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15 E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». 16 Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17 Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18 Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20 Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21 Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

 

Commento

 

Una delle singolarità di Luca sono le parabole, che talvolta, come quella di domani, non trovano corrispondenza in nessuno degli altri evangelisti. All’interno delle sue parabole Luca raggiunge il livello più alto dal punto vista letterario e spirituale.

Il ricco stolto che investe tutto nei suoi beni e la notte si ritrova la morte come giustiziera, suscita in chi legge un fascino oscuro. Si tratta di un uomo solo, senza famiglia e senza relazioni sociali, piegato sula sua pancia che, riempita, gli poteva dare sicurezza. E invece, col sopraggiungere della morte, lo strapperà alle illusioni.

C’è in Luca, come afferma Ravasi, sensibilità per la giustizia e ripulsa per la ricchezza sfrontata ed oscena di fronte alla miseria della povera gente.

Altri esegeti fanno notare che il ricco della parabola dice sempre ‘io’ (io demolirò, costruirò, raccoglierò…), usa sempre l’aggettivo possessivo ‘mio’ (i miei beni, i miei raccolti, i miei magazzini, me stesso, anima mia); nessun altro e nessun’altra prospettiva entra nel suo orizzonte.

La liturgia offre alla lettura questo tema anche attraverso un passo del  Qoèlet. Tale autore ripete ben 38 volte il termine ‘vanità’, in ebraico hebel, dal significato di soffio, vapore che si dilegua, e che, sotto il profilo religioso, può essere paragonato allo Spirito.

Eppure Gesù non evoca la morte come una minaccia per farci disprezzare i beni della terra. Il Vangelo, nel suo insieme, non contesta il desiderio di godere le brevi gioie del quotidiano. Dice che l’uomo non vive di solo pane; e induce a riflettere sul fatto che la Vita vera si alimenta di vita donata; al contrario chi accumula tesori per sé, è votata alla morte, perché le ricchezze non servono a tal fine.

In realtà il tema principale del vangelo di oggi è nella linea della tradizione israelitica, la quale riteneva che i beni materiali siano segno di benedizione e ricompensa per una vita onesta.

Il vangelo di Luca è particolarmente attento alla giustizia, allo scandaloso contrasto tra chi pensa solo ad arricchirsi e chi non ha il necessario. A questo scandalo il cristiano non può rispondere solo con gesti caritatevoli; deve adoperarsi perché sia restituito a tutti il diritto ad una vita dignitosa. (ecco perché in Luca le Beatitudini parlano di poveri senza l’aggiunta “in spirito”).

La chiave di lettura della pericope di oggi consiste in questo: la giustizia prima di tutto, quindi prima ancora della carità. Ecco, infatti, la raccomandazione che tutti dobbiamo ascoltare «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede»

La comunità di Luca ha elaborato quanto l’evangelista ha scritto per fare risaltare l’immagine di un Gesù misericordioso, cioè con il cuore pieno di attenzione verso gli affamati, gli assetati ecc. in senso reale, concreto.

   

Qualche nota analitica

 

A quel tempo, l’eredità aveva a che fare con l’identità delle persone e con la sopravvivenza; perciò quando la famiglia era grande, c’era il pericolo che l’eredità fosse divisa in piccoli pezzi di terra che non avrebbero potuto garantire la sopravvivenza di tutti. Per questo, onde evitare la disintegrazione dell’eredità e mantenere vivo il nome della famiglia, il primogenito riceveva il doppio degli altri figli.

Alla provocazione della questione tra i due fratelli, si aggiunge la parabola dell’uomo stolto, (in greco aphròn, termine dispregiativo che alcuni traducono addirittura con scemo o insensato). Letta in positivo, la parabola ha, sì, parole severe di condanna, ma invita a sperare nell’unico Bene, che è il Signore di tutti i beni.

Prima conclusione della parabola: la sicurezza materiale scompare di fronte alla morte improvvisa. Seconda conclusione: la vera sicurezza è diventare ricco davanti a Dio. Diceva Agostino nelle Confessioni: "Tu eri dentro di me e io ero fuori".Quando la nostra aspirazione si ferma al creato, muore l'unico luogo che in noi è capace d'incontrare l'infinito, il punto immortale dell'uomo, fuori dal quale c’è limite e finitezza. Le persone felici sono quelle che non sono dominate dai beni e sono capaci di dire: "quello che è mio è anche per te”.

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