venerdì 31 marzo 2017

V DOMENICA DI QUARESIMA


V DOMENICA DI QUARESIMA anno A

La resurrezione di Lazzaro

 

Gv 11. 1-45

In quel tempo, 1un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». 4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». 11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». 17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». 28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. 32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?» 38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». 45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

 

Commento

 

UNO SGUARDO  D’INSIEME

I racconti tardivi dell’Antico Testamento avevano già la convinzione che Dio abbia il potere di vincere la morte.

La visione che ha Ezechiele della risurrezione delle ossa secche - immagine del ristabilimento di Israele dopo la catastrofe dell’esilio babilonese - presuppone questa fede (Ez 37,1-14). Nella sua “Apocalisse”, Isaia si aspetta che Dio sopprima la morte per sempre, che asciughi le lacrime su tutti i volti (Is 25,8). E il libro di Daniele prevede che i morti si risveglino - alcuni per la vita eterna, altri per l’orrore eterno (Dn 12,2).

Il salmo 129 è uno dei salmi penitenziali più celebri ed amati anche al di fuori della tradizione giudaica. Si sviluppa in tre strofe sul tema della colpa e del perdono. All’eterna domanda formulata da Eschilo: dal profondo dell’ombra chi mi ascolterà?, il salmo dà una risposta di fiducia: sì, Dio ascolta e salva.

I testi sottolineano tre dimensioni della mortefisica in Lazzaro, spirituale in chi vive nella chiusura egocentrica e simbolica nel popolo deportato.

 

Il RACCONTO CON NOTE ESEGETICHE

Il racconto della risurrezione di Lazzaro, posta poco prima della Passione di Gesù, è l'ultimo e il più clamoroso dei segni di cui parla Il vangelo dei segni (di cui abbiamo fatto cenno la domenica scorsa).

La resurrezione di Lazzaro, quando viene divulgata, è determinante per il Sinedrio: le autorità religiose si rendono conto della pericolosità di Gesù e decidono il suo immediato arresto.

Quattro scene scandiscono il racconto:

1. L’ambientazione remota - vv.1-16

In questa scena (che trascuriamo di commentare) Gesù, stranamente, esita ad andare a trovare l’amico, anche se sa che è ammalato.

2. Marta saluta  Gesù – vv.17-27

Il primo incontro è con la sorella Marta. Attraverso questa Giovanni pronuncia il credo della chiesa delle origini: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo.

In questa semplice affermazione vengono attribuiti a Gesù tre titoli: quello messianico, quello che riconosce in lui la figliolanza divina (in quanto affidatario di una grande missione) e quello escatologico della speranza  nella risurrezione definitiva.

Giovanni ha probabilmente ammiccato alla preghiera giudaica, nella quale non si invocava il Messia come colui che dà la resurrezione, ma si invocava l’Unico che può darla: Dio.

3. L’incontro con Maria – vv.28-33

Nel contesto di questi versetti Gesù si commuove e piange.

Il verbo greco che  traduce la commozione è embrimesthai; ma in realtà il significato è un altro: essere preso da collera. Per correggere la frase molti codici hanno persino modificato il verbo greco!

Autorevoli esegeti si rifanno al più antico testo, nel quale si usano parole che alludono al mistero della piena umanità di Gesù. Egli, in quanto uomo, sente la tragicità della morte e prova un moto di ribellione, come Giobbe quando si ribella contro Dio, incolpandolo dei mali che lo angustiavano.

4. Davanti alla tomba – vv.34-44

Al versetto 39 leggiamo che Gesù, in un’atmosfera di grande commozione, disse: Togliete la pietra!. Gli rispose Marta, la sorella del morto: Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni.

In questo passo ci sono elementi che non sono di cronaca. Infatti Giovanni non vuole mai riportare fatti storici, bensì fatti radicati nella storia; ed ecco, allora, vengono evocate immagini ritagliate sull’uso del popolo palestinese di imbalsamare i corpi con un semplice rivestimento di profumi, che poteva essere utile a conservare il corpo da una corruzione immediata. I quattro giorni si riferiscono, appunto, ad una morte che non era del tutto avvenuta se non dopo tre giorni.

Soltanto nel II secolo a. C., per l’influsso della cultura greca, i rabbini cominciarono ad insegnare che l’anima poteva staccarsi dal corpo; e nel libro della Sapienza si comincia a parlare di immortalità dell’anima.

L’autore del quarto vangelo si avvale di questi particolari per far capire a tutti che Lazzaro era morto realmente (e non poteva trattarsi di quella che oggi chiamiamo morte apparente).

5. Gridò a gran voce.

Gesù prega, rivolgendosi al Padre: ... sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato. Detto questo, gridò a gran voce: Lazzaro, vieni fuori!

È l’unica volta che Gesù prega prima di compiere un segno. La sua è una preghiera di ringraziamento. Egli desidera che i presenti giungano a vedere in lui l’Inviato di Dio; e per questo invoca un segno che rimandi alla realtà ultima, alla fonte di ogni bene, il Padre.

Ma perché viene usato il verbo gridare (Krazein)?

Si tratta di un verbo poco usato: in tutta la Bibbia ricorre soltanto otto volte, e di queste, ben sei volte in Giovanni.

C’è, nel significato del verbo, il grido violento di Gesù che reagisce di fronte alla morte; ma non può essere un grido  disperato, bensì un grido che duella con la morte fino a trasformarla in vita.

 

PENSIERI SPARSI

= Il concetto di un potere in grado di superare la morte, per noi moderni di cultura occidentale, va dissociato da quello di miracolo; tanto è vero che i fatti straordinari vengono analizzati fino a renderli spiegabili dal punto di vista scientifico. Invece per gli orientali dei tempi di Gesù, il miracolo era un dato fondamentale nella vita umana. La loro capacità di stupirsi era un modo di vedere l’eccezionale quale senso vero e più profondo delle cose.

La vita che si spegne nullificando l’esistenza è assurda. Nelle pieghe della storia personale – ferite, lutti e sconfitte - si scava un solco che è spazio prediletto dal seme morente, per germogliare a nuova vita.

= Dobbiamo anche noi ritrovare il senso di una morte che si faccia vita nuova.

Gesù, è vero, pare condividere lo smarrimento espresso nel libro di Giobbe: L’uomo che giace non si alzerà più…né più si desterà dal suo sonno… L’uomo che muore può forse rivivere ? (Gb 14,12.14). Ma, nel Vangelo di Filippo (importante apocrifo), si legge: Chi dice: prima si muore e poi si risorge, erra. Se non si risuscita prima, mentre si è ancora in vita, poi, morendo, non si risuscita più.

Anche Curzio Malaparte, scrittore del secolo scorso, riferendosi in un suo romanzo a Lazzaro, aveva interpretato l’episodio che abbiamo sotto gli occhi, come una parabola per chiunque. Abbiamo tutti bisogno del comando di Cristo che ci faccia uscire fuori dalla tomba delle nostre meschinità; che ci faccia guardare ovunque il miracolo della creazione, e sperimentarlo in noi.

= Uniamoci, allora, a quei molti, i quali  alla vista di ciò che egli (Gesù) aveva compiuto, credettero in lui.

Dal salmo 129


Io spero, Signore.
Spera l'anima mia,
attendo la sua parola.
L'anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all'aurora.
- - -
perché con il Signore è la misericordia
e grande è con lui la redenzione.

venerdì 24 marzo 2017

IV DOMENICA di QUARESIMA _ anno A


IV DOMENICA di QUARESIMA anno A
 
Gv 9,1-41
In quel tempo, Gesù 1passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». 13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». 18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». 24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. 35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. 39Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». 41Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
 
Commento
 
FONTI E COLLOCAZIONE DEL RACCONTO
= Molti studiosi ritengono che l’autore del IV Vangelo, nello stendere questo lungo racconto della guarigione del cieco dalla nascita, abbia utilizzato ampiamente un testo dal titolo Il vangelo dei segni, una fonte non nota ai sinottici, nella quale sono narrate storie sorprendenti, tra cui la guarigione del cieco, con l'uso peculiare della parola seméia (segni).  
E’ interessante notare che tutti i miracoli di Gesù non presenti nei vangeli sinottici si trovano collocati prima del vangelo di Giovanni; e ciò rafforza l'ipotesi che l'evangelista si sia servito fino a quel punto di una fonte estranea alla tradizione su cui si basano i sinottici. Inoltre i miracoli narrati sono più elaborati di quelli narrati dai sinottici e tendono più spiccatamente a rappresentare Gesù che opera in nome di Dio.
= L’episodio dovette avvenire durante l’autunno, tempo in cui si celebrava la festa di Sukkot, delle Capanne, nella quale si invocava soprattutto l’acqua in ricordo della sua mancanza nel deserto, ma anche come dono di Dio per la vita piena.
 
LA FINALITA’ DEL RACCONTO
= Questo racconto, ben congegnato e minuzioso nei dettagli, è tutto proteso a sfociare nel momento culminante e finale, e cioè nella professione di fede da parte dal cieco (vedente da poco): Credo, Signore!
Tale professione è di una semplicità incantevole nella sua intensità; ed è accompagnata da un gesto che non è di culto o di adorazione esteriore, ma è preghiera sgorgata da un cuore toccato dalla grazia, profondamente trasformato. Quindi la cecità ha un valenza simbolica ben più forte del dato storico.
= Tale professione, secondo il racconto, è la risposta ad una domanda precisa: Tu, credi nel Figlio dell’uomo? Cioè credi a Colui che, mentre opera in nome di Dio, si mostra solidale, appartenente all’umanità tutta?
L’espressione è di origine semitica, bar adam = figlio di Adamo; o l’equivalente bar nasa = figlio di uomo, ed è ampiamente usata nell’AT. Nei Vangeli appare pronunciata sempre da Gesù, il quale, stando a quanto possiamo dedurre da Marco, la gradiva particolarmente. Gli studiosi cristiani la ritengono come un modo discreto al quale Gesù ricorreva in riferimento alla sua messianicità, e sempre con l'accortezza di non allarmare i suoi ascoltatori che, come avveniva ai tempi di Gesù, aspettavano un messia liberatore dal giogo dell’impero romano e restauratore del regno di Israele.
= Date queste premesse è bene leggere il racconto tenendo presente l’intenzionalità che ne regge la trama: ciò che rende ciechi spiritualmente, intralciando il cammino di fede, è la sete di potere, di danaro, di onore, di prestigio, di quanto alletta l’umano e lo deturpa. Ecco perché i dotti e furbi interlocutori di Gesù rimasero ciechi spiritualmente:…siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane.
 
INSEGUIAMO IL RACCONTO CON NOTE ESEGETICHE
= Gesù, uscito dal Tempio dove ha partecipato alla celebrazione della festa delle capanne, vede un uomo colpito dalla cecità fin dalla sua nascita, nei pressi della piscina di Siloe [Giovanni, con una forzatura esegetica, non chiama la piscina Siloe, ma Siloah, che significa ‘dell’Inviato’]. E, senza aspettare che il cieco invochi la guarigione, Lui stesso riconosce l’uomo bisognoso, prima ancora che della vista, della salvezza. Anche i discepoli che sono con Gesù vedono questo cieco, ma con uno sguardo diverso: conoscono la dottrina tradizionale la quale lega in modo automatico malattia e peccato, e per questo domandano subito a Gesù: Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?
= Mentre nei sinottici la fede è un prerequisito del miracolo, in Giovanni sono i miracoli ad indurre alla fede. Il che, non solo contrasta con i sinottici, ma anche con il resto del quarto vangelo, in cui Giovanni parla di un Gesù che pone in primo piano la fede indotta dai segni.
Il miracolo operato da Gesù, più che un atto di potenza teso a realizzare gli annunci dei profeti (come in Marco), è presentato come un segno (seméion) della presenza nel mondo di Colui che afferma di essere la luce del mondo (Gv 9,5).
Già i Padri della chiesa, senza avere gli strumenti esegetici dei nostri tempi, avevano intuito che il grande miracolo non consiste nel fatto che Gesù avesse dato al cieco la vista [non “ridato”, dal momento che l’uomo era cieco dalla nascita]; consiste nella sua conversione. Questa è infatti è un venire alla luce in maniera piena.
= C’è un cammino che porta il cieco alla conoscenza di Gesù, dapprima come quell’uomo. Poi la sua conoscenza diventa più chiara e profonda: è un profeta (v.17), è da Dio (v. 33), è il Figlio dell’uomo, è il Signore (v. 35-38).
= Il gesto di Gesù - sputò a terra, fece del fango… è simbolico: richiama  quello della creazione del primo uomo, formato di fango (= la carne) e saliva (= lo spirito comunicato). [Per gli ebrei osservanti, l’azione con l’uso del fango era una di quelle proibite in giorno di sabato].
= Il cieco incontra, dentro e fuori di sé, delle resistenze, vincendo le quali comincia a scoprire la sua identità, a diventare persona libera di pensare senza pregiudizi, fino a mettere in causa, con sapiente sarcasmo, la sapienza e l’autorità degli interlocutori. Sembra che più egli vede, più acquista sicurezza e forza, fino a rovesciare le posizioni; infatti fa osservare agli increduli: Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla (v.33).
= Però la vera conclusione del racconto va oltre, quando il guarito, cacciato via dagli osservanti ipocriti, incontra ancora Gesù. Ora ha trovato la propria identità, e può gustare l'esperienza della fede, come esperienza di libertà, in un abbraccio d'Amore tra un Dio che si mostra come dono, e l’essere umano che si lascia amare.
= L'ultima frase di Gesù - È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo - sembra contraddire i versetti dove aveva detto: "non sono venuto per giudicare". In realtà non c’è una contraddizione poiché qui giudicare significa discernere; è come se dicesse: Sono venuto per porre un criterio di giudizio, in modo da distinguere coloro che ammettono con sincerità di non sapere, e perciò vedono, e quelli che credono di sapere, e perciò non vedono.
= Giovanni, da raffinato ragionatore, non rifiuta gli strumenti interpretativi che possono venire dalla cultura, ma rifiuta sia il fideismo di chi crede ciecamente, sia la cultura che abbia la pretesa di giungere al senso globale delle cose. Per giungere a tale senso ci va intuizione profonda e grande amore per la verità. Credere, infatti, non è solo un consenso mentale freddo, frutto di ragionamento, senza partecipazione emotiva. E’ conoscenza dinamica che introduce nell'amore di Dio e dà senso a tutto.

 

= Aggiungo due quartine del salmo 22, proposto dalla liturgia odierna. Vorrei accompagnare le parole con sentimenti di gioia condivisi e DA TRADURRE IN VITA VISSUTA.

 
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
- -
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

venerdì 17 marzo 2017

III DOMENICA di QUARESIMA - anno A


GESU’ E LA SAMARITANA

 

Gv4-5-42

In quel tempo, Gesù 5giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». 27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui. 31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». 39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

 

COMMENTO

 

- PREMESSA

- Il dialogo tra Gesù e la Samaritana, avvenuto in una città della Samaria, detta Sicar, accanto al cosiddetto  pozzo di Giacobbe, costituisce una delle pagine più suggestive ed intense del Nuovo Testamento.

Però l’indiscutibile valore letterario non è garanzia di veridicità storica. Inoltre l’alto livello biblico e teologico del testo sembra del tutto improbabile nel modo di parlare di una donna del popolo come la samaritana che va ad attingere acqua in un pozzo. D’altra parte per narrare un dialogo tanto ben congegnato ci sarebbe voluto un cronista incaricato a descrivere l’incontro.

Invece c’è molto di più: un profondo insegnamento che riguarda la vita e la fede dei credenti.

- Non avendo noi, voi ed io, strumenti specialistici diretti per una adeguata esegesi, non dobbiamo rassegnarci ad una lettura alla lettera, ma attingere a chi ci possa aiutare a cogliere cosa di vero ed utile c’è dietro le parole, fino ad individuare la parola di Dio, cioè ciò che Dio rivela attraverso quello che è stato scritto.

- DUE POPOLI DIVISI

L’incontro tra Gesù e la samaritana inizia con la domanda alla donna: Dammi da bere.

E’ da osservare che questa non ha un nome; non viene nemmeno chiamata La Samaritana, ma la donna di Samaria.

- Il dialogo con Gesù prende l’avvio da una pessima base di partenza: l’inimicizia categoriale. Compaiono, non due volti, bensì due categorie: un giudeo e una samaritana.

- I samaritani, dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia, tentarono d’opporsi alla ricostruzione del tempio di Gerusalemme; e, sotto Antioco IV Epifane, si allearono con i pagani contro i giudei, creando un tempio tutto loro sul monte Gerizim. I giudei di discendenza israelitica giudicavano i samaritani come stranieri, in quanto scismatici ed impuri perché non adoravano Dio nel Tempio di Gerusalemme ma nel loro.

- LA PEDAGOGIA DI GESU’

Lo stupore della donna (Come mai?) è il primo segno di un cammino della donna verso Gesù, e anche interiore, verso se stessa.

- Momento importante nell’itinerario dell’incontro è quello in cui Gesù invita la donna a porsi la domanda sul fine per il quale egli ha aperto il dialogo: Se tu conoscessi il dono di Dio…

- Pian piano la donna riconosce Gesù, in un primo momento come profeta, e in un secondo come Messia.

- Culmine dell’incontro è il momento in cui la donna sente da Gesù il racconto di tutto ciò che lei ha fatto. Il racconto che lei nascondeva per vergogna a se stessa, ora è accolto da Gesù, il quale non la giudica, e la conduce ad accettarsi ed a conoscersi.

- COSTRUZIONE DEL BRANO

Il racconto evangelico è strutturalmente ispirato ad un brano del’AT: al secondo capitolo della profezia di Osea.

Il profeta si propone di raffigurare con un racconto allegorico tratto dalla propria vita, l’infedeltà del popolo d'Israele e lo smisurato amore sponsale di Dio. La narrazione poteva e non poteva corrispondere al vero, ma era profondamente adeguata a rappresentare verità profonde: Osea, innamorato della moglie infedele, ad ogni sua caduta, andava a riprenderla; era capace di perdonarla senza alcuna garanzia. Aveva capito che il perdono non va concesso come causa del pentimento dell’individuo, ma lo precede.

- Giovanni costruisce su tale piattaforma il passo del suo vangelo: Gesù (lo sposo) ingaggia un rapporto con la Samaritana (l’adultera), e la conquista con il dono dell’unico amore vero, quello di Dio. La stessa cosa si riproduce nel rapporto tra Israele e Dio.

- IL POZZO-SORGENTE

Il pozzo, nella storia dei patriarchi era il luogo dell’innamoramento, dell’incontro dello sposo con la sposa. Giacobbe stesso incontrò Rachele ad un pozzo, Isacco incontrò Rebecca, e Mosè incontrò Zipporah.

- E’ strano però vedere nel racconto di Giovanni, una donna attingere acqua a mezzogiorno, l’ora sesta, quando il sole è allo zenit e l’acqua dovrebbe essere già in tavola o usata in altro modo. Ma l’indicazione dell’ora sesta richiama un’altra ora sesta e un’altra stanchezza di Gesù: quella per il viaggio sotto il peso della croce.

Gesù non si rivolge alla donna dall’alto della sua superiorità di maschio e di Giudeo, ma dal basso, dalla condizione di uomo che ha sete, e chiedendo acqua, chiede di essere accolto.

L’esclusione dei discepoli serve all’evangelista a sottolineare l’incontro metaforico, in solitudine, dello sposo con la moglie adultera.

Dietro l’annotazione temporale possiamo anche intuire un disagio da parte della donna, un qualcosa di cui vergognarsi che la fa agire di nascosto. Sapremo poi dal racconto che la sua situazione irregolare la rendeva probabilmente oggetto di chiacchiere e di critiche da parte degli abitanti del villaggio.

- Se Gesù si presenta assetato, la donna di Samaria si presenta come capace di soddisfare la sete: siamo al primo livello di comprensione delle cose. L’incontro con Gesù possiede sempre un secondo livello, più profondo, misterioso e vero (questo è costante nel Vangelo di Giovanni). Vediamo come.

Il pozzo di Giacobbe era considerato dagli ebrei, non come pozzo di raccolta di acqua, quindi stagnante, ma come sorgente di acqua, quindi utile per le abluzioni rituali. In quest’ottica va letto tutto il brano e con questa mentalità si devono leggere i singoli termini di pozzo e sorgente: era il pozzo di una sorgente.

- L’ACQUA CHE DISSETA PER SEMPRE

Uno dei punti più alti del dialogo è quello in cui Gesù parla dell’acqua che disseta davvero. Va letto direttamente nel testo perché parli al nostro cuore. La donna chiede l’acqua misteriosa di cui parla Gesù per motivi utilitaristi. Ma la risposta di Gesù  - l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna – più che una risposta è una richiesta alla samaritana (e a noi) di fare uno scavo profondo nella coscienza in modo da dare un nome alla sua sete.

E’ doveroso anche per noi scavare nella nostra coscienza e chiederci: di che cosa abbiamo sete? Forse di cose che, appagate, tornano a chiedere un nuovo appagamento. Le parole di Gesù (mi piace ripeterle) - acqua che zampilla per la vita eterna - , contengono un rebus che abbiamo da sciogliere solo noi stessi. La soluzione dell’enigma è nelle parole da accostare: zampilla e vita eterna; l’acqua che zampilla indica movimento e vita eterna pienezza senza più sete. Le due unità non sono immagini contrastanti. L’acqua viva e la pienezza dell’appagamento esprimono il contatto dell’umano col divino. L’eternità è Vita vera, non staticità. Possiamo sperimentarlo già dalla vita temporale: se attingiamo all’acqua viva della grazia, ne siamo trasformati. E’ possibile.  

- DOVE ADORARE DIO

Quando la Samaritana capisce che Gesù è un profeta e si attende una risposta su come rimediare al suo adulterio, lei pensa che la sua sia una questione di culto legata a un luogo particolare.

Gesù invece annuncia alla donna un cambio radicale: è terminata l’epoca dei templi; non ci sarà più un luogo privilegiato per rendere culto a Dio [ciò non vuol dire che non abbiamo più bisogno di Chiese, di celebrazioni, ecc.]. Anche il tempio di Gerusalemme si è prostituito e Gesù ne ha annunciato la fine.

E ora Gesù, a questo punto del dialogo, anziché usare il termine Dio, usa quello di Padre. Questo nuovo nome riflette la relazione che Dio stabilisce con gli esseri umani: quella di un legame intimo e personale come tra il padre e i suoi figli. La paternità di Dio sopprime tutte le altre, quella di Giacobbe e dei patriarchi.

Il modo di adorare Dio è in spirito e verità: la frase si riferisce alla questione circa il luogo dove Dio vada adorato. La comunione con Dio è anzitutto una questione che tocca l’anima non il luogo.
Andare in un posto oppure in un altro ma senza unire mente e cuore a Dio è praticare un culto soltanto in modo esteriore.

- LA GIARA

Anche qui c’è un’immagine da interpretare. Una volta ricevuto in dono la sorgente dell’acqua viva, il pozzo perde la sua utilità, e la donna abbandona definitivamente la giara, e con essa un rapporto con Dio basato sulla Legge.

Abbandonare la giara significa rompere con un sistema di norme e precetti che impediva il rapporto con Dio, la cui legge è l’amore. Ed è più facile ricorrere a pratiche esteriori che frequentare la scuola dell’Amore. La donna comprende la novità di Gesù e, a differenza di Nicodemo, accetta subito la sua proposta: la trasformazione avvenuta nel suo cuore, la rende apostola, e perciò va a dire ai suoi compaesani ciò che le è accaduto.

Il comportamento della Samaritana ricorda quello dei primi discepoli quando, dopo aver incontrato Gesù, andarono a riferirlo agli altri. La sua condizione di donna non è più un impedimento per rivolgersi agli uomini.

La donna invita la sua gente ad andare a vedere un uomo, Colui che prima aveva definito semplicemente come Giudeo.

La risposta dei Samaritani non si fa attendere; di fronte all’offerta di vita che Gesù propone, la loro reazione è unanime e immediata, e anch’essi si recano a ricevere il dono di Dio.

La fede nasce dall’incontro con Gesù ma si presenta come un cammino (uscirono e andavano). La testimonianza della donna ha avuto un risvolto positivo fra la gente della città pagana.

Alla richiesta di rimanere, il Signore si ferma due giorni con loro. (È evidente l’allusione dell’evangelista al profeta Osea: dopo due giorni ci ridarà la vita - Os 6,2).

 

 

NOTA SULLA LETTURA DELLA PITTURA

Sieger Köder , sacerdote e pittore del secolo scorso, usa le sue pitture come Gesù usava le sue parabole. Rivela la profondità del messaggio cristiano attraverso le metafore, spargendo luce e colore sulla vita e sulla storia umana.

Allora, come sapientemente sembra suggerire la narrazione pittorica di Köder, allo zenit del sole terrestre corrisponde un nadir dell’anima della donna, avvolta nell’oscurità di una vita disordinata, di un’affettività confusa, di una fede incerta.

Köder in un primo momento la ritrae così mentre, avvolta da un alone di luce, si sporge a guardare dentro il pozzo delle sue oscurità e vede se stessa. Ma dopo una serie di immagini che la ritraggono, alla fine, mentre si sporge sola dall’orlo del pozzo, vede riflessa nell’acqua, non solo la sua immagine, ma anche quella di Cristo.

Nello specchio d’acqua, in fondo al pozzo, si realizza infatti l’incontro vero. Lì la samaritana non è più sola, Cristo è con lei, lì incontra il suo sguardo, quello sguardo a cui lei si è sottratta.

La conversione ha significato per lei avere il coraggio di lasciarsi guardare negli occhi dalla Verità che è Cristo, senza paura di essere giudicata.

venerdì 10 marzo 2017

II DOMENICA DI QUARESIMA


II DOMENICA DI QUARESIMA

 

Mt 17, 1-9

In quel tempo 1 Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2 E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3 Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4 Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5 Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6 All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7 Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8 Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
9 Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».

 

Commento

 

1) ALCUNI PARTICOLARI PER INQUADRARE L’EVENTO

 

- I tre vangeli sinottici, concordi, scrivono un racconto che certamente era evocato e commentato in seno alla comunità dei discepoli.
Il racconto di Matteo contiene alcuni tratti specifici: se Marco cerca di testimoniare un’epifania di Dio in Gesù e Luca fornisce un’anticipazione della gloria della resurrezione, Matteo richiama il sole, la luce, perché quella novità di forma assunta da Gesù è, secondo lui, qualcosa che non procede dalla condizione umana di Gesù, ma dalla manifestazione del Padre in Lui. Inoltre lo stesso evangelista chiama Gesù Kýrios, Signore: termine che equivale a JHWH, perché la condizione di Figlio attribuita dalla voce misteriosa a Gesù lo collocava al di sopra dell’umano. E Pietro, rapito da quella visione, voleva trattenerla, facendo tre capanne: per Gesù, per Mosè e per Elia, desiderando che la storia si arrestasse e l’incanto non cessasse.
- L’episodio ci mette di fronte all’indicibile, ad una Presenza che resta sempre elusiva… Significativa la nube luminosa, la quale viene ad adombrare esperienze che vanno oltre l’esperienza sensibile: una nube che illumina e, nel contempo, fa ombra.
- La Trasfigurazione probabilmente avvenne di notte, dato che gli apostoli, come dice Luca, erano aggravati dal sonno; e, secondo lo stesso Luca, scesero dal monte solo l’indomani.
Luogo dell’evento è ritenuto il monte Tabor. Ma è poco probabile che lo sia, dal momento che è un monte alto solo m.575 e perciò non si può identificare con l’alto monte di cui parla Matteo. Secondo l’opinione di molti studiosi odierni la trasfigurazione potrebbe essere avvenuta su qualche contrafforte dell’Hermon, monte alto m.2814.
- L’evangelista Matteo presenta la visione come una risposta all’ultima tentazione nel deserto, quando il diavolo aveva portato Gesù su un monte alto e gli aveva offerto tutti i regni e la gloria del mondo. Ebbene, l’episodio della Trasfigurazione dimostra che a Gesù è concessa la gloria dallo stesso Dio, anziché da satana: una gloria senza appagamento umano di potere e di dominio sui regni della terra.  
- LE CAPANNE
Di particolare importanza è la presenza di Mosè ed Elia nell’atto di conversare con Gesù. Essi raffigurano rispettivamente la legge (Mosè) e i profeti (Elia).
I tre sono incantati dalla visione, e Pietro, come sempre prorompente, esclama: Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia.
Questo accenno alle capanne richiama la festa che si celebrava in Israele, tanto importante che non aveva bisogno di essere identificata; era chiamata semplicemente la festa. Infatti era più importante perfino della Pasqua, in quanto ricordava la liberazione dalla schiavitù egiziana; e durante la durata della celebrazione si viveva sotto le capanne proprio per ricordare la condizione che, nel periodo della schiavitù, li costringeva a vivere accampati.
Mentre si faceva memoria del passato, si sperava e si aspettava la venuta di un più grande liberatore, il messia. Pietro riconosce in Gesù il messia, ma lo configura secondo la linea dell’osservanza della legge imposta da Mosè. Circa Elia, pio e devoto osservante di tutte le regole della legge, si ricorda un episodio raccapricciante, che dà la misura di quanto il passato fosse legato alla ‘lettera’ e non allo spirito della Legge: Elia scannò di persona quattrocentocinquanta [il numero nell’AT non riproduceva un dato storico, ma aveva sempre un significato simbolico] sacerdoti che erano consacrati ad un’altra divinità! C’è da restare sbalorditi a notare che Pietro potesse optare per un messia che venisse ad imporre la Legge con la violenza,
- LA NUBE e LA VOCE
Egli stava ancora parlando, quando una nube…
Nell’Antico Testamento la nube era immagine della presenza divina.
Dio non è d’accordo con quello che sta chiedendo Pietro e lo interrompe attraverso la nube per richiamarlo.
La voce usa le stesse parole misteriose pronunziate al momento del battesimo. In questo modo l’evangelista vuole dimostrare qual è l’effetto del battesimo: tenere vivo il ricordo della manifestazione  della volontà del Padre nei riguardi di Gesù. Volontà che riguarda anche tutti i suoi discepoli. Essi, come Gesù, dovranno impegnarsi nella fedeltà all’amore del Padre, anche a costo della vita.
E ecco l’imperativo: Ascoltatelo. Quindi i discepoli non debbono ascoltare né Mosè, né Elia, ma soltanto Gesù.
- I TRE CADDERO A TERRA
I tre  caddero con la faccia a terra. Sentono di aver fallito o sono soltanto timorosi? Ma Gesù si avvicinò, li toccò. E’ bello questo avvicinarsi e toccarli amorevole di Gesù per disincantarli e richiamarli alla concretezza, pur nella consapevolezza di essere stati investiti di una grande missione. La risposta di Gesù è sempre una comunicazione di vita.
 
2) RAGIONAMO sull’argomento
- Anzitutto teniamo presente che ragionare sull’argomento non significa razionalizzarlo. Significa cercare in se stessi qualcosa di profondo e di vero.
- Il tema della trasfigurazione, o cambiamento d'aspetto, o metamorfosi, era un tema apocalittico, esprimente l'attesa del profondo cambiamento nell'aspetto dei giusti nel mondo futuro.
- Non c’è chi non si ponga il problema della morte, e di ciò che chiamiamo impropriamente aldilà; di come saremo, dove andremo, se ci ridurremo solo a cenere, ecc. La ricerca di fatti miracolosi e di apparizioni tradisce il bisogno di rispondere a questi interrogativi.
Fenomeni inconsci, mancanza di  punti fermi nell’esistenza umana, creano in non-pochi un vuoto, che lascia il posto libero alla ricerca del misterioso, a ciò che incanta e sembra promettere un’alternativa…
Sarebbe meglio trovare strumenti adeguati per avere un po’ di conoscenza appropriata sul nostro modo di essere oggi.
- Parlarne in un piccolo spazio come questo commento domenicale è soltanto un tentativo di RICERCA DELLA VERITA’ del nostro essere e del nostro rapporto con la realtà.
Approfondire l’argomento significa capire che i tre sono entrati in uno stato di trascendimento della realtà, non per un miracolo, o peggio, per un’allucinazione, bensì per una illuminazione interiore, permessa da Dio per far capire la forza, la grandezza della novità evangelica. Nel popolo di Israele, radicato nell’osservanza della Torah, doveva realizzarsi un cambiamento di orizzonte: dall’imposizione della legge di Dio alla sua riscoperta all’interno della coscienza.
Può essere di aiuto una citazione da Benedetto XVI:
Il mistero della Trasfigurazione non va staccato dal contesto del cammino che Gesù sta percorrendo. Egli si è ormai decisamente diretto verso il compimento della sua missione, ben sapendo che, per giungere alla risurrezione, dovrà passare attraverso la passione e la morte di croce. Di questo ha parlato apertamente ai discepoli, i quali però non hanno capito, anzi, hanno rifiutato questa prospettiva, perché non ragionano secondo Dio, ma secondo gli uomini (cfr Mt 16,23). Per questo Gesù porta con sé tre di loro sulla montagna e rivela la sua gloria divina, splendore di Verità e d’Amore. Gesù vuole che questa luce possa illuminare i loro cuori quando attraverseranno il buio fitto della sua passione e morte, quando lo scandalo della croce sarà per loro insopportabile. Dio è luce, e Gesù vuole donare ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui.

 

Se vuoi, leggi il seguente approfondimento

 

Mi sforzerò di essere semplice, ma capisco che non è cosa facile. Eppure lasciarvi, dopo il commento, con la convinzione che i fatti raccontati nella Trasfigurazione siano accaduti così come è detto nel Vangelo, significherebbe trattarvi come credenti-creduloni incapaci di capire più in profondità.
Se vogliamo capire che fenomeno sia stato la Trasfigurazione, c‘è da entrare in un argomento serio.
Cominciamo terra-terra, da una scienza umana, la filosofia.
La filosofia si è spinta, nella problematica del rapporto tra l’essere umano e la realtà, fino alla distruzione dei concetti di oggettività e di verità scientifica, giungendo all’affermazione estrema, secondo cui tutte le nostre conoscenze e la nostra stessa esigenza di verità non mirano affatto alla verità, bensì a sicurezze create da noi stessi. Si tratta di una forma estrema di Filosofia della vita, che ha avuto ampie ripercussioni nella letteratura, nella religione, nella ricerca filosofica, nell’arte, ecc. La conclusione è che si può conoscere ciò che si ha già in sé, nel pensiero. L’intelletto interpreta il mondo sulla base delle sue categorie (sue: dell’intelletto). Più precisamente: attraverso la percezione sensibile si interpreta il materiale grezzo che ci sta davanti, e il mondo nasce dal lavoro interpretativo dell’intelletto.
Qui casca l’asino. Non si può mai dire che esiste oggettivamente ciò che cogliamo con la nostra sensazione  e la nostra percezione. Possiamo conoscere ciò che appare ai sensi e a tutte le facoltà conoscitive, ma l’oggetto corrispondente a ciò che si pensa non c’è. Vediamo il mondo non come in effetti veramente è, ma mediante sensazioni cerebrali che interpretano la realtà generando immagini, suoni , odori e sapori, attraverso cui possiamo decifrare un universo che di per se stesso non è colorato; che è silente, inodoro ed insipido.
- Detto da chi ha una fede, il discorso suona così: tutto dipende solo dal Dio creatore. Il mio stesso corpo è esterno e indipendente dal pensiero col quale lo penso e il mio pensiero sarà vero se sarà adeguato al modo in cui Dio mi permette.
Ciò che percepiamo è frutto di una trasfigurazione della realtà, attuata dal cervello in modo tale da essere utile alla nostra sopravvivenza ed alle nostre possibilità dal punto di vista cognitivo ed emotivo; ma bisogna fare un passo avanti: dobbiamo coltivare la vita interiore…
- Se si chiede a uno psichiatra che cos’è un’allucinazione, la risposta è più o meno questa: un’allucinazione è una percezione senza oggetto. Cioè vediamo ciò che abbiamo nel pensiero. Ma qui dobbiamo passare dal concetto di allucinazione a quello di illuminazione interiore.
Quando si capiscono i capisaldi che le scienze ci permettono di capire se una cosa è oggettiva o soggettiva, si dissoda il terreno per riconoscere nelle visioni, apparizioni, fatti straordinari, qualcosa che ha riferimento con la soggettività e perfino con la propria corporeità (ad esempio, l’apparizione delle stimmate, possono scomparire, come avvenne per Padre Pio: in fin di vita le stimmate scomparirono senza lasciare traccia nel corpo).
- Per evitare l’allucinazione ed entrare nell’illuminazione interiore, ci va impegno a coltivare la vita interiore, mediante l’unico strumento valido: la preghiera.   

Dammi, O Signore, la grazia

di vedere me stessa e tutto

attraverso la tua, non la mia Luce