sabato 25 maggio 2019

SESTA DOMENICA di PASQUA



SESTA DOMENICA di PASQUA


1) il vangelo

Gv 14,23-29
In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
23 Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.
24 Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
25 Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
26 Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
27 Avete udito che vi ho detto: ‘Vado e tornerò da voi’.
28 Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me.
29 Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.

1) PREMESSA PERSONALE al commento

E’ proprio il caso di premettere che in questi tempi difficili sotto diversi aspetti e nei più disparati campi, è difficile per me commentare questa pericope del IV vangelo, di cui non è autore diretto Giovanni (ma i rimaneggiamenti del testo presupponevano che lui fosse stato il testimone principale di quanto viene narrato).
- La chiesa cattolica ha definito lo Spirito santo Terza Persona della Trinità. Ma i testi biblici del cristianesimo hanno subito non pochi travagli dal punto di vista esegetico-critico, morale e spirituale.
- Talvolta, nello stendere i miei commenti, immagino quanto debbano essere distratti i miei lettori dall’approfondire la Parola dal momento che sono abituati all’ascolto ingenuo, letterali stico, della Parola. Ne consegue che la fede dei più ondeggi tra luoghi comuni, devozionalismo; atteggiamento ipercritico disincarnato, spiritualistico eccetera. E ciò nel disorientamento delle coscienze maggiormente vigili.
- Come parlare allora di Spirito santo, di Paraclito, di Terza Persona della Trinità? e poi a che pro?
Ecco perché mi limiterò a) a fare un commento breve soltanto circa i primi tre versetti della pericope, e b) mi affiderò a Teresa d’Avila, dottore della chiesa, perché sia lei a suggerirci come pregare il buon Dio per poter entrare nel mistero, non secondo le definizioni ufficiali, ma nel confronto con la realtà concreta, politica, economica, vissuta e soprattutto succube della dominante cultura materialistica, incapace di ritrovare l’orientamento fondato sui perenni valori umani.

2) I PRIMI TRE VERSETTI

23 Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.
Siamo di fronte alla parte finale del discorso di addio, che Gesù avrebbe rivolto ai suoi discepoli durante l’ultima cena.
In realtà il discorso non è più diretto ai discepoli presenti nel cenacolo, ma ai seguaci di tutti i tempi; Gesù infatti non usa più il voi, ma parla in modo impersonale: Se uno mi ama. Cioè chiunque, se vuole, può entrare in comunione con Lui.
Inoltre si afferma che c'è relazione d'amore tra Figlio e Padre. Quest’ultimo entra in dialogo d'amore anche con il discepolo che diviene una cosa sola con il Figlio.
La venuta del Padre e del Figlio è definita dimora, termine denso di significati. Già il re Salomone, durante la cerimonia di consacrazione del tempio, si chiedeva come fosse possibile che Dio, grande e infinito, potesse ridursi a dimorare in una casa fatta da mani umane (1 Re 8,27).
24 Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Sempre nel vangelo secondo Giovanni, al v. 21, Giuda Taddeo aveva chiesto a Gesù: come è accaduto che tu devi manifestarti a noi e non al mondo? Gesù avrebbe risposto  soltanto allora a questa domanda: il termine mondo sarebbe sinonimo di coloro che, rifiutando la Parola dell'Inviato, rifiutano quella dello stesso Padre, e dunque si escludono da ogni comunicazione ulteriore. La comunità dei discepoli e il mondo si distinguono soltanto per la presenza o l'assenza dell'amore, cioè della comunione di vita con il Padre e il Figlio.
25 Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Il nome Paraclito in origine era usato nel linguaggio giuridico e significava letteralmente chiamato-vicino; l'equivalente latino è ad-vocatus, cioè avvocato, inteso come difensore o soccorritore, per estensione consolatore. Il contesto in cui si usa questo termine nei testi profani è quello del processo, e indica colui che sta a lato dell'accusato per difenderlo.
In ebraico la parola Spirito è ruah, nome di genere femminile che significa soffio, aria, vento, respiro...; esprime la Potenza divina, della quale sono compenetrati i profeti, ma che è disponibile ad agire in tutti.
Il concetto di tale Potenza non ha avuto tuttavia uno sviluppo particolare nell'Ebraismo, come invece lo ha avuto il Cristianesimo.

3) TERESA D’AVILA e la penetrazione nel mistero tramite la preghiera. Lasciamo a lei la parola, accompagnata da brevi commenti

Pregare è un bisogno intimo dell’uomo, perché Dio ci ha creato per farci entrare in comunione con Lui.
La preghiera è uno strumento di amicizia, forse il più alto, il più misterioso, il più sublime.
L’orazione non è un soliloquio, ma un essere soli con Lui solo.
Ogni preghiera è ispirata da Dio e ci dà la certezza di essere amati da Lui.
Non desidero altro che staccarmi da tutto ciò che non è Lui, che mi distrae da Lui. Si tratta di un’attitudine interiore.
Il raccoglimento nella preghiera è un trattare con Lui come con un padre o un fratello, come con uno sposo; una volta in un modo e una volta in un altro.
Sono caduta tante volte: fu soltanto per non essermi appoggiata alla forte colonna dell’orazione.
- Teresa usa spesso il verbo guardare: invita a guardare Gesù e a lasciarsi guardare da Lui. Lo sguardo reciproco esprime proprio l’intimità. Addirittura lei parla di innamoramento.
Chi comincia (l’orazione) deve far conto di tramutare in giardino di delizie per il Signore un terreno molto ingrato, nel quale non germogliano che erbe cattive.
Sradicare le erbe cattive e piantarne di buone è lavoro di Dio che supponiamo già fatto fin da quando l’anima si determina per l’orazione e comincia a praticarla. Ora a noi, come a buoni ai giardinieri, incombe l’obbligo di procurare, con l’aiuto di Dio, che quelle piante crescano: perciò innaffiarle affinché non inaridiscano, e cercare che producano fiori di deliziosa fragranza per ricreare il Signore. Allora Egli verrà spesso a riconfortarsi e trovare le sue delizie fra quei fiori di virtù (…)

4) La poesiola personale

ribelle al destino di giorni
incolori intrecciati a vuoti rituali
nelle feste trovavo rifugio
sollievo pace e gioia

la festa  è sosta agli affanni
novità contro apatie
comunione di affetti incanto
da ogni affanno distanza

vorrei chiamarla
dono dello Spirito
ma ormai il mistero

bussa alla porta del cuore
sussurrando pienezza d’amore
da-dare da-dare da-dare

sabato 18 maggio 2019

QUINTA DOMENICA di PASQUA

7QUINTA DOMENICA di PASQUA

1) il vangelo

Gv13,31-35

31 Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse:
Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32 Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 
33 Figlioli, ancora per poco sono con voi;
34 Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
35 Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.

2) il commento

- Il testo si pone in uno sfondo universale e perciò tale che non riguarda soltanto i seguaci di Gesù.
Il tema centrale affrontato è il comandamento dell’amore, riguardante il modo nuovo di amare Dio e il prossimo; ma, in quanto messo in bocca a Gesù, pare una sorta di testamento spirituale e morale che Gesù avrebbe affidato ai suoi.
Alcuni obiettano: ma l'amore può essere un comandamento? non è piuttosto uno slancio spontaneo del cuore?
Tertulliano (II-III sec.), il più geniale e poliedrico scrittore della letteratura cristiana del tempo, scriveva nell’Apologeticum che i non-cristiani esclamavano stupiti: Guardate come si amano fra loro e come sono disposti a morire per amore degli altri.
- BREVE ESEGESI DEL TERMINE AMORE
a) Il greco conosceva almeno tre verbi (assieme ai relativi sostantivi) per esprimere l’amore: Il verbo eràō e il sostantivo éros indicano l’amore-desiderio, che spesso sfocia nella sensazione di possesso (anzitutto tra uomo e donna).
Poiché l’ebbrezza dei sensi non conosce forma né misura, già i tragici greci conoscevano l’aspetto demoniaco dell’eros, che può far smarrire ragione, volontà e senno.
Progressivamente si affermarono altri aspetti dell’amore di carattere morale e/o spirituale: amore artistico (amore del bello), filosofico (amore del vero), religioso (amore per gli dei, o per la vita eterna. Plotino giunse ad esprimere con eros l’aspirazione mistica per l’unione spirituale con la realtà soprasensibile.
- Il termine più generale per indicare l’inclinazione affettiva verso qualcuno o qualcosa èphiléō philìa. Da cui: phìlos (amico) e vari nomi composti: filo-sofia (amore della sapienza), filantropia (amore verso gli umani).
Il verbo agapàō, molto meno colorito, è di etimologia incerta e viene usato senza particolari sfumature, tanto da essere talvolta intercambiabile con i precedenti.
- Nella religione ebraica il comandamento dell’amore al prossimo non è riassuntivo di tutti i comandamenti, poiché l’amore di JHWH si articola in tutta una gamma di prescrizioni e precetti. - La comunità di Qumran, ai tempi del NT, era consapevole dell’amore di Dio, che si rivolgeva, però, soltanto ai figli della luce; cioè Il comandamento biblico consisteva nell’amare chi era eletto da Dio e nell’odiare chi è odiato da Lui (!).
b) L’amore come comandamento nuovo
Meglio che i rabbini, il Gesù dei vangeli (soprattutto quello di Giovanni) parla di comandamento nuovo.
Per l’Autore del IV vangelo la vera novità del Cristo, è il suo dono più specifico e originale, in rimando al clima dell’ultima cena, quando Lui lo proclamò come nuovo (rispetto ai comandamenti dell’AT); infatti non è da aggiungere ai precedenti, ma da approfondire nella sua novità: il rapporto filiale quale quello di Gesù per il Padre. Per capirlo basta richiamarsi a quello che Gesù aveva detto: Non vi chiamo più servi … ma vi ho chiamato amici (phíloi), perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
c) IL COMMENTO DI PAPA FRANCESCO
Essere cristiano è un cammino di liberazione; i comandamenti ti liberano dal proprio egoismo e ti liberano perché c’è l’amore di Dio che ti porta avanti.
Proseguendo un ciclo di catechesi dedicato ai dieci Comandamenti, papa Francesco ha invitato i fedeli presenti all’udienza generale in piazza San Pietro, a fare un esercizio di memoria, teso a ricordare quante cose belle ha fatto Dio per ognuno di noi! E ha esortato a guardarsi dentro e a chiedere a Dio di essere liberati dall’egoismo, dal peccato, dalle catene della schiavitù.

3) Personale: quel che il cuore mi detta

Come parlare di amore per Dio e per il prossimo in questo omento storico, quando i valori umani sono scomparsi, Dio è distante dall’essere umano e il prossimo è soffocato dalla morsa del male?
Mi chiedo cosa resta di tutto ciò in cui credevo fervidamente quando ero bambina.
Allora cerco un rifugio lontano dalla triste e trista realtà e prego col linguaggio del cuore; e, per dare riposo alla mia inquietudine, balbetto parole in poesia [chiedo scusa se le mie poesiole non sopportano la punteggiatura]:

se guardo superficie luminosa del mare
o mi fingo altro cielo altra danza festosa
fatta di ritmi mai ascoltati
rimango smarrita ma prego

o Dio percuoti il mio incanto
trascendi i miei sensi
attraversa il mio cielo interiore
abbeverami di VERITA’

solo guardando il buono e il cattivo
il vecchio e il bimbo il sano e il malato
fuori dalle angustie dell’io

ti scopro o mio Dio
presente in tutti e in ciascuno
o mio Dio o mio AMORE

sabato 11 maggio 2019

QUARTA DOMENICA di PASQUA



QUARTA DOMENICA DI PASQUA

1) il vangelo

Gv 10,27-30

27. In quel tempo, Gesù disse: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
28. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
29. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
30. Io e il Padre siamo una cosa sola.

2) il commento

a) Premessa
- L’immagine evangelica del Pastore richiama uno dei temi più significativi della cultura biblica ebraica.
C’è un dato di fatto di cui tener conto: la maggior parte della Giudea era un altipiano dal suolo aspro e sassoso, più adatto alla pastorizia che all’agricoltura; l’erba era scarsa e il gregge doveva spostarsi continuamente. Non c’erano muri di protezione e questo richiedeva la costante presenza del pastore in mezzo al gregge.
- Nell’Antico Testamento si parla di Dio quale pastore del suo popolo: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. (Sal.23); e i profeti incoraggiano a sperare che Lui avrebbe fatto germogliare dal suo popolo un pastore di sua scelta, dal nome simbolico di Davide quale manifestazione della regalità del Messia.
- Lo stretto legame tra Cristo e David emerge ovunque a livello iconografico: l’immagine del profeta adolescente accanto al suo gregge annuncia quella di Cristo buon pastore (il giovane è generalmente rappresentato da un adolescente imberbe, vestito di una corta tunica, con il mantello quadrato e gli stivaletti).
- L’iconografia del buon pastore nasce dalla trasposizione cristiana delle allegorie della mansuetudine e della filantropia, che erano molto diffuse nella decorazione cimiteriale. Il simbolismo è chiaro: nella figura del Buon pastore viene rappresentato Gesù salvatore e nella pecora si allude all’anima salvata dal suo amore.
- Nei primi secoli del cristianesimo e nel medioevo ci fu ampia diffusione di questa raffigurazione che nei secoli successivi diminuì fino a scomparire.

3)  la pericope di questa IV Domenica di Pasqua
- Il brano evangelico di questa Domenica mette in risalto alcune caratteristiche del Buon Pastore. La prima riguarda la conoscenza reciproca tra pecore e pastore: le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
In certi paesi d’Europa, gli ovini sono allevati principalmente per le carni; in Israele erano allevati soprattutto per la lana e il latte. Esse perciò rimanevano per anni e anni in compagnia del pastore che finiva per conoscere il carattere di ognuna e chiamarla con qualche affettuoso nomignolo.
- Nella famosa poesia di Leopardi intitolata Canto notturno d’un pastore errante, il poeta immagina un pastore che in una notte serena, non avendo con chi parlare, parla con la luna: Dimmi, o luna: … Ove tende questo vagar mio breve?. In altre parole: che senso ha la vita? Non è un correre per monti e valli, su vie sassose, per cadere al fine nel precipizio silenzioso del nulla? L’uomo è appena venuto al mondo e i genitori sentono il bisogno di cullarlo, quasi a consolarlo d’essere nato. Vale dunque la pena di vivere?.
Al dialogo con la luna succede quello con il proprio gregge: O greggia mia che posi, oh te beat!
Che la miseria tua, credo, non sai! Quanta invidia ti porto!. Cioè: quando ti sdrai tu riposi beata; io, se mi fermo, sono assalito da un tedio mortale. L’uomo invidia le bestie perché, non pensando, non si tormentano.
Questa è una delle poesie più sconsolate di Leopardi e tra le più moderne per il respiro cosmico che la pervade. Qualcuno l’ha definita l’anti-Divina Commedia. Lì un universo con al centro la terra e in essa l’essere umano: il tutto rischiarato dalla luce serena della Provvidenza. Qui [con la rivoluzione Copernicana di mezzo] la terra appare un puntino sperduto nell’universo e l’essere umano una passione inutile. Sotto tutto questo tetro pessimismo, qualcuno però ha giustamente intravisto una cosa assai diversa: il sospiro dell’essere finito e caduco verso l’infinito e l’eterno. Un infinito che qui si fa sentire indirettamente, per il dolore che provoca la sua assenza.
- Vediamo che cosa la parola di Dio, e in particolare il Vangelo del buon pastore, ha da dire su questo senso di vuoto e di solitudine dell’uomo nel mondo. La Bibbia ha parole non meno forti di quelle del poeta sulla insignificanza dell’uomo: Un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita (Salmo 38,6). Anche il poeta biblico si sente un puntino da nulla rispetto all’universo, ed esclama: Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? (Salmo 8,4-5). Ma accanto a questa miseria, il salmista vede anche la grandezza umana: …l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna (Salmo 8, 6-9).
Ma basta il pensiero e la coscienza che abbiamo della nostra fragilità per renderci felici? No, la nostra consolazione più grande sta nel fatto che Dio si cura di lui. E’ il suo pastore!
Ecco la voce di uno che ha trovato questo senso:
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza” (Salmo 22).
Chi ha scritto questo salmo era probabilmente anche lui un pastore; ma un giorno ha scoperto di essere anche una pecorella e di avere egli stesso un pastore che vegliava su di lui. La sua vita si è illuminata, la morte (la valle oscura) ha cessato di incutergli spavento e ha sentito il suo cuore (il calice) traboccare di gioia.
Due canti, quello di Leopardi e questo del salmista ebreo, tutti e due di pastori erranti dell’Asia, simili tra loro per sublimità di poesia, ma tanto diversi nel tono! Non è detto che l’uno smentisca l’altro. Sono tante le persone, specie giovani studenti liceali, che sono state aiutate dall’amaro canto di Leopardi a porsi il problema del senso della vita! Ci troviamo di fronte ad un passaggio obbligato per giungere a scoprire l’annuncio rassicurante contenuto nel Vangelo del buon pastore.

4) personale
- Nel mio cammino verso la fede autentica, anch’io ho attraversato vari passaggi, e sono sicura di doverne attraversare ancora pur nella mia tarda età.
Nel lontano passato ho subito il fascino dell’immagine romantica di Cristo fino a staccarmi da ogni rappresentazione di un Dio che, invece, sentivo innestato nel centro del mio essere. Finché un giorno mi dissi: Dio non è nell’immagine.
Ciò è dovuto a quella chiamerei fase razionalistica, propria di chi non ha raggiunto una fase più matura nel rapporto con Dio; infatti, se l’amore verso Dio non va affidato al sentimentalismo, figlio di un devozionalismo malato, nemmeno va consegnato alla sola ragione. Dio non lo si incontra con la sola ragione teologica, incapace di raggiungere la Verità. Ben lo capì Tommaso d’Aquino. Egli in fin di vita rinnegò tutto ciò che di Lui aveva scritto nei suoi grossi tomi: Bruciateli, supplicò, sono paglia!  
- L’elaborazione che si faceva del messaggio cristiano nelle comunità protocristiane ha portato a vedere in Gesù l’immagine del buon pastore, che aiuta a riconoscere ed amare il vero Dio.
Ma qual è la Verità del buon pastore? Il giorno in cui vidi un branco di pecore in transumanza, mi accorsi che un pastore che col bastone e la voce dura sembrava aggredire ogni pecora disobbediente. Sì, le conosceva per nome, ma perché ne conosceva le magagne. II pastore era tutt’altro che buono e pecore erano tutt’altro che obbedienti.
Per me fu la caduta del mito del buon pastore.
Non mi restava che pregare per trovare il senso del mito.

preghiera sei bussola
che mi indica una direzione
un’unica certezza

o meglio un rimando
a qualcosa che sfugge
ai miei sensi distratti

ma m’interrogo
e prego ancora
e tu mi fai sprofondare

in abisso dove
soltanto intravedo
il mistero di Dio