sabato 29 dicembre 2012

commenti evangelici


Da natale all’epifania
PREMESSA
Che la Bibbia non sia un aerolito piombato dal cielo della trascendenza, ma sia piuttosto un seme deposto nel terreno della storia è ormai un dato storico-critico e teologico rigettato solo dal fondamentalismo. Come diceva suggestivamente S. Weil, "i beni più preziosi non devono essere cercati, ma attesi come dono". D'altro lato, gli autori ispirati del Nuovo Testamento, che hanno di fronte ai loro occhi la figura del Cristo, rileggono le parole antiche, ancora sfumate, incerte ma "aperte", attraverso la luce della realtà che essi vivono con Gesù di Nazaret. Intuiscono che sotto gli scritti e il pensiero dei profeti si muove il disegno di Dio stesso, il quale compone in un'unica trama di salvezza tutta la vicenda dell'uomo. I passi dell'Antico Testamento si allargano oltre il loro primo significato, rivelano nuove risonanze, acquistano valori inediti. I Vangeli dell'infanzia, invece, sono testi per adulti nella fede, i cui segreti storici e teologici si aprono solo a chi vuole comprendere autenticamente le Scritture. Al centro c'è un uomo e quindi una storia che è l'antipodo del mito. Un uomo reale, segnato dalle frontiere del tempo che si chiamano nascita e morte. Un uomo come tutti, contrassegnato da una sua identità spaziale, culturale, temporale e linguistica. Ma su questo uomo si proietta la luce della Pasqua e del mistero. - La prova più grande di Gesù Cristo, il Messia atteso, sono le profezie. Esse sono la preparazione della nascita di Gesù Cristo. Tra i profeti eccelle Isaia: già nel II secolo, in uno sbiadito ma suggestivo affresco nelle catacombe romane di Priscilla sulla via Salaria, Maria siede tenendo in grembo il piccolo Gesù nudo si volge con vivacità verso il profeta Isaia. In alto, una stella, verso la quale accenna il profeta, evoca l'oracolo messianico del mago Balaam, la cui storia è narrata nel libro biblico dei Numeri 24,17 "Una stella spunta da Giacobbe, uno scettro sorge da Israele". Lo scopo, infatti, era quello di far rilevare l'unità tra i due Testamenti e dimostrare come il Cristo fosse il sigillo ultimo dell'attesa e della speranza dell'Israele di Dio. Per questo motivo qualche studioso "radicale" ha immaginato che gli eventi dell'infanzia di Gesù secondo Matteo siano stati "inventati" proprio a partire dalle profezie dell'Antico Testamento così da esaltare il Cristo. – Noi non avalliamo nessuna tesi: ci limitiamo a registrare fatti e interpretazioni, tendendo ad additare la via dell’accoglienza dello Spirito illuminante e vivificante di Dio dentro l’interiorità attraverso la preghiera, con lo sguardo distaccato di chi è consapevole e serenamente com-passionevole verso la precarietà temporale nonché verso l’ineliminabile bisogno umano della verità di Dio.
ALCUNE INFLUENZE CULTURALI
a) L’ellenismo - stoicismo, platonismo, epicureismo, cultura alessandrina… - b) l’orizzonte greco-romano: attraverso l’epistolario apocrifo tra Paolo e Seneca i culti misterici, con il pasto sacro dionisiaco, incidono sul tema della koinonia cristiana; e ancora la parousia delle ‘graziose’ visite imperiali entrano  nella prospettiva cristiana dell’euanghelion e della nuova venuta finale di Cristo - c) le raccole bibliche scritturali: sono famosi i manoscritti del Mar Morto, trovati nel 1947 dallo studioso inglese J. H. Harris nella quarta delle undici grotte di Qumran, usate dalla comunità giudaica del I secolo avanti Cristo e I secolo dopo Cristo - e) l’esperienza protocristiana, folgorante, a partire dal contatto col Cristo risorto.
LE INTERPRETAZIONI
Il nucleo storico di eventi è avvolto in un velo di interpretazioni, di approfondimenti, di rielaborazioni teologiche, di simboli, di allusioni bibliche (donde le diverse catalogazioni degli esegeti: racconto omiletico cristiano, storia simbolica, storia popolare, e così via). Sono ardui e spesso vani, allora, gli sforzi di quelli che vogliono dimostrare e documentare storicamente ogni asserto. Tuttavia sono da evitare a) il privilegiare assoluto della sponda mitico-allegorica: il testo sarebbe solo un "pretesto" per illustrare tesi cristologiche o per rivestire di consistenza fantasie popolari o per rielaborare miti antichi o per suscitare emozioni spirituali e morali; b) l’uso improprio di florilegi di testi biblici di taglio messianico e la loro storicizzazione mitica; c) la melassa religiosa, sentimentale, infantilistica, che ha favorito la creazione di un certo "clima natalizio", complice il consumismo interessato; d) le suggestioni natalizie radicate nella stessa NOSTRA umanità.
NEI VANGELI
Marco, nel suo vangelo, il più antico, non ci racconta niente della nascita di Gesù. - Il riferimento scontato degli altri evangelisti sono i vangeli apocrifi, in particolare il ‘Protovangelo di Giacomo’ del III secolo nonché ad uno scritto gnostico egizio: “Io divenni piccolo perché attraverso la mia piccolezza potessi portarvi in alto donde siete caduti. – Matteo in 1,23 "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio", si riallaccia ad Isaia 7,1 "Ecco, la giovane donna concepirà e partorirà un figlio". Il vocabolo ebraico usato dal profeta non è quello preciso della verginità (betulah), ma quello generico della donna abilitata al matrimonio ('almah). Ma la menzione della "vergine" come può essere giustificata? La risposta è probabilmente nel fatto che Matteo rimanda, come spesso avviene nei Vangeli, alla celebre versione greca della Bibbia del III-II secolo avanti Cristo detta "dei Settanta". In essa la "giovane donna" di Isaia è resa col termine greco parthènos, che significa appunto "vergine". Questo non implica che il giudaismo di quel tempo attendesse un concepimento verginale del Messia, ma solo che "una donna, che ora è vergine, concepirà" un bambino provvidenziale e straordinario. A proposito dell'Emmanuele leggiamo nello stesso Isaia 11,1-2 "Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse [il padre di Davide], un virgulto germoglierà dalle sue radici e su di lui si poserà lo Spirito del Signore" [Continuiamo lo stesso argomento nel seguente paragrafo].
L’INCARNAZIONE E LA MADRE DI DIO
a) Giovanni rappresenta il cardine del senso dato alla venuta di Cristo sulla terra. Leggiamo in 1,14 “Il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi”. Il termine 'Verbo' era già presente in 1,4 “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”, dove si afferma che il Verbo eterno e divino assume la sarx, la carne [=la caducità temporale]; la tenda col suo valore simbolico nel mondo giudaico è tradotta in greco  col verbo ‘skenoun’ che allude all’arca dell’alleanza, le cui tre consonanti radicali esprimono una presenza divina nascosta, che accompagna l’esodo, il cammino verso la libertà; il tema della vita zwh indica la qualità di vita non soggetta alla morte, in contrapposizione al greco bi,oj, indicante la vita animale - L‘espressione in 20,19 “E i discepoli gioirono al vedere il Signore” vuole essere un invito a cogliere i segni della rivelazione di Dio. Quale? E’ famosa l’iscrizione greca di Priene che usa il termine ‘evangelo’ per la nascita di Augusto. La gloria osannata dagli angeli è l’adorazione di Dio che si manifesta attraverso la ‘eudokia’, cioè il desiderio ardente del bene della sua creatura; da questo nasce lo ‘shalom’ biblico, che abbraccia prosperità, gioia, serenità, pienezza di vita come già in Es 40,34-38) - b) Matteo 8,11 “Molti verranno da oriente e da occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei cieli” vedeva raffigurati nei Magi i popoli che incontrano Cristo dopo averlo cercato, guidati dalla rivelazione naturale. La stella che li guida è rivelazione delle tracce di Dio nel creato - c) In Luca i pastori, considerati impuri dal giudaismo ufficiale di allora e quindi esclusi dalla vita religiosa pubblica, servono a tracciare l’itinerario verso la fede: la loro decisione interiore si traduce in gesti concreti di vita. Circa la successiva definizione di Maria come Madre di Dio la frase più significativa è nel v. 19 “Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” [per commentare rimandiamo alla conclusione]. La gloria osannata dagli angeli è l’adorazione di Dio che si manifesta attraverso l‘eudokia’, cioè il desiderio ardente del bene della sua creatura; da questo nasce lo ‘shalom’ biblico, che abbraccia prosperità, gioia, serenità, pienezza di vita. La gloria di Dio, splendore della presenza divina, era già presente in Esodo 40,34-38, a manifestare visibilmente il suo echeggiare nella storia.
CONCLUSIONE CONCRETA
Che senso può avere per ogni essere umano, oltre i confini di una chiesa, l’incarnazione? Maria genera il Figlio di Dio, cioè la sua maternità tocca Dio stesso; in lei Dio si rivela quale centro dell’esistenza umana e cosmica; in Gesù divino ed umano si sono fusi in maniera tale che non si possono separare. Forse il concetto sostanzialista di questa fusione va superato da chi ascolta la verità dentro di sé. Affinché la divinizzazione umana, sogno camuffato in mille modi in ogni essere umano, non sia vacua esaltazione o pedissequo comodo uniformismo, possono valere anche in questo caso le parole di Paolo ai Tessalonicesi 5,21; “esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono e bello”; e quelle in 1 Corinzi; “I Greci cercano la sapienza… noi predichiamo Cristo crocifisso… stoltezza per i pagani”. Chi si può rifiutare di camminare verso la direzione dell’amore oltre ogni limite perché ci sia ancora speranza in questo mondo?

venerdì 14 dicembre 2012

III Avvento annoC


16 dicembre 2012 - III DOMENICA DI AVVENTO Anno C
Sofonia 3, 14-17, Filippesi 4, 4-7
Luca 3, 10-18
In quel tempo, 10 le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11 Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12 Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13 Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» 14 Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». 15 Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16 Giovanni rispose a tutti dicendo:«Io vi battezzo con acqua, ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17 Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento del suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». 18 Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
PREMESSA
Chiunque si avvicina alla lettura dei vangeli a partire dall’orizzonte mentale e spirituale tradizionale, può avanzare parecchie perplessità quando si trova di fronte ad una semplice arida analisi testuale, che può scombussolare parametri storici inveterati. Altrettanto non convincente è l’entusiasmo per studi storico-critici che si limitano a decostruire ogni elemento tradizionale, dando aggio alla foresta dei lettori superficiali di avvalersi dell’autorevolezza scientifica degli studiosi, senza sviluppare seri e fondati strumenti di discernimento personale. E’ facile cadere dall’estremo polo di un ossequio sviscerato per l’assoluto del dogma all’ossequio per un opposto assoluto. In tal modo si passa da un’ingenuità ad un’altra. Anche la pretesa liberazione da ogni inquadramento definito e circoscritto in una chiesa, non tiene conto di nuove possibili idolatrie, subdole, sdrucciolevoli, socialmente pericolose, nella pretesa di liberarsi una volta per tutte da un passato di inganni. C’è da invocare un equilibrato, assiduo, appassionato e ragionevole senso del limite, nutrito di vissuto, di preghiera, di confronto; nonché di compassione per gli errori a cui l’umano non si può sottrarre del tutto.
QUALE VERITÀ STORICA NEL TESTO DI OGGI
Lo storico Giuseppe Flavio ha lasciato scritto nelle sue Antichità Giudaiche questo ritratto di Giovanni Battista: "Era un uomo buono, e diceva ai Giudei di esercitare la virtù, così come la giustizia gli uni nei confronti degli altri e la devozione verso Dio, e poi di venire al battesimo". Basterebbe questa sintesi per commentare correttamente i vv. 10-15. Mi limito ad aggiungere che il testo (il termine textus significa tessuto, costruzione), nel sottolineare la differenza tra il profetismo di Giovanni ed il messianismo di Gesù, riproduce gli elementi di travaglio e di responsabilità dei diffusori del vangelo: i redattori mettono assieme i vari pezzi dei ricordi mescolandovi l’entusiasmo carismatico attinto all’esperienza della Pentecoste, sicché presentano in Giovanni un credente ante litteram nel messianismo singolare di Gesù che “battezzerà in Spirito Santo” v.16.
LE FOLLE, I PUBBLICANI, I SODATI vv. 10-13
Le varie scuole rabbiniche piegano la risposta di Giovanni al quesito “che cosa dobbiamo fare”, verso il senso di una perfezione da conseguire attraverso l’osservanza della Torah mediante pratiche, preghiere e digiuni. Al contrario nella comunità di Luca c’era già posto per una risposta nuova: la vera conversione si dimostra dal posto dato all’uomo bisognoso, povero, anche da parte di persone tutt’altro che praticanti, come gli esattori delle tasse. Intanto una sottile distinzione faceva breccia già tra i primi cristiani ai tempi in cui Luca scriveva: i consigli del Battista sono ben differenti da quelli di Gesù, pregni di senso dello Spirito [vedi qui di seguito].
“EGLI VI BATTEZZERA’ In SPIRITO SANTO E FUOCO” v.16
Questa domenica reca una ventata di gioia nel centro dell’avvento. Il senso di questa gioia è nella percezione cristiana che è vicino l’ingresso dello Spirito nella vita umana tramite Gesù. - Come possiamo farlo nostro oggi? – Forse, anziché guardare grettamente alla lettera dei vangeli, bisogna ricorrere alla via dei mistici di ieri e di oggi. Sono questi a rileggerli attraverso la luce del trascendente radicata nell’interno del cuore umano. Il percorso è segnato dal passaggio dalla superficialità delle apparenze alla verità che Gesù ci incoraggia a penetrare. Percorso aperto a ciascun essere umano. - Il termine Spirito risale all’espressione greca soma pneumatikòn =corpo spirituale, la quale risolve ogni antitesi tra tempo ed eterno. Nel linguaggio paolino, come in tutta la Bibbia con termini analoghi, lo Spirito è un tutt’uno col corpo, col suo limite e la sua mortalità; infatti è costitutivo della persona nella sua essenza, in sintonia ed in sincronia con la sostanza di tutto il creato. Non è detto che tale realtà sia preclusa ai non-credenti. Anzi è verso questi ultimi che i credenti sono chiamati a lanciare un ponte (e non per miope proselitismo). – Chi legge il vangelo deve risolvere l’enigma del Gesù storico alla luce di una fede quale apertura alla Verità, quale trascendenza nell’immanenza. E lo potrà soltanto alla condizione di scoprire le tracce dell’eterno nel tempo. Per commentare mi servo delle parole di un esegeta della tempra di G. Ravasi: “Per compiere il riconoscimento del Cristo risorto non basta essere stati con lui per qualche anno lungo le strade palestinesi, aver mangiato con lui, averlo ascoltato mentre parlava nelle piazze. E' necessario avere un "canale" di conoscenza e di comprensione superiore”.  “Dio non entra solo nel nostro spazio, entra nella stessa nostra carne, nel nostro limite, la morte; egli percorre tutta la nostra miseria per redimerla, purificarla e per riportare l’umanità a tutto il suo splendore di stirpe di Dio”. 

venerdì 7 dicembre 2012

Sabato 8 e domenica 9 dicembtre


Sabato e domenica due annunci da liberare…..
Il divino accosta l’umano
8 dicembre 2012 SOLENNITÀ DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE
Genesi 3, 9-15.20; Efesini 1, 3-6.11-12
Luca 1, 26-38
In quel tempo, al sesto mese, 26 l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te». 29 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30 L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». 34 Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36 Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.
PREMESSA
L’argomento attorno a cui mi muovo riguarda l’immacolata concezione, i cui corollari sono la verginità di Maria e la divinità di Gesù. E’ doveroso specificare le linee della mia ricerca esegetica, qui riassunta in castigati stralci. a) Un criterio di sano discernimento interpretativo senza sottostare a quello divenuto ormai di pubblico dominio (non essendone esclusi i non-credenti). b) L’esame dell’inquadramento storico dei fatti offerto da Luca, il più attento (ad essi) tra gli evangelisti; senza dimenticare che lui non intende riportare letteralmente il racconto. c) La ricerca di altri confronti: con la religiosità del mondo pagano in seno al quale prese forma l’affermazione del cristianesimo, con le vedute tendenti a comprimere il Mistero di Dio nell’ambito di una fede illimitata nella ragione umana, con la tendenza antropologica alla divinizzazione di ogni oggetto del desiderio umano, con quel che è rimasto di alcune tracce riscontrate in qualche reperto storico.    
v.26 “in una città della Galilea chiamata Nazaret
L’annuncio a Maria della festività di sabato segue a quello rivolto a Zaccaria nella seconda domenica di Avvento. Il messaggero è lo stesso (Lc 1,19.26) ma, il primo messaggio era rivolto all’istituzione religiosa, nel Tempio, al cui culto accudiva Zaccaria in qualità di sacerdote; il secondo ad una ragazza del popolo, abitante a Nazaret, città mai nominata nel corso dell’Antica Alleanza, in quanto non legata ad alcuna promessa o aspettativa messianica.
v.27 “a una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide”
Una donna, l’adolescente Maria promessa sposa a Giuseppe, in ottemperanza alle regole giudaiche doveva restare vergine, altrimenti sarebbe stata considerata adultera o prostituta da punire. La costruzione lucana rispecchia fedelmente la profezia di Isaia: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14; cfr. Mt. 1,22-23). Luca non esplicita alcuna ascendenza genealogica di Elisabetta, moglie di Zaccaria, al quale spettava di imporre il nome al figlio “Giovanni”, anzi dà rilievo al fatto che nell’annuncio a Maria debba essere lei, contro ogni usanza, a dare a suo figlio il nome di “Gesù” (=Dio salva)”. Ciò fa pensare ad una sua ben precisa intenzione teologica: Maria rappresenta ‘i poveri’ di Israele, l’Israele fedele a Dio (=vergine).
v.28 “Entrando da lei disse: “Rallegrati piena di grazia: il Signore è con te”
L’angelo ‘entra’ nell’abitazione di Maria, mentre nel tempio non era entrato. La saluta con un buon auspicio in nome della sua pienezza di grazia . Questa formula nell’Antica Alleanza significava il godimento del favore divino in ordine alla fedeltà alla promessa fatta da Dio a Israele. Più avanti si dirà di Gesù che “la grazia [=il favore] di Dio era su di Lui” (2,40); ma lo stesso evangelista nel libro degli Atti chiamerà pieno di grazia anche altri, come Giuseppe figlio di Giacobbe e soprattutto Stefano. Nel v.30 leggiamo “Hai trovato grazia presso Dio”; sempre in riferimento a Gesù Messia-Unto-Cristo.
v.30 “verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore gli darà il trono di Davide suo padre”; v.35 “la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra”
Anche se nel testo si parla di Figlio dell’Altissimo, nel suo “essere figlio” si specifica che gli sarà dato il trono di Davide, alla cui stirpe apparteneva Giuseppe. Ed ecco affacciarsi nel v.35 la prospettiva teologica a chiarimento del dubbio mariano: tutto avverrà a dimostrazione della presenza attiva di Dio in mezzo al suo popolo (Sal 91,4); ne è indice il  tabernacolo dell’assemblea israelita (Es 40,38), chiamato gloria-di-Dio’ e ombra-nube-di-Dio.
v.38 “Ecco la serva del Signore”
L’umiltà delle parole di Maria v.38, non consiste in un suo umiliarsi, ma nell’identificarsi quale rappresentante dell’Israele fedele a Dio (Is 48,10.20; 49,3; Ger 46,27-28). Il suo sì è un semplice adeguamento al progetto di Dio.
QUALCHE REPERTO ARCHEOLOGICO
a) Leggiamo dal francescano Bellarmino, famoso archeologo scomparso nel 1990: «Nell’intonaco dell’edificio-sinagoga si trovò un’iscrizione in caratteri greci. Essa recava in alto le lettere greche XE e, sotto, MAPIA [la P greca equivale alla R]. È ovvio riferirsi alle parole greche che il Vangelo di Luca mette in bocca all’angelo annunziatore: Cháire Maria (Ave Maria). L’ignoto autore di quell’iscrizione aveva insomma voluto ripetere il gentile saluto. b) Nell’intonaco di un’altra pietra, che contiene molti graffiti, ce n’è uno in armeno, nel quale si legge la parola keganuish, la quale è il titolo «bella ragazza» [=vergine] che gli armeni sogliono dare a Maria. c) Nella stessa casa di Maria si praticava il culto di lei fin dalle origini della Chiesa, perché lì essa era stata scelta a «madre di Cristo». Sullo sfondo di questa grotta che aveva accanto a sé una povera residenza, la «bella ragazza» riceve quell’annunzio assolutamente sorprendente c) Dall’umanista francese Postel è stato scoperto il Protovangelo di Giacomo, risalente al II secolo. d) Nella casa di Maria si praticava il culto di lei fin dalle origini della Chiesa, perché scelta a ‘madre di Cristo’». – Tracce concrete di una realtà storica, sulla quale aleggia sempre il mistero. Il quale è più grande di ogni sua prigione ideologica, forse inevitabile nella storia umana.

venerdì 30 novembre 2012

Vangelo 2 dicembre


2 dicembre 2012 I DOMENICA DI AVVENTO Anno C
Geremia 33, 14-16; 1Tessalonicesi 3, 12-4,2
Luca 21, 25-28. 34-36
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 25 "Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti; 26 mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27 Allora vedranno il Figlio dell' uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. 28 Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina ". 34 "State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, e che quel giorno non vi piombi addosso all' improvviso; 35 come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. 36 Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.
NELL’ANTICA ALLEANZA
Nei conflitti tra popoli e relativi poteri dominanti tra cui si era dispiegata la storia di Israele, spesso si giungeva a momenti culminanti di trapassi e di cambiamenti radicali, vissuti nell’angoscia della fine di tutto. Per far fronte a questa, che il potere religioso avvertiva come destabilizzante, era stata via via elaborata una sistemazione legislativa e normativa in contrasto con l’insistente serpeggiante ricorso all’idolatria tra gli oppressi, quale ancoraggio a divinità surrettizie, prossime e tangibili. Eppure Dio si era rivelato più volte attraverso dei portavoce dell’attesa, i profeti. Essi resistettero sia agli acquietamenti imposti dal potere religioso, sia ai facili diffusi ed illusori acquietamenti offerti dall’idolatria. Si sentivano chiamati, in maniera laboriosa e sofferta, ad infondere nelle menti e nei cuori del popolo ‘eletto’ una prospettiva di attesa, sostanziata di fiducia nelle promesse di un Dio il quale si era più volte manifestato e continuava ad essergli segretamente ‘accanto’. Da qui l’attesa della venuta (=avvento) di un liberatore, chiamato Messia, Cristo in lingua greca, Figlio dell’Uomo (cioè essere umano nella compiutezza) o Figlio di Dio (termine equivalente al precedente). Restava immutato nello sfondo lo scenario apocalittico, espresso in termini che utilizzavano simbolicamente fenomeni catastrofici di carattere geografico e cosmico; ma il senso dell’attesa di un messia-che-ritorna costituiva il filo rosso che attraversava la storia.
IN LUCA
Ai tempi in cui Luca scriveva la città santa era stata distrutta e i suoi abitanti erano stati dispersi. La diffusione della buona novella entrava in un altro terribile vortice: la divergenza col mondo pagano, presso il quale l’adventus significava la venuta e l’accoglienza ad un nuovo imperatore o l’arrivo di una divinità pagana da amalgamare al potere; cosa, quest’ultima, incompatibile con le pretese di superiorità del Dio biblico. Un senso di paura e di angoscia percorreva le comunità nascenti. Luca (ma anche gli altri evangelisti sinottici) torna a confrontarsi col linguaggio apocalittico, ponendolo in bocca a Gesù. Perciò lo ritrae nel tempio, alla fine del suo ministero pubblico prima dell’arresto, nell’atto di ripresentare l’annuncio messianico, sostanziato di speranza per un’ulteriore venuta, definitiva, quasi a maturazione e compimento di quella realizzata da lui nella sua vita terrena.
NELL’OGGI
a) L’alternativa evangelica di un’ulteriore attesa di liberazione messianica, nella chiesa cattolica risulta inquadrata in raffinate elaborazioni teologiche. A ravvivarle sono nuovi, spesso ignoti profeti, seminatori di speranza sulla scia di Paolo, il quale invitava (come nella seconda lettura liturgica di oggi), a ricostruirla continuamente nella tenace persistente vigilanza etica, da invocare attraverso la preghiera; nella purezza delle intenzioni, possibile attraverso l’alleggerimento dai molti pesi derivati dall’egocentrismo. b) Di contro si erge un enorme scoglio, fuori dal cristianesimo e da ogni espressione di fede, “in tutta la faccia della terra” v.35, divenuta preda della sua stessa paura: l’odierno scivolamento verso un nihilismo passivo ed inerte. Ben riprodotto dallo scrittore tedesco Friedrich Duerrematt (1921-1990): un treno sovraffollato, poco dopo la partenza, imbocca un tunnel; la percorrenza richiederebbe pochi minuti, invece diventa interminabile. Non solo, il treno acquista velocità folle e si inabissa tra sporgenze rocciose e discese che sembrano un precipitare verso il centro della terra. Il freno di emergenza è rotto; la cabina di guida è vuota. "Che cosa possiamo fare?", gridò il capotreno nel fragore delle pareti del tunnel. Un giovane "con spettrale serenità" rispose: "Niente". c) Forse un profeta laicissimo, Nietzsche, ha saputo dare al nihilismo un senso davvero inedito nel proporre o intuire la possibilità avveniristica di un’adesione ‘eroica’ al destino, frutto di un umano in grado di superare ogni tipo di umano standardizzato. Vi vedo la versione rinnovata del sia fatta la tua volontà della preghiera consegnataci da Gesù: contro un io voglio adulato ed auto-centrato, un io coraggioso che si consegna all’abisso, può sapere dove abita il Mistero di Dio.

venerdì 23 novembre 2012

Vangelo 25 novembre


 25 novembre 2012 - SOLENNITÀ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO anno B
[Raccogliendo espressioni di Gesù  denudate  il  più possibile dalle sovrapposizioni storiche]
Giovanni 18, 33b-37
In quel tempo 33 Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Sei tu il re dei Giudei?". 34 Gesù rispose: "Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?". 35 Pilato disse: "Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?". 36 Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". 37 Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce".
PREMESSE - COMPOSIZIONE DI TEMPO E DI LUOGO
1) Il più antico manoscritto che riporta il processo di Gesù nel pretorio presso Pilato la mattina del venerdì santo è il frammento di un papiro appartenente a un codice scritto al massimo nei primi trent’anni del secondo secolo (S. Garofalo). Giovanni concede lo spazio di un terzo dell’intera narrazione della passione al dialogo tra i due, certamente spinto da una sua visione dell’accaduto, che costruisce con cura letteraria e teologica. I commentatori mettono in evidenza la struttura concentrica del racconto, articolato in sette scene, di cui il brano di oggi riporta la seconda. Pilato entra ed esce per parlare alternativamente a Gesù (dentro) e ai capi religiosi (fuori) che non vogliono entrare per non macchiarsi e poter celebrare la Pasqua; non compare il popolo. 2) Nell’ultima domenica dell’anno liturgico, la Chiesa celebra la ‘solennità di Gesù Cristo re dell’Universo’. Questa fa riflettere a) sull’uso del termine ‘re’ per i giudei del tempo, b) sull’auto-identificazione che ne fa lo stesso Gesù, c) sulle motivazioni che spinsero Pio XI a promuoverla con l’enciclica Quas Primas dell’11 dicembre 1925 per “riparare gli oltraggi fatti a Gesù Cristo dall'ateismo ufficiale”, d) sul significato che comunemente ne viene desunto.
LA REGALITA’ DI GESU’
1) Un primo pericolo nell’applicazione del titolo di re a Gesù è costituito dall’apoteosi celebrativa (anche la più spiritualistica). Gesù sviscera il senso della propria identità regale-messianica, in contrapposizione a quella propria della religione giudaica, e di cui danno testimonianza alcuni richiami dello stesso Giovanni in 1,49, per bocca di Natanaele e in 12,13 per l’acclamazione del popolo durante l’ingresso a Gerusalemme. Nel cap. 18 occupano la scena i capi religiosi, i quali si simulano dalla parte dei romani che dovrebbero aver timore di un ebreo che si facesse loro re. Illuminante è la precisazione di Gesù nel v.37 del brano odierno, dove allude al suo Regno quale ‘luogo’ della sua “testimonianza alla verità”, tanto che perfino Pilato percepisce nelle sue parole l’ispirazione a valori a lui ignoti. 2) Un altro pericolo attuale è più sottile: il titolo viene associato unicamente alla croce e alla sofferenza sulla falsariga dello stesso Giovanni in 12,32, dove parla della croce come unico mezzo che "attira tutti gli uomini a sé". Lui, invece parla del Regno in tutta la sua trascendenza, mai disgiunta dalla sua dinamica nello stesso mondo, se attraversato dalla testimonianza alla verità, attraverso l’impegno alla costruzione della giustizia e dell’amore qui ed ora.
PILATO
Pittorica è la descrizione che fa Giovanni di un Pilato quasi preso alla sprovvista di dover rappresentare il potere imperiale romano di fronte un uomo il quale tutto ha meno che l’apparenza di un pericoloso sobillatore. Ironico e curioso, riesce a cavarsela con compromessi, ma non riesce a nascondere inquietudine di fronte ad un re che si dichiara testimone di verità e che per essa è pronto a morire.
LA VERITA’
Gesù afferma di essere nella verità e di fare la verità, associandola alla sua diretta testimonianza: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (v.37). Non afferma, come ci saremmo aspettati, “chi ascolta la mia voce è dalla verità”; cioè all’ascolto del suo messaggio deve corrispondere l’orientamento della propria vita. La verità è a) rivelazione che rimanda al Mistero di Dio proteso verso la sua espansione nel mondo; b) non si solidifica nella sua persona in nome di una divinizzazione facile come salvagente (per un’istituzione bisognosa di certezze sistematiche); c) è proposta di risposta umana al destino divino sull’umanità.
IL MISTERO DI GESU’ OGGI
La storia contemporanea mostra i segni d’un messianismo profano che inquadra i valori in una filosofia (specialmente per l’etica), in una sociologia (per i problemi relativi alla dignità umana), in questioni religiose (non ultima quella riguardante le origini del cristianesimo), in altro ancora Al contrario il racconto della passione come ci viene presentato nel quarto vangelo, ben compendiato nel brano liturgico di oggi, permette di decriptare un Gesù cosciente della sua missione, della sua regalità, del suo essere per gli altri: nella dis-identificazione da verità plurali formulate o rispondenti a criteri unicamente razionali. E si può intravedere la possibilità per tutti di alimentare il desiderio e la ricerca della verità, lontano da ogni fascinazione ideolgico-idolatrica; alla sua scuola (senza escludere ogni altro seme di verità sparso nella storia), in vista della liberazione dell’umano dalla sua povertà, incurabile se abbandonata ad una sola dimensione.

venerdì 16 novembre 2012

Vangelo XXXIII T.O.annoB


18 novembre 2012 - XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO anno B
Daniele 12, 1-3;  Ebrei 10, 11-14.18
Marco 13, 24-32
24 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, 25 le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. 26 Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi, con grande potenza e gloria. 27 Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall' estremità della terra fino all'estremità del cielo. 28 Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. 29 Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. 30 In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 31 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. 32 Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo, né il Figlio, eccetto il Padre”.
PREMESSA
Il brano del Vangelo di questa domenica fa parte del "discorso escatologico" (=delle realtà ultime), che in Marco comprende tutto il capitolo 13 e del quale [discorso] costituisce il punto culminante.  Da poco Gesù era uscito dal tempio per dirigersi verso il monte degli ulivi da dove lo si poteva ammirare e aveva risposto ai discepoli stupiti di fronte al suo splendore, annunziandone la distruzione. Chiaro segno, questo, che il capitolo fu redatto in seguito al 70 d.C., dietro varie versioni attinte a più parti, tra le quali quella di Marco è forse la più originale. Gli esegeti prendono in considerazione soprattutto il testo apocalittico di Enoch a cui si ispirano le parole attribuite a Gesù circa l’apparizione del Figlio dell'uomo, quale giudice del mondo, e che Marco identifica in Gesù il Cristo, cioè il Messia; un Messia che mette in guardia i cristiani da alcune forme di accomodamento all'interno della comunità ecclesiale allora in formazione. Infatti il filo rosso che ripercorre e dà senso al testo è evidente nelle espressioni esortative come imparate, sappiate, che significano: ‘non fatevi trovare impreparati’, ‘sappiate custodire e mettere a frutto la buona novella’.
LA FORMA LETTERARIA
Ogni testo escatologico è caratterizzato da espressioni particolari, segni e simboli che necessitano di una lettura approfondita e di una retta interpretazione per evitare un deviante approccio esclusivamente letterale. Non vi si descrivono fenomeni fisici o eventi terminali che sigleranno la fine del mondo, anche se in apparenza le immagini usate sembrano inclinare in questa linea. Già nell’Antica Alleanza le scene sensazionali permeate di indecifrabile terrore trasferivano elementi astronomici prevedibili ed imprevedibili dal futuro della storia al senso della stessa.  La novità evangelica inclina il naturale sacro timore per la dissoluzione nel nulla verso la speranza, nutrita del disegno di salvezza di una nuova creazione. E certamente il redattore del brano aveva presente il testo dell’Apocalisse, contenente la rivelazione di «cieli nuovi e terra nuova».
IPSISSIMA VERBA (= stessissime, precise espressioni) DI GESU’?
Le espressioni precise di Gesù, ricercate da non pochi come àncora alla credibilità del Vangelo, si possono concentrare in qualche detto originale, loghion, se illuminato dal contesto di insieme: a) la breve parabola del fico, albero che nella breve primavera palestinese era indicativo dell'inizio della stagione estiva, è assunta come simbolo di una morte che si rigenera nella risurrezione: “dalla pianta del fico imparate la parabola” v.28; b) l’invito a compiere il passaggio mentale dal senso cronologico a quello messianco cristologico: “quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte” v.29; c) la fiducia, che Gesù vuole ispirare contro ogni paura: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” v.31, scaturisce dalla verità concreta della sua parabola terrena; d) la prospettiva per tutti di piena umanità – gli eletti sono coloro che scelgono di esserlo - “vedranno il Figlio dell’uomo” v.26, si impernia nel suo essere Figlio di Dio in senso equivalente all’essere Figlio dell’Uomo, Messia attraverso il quale si preannunzia l’unificazione dell’umanità in senso universale.
IL QUANDO STORICO
Non c’è un quando preciso, tant’è che Gesù dice di non saperlo indicare con precisione. Quando furono scritte queste righe i cristiani vivevano le terribili persecuzioni di Nerone e Domiziano. In quei momenti drammatici sembrava che l'annuncio evangelico potesse finire; si chiedevano: perché tutti ci perseguitano, ci uccidono, ridono di noi? Marco schematizza la dinamica della salvezza nella storia: c’è un processo storico che si oppone allo sviluppo e alla pienezza umana che si compendia in Gesù col concorso della comunità cristiana. Nella frase “non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”, gli avvenimenti di quel momento sono significativi, come lo era stata la distruzione di Gerusalemme. Dio interviene in seno alla tribolazione e la trasforma in preannunzio di un rilancio in avanti, di una rinascita perpetua. Dio non lascia mai la storia a se stessa.
La NUOVA UMANITA’
Gesù paragona la fine del mondo al tempo dei frutti, quando Lui stesso “manderà i suoi angeli e radunerà gli eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra, all'estremità dei cieli". Nel messaggio di Gesù ci sono speranze fondate nella verità di Dio che egli rivela nella storia degli uomini, condividendone la crescita e la dilatazione oltre ogni confine. Gli angeli sono i suoi collaboratori; gli eletti sono presenti nella comunità di fede, dilatata oltre i confini di una religione. Il giudizio di Dio non consiste di condanne; è trionfo dell’amore di Dio attraverso la collaborazione (il vero ‘raduno’) con tutte le forze storiche operatrici del bene. 

venerdì 9 novembre 2012

XXXII T.O. annoB


11 novembre 2012 - XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - Anno B
1Re 17, 10-16; Ebrei 9, 24-28
Marco 12, 38-44
In quel tempo, 38 diceva loro nel suo insegnamento: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39 avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40 Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa". 41 Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42 Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43 Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro:" In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44 Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei, invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere".
IL BRANO RIPORTATO
C’è da premettere che il materiale offerto dal brano è stato raccolto e sistemato dal redattore (cfr. i testi paralleli di Mt e Lc), il quale forse si riferisce ad una parabola: cosa che conta ben poco o nulla rispetto all’efficacia della concretezza che vi si condensa ed al suo significato complessivo. Si tratta di un ricordo non cancellato da parte dei diretti testimoni, i quali, durante la formazione delle prime comunità di fede, lo sentono risuonare nell’intimo della loro coscienza e lo consegnano alla storia. E’ un miracolo tra i più grandi che Gesù abbia fatto: lasciare impresso in poveri aggiustamenti redazionali la quintessenza di ciò che ha rivelato.
LO SCENARIO
Gesù ha dato fine agli incontri con i capi. Ora, lo ritroviamo nel Tempio. Questo era strutturato in una serie di cortili via via più esclusivi: al primo potevano accedere anche i pagani, al secondo solo gli israeliti, uomini e donne, al terzo solo gli israeliti maschi, al quarto solo i sacerdoti. Nel cosiddetto cortile delle donne, in una parete si aprivano le "bocche" per le offerte, che scendevano nella sottostante camera del tesoro mediante condotti metallici. Le casse erano dodici. Nella tredicesima si gettavano le elemosine spontanee e di poco conto. I sacerdoti incaricati stavano ad aspettare chi gettava un'offerta nel tesoro e proclamava ad alta voce l'ammontare della somma donata. La vedova del vangelo si avvicina a quest’ultima e vi getta “due monetine che fanno un soldo”. – Seduto di fronte al tesoro, Gesù segue il gesto con occhio attento e chiama i suoi discepoli, perché ne traggano un fondamentale insegnamento.
GLI SCRIBI E LA SEVERA CONDANNA DI GESU’
Era molto grande tra il popolo il prestigio degli scribi, in quanto studiosi delle Scritture e scrupolosi osservanti. Ma Gesù, dopo aver dimostrato l’inconsistenza della loro dottrina sul Messia, ne sviscera e condanna severamente il comportamento perché i suoi evitino di ripetere i loro gesti di vanità, che sfiorano il senso del ridicolo, tanto che si estendono fino all’uso di una forma di preghiera recitata a lungo per farsi vedere”.
LA FIGURA RAPPRESENTATIVA DELLE DUE VEDOVE
La pars costruens dell’insegnamento di Gesù è affidata alla figura incarnata in due vedove, la prima dell’Antica Alleanza (prima lettura); e ad essa certamente egli si ricollega nel presentare la seconda. Entrambe hanno quasi-niente e questo offrono, ma con atteggiamento del tutto antitetico rispetto a quello degli scribi: senza rumore alcuno. Sicché il non-detto e il non-palpabile diventano gli unici elementi che fanno da sfondo ad un dono offerto in umile, quasi nascosto gesto di fede semplice, incondizionata, scaturita dal cuore.
IL SENSO PROFONDO DELL’EPISODIO
Dagli elementi analitici bisogna ricavare il perno attorno a cui essi ruotano. Gesù finora ha fatto consistere l’insegnamento della Buona Novella nella capacità di ascolto, da tradurre in umile servizio sostanziato di amore. Ma nelle righe di questo brano dalle parole contate, si apre un nuovo canale di comprensione complessiva del messaggio di Gesù, senza la quale si potrebbero nascondere insidie altamente temibili. Il “guardatevi da” è indicativo. C’è una linea sottile che divide l’uso di un compito fondamentale (quale era quello degli scribi, e cioè la trasmissione e la custodia della Legge, e quello che sarà assunto dai suoi) dal modo di adempierlo. Oltrepassare tale linea significa corroderlo alla radice. Gli aspetti pomposi ed appariscenti del potere possono stravolgere, fino a svuotarlo, lo stesso evangelico servizio d’amore. Gesù impone un alt deciso e nello stesso tempo accorato prima che i suoi lo spargano come seme di Vita. La forma che si dà ad una missione conta quasi più del contenuto. Giustamente i teologi della liberazione parlano (mentre si prodigano concretamente) di missione da svolgere con scelte di povertà, nell'uso di mezzi poveri.

venerdì 2 novembre 2012

Vangelo XXXI T.O. anno B


4 novembre 2012 - XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno B

Deuteronomio 6, 2-6; Ebrei 7, 23-28
Marco 12, 28b-34
In quel tempo, 28 si avvicinò a Gesù uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?» 29 Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; 30 amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31 Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». 32 Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; 33 amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34 Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

UNO SCRIBA
Nello scriba possiamo vedere riassunto il senso della ricerca di Dio. E’ un uomo d’eccezione: mentre fin ora, secondo la narrazione evangelica, si sono avvicinati a Gesù dei gruppi, egli si presenta da solo; appartenente al circolo degli avversari di Gesù, la sua coscienza personale prevale sull’appartenenza al gruppo dirigente. Soddisfatto dalla sconfitta dialettica che Gesù ha inflitto ai sadducei, il partito avverso agli scribi/farisei all’interno del Sinedrio, manifesta il suo pieno accordo con Gesù, tanto che lo chiama “Maestro”. Ma questi lo ricambia con una frase cauta: “non sei lontano dal regno di Dio”, cioè, ‘ricordati che la verità divina è elargita dal Maestro nascosto dentro di te e ti chiede una risposta al di là delle parole; una risposta fatta di ascolto, quintessenza della fede.

I DUE COMANDAMENTI
Ø La differenza tra i due comandamenti è dettata dai limiti umani che cercano di dare una determinazione di misura, ricorrendo al concetto di priorità a seconda dei due destinatari. Limiti che persistono nell’oggi, poiché si continua a sorvolare sul fatto che si tratta di un’unica Legge di amore, la cui misura è data, non da chi risponde ma da chi chiede: sostanza della relazione tra Dio e il prossimo è lo stesso amore totale donato da Dio. Un Dio-altro, che chiede di essere riconosciuto come tale, senza false identificazioni: pena l’uccisione dell’amore.
Ø Il “come te stesso” esplicita l’orientamento concreto da dare all’amore per Dio: che non è culto interessato della propria persona; che consiste piuttosto nel monito paolino per cui è necessario avere un "giusto" concetto di se stessi, ossia sapersi valutare senza esaltazioni eccessive ma anche senza eccessive autocommiserazioni e mortificazioni o deprezzamenti; che soprattutto comporta una cura della propria persona rispettosa di tutte le componenti umane, e cioè della salute corporale, spirituale, culturale.
Ø Gesù non teme di presentare in se stesso l’unità vivente in cui l'amore filiale verso Dio e l'amore fraterno verso prossimo è tutt’uno: non in virtù di una filiazione divina immobilizzata nella trascendenza sostanziale, ma dinamizzata nella piena incarnazione che trascina l’essere umano e tutto il creato nella stessa orbita.

FEDE PREGATA, NON ETICA
Ø Fede è credere nell’amore, accogliere l’amore, fare affidamento sull’amore. Ma non ha senso riempirsi la bocca della parola amore senza la fede. La quale è superamento dell’egocentrismo che ripone ogni fiducia in se stesso, sia pure camuffandola in ideologie di carattere etico.
Ø Nessuno può varcare la linea sottile che si delinea nascostamente in ogni aspetto del divenire temporale. Lo può soltanto la preghiera, la trasformazione in preghiera dell’anelito più profondo del cuore umano.
Ø Introducimi, Divinità avvolta nel Mistero, in un rapporto sempre più profondo con Te, perché il mio andare verso il prossimo sia, come in Gesù, il traboccare di un amore liberamente accettato e donato.

venerdì 26 ottobre 2012

XXX domenica T.O. annoB


28 ottobre 2012 - XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - Anno B

Geremia 31, 7-9; Ebrei 5, 1-6
Marco 10, 46-52
46 E giunsero a Gerico. Mentre [Gesù] partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47 Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". 48 Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". 49 Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". Chiamarono il cieco, dicendogli: "Coraggio! Àlzati, ti chiama!" 50 Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51 Allora Gesù gli disse: "Che cosa vuoi che io faccia per te?". E il cieco gli rispose: "Rabbunì, che io veda di nuovo!". 52 E Gesù gli disse: "Va', la tua fede ti ha salvato". E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Premessa
Il miracolo operato sul cieco è collocato in un momento cruciale della vita di Gesù: durante l’ultimo tratto della salita a Gerusalemme, che lo porterà alla morte di croce. Nel brano di oggi Marco, discepolo di Pietro e quindi legato ai suoi vivi ricordi, sintetizza il senso della sequela trasmesso da Gesù agli intimi nel momento culminante della sua storia terrestre missionaria. Il cieco, seduto nell’inerzia e povertà, è simbolicamente il discepolo che, avendo sentore di quell’insolito Maestro, grida e grida ripetutamente (il verbo, all'imperfetto, indica che continuava ad urlare) il suo bisogno di illuminazione. Guarito esteriormente ed interiormente, non esita più a tradurre in pratica il “va’’ di Gesù. 

“Lungo la strada”
Il cieco è seduto lungo la strada, là dove il seme cade senza poter dare frutto. E lungo la strada ritorna quando, avvenuto il miracolo, non si sazia di appagamento, perché sa di poter estendere il prodigio operato in lui tra gente assetata di luce, la quale non sa come scoprirla.

Nazareno, Figlio di Davide, Rabbunì
La sequenza degli appellativi rivolti a Gesù indica il graduale passaggio dalla fede nazionalista dei nazareni in un messia elargitore di sicurezze, al messianismo davidico in cui non mancavano spiragli di speranze di più ampio respiro; ed infine, a guarigione avvenuta, alla fede nel Rabbunì, e cioè al rabbi in cui si incarna il Dio fattosi dono all’umanità.

"Coraggio! Àlzati, ti chiama!” - "la tua fede ti ha salvato"
Sono queste le espressioni che si possono ripercuotere benefiche nel cuore di chi cerca la verità, liberandosi dai propri impaccianti legami alle immediatezze di bisogni effimeri. Come è stato detto da teologi che pregano-la-Parola-di-Dio, tutto il Vangelo è educazione del desiderio, per imparare la via di saziarlo davvero. Il credente è un uomo illuminato, che può vedere finalmente la realtà vera, nascosta dietro il velo ambiguo e seducente delle apparenze. Per questo nella Chiesa antica questo brano di Vangelo veniva letto nella catechesi che precedeva il battesimo: per raccontare come avviene il passaggio dalle tenebre del non-senso di sé e di tutto alla luce della vita vera, grazie alla fede.

venerdì 19 ottobre 2012

XXIX T.O. anno B


21 ottobre 2012 - XXIX DOMENICA T.O. annoB

Isaia 53, 10-11; Ebrei 4, 14-16
Marco 10, 35-45
35 In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: "Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo". 36 Egli disse loro: "Che cosa volete che io faccia per voi?". 37 Gli risposero: "Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra". 38 Gesù disse loro: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?". 39 Gli risposero: "Lo possiamo". E Gesù disse loro: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40 Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato". 41 Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42 Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: "Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43 Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44 e chi vuol essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45 Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".

Il calice, il battesimo ed il riscatto
Nella tradizione ebraica il calice era simbolo di morte, di martirio; e il battesimo era simbolo di ‘morte al proprio passato’, quindi di conversione. Gesù propone il calice ed il battesimo come mezzi di riscatto, da non considerare come una sorta di compensazione per ottenere la pienezza della Vita; da inquadrare in un’ottica del tutto diversa, su misura del distacco dal potere, in modo da mettere in primo piano i piccoli e cioè gli ultimi (vedi brano della scorsa domenica).
Eppure nel brano di oggi Marco si ferma su alcuni altri  capisaldi di questa buona novella rivoluzionaria.

Il falso riscatto dell’antipotere
La lezione che Marco pone in bocca a Gesù rende i seguaci avvertiti circa il vero proporsi, da parte di Gesù, contro ogni potere.
Intanto c’è da osservare che già nell’Antica Alleanza era presente una delineazione del concetto di vero potere, quale proviene dall’umile condivisione con chi conta di meno. Bellissimo, a tale proposito, un grazioso apologo riportato in Giudici 9,7-21: una delegazione di tutte le piante invita tre di loro, l’ulivo, il fico e la vite, ad assumere la carica di re per assolvere al compito di rendersi utili a tutti; ma i tre declinano l’invito a farsi re, in quanto lieti unicamente della possibilità di essere d’aiuto agli altri. Eppure il bisogno di ricevere da qualcuno il proprio riscatto induce le piante ad estendere l’invito al rovo. E questo rivela la tipica arroganza di chi si sente sicuro in quanto avvolto dell’appariscente fascino che il suo potere emana: pur nella sua aridità, s’immagina frondoso ed elevato perché abbarbicato al potere delle piante che lo sostengono; e perciò invita le altre piante a piegarsi sotto la sua ombra, quasi fosse lui a crearla grazie ad un’altezza e ad una robustezza non sue.
Ecco: farsi re dell’antipotere è un falso servizio, una falsa moneta di riscatto.

Anche il servizio può non riscattare
Può essere deviante l’uso del servizio quando subdolamente diviene altro potere. Ecco: i seguaci di Gesù si sentono dei salvatori perché associati allo stesso destino di Gesù. Due di essi si proclamano con presunzione – “vogliamo”“possiamo” - disposti a bere il calice e ad immolarsi per gli altri. Ma la loro pretesa di sedere alla destra ed alla sinistra del Padre, mentre pone in moto la protesta degli altri dieci che in realtà non sopportano la prevaricazione dei due, smaschera il falso concetto che hanno di un servizio bacato. Nel calice amaro da bere e nel battesimo di conversione a cui i due, non meno degli altri, si dichiarano predisposti si insinua il veleno di un’altra forma di potere, non meno ‘antievangelica’ di quella dei governanti delle nazioni”. Per Gesù il servizio verso i piccoli ha una dimensione trasformativa, incentrata su un altro modo di essere..
L’epiteto di Figlio dell’uomo, cioè di colui che realizza la pienezza dell’umano e, in quanto tale, Figlio di Dio, dà al servizio di Gesù lo spessore necessario per creare una nuova comunità di uomini veri, e perciò di figli di Dio, quasi parto di una rinascita universale.
E in qual modo? riposando sulla mediazione di Gesù o impegnandosi personalmente?
E’ errata l’una e l’altra ipotesi. Come sarebbe presuntuoso fidarsi di sé, altrettanto sbagliata sarebbe una delega totale a Lui dell’impegno personale. Riconoscere che Lui ci ha salvati non significa che la salvezza suo tramite avvenga ‘automaticamente. Il servizio autentico si nutre di un amore misterioso, tutto da scoprire: radicato nel profondo del cuore umano.

Servizio ed Amore
Siamo di fronte alle parole più equivocate!
“Sono venuto per essere ser­vo”: ecco la più spiazzante tra tut­te le definizioni che Gesù dà di sé. La rivoluzione dei valori proposta ed abbracciata da Lui richiede un cambiamento di mentalità che non si può spiegare a parole; che si può unicamente implorare con umiltà attingendo direttamente alla Fonte. Tanto che Gesù sintetizza il senso di tale rivoluzione con una negazione: “tra voi non così”.
Con sussiego riporto, sintetizzandolo, un pensiero di J.M. Castillo, teologo della liberazione: E’ un fatto che nella Chiesa si è compreso e giustificato il “ministero apostolico” come “sacerdozio” dotato di “potestà” (Trento, sess. 23. DH 1764; 1771) e come “episcopato” dotato di “potestà piena e suprema” (Vat. II, LG 22). Il problema che ha la Chiesa con il Vangelo non sta nel possibile orgoglio, vanità o superbia che possono avere alcuni ‘ministri’ = diaconi: è in un tipo di esercizio della funzione, paritetico (se non superiore) a quello proprio di ogni altra forma di potere.

L’amore bisognoso di Dio per i mistici
A chi spetterà allora il pegno del riscatto (per sé e, di conseguenza, per gli altri)? Gesù lo assegna a “coloro per i quali è stato preparato”. Gli esegeti interpretano che Gesù si riferisse ai due che sarebbero stati crocifissi con Lui. Ma il significato della frase è più estensivo.
La CHIAMATA non ha limiti se non nell’arbitrio scambiato per libertà. Come potrebbe essere diversamente se Dio nel ‘concedersi’ attraverso Gesù, dimostra di non voler restare chiuso nella sua onnipotenza? Etti Hillesum, un’ebrea di fede non-ebraica, ma nemmeno cristiana, diventa portatrice di gioia nell’inferno di Aushwitz. Scriveva: aiuto Dio aiutando gli altri. Raggi di questa luce divina brillano ovunque nell’universo intero.
E Gesù si auto-commenta, dichiarando di volere essere identificato in Colui che cammina accanto a noi: “sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo”.