lunedì 30 aprile 2012

Il coraggio di dissentire senza intaccare la FEDE


Messaggio di solidarietà alla Women’s religious leadership conference of U.S.A.
Noi donne e uomini delle Comunità cristiane di base italiane, riunitesi a Napoli dal
28 al 30 aprile 2012 nel XXXIII Incontro nazionale, vi siamo vicine/i con profondo
senso di solidarietà in questo momento in cui la gerarchia vaticana, attraverso il
commissariamento della Women’s religious leadership conference degli U.S.A.,
cerca di fermare l’autonomo cammino delle vostre Congregazioni religiose nel
percorso di impegno sia ecclesiale che sociale.
Napoli, 30 aprile 2012

Messaggio di solidarietà ai parroci “disobbedienti” austriaci.
I e le partecipanti al 33° incontro nazionale delle Comunità cristiane di base italiane,
svoltosi a Napoli dal 28 al 30 aprile 2012:
1) Esprimono la loro piena solidarietà ai parroci e preti di “Pfarrer Initiative” che
pubblicamente e responsabilmente hanno proposto una serie di riforme nella
Chiesa cattolica romana;
2) Dissentono dal Papa che Giovedì santo ha qualificato come “disobbedienza”
alle autorità ecclesiastiche l’iniziativa dei preti austriaci;
3) Sottolineano che, secondo le Scritture, l’obbedienza si deve prima a Dio che
agli uomini;
4) Auspicano che, sui temi sollevati dai preti austriaci – come la possibilità
dell’accesso all’Eucaristia dei divorziati risposati ed il celibato opzionale dei
preti – si apra un dialogo collegiale e corale nella Chiesa cattolica, cosicché
tutti insieme, donne e uomini, si possano prendere quelle decisioni coraggiose
che meglio rispondano all’appello dell’Evangelo ed alle necessità odierne del
Popolo di Dio.
A cinquant’anni dall’inizio del Vaticano II ci sembra che questo modo di prendere
delle decisioni sarebbe una coerente attuazione di ciò che lo Spirito ha detto alla
Chiesa con il Concilio.
Napoli, 30 aprile 2012
Segreteria tecnica delle Comunità Cristiane di Base italiane
Stefano Toppi
320 4376368

PERSONALE
Dissento dalle comunità di base quando propongono-eseguono pratiche di fede che intaccano seriamente l'assetto teologico della Chiesa. Ma le loro aperture di credenti (e quali credenti quelli di cui sopra!)  non possono essere inascoltate, senza che la gerarchia ufficiale instauri un vero dialogo. Invocare le prese di posizione del Concilio non è ribellione. Va considerato non meno importante di quanto hanno invocato, anzi preteso, i lefrebviani ed altri. 

martedì 24 aprile 2012

IV Domenica di Pasqua - 29 aprile 2012


IL BUON PASTORE DA’ LA PROPRIA VITA PER LE PECORE
Gv 10,1118
[In quel tempo, Gesù disse:] «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

 Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
L’immagine di Gesù come Buon Pastore è indubbiamente quella più conosciuta e più amata dai cristiani, una immagine carica di tanti, tanti significati. Eppure è strano che, quando Gesù si presenta come tale, come Buon Pastore, i capi giudei si arrabbiano con lui, lo ritengono un pazzo e alla fine cercheranno di lapidarlo.
Siamo noi che abbiamo capito tutto di questa immagine o sono stati i giudei che hanno capito e l’hanno rifiutata?
Vediamo cosa ci dice l’evangelista Giovanni. Anzitutto Gesù si presenta rivendicando la pienezza della condizione divina. Quando nel Vangelo di Giovanni Gesù afferma “Io sono”, questo rappresenta il nome divino. Quando Mosè nel famoso episodio del roveto ardente chiese a quell’entità che si manifestava, il nome, Dio non rispose dando il nome, perché il nome delimita una realtà, ma rispose dando un’attività che lo rende riconoscibile. Rispose “Io sono colui che sono”. E la tradizione ebraica ha sempre interpretato questa espressione, questa risposta del Signore come colui che è sempre vicino al suo popolo. Al tempo di Gesù, quindi, con l’espressione “Io sono” si indicava Dio.
Allora Gesù rivendica la condizione divina. E afferma: Io sono” – non “il Buon Pastore” – ma “il Pastore Buono. Qual è la differenza? L’evangelista non sta parlando della bontà di Gesù; quando l’evangelista si deve riferire alla bontà di Gesù, adopera l’aggettivo greco “agahtós”, da cui il nome Agata, che significa ‘buona’. Qui, invece Gesù, dichiara che lui è il Pastore, ed usa l’aggettivo greco “kalòs”, da cui calligrafia, bella scrittura, che significa ‘il bello’, che significa ‘il vero’. Quindi Gesù non sta indicando la sua bontà, ma sta indicando qualcosa di diverso, qualcosa di più importante.
Cosa significa il Pastore Vero? C’era stata una profezia nel Libro di Ezechiele, al cap. 34, dove il Signore rimproverava i pastori del popolo, perché, anziché prendersi cura del gregge, pensavano soltanto a loro stessi. E allora, li minaccia il Signore, “verrà un tempo in cui io stesso mi prenderò cura del mio gregge”. Quindi il Signore sarà l’unico vero pastore del popolo. Ebbene, dichiara Gesù, questo momento è arrivato. Ecco perché questo suscita le ire dei capi religiosi, perché si sentono spodestati da Gesù, che li chiama ladri, si sono impadroniti di ciò che non è loro, il gregge, e omicidi. Allora, il Pastore, quello vero, quello ‘per eccellenza’ è identificato da Gesù nella sua persona. E qual è la caratteristica che lo rende riconoscibile come il Pastore Vero? Dice Gesù che “dà la vita per le pecore”.
Allora qui Gesù supera la profezia di Ezechiele. Mentre per il Profeta Ezechiele il pastore proteggeva, si prendeva cura del suo gregge, con Gesù il pastore arriva al punto di dare la vita per le sue pecore, quindi si supera. Poi Gesù paragona la figura del pastore a quello che non considera come un cattivo pastore, ma un mercenario. Chi è il mercenario? Il mercenario è colui che agisce per proprio tornaconto.
L’evangelista lo ricordiamo sempre in queste pagine non entra in polemica con un mondo, quello ebraico, dal quale la comunità cristiana si è ormai irrimediabilmente separata, distaccata, ma è un monito per la comunità cristiana affinché non ripeta gli stessi errori. Quindi nella comunità cristiana, a chi agisce esclusivamente per il proprio interesse, per il proprio tornaconto, per il proprio prestigio, Gesù non riconosce nessun titolo, nessuna carica, se non quella di essere il mercenario.
Questa espressione “Io Sono” viene ripetuta in questo brano, per ben tre volte – il numero tre, secondo la simbologia ebraica, significava ciò che è completo. Quindi Gesù rivendica la pienezza della condizione divina e il suo essere Pastore. Perché Gesù può affermare di essere Pastore? Perché lui è l’Agnello. Solo chi è disposto a dare la vita per gli altri, questi può essere il Pastore del gregge. E, dichiara Gesù, che lui “conosce le sue pecore e le sue pecore conoscono lui”. Qual è il significato di questa espressione? C‘è una comunicazione intima, crescente, traboccante d’amore tra Gesù e il suo gregge, cioè tra Gesù e i suoi discepoli, i credenti, che è simile – dice Gesù – a quella del Padre con lui. “Così come il Padre conosce me, io conosco il Padre e do la mia vita per le pecore”
 C’è una dinamica di un amore ricevuto da Dio, che si trasforma in amore comunicato agli altri. Più questa misura di amore ricevuto e comunicato è crescente, più si arriva a realizzare un’unica realtà di un Dio che non assorbe le energie degli uomini ma che comunica loro le sue, un Dio che si vuol fondere con l’uomo per dilatarne l’esistenza e farne l’unico vero santuario. Infatti, dichiarerà Gesù tra poco, “E altre pecore che non provengono da questo recinto… “. Gesù è venuto a liberare le persone. Cos’è il recinto? Il recinto è qualcosa che ti dà sicurezza, però ti toglie la libertà. Allora Gesù dichiara che lui è venuto a portare un processo di liberazione crescente per l’umanità che non riguarda soltanto le persone che sono rinchiuse nel recinto della religione, ma in tutti quei recinti che impediscono la libertà. Allora afferma Gesù “Ho altre pecore che non provengono da questo recinto, lui è venuto a liberare le pecore dal recinto dell’istituzione giudaica – “anche quelle io devo guidare”. Il verbo ‘dovere’ è un verbo tecnico adoperato dagli evangelisti che indica il compimento della volontà divina. Quindi è volontà di Dio un processo di liberazione.
La religione ha un fascino perché ti dà sicurezza, però ti toglie la libertà. Ti dà sicurezza perché quando entri nell’ambito della religione devi soltanto obbedire, devi soltanto osservare, ma questo ti mantiene in una condizione infantile, di immaturità; invece Gesù vuole portare la persona alla piena maturità, alla piena crescita. “Ascolteranno la mia voce”, la voce del Signore non si impone mai, ma si propone. Come si fa a distinguere la voce del Signore? Mentre le autorità religiose, siccome sono le prime a non credere nel loro messaggio, lo devono imporre, a Gesù, che è cosciente che il suo messaggio è la risposta di Dio al bisogno di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro, basta offrirlo, e le pecore, il gregge, i credenti, questo lo capiscono. “E diventeranno un gregge e un pastore”
 In passato, per un errore proprio di traduzione, per aver confuso il termine ‘recinto’ con ‘gregge’, probabilmente ad opera di Girolamo, la traduzione latina era “e saranno un solo ovile e un solo pastore” (et fiet unum ovile et unus pastor). Di qui la pretesa della Chiesa per secoli, per tanti e tanti secoli, fino al Concilio Vaticano II, di essere l’unico ovile nel quale c’era la salvezza. Da qui lo slogan ‘fuori dalla Chiesa non c’è salvezza’. Gesù non è venuto a togliere le persone e le pecore dall’ovile, Israele, per rinchiuderle in un altro recinto più sacro, più bello. No! Gesù è venuto a dare la piena libertà: e diventeranno un gregge, un Pastore. Cosa vuol dire Gesù? L’unico vero santuario nel quale d’ora in poi si manifesterà la grandezza e lo splendore dell’amore di Dio, sarà Gesù e la sua comunità. Mentre nell’antico santuario le persone dovevano andare ‐ e molte ne erano escluse ‐ nel nuovo santuario, è il santuario stesso che andrà in cerca degli esclusi dalla religione.

Prego: A l   d i   l à  d e l  p a t e t i c o!
Nota personale
Certe frasi di A. Maggi talvolta si lasciano equivocare; ad esempio quando afferma: “La religione ha un fascino perché ti dà sicurezza, però ti toglie la libertà”.
Dobbiamo stare attenti a non ritenere il superamento delle ristrettezze della religione in antitesi con l’autentico rapporto personale e collettivo con Dio. NO: La religione è di aiuto nell’offrire mezzi (soprattutto sacramentali) di autentico spirito religioso. Ed è facile capire che senza le strutture ecclesiali sarebbe difficile per molti credenti trovare punti di riferimento concreti per vivere la comunione con i fratelli e con Dio.
Se ci sbarazziamo di tali equivoci, riusciremo ad apprezzare il bellissimo commento di Maggi ed a riceverne molta luce. Ausilia

venerdì 20 aprile 2012

III Domenica di Pasqua


 [In quel tempo, i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

COMMENTO DI ALBERTO MAGGI OSM
Gesù cerca di far comprendere che in lui si realizza il progetto del creatore, quel progetto che è stato trasmesso attraverso la legge di Mosè, quel progetto che è stato portato avanti e proposto dai profeti e quel progetto che è stato cantato nei salmi: che l’uomo avesse la condizione divina. E Gesù cerca di far comprendere loro il significato profondo di questa scrittura e la conclusione di questo brano importantissimo – perché è il mandato che Gesù dà ai suoi discepoli, quindi ai credenti di tutti i tempi – che nel nome di questo Cristo risuscitato, cioè della perfetta realizzazione del progetto di Dio sull’umanità, “saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme”. Quindi sarà predicata la conversione per il perdono dei peccati a tutti i popoli. Per ‘conversione’ in greco si usano due termini: uno che significa ‘il ritorno a Dio’ , quindi il ritorno al culto, il ritorno al tempio, alla preghiera. Gli evangelisti evitano accuratamente questo termine, usano l’altro che significa ‘cambiamento di mentalità’ , che coincide con un cambio di comportamento nei confronti degli altri. Allora Gesù dice che nel nome del Cristo Risuscitato sarà predicato un cambiamento.
Qual è il significato di questo cambiamento?
Orienta diversamente la tua esistenza, se fino ad ora hai vissuto per te, ora vivi per gli altri. Questo ottiene il perdono, cioè il condono e quindi non dice la conversione e…, ma il testo greco riporta PER…, cioè per il perdono, per la cancellazione dei peccati.
Questo termine ‘peccati’  non indica le colpe abituali degli uomini, ma una direzione sbagliata della propria esistenza. Quando uno cambia vita, quando non pensa più a se stesso, ma orienta la propria vita per gli altri, il passato ingiusto, il passato peccatore è completamente cancellato.
E questo deve essere annunziato a tutti i popoli pagani. Il termine adoperato dall’evangelista, il greco (éthne), da cui etnico, indica i popoli pagani, e c’è una sorpresa che l’evangelista ci mette: tutti i popoli pagani cominciando da….. – e ci aspettiamo quale sarà il primo popolo pagano, bisognoso di questa conversione, sarà la Siria, sarà l’Egitto, quale sarà il primo popolo pagano a cui bisogna proclamare la conversione? Ebbene, la sorpresa, il primo popolo pagano è Gerusalemme. Gerusalemme, la città santa, il luogo dove c’era il tempio, equiparata da Gesù a terra pagana bisognosa di conversione. Sono le istituzioni religiose quelle che per prime hanno bisogno di convertirsi.
Una noticina personale
L'ultima affermazione mi fa dissociare dal commento di Maggi, perché potrebbe significare la priorità della conversione della chiesa istituzionale rispetto a quella dei singoli. Sono convinta che l'istituzione si corrompe per via delle persone le quali, singolarmente o attraverso gruppi (ma attenzione a questi!) possono incidere sulle strutture. Guai a riposare sulle strutture 'giuste' o ad illudersi di poterne fare a meno: prima o poi si formerà un'altra gabbia....
Certamente la liberazione da vincoli istituzionali ci può allettare, ed io stessa non posso fare a meno dal fare appello alla mia coscienza quando non sono convinta della giustezza di certe condotte imposizioni stile et cetera; ma fino a quando ci sarà questa condizione terrestre ci sarà sempre della zavorra. E CIO' NON SIGNIFICA CHE NON DOBBIAMO LIBERARCI IL PIù POSSIBILE DALLA ZAVORRA. 

mercoledì 11 aprile 2012

II DOMENICA DI PASQUA

 II DOMENICA DI PASQUA ‐ DOMENICA 15 APRILE 2012
OTTO GIORNI DOPO VENNE GESU’
Con commento di p. José Maria CASTILLO
Gv 20, 19‐31
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il
Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
1.                  Dio entra attraverso i sensi. E’ quello che successe a Tommaso. Quest’uomo diceva quello che molta gente dice quando si pone il tema di Dio: “se non lo vedo, non gli credo”. Tommaso voleva vedere, toccare, palpare. E Gesù glielo concesse.
2.      Ma cosa vide e toccò Tommaso? Vide e toccò piaghe di dolore e di morte. Palpò cicatrici di sofferenza. E lì, in questo, in ciò che entra attraverso i sensi, Tommaso fece esperienza della fede: “Signore mio e Dio mio!”. Ciò non vuole dire che il cammino per andare verso Dio sia il cammino del dolore. Dio non vuole la sofferenza. Quello che succede è che in questa vita c’è molta gente che soffre più di quello che può sopportare. E, premesso ciò, la fede nella risurrezione si esprime nel fatto che ci mette sul giusto cammino per prestare attenzione alle sofferenze ed alle speranze del passato, e per accettare la sfida dei morti (J. B. Metz).
3.      Beati quelli che credono senza aver visto Gesù. Oggi la presenza di Gesù sta lì dove quelli che lo cercano, incontrano piaghe di dolore e di morte. Se, al loro posto, incontrano potere, pompa ed ostentazione, non potranno dire: “Signore mio e Dio mio!”.
Riflessione personale
Anch’io nell’assistere, soprattutto attraverso collegamento TV, a certo cerimoniale religioso ‘pomposo’, provo fastidio ed invoco in cuor mio, la liberazione da tali forme; e mi dico: “fino a quando dureranno questi aspetti fastosi?”. Ma perché NOI non operiamo i miracoli dell’Amore in questa povera terra?
Sì, cerco di vedere il mio Dio in tutti ed in tutto, perfino negli assassini, perché è impossibile che Dio fugga davanti al male, dal momento che si è sacrificato per TUTTI. “Aiutiamo Dio” diceva la Hillesum: il male deve essere combattuto con la nostra conversione: ne abbiamo cammino da fare per realizzarla! E cerchiamo la complicità con tutti coloro che toccano le piaghe di Gesù nel dolore e…. nel male umano.
Le semplici dimostrazioni di ripugnanza di fronte al potere della chiesa non bastano, anzi possono essere un alibi per allontanarci dalla pratica religiosa. Gesù chiese a Francesco di “riparare” la chiesa in via di crollo, ed egli lo fece gettando sulla terra il seme di un messaggio di povertà totale, PRATICATA.
   

giovedì 5 aprile 2012

Perché la Pasqua si realizzi in noi

PASQUA – 8 aprile 2012

EGLI DOVEVA RISUSCITARE DAI MORTI
Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM

Gv 20,1-9
II primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
***
Se Maria di Magdala si fosse recata al sepolcro un giorno prima, avremmo celebrato la Pasqua un giorno prima. Scrive Giovanni nel capitolo 20: “Il primo giorno della settimana”, letteralmente “nel primo dopo il sabato”, “Maria di Magdala si recò al sepolcro”. Perché Maria di Magdala non si è recata al sepolcro subito dopo la sepoltura di Gesù, ma ha atteso il primo giorno dopo il sabato?
Perché è ancora condizionata dall'osservanza della legge, il riposo del sabato. E quindi l'osservanza della legge ha impedito di sperimentare subito la potenza della vita che c'era in Gesù, una vita capace di superare la morte.
L'evangelista, attraverso questa indicazione, vuole segnalare ai suoi lettori che l'osservanza della legge ritarda l'esperienza della nuova creazione che viene inaugurata da Gesù.
L'espressione “il primo giorno della settimana” richiama infatti il primo giorno della creazione, in Gesù c'è la nuova creazione, quella che veramente è creata da Dio e come tale non conosce
la morte, non conosce la fine.
Ma la comunità, rappresentata da Maria di Magdala, ancora è condizionata dall'osservanza della legge, questo ritarda l'esperienza della risurrezione. “Si reca al sepolcro di mattino quando era ancora buio”. Le tenebre sono immagine dell'incomprensione della comunità, che ancora non ha compreso Gesù che si è definito “luce del mondo”, il suo messaggio, la sua verità.
“E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. Ebbene la prima reazione di Maria di Magdala è correre da Simon Pietro e dall'altro discepolo.
Gesù aveva detto: “Viene l'ora in cui vi disperderete ciascuno per conto suo”. Ebbene l'evangelista attribuisce a questa donna , Maria di Magdala, il ruolo del pastore che raduna le pecore che si erano disperse.
E annuncia loro: “«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto»”. Non parla di un corpo, ma parla del Signore, quindi c'è già l'allusione che è vivo questo Gesù.
Ebbene cosa fanno Pietro e l'altro discepolo? “Si recano al sepolcro”.L'unico posto dove non dovevano andare. Nel vangelo di Luca sarà espresso molto chiaramente dagli uomini che frenano le donne che vanno al sepolcro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”.
Pietro e l'altro discepolo vanno in cerca del Signore nell'unico posto dove lui non c'è, cioè nel luogo della morte. Come Maria, per l'osservanza del sabato ha ritardato l'esperienza di una vita più forte della morte, perché Gesù non può essere trattenuto nel sepolcro, luogo di morte – lui è il vivente - così i discepoli vanno al sepolcro, l'unico posto dove non si può trovare Gesù.
Se si piange la persona come morta, cioè se ci si rivolge al sepolcro, non la si può sperimentare viva e vivificante nella propria esistenza. Entrambi i discepoli corrono, giunge prima il discepolo amato, quello che ha l'esperienza dell'amore di Gesù. Pietro, che ha rifiutato di farsi lavare i piedi e quindi non ha voluto accettare l'amore che Gesù ha espresso nel servizio, arriva più tardi. Ma l'altro discepolo si ferma e permette che sia Pietro il primo ad entrare. Perché? E' importante che il discepolo che ha tradito Gesù e per il quale la morte è la fine di tutto – e questo era il motivo del tradimento – faccia per primo l'esperienza della vita.
E poi entra anche l'altro discepolo. “Vide e credete”. Ma il monito fondamentale dell'evangelista, “non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.
La preoccupazione di Giovanni è che si possa credere alla risurrezione di Gesù solo vedendo i segni della sua vittoria sulla morte. No! La risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti. Come? Lo dice l'evangelista: “Non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. L'accoglienza della scrittura, la parola del Signore, nel discepolo, la radicalizzazione di questo messaggio nella sua vita, la sua trasformazione, permettono al discepolo di avere una vita di una qualità tale che gli fa poi sperimentare il risorto nella sua esistenza.
Non si crede che Gesù è risorto perché c'è un sepolcro vuoto, ma soltanto se lo si incontra vivo e vivificante nella propria vita.