sabato 24 marzo 2018

DOMENICA DELLE PALME


a) LETTURE LITURGICHE E SALMO

Is 50,4-7

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.

Sal 21

Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, / storcono le labbra, scuotono il capo: / «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, / lo porti in salvo, se davvero lo ama!»./ Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; / hanno scavato le mie mani e i miei piedi. / Posso contare tutte le mie ossa. / Si dividono le mie vesti, / sulla mia tunica gettano la sorte. / Ma tu, Signore, non stare lontano, / mia forza, vieni presto in mio aiuto.  / Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, /  ti loderò in mezzo all’assemblea. / Lodate il Signore, voi suoi fedeli, /  gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, / lo tema tutta la discendenza d’Israele.

Fil 2,6-11

Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

R e l a t i v i  c o m m e n t i

Is 50,4-7

La prima lettura è tratta da Isaia al cap. 50. L’autore è' un discepolo del primo Isaia, che vive nel periodo dell'esilio a Babilonia e nonostante sia esiliato, disprezzato e umiliato, spera in JHWH.

Il passo che leggiamo è il terzo carme del Servo del Signore. L'autore sa di appartenere al suo Signore. E' solo dalla relazione di appartenenza profonda tra il servo (chiamato discepolo) e il Signore, che può scaturire la forza per indirizzare una parola allo sfiduciato a causa di tragedie gravi e malattie varie, sue e degli altri.

Il Servo reagisce con un'incrollabile fermezza di fronte agli insulti più gravi e dolorosi: Ho presentato il mio dorso ai flagellatori. Il segreto della sua forza è il fatto che egli conta sull'assistenza del Signore ed è certo che Lui non lo abbandonerà: Il Signore Dio mi assiste, per questo non vengo svergognato.

Umanamente si potrebbe pensare che l'assistenza del Signore si manifesti nel risparmiare al proprio servo le prove più dure; ma non è questa la logica di Dio: il soccorso divino è tanto più vero, quanto più si riceve il coraggio per attraversare anche le situazioni più difficili senza mai vacillare nella fiducia. Il compito umano è quello di stare svegli e di farsi aprire l'orecchio e la bocca da Dio, sapendo che la speranza e l'amore del Signore sono più forti del male che lo accerchia.

Fil 2,6-11

Nella seconda Lettera di Paolo ai  Filippesi, il contesto storico rispecchia la profezia di Daniele, in seno alla quale venne formulato il concetto messianico di Figlio dell’uomo. L’espressione non si riferiva soltanto ad un comune essere umano, ma in particolare ad un personaggio che riceverà da Dio una dominazione escatologica, la quale trascende i singoli tempi storici. Ciò che Paolo intende dire con il nome ‘Signore’, che in greco suona Kyrios, è il Nome di Colui al quale Dio ha dato il suo stesso nome. [Qui si tratta di definire Gesù, non come lo stesso Dio, ma come Colui  che riferisce a Dio tutto, compreso se stesso].

Salmo 21

Siamo di fronte ad una delle suppliche più celebri del Salterio. Oggi si legge unicamente il corpus centrale della lamentazione, dove l’orante tenta di provocare il Dio quando si fa assente e muto. In una scena dalle tinte barocche, la dignità umana è completamente calpestata; e un ultimo, disperato grido sigilla la lamentazione: Ma tu, Signore, non stare lontano, / mia forza, vieni presto in mio aiuto.

All’itinerario di lamento in tre fasi corrisponde, nella seconda parte del Salmo, una lode a Dio, che si sviluppa pure in tre fasi. E alla fine esplode l’esultante grido: e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore!, a gloria di Dio Padre.

 

b) VANGELO  DI MARCO 14,1-15,47 – lettura commentata -

 

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Il termine Pasqua indica due feste che in origine erano separate:

1) la Pasqua propriamente detta, che consisteva nell’immolazione dell’agnello e nella sua consumazione nell’ambito familiare, e

2) gli Azzimi, che consisteva nel consumare pane azzimo per la durata di una settimana (cfr. Es 12,1-20). Nel volgere degli anni le due feste sono state fuse: il giorno di Pasqua in senso proprio è diventato così il primo giorno della settimana degli Azzimi, la quale termina poi con un’altra assemblea festiva.

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La Pasqua aveva luogo il 15 del mese di Nisan. Siccome il calendario allora in uso era basato sui cicli lunari, la data della pasqua variava ogni anno. La sua celebrazione iniziava il giorno precedente, dopo il calar del sole.

Tale festa rappresenta per gli ebrei il ricordo annuale dell’uscita degli israeliti dall’Egitto. Ma, nello spirito degli ebrei contemporanei di Cristo, la pasqua non commemorava soltanto la notte dell'uscita dall'Egitto. Nella versione aramaica della Bibbia, quella stessa che leggeva Gesù (il Targum palestinese), si ricordavano altri eventi salvifici, quali la creazione, l’alleanza di Dio con Abramo, il sacrificio di Isacco e infine la venuta del Messia.

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La liturgia eucaristica di questa domenica si apre con la commemorazione del solenne ingresso di Gesù a Gerusalemme, che Marco tratteggia così: ...quando fu annunziato che Gesù veniva a Gerusalemme, il popolo uscì per andargli incontro e, agitando rami di palma, acclamava: Osanna nell'alto dei cieli: Il Figlio di Dio entra trionfalmente nella città Santa, dove, dopo pochi giorni, si sarebbe compiuta la sua Ora.

Spente le acclamazioni e l'esultanza della folla (quella stessa folla che poi lo avrebbe cacciato fuori dalle mura della città, reclamando tra le grida scomposte, che fosse crocifisso) troviamo Gesù a casa di Simone il lebbroso, qui, ...mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato, di nardo genuino, di gran valore: ruppe il vasetto di alabastro e versò l'unguento sul suo capo... Questo gesto (uno di quei segni d'amore, di cui le donne sono particolarmente capaci) provocò la reazione dei commensali, che lo giudicarono uno spreco. Sicuramente fu uno spreco, un eccesso; ma di lì a poco ci sarà un altro eccesso, e stavolta da parte di Dio, che nel Figlio Gesù, compie quel gesto estremo d'amore, spezzando il suo corpo e versando, non olio profumato, ma il suo stesso sangue: ... Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: Prendete, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più il frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio.

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Cap 14

12 Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?

Secondo Marco la richiesta dei discepoli ha avuto luogo nel primo giorno degli Azzimi: dunque non il giorno di Pasqua, bensì la vigilia, al termine della quale, dopo il calar del sole, iniziava la festa.

Quell’anno la Pasqua cadeva di venerdì. Di conseguenza la preparazione ebbe luogo nella giornata di giovedì.

Come risposta alla domanda dei discepoli Gesù manda due di loro in città dicendo:

13-15 Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi.

Da questo testo risulta che effettivamente per Marco, anche se nel seguito del racconto non fa più alcun riferimento alla Pasqua, l’ultima cena è stata un vero e proprio banchetto pasquale. Invece secondo la tradizione giovannea l’ultima cena non fu una celebrazione pasquale, perché ebbe luogo il giorno prima della festa: questa infatti, cadeva sì nel giorno di venerdì, ma Gesù morì il giovedì pomeriggio, proprio mentre si sacrificavano gli agnelli per la cena (cfr. Gv 18,28).

Al di là del problema storico, è importante sottolineare come, sia per Marco sia per Giovanni, anche se in modi diversi, la Pasqua giudaica rappresenta lo sfondo biblico della morte di Gesù e quindi dell’ultima cena che la prefigura. 

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Il resoconto della cena nella quale Gesù dà se stesso sotto il segno del pane e del vino, presenta la sua morte imminente come il gesto supremo mediante il quale si rinnova l’alleanza tra Dio e l’umanità. Nelle parole tramandate dalla tradizione è già presente l’interpretazione sacrificale della morte di Gesù e di riflesso della cena da lui consumata la sera prima con i suoi discepoli.

Essa si basa sulla concezione biblica del sacrificio, considerato, non come strumento di espiazione nel senso corrente del termine, ma come segno (dato da Dio) dell’alleanza da Lui stabilita con il suo popolo. In questa prospettiva Gesù si presenta, proprio per il suo amore totale nei riguardi dell’umanità, soprattutto la più sofferente ed emarginata, come colui che attua la comunione piena con Dio, quale era stata prefigurata in numerosi banchetti sacri, e preannunziata nel banchetto escatologico [La prima venuta di Cristo è un fondamentale evento escatologico, che ridà la speranza della vita eterna ai cristiani. La seconda venuta di Cristo significherà l'instaurazione definitiva del Regno di Dio e il banchetto escatologico ne esprimerà la gioia]

La comunità cristiana, ripetendo i gesti che Gesù aveva fatto nell’ultima cena, li ha interpretati come un’azione simbolica (sacramentale), nella quale egli, ormai glorificato, manifesta la sua presenza viva nella comunità radunata, continuando ad attuare in essa, come conseguenza della sua morte in croce, la nuova alleanza promessa dai profeti.

La dimensione comunitaria, così presente nei ricordi della cena di Gesù, non ha impedito all’evangelista di ricordare che il suo sangue è stato versato per tutti

In forza della sua morte in croce il rapporto con Dio non passa più attraverso la liturgia del Tempio, la cui distruzione sarà imminente, ma attraverso il suo corpo crocifisso e risorto, presente misteriosamente nel pane e nel vino benedetto nella comunità, la cui forza riconciliatrice è destinata ad operare in tutto il mondo, per tutti i popoli.

Sullo sfondo del gesto compiuto da Gesù si prospetta però il tradimento di uno dei Dodici, l’abbandono da parte degli altri e il rinnegamento di Pietro. Incorniciando l’istituzione dell’eucaristia con le predizioni riguardanti il futuro atteggiamento dei discepoli, la tradizione ha voluto mettere in luce la totale gratuità del dono divino, presentando al tempo stesso l’ingratitudine umana come parte di un piano che Gesù ha conosciuto e accettato: un mezzo scelto da Dio per realizzare la salvezza dell’umanità.

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Il racconto della passione e morte di Gesù, che oggi domina la liturgia eucaristica, è una lunga drammatica sequenza di fatti, di fronte ai q e di Gesù, non può esser solo emozione. Deve trasformarsi in una ferita, che tenga viva la coscienza della smisurata portata del male e dello sconvolgimento operato da esso, dal momento che il prezzo pagato è la vita stessa del Figlio di dio, Gesù di Nazaret.

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Due persone di provenienza e di formazione diversa ci hanno lasciato la loro testimonianza di dolore e di superamento dello stesso:

uali è difficile fare dei commenti. Quando sopraggiunge un grande dolore o una gioia intensa, le parole rivelano la loro inadeguatezza, e si sostituisce ad esse il silenzio, un silenzio colmo di emozione. Tuttavia, la grande commozione che invade il cuore alla lettura della Passion

- Dietrich Bonhoeffer dalla prigionia ha scritto: La croce di Dio ha voluto essere il dolore di ciascuno; e il dolore di ciascuno è la croce di Dio.

-Etty Hillesum, giovanissima ebrea che visse il dramma inaudito della Shoah e morì ad Auschwitz nel 1945 ha lasciato scritto nel suo Diario: Non mi faccio molte illusioni su come stiano le cose veramente... Si, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali, ma anch'esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, tocca a noi aiutare te, difendere fino all'ultimo la tua casa in noi. Mio Dio, cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me....Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutare noi stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica cosa che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio! E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri esseri.

 

  Nella tua croce, Gesù, vedo quella di tanti altri… Ahimè, quanti altri! conosciuti e sconosciuti, spesso ignari, privi di un perché, senza fede e senza speranza, piegati all’ingiustizia; ma che forse, ad un tratto, sanno di portare una croce di SALVEZZA, la loro e la mia, quella di tutti… Sento il gemito, ma anche il grido di liberazione.

IN TE C’E’ TUTTA L’UMANITA’ CHE ASPETTA LA PASQUA SENZA  FINE

V DOMENICA DI QUARESIMA


Gv12,20-33

20. Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: Signore, vogliamo vedere Gesù. 22. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23. Gesù rispose loro: È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28. Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L’ho glorificato e lo glorificherò ancora! 29. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. 30. Disse Gesù: Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. 33. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

 

LETTURE

Ger 31, 31-34

Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato.

Sal 50

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; / nella tua grande misericordia / cancella la mia iniquità. / Lavami tutto dalla mia colpa, / dal mio peccato rendimi puro./ Crea in me, o Dio, un cuore puro, / rinnova in me uno spirito saldo. / Non scacciarmi dalla tua presenza /me non privarmi del tuo santo spirito. / Rendimi la gioia della tua salvezza, / sostienimi con uno spirito generoso. / Insegnerò ai ribelli le tue vie / e i peccatori a te ritorneranno.

Eb 5,7-9

Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

C o m m e n t i

 

1) LE LETTURE E IL SALMO

C’è da premettere che le letture liturgiche, in cui su parla delle due alleanze fatte da Dio con Israele, sono arcaiche e, nello stesso tempo, ricche di insegnamento.

L’alleanza è un patto che si conclude tra due popoli, i quali decidono, non solo di non aggredirsi vicendevolmente, ma di entrare in una profonda ed intensa relazione. Il Signore ha stretto la prima con il ‘suo’ popolo, attraverso la mediazione di Mosè: dando una legge, i dieci comandamenti; e il popolo ha promesso di onorarlo e di rispettare il prossimo.

a) Nella prima lettura è riportato uno dei passaggi più consolanti dell'Antico Testamento. Dio, attraverso il profeta Geremia, promette un'alleanza nuova, dal momento che la prima (conclusa con il suo popolo sul monte Sinai, in seguito all’uscita dall'Egitto) era stata elusa.

Purtroppo il popolo non ha capito la logica dell’osservanza; e Dio, anziché punirlo, gli imprime la legge nel cuore: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore.

E non manca di aggiungere: io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me.

b) Nella seconda Lettura – La quinta Lettera agli Ebrei – è da scartare l’interpretazione [suggerita implicitamente dall’abbinamento con la prima lettura] secondo cui Gesù sarebbe morto in sostituzione dei peccatori, per offrire a Dio una degna ammenda, in seguito alla quale ottenere il perdono. Invece una intelligente interpretazione sostiene la tesi che Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono (da eulábeia: sottomissione) a Lui, venne esaudito. La sottomissione, non è la resa a un destino implacabile, bensì l’adesione ai sentimenti del Padre; sentimenti di amore per il mondo, fino a donargli il suo Figlio Unigenito (cf. Gv3,16).

c) Il salmo 50, penitenziale (il Miserere), è uno dei più celebri e dei più studiati. Ha costituito l’ossatura delle Confessioni di Agostino; è stato commentato da Lutero in pagine altissime; era il canto di Giovanna d’Arco; è stato meditato da moltissimi Padri della Chiesa, musicato da Bach, ecc.

E’ nato dal pentimento di Davide (VI sec.a.C), adultero ed omicida… Traccia i confini oscuri del peccato e, quando il peccatore lo riconosce, Dio, non solo guarisce, ma ricrea l’essere umano. La richiesta Crea in me, o Dio, un cuore puro, / rinnova in me uno spirito saldo, apre la regione luminosa delle grazia che concede agli oranti di divenire elargitori di salvezza agli altri: Insegnerò ai ribelli le tue vie / e i peccatori a te ritorneranno.

 

2) Commento al VANGELO

- Uno sguardo d’insieme al testo perché il racconto conservi la sua intensità

Nell’ora che precede la sua cattura, Gesù (che i Sinottici collocano al Getsemani), è descritto da Giovanni in preda al turbamento e all’angoscia. E, quasi si aprisse una feritoia sui suoi sentimenti, confessa:

27. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora?.

Sì, di fronte alla sua morte, Gesù è turbato, come già si era turbato e aveva pianto alla morte dell’amico Lazzaro. Però questa angoscia, umanissima, non diventa un inciampo posto sul suo cammino: Gesù prega e vince radicalmente la tentazione dello scoraggiamento con l’adesione alla volontà del Padre: Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!

In modo diverso, ma in profondità concorde con essa, tutti e quattro gli evangelisti mettono in bocca a Gesù questa testimonianza: Egli non ha voluto salvarsi da quell’ora, né esserne esentato, ma è sempre rimasto fedele alla sua missione di compiere la volontà del Padre.

Ecco perché prega così: 28. Padre, glorifica il tuo Nome. Cioè:  Padre, mostra che tu e io, insieme, realizziamo in me la stessa volontà.

Il termine gloria, in ebraico Kabod, significa peso, valore specifico. Per l'evangelista Giovanni il verbo glorificare è riferito al mistero dell'amore obbediente di Cristo al Padre e dello stesso amore fraterno per tutti.

L’anelito a non fermarsi dinanzi alla croce per glorificare il Padre costituisce la misura del compito spettante a chi si pone alla sequela di Cristo. Se gli occhi di Gesù sono alzati al Cielo nell'atteggiamento di chi implora il Padre, di fatto lo sguardo del suo cuore è posato su coloro che il Padre gli ha affidato. Come dice Paolo nella Lettera agli Ebrei, Gesù divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Parlare di gloria oggi significa parlare di trionfo, di vittoria riportata con tutti gli onori meritati. Tanti passano la vita cercando di afferrare il momento bello di un successo, di una comparsa alla TV e di quant’altro. Cercano tutto ciò che è esteriore: vestiti di marca, ‘rifarsi belli’, conquistare un posto di potere… Al contrario la liturgia odierna ci invita a spingere in Alto lo sguardo e ad aprire il cuore, in modo da dire con Paolo: Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me! (Gal 2,20). Don Giussani affermava: L’aspirazione dell’amicizia è l’unione, è quella di immedesimarsi, impastarsi, diventare la stessa persona, avere la stessa fisionomia dell’Amico … Ma Gesù è in croce… e la gioia più grande della nostra vita è quella che ad ogni piccola o grande sofferenza poter scoprire: ecco, ora sono più simile a Cristo, più impastato con Lui.

Ed ecco il sigillo divino trasformato in parole: L’ho glorificato e Lo glorificherò ancora!

Questa è la buona notizia della pagina del vangelo odierno; buona notizia soprattutto per quei discepoli e quelle discepole che conoscono la dinamica del cadere a terra, del marcire nella sofferenza e nella solitudine. Quando, in alcune ore della vita, sembra che la sequela di Gesù si riduca solo a sperimentare la sua passione e il rinnegamento da parte degli altri, allora più che mai occorre rinnovare il respiro della fede, in modo da poter dire: Gesù ed io viviamo assieme, abbiamo gli stessi obiettivi.

Amare è una cosa seria! Se uno vive la vita solo per sé, si arrotola sul proprio vuoto; se la dona, fidandosi di Cristo che attraversa la via della croce, un bel giorno essa rifiorirà.

Pensiamo a Madre Teresa: non era né bella né ricca…; eppure, quando la si vedeva, si fermavano dinanzi a lei persino i capi di Stato. Perché? Perché si sprigionava perfino dalla pelle l’irradiazione del suo amore di Dio e del prossimo.

 

3) SVILUPPIAMO ALCUNI COMMENTI di studiosi ed amanti del vangelo

Don Seregni: Dopo aver letto con attenzione il testo, ho cercato di spiegare ai miei ragazzi che il verbo utilizzato da Giovanni per tradurre la richiesta dei greci a Filippo non indica un semplice vedere, ma un andare al di là delle apparenze, un vedere per conoscere e per capire. Infatti vedere è un verbo che implica un maggiore coinvolgimento del soggetto rispetto al guardare. Posso guardare e non vedere nulla di particolare.

Una ragazza del gruppo ha commentato: Che bulli ‘sti’ greci, avevano capito tutto!.
Proprio tutto non sono così sicuro, ma certamente avevano nel cuore un desiderio grande.

Non solo bisogna desiderare di vedere Gesù. Questo verbo, in greco idéin, lascia capire che bisogna essere pronti ad accogliere le modalità sorprendenti e inattese con le quali il Rabbì - ieri come oggi - si fa presente nella storia.

Forse i greci si aspettavano una rivelazione trionfale, invece Gesù si presenta come il seme che sprofonda nell'oscurità della terra per marcire e portare frutto. La potenza di vita nascosta nel seme è sottratta alla vista, così come la fecondità della Croce è scambiata per sterilità e follia. Don Ronchi: Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: nessun segno di vita, un gu­scio spento e inerte, che in realtà è un forziere, un pic­colo vulcano di vita. Caduto in terra, il seme muore alla sua forma ma rinasce in for­ma di germe. Seme e germe non sono due cose di­verse, sono la stessa cosa ­ma tutto trasformato in più vita: la gemma si muta in fio­re, il fiore in frutto, il frutto in seme. Come il seme assorbe acqua e nutrimento nell'oscurità della terra e si prepara ad esplodere di vita, così ciascuno di noi è chiamato in questo cammino quaresimale a lasciarsi inzuppare dalla Parola per essere pronto a esplodere di vita nella celebrazione della Pasqua.

La frase evangelica - se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto - è difficile e anche pericolosa se capita male, perché può legittimare una visione dolori­stica e infelice della vita cristiana.

Se il verbo morire che balza subito in evi­denza per la sua presa emo­tiva ci pone davanti al binomio morire-non morire, il verbo che regge l'intera costruzione è produrre. Dunque l'accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il fare molto frutto buono.

Nel ciclo vitale come in quello spirituale, la Liturgia dei defunti recita così: la vita non è tolta ma trasformata; non c’è perdita ma espansione.

 La seconda icona è la croce, l'immagine più pura e più al­ta che Dio ha dato di se stes­so. Afferma Karl Rahner: Per sapere chi sia Dio de­bbo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce.

E Dietrich Bonhoeffer: Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Ma dalla morte risorge come un germe di vita indistrutti­bile, e ci trascina fuori, in alto, con séLa Croce non ci fu data per capirla ma perché ci aggrap­passimo ad essaAttratto da qualcosa che non capisco ma che mi se­duce, mi aggrappo alla sua Croce, cammino dietro a Cri­sto, morente in eterno, in e­terno risorgente.
Osserva Bruno Maggioni: Come potrebbe il Crocefisso attrarre, se non fosse in alto e ben visibile?
Attrarre, dal verbo greco elko, significa attrarre come una calamita, affascinando. La croce attrae mostrandosi. E questo è un metodo: ciò che attira affascinando è solitamente la bellezza o l'amore o lo splendore di una grande verità o una novità attesa e che sorprende. Il Crocefisso innalzato è la rivelazione delle insospettate profondità, della bellezza e della novità del volto di Dio attraverso la parabola di Cristo.

IV DOMENICA DI QUARESIMA


1. LE LETTURE ED IL SALMO

2 Cr 36, 14-16. 19-23

In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l'ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all'avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni». Nell'anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: "Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!"».

Sal.136

Lungo i fiumi di Babilonia, / là sedevamo e piangevamo / ricordandoci di Sion. / Ai Sali  di quella terra / appendemmo le nostre cetre. / Perché là ci chiedevano parole di canto / coloro che ci avevano deportato / allegre canzoni, i nostri oppressori: / «Cantateci canti di Sion!». / Come cantare i canti del Signore / in terra straniera? / Se mi dimentico di te, Gerusalemme, / si dimentichi di me la mia destra. / Mi si attacchi la lingua al palato / se lascio cadere il tuo ricordo, /se non innalzo Gerusalemme.

Seconda Lettura

Ef 2, 4-10

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

2. IL VANGELO

Gv3,14-21

14. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15. perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio

3. brevi cOMMENTI alle Letture e al salmo

a) In 2 Cr 36, 14-16. 19-23, l'autore sacro del secondo libro delle Cronache collega la caduta di Gerusalemme e il susseguente periodo di schiavitù in Babilonia all'infedeltà del popolo ai comandi divini. Con il tipico linguaggio veterotestamentario, sottolinea lo stretto rapporto tra l'affievolirsi del senso morale dell'intero popolo e la conseguente degenerazione della convivenza civile.

b) Il Salmo è pervaso di malinconia; ma Sion resta fonte di vita e di gioia. Bene esprime Blaise Pascal quest’unico punto fermo del popolo di Israele: i fiumi di Babilonia scorrono, precipitano e travolgono. O santa Sion, dove tutto è stabile e dove nulla cade!

c) Paolo ricorda agli Efesini che la situazione umana dei pagani prima che si convertissero a Cristo, era di peccato, e quindi di rifiuto a procedere  verso la vera Vita. Bisogna essere vigili perché tale situazione si ripropone in ogni epoca della storia.

L’apostolo perciò ammonisce: l’accettazione della salvezza offerta da Dio in Gesù è possibile mediante la fede; e questa presuppone la corrispon­denza alla grazia, la quale non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene.

4. commento al Vangelo

Siamo oltre la metà del pellegrinaggio quaresimale e la liturgia della Chiesa, interrompendo per un momento l'austerità di questo tempo, invita a rallegrarsi. Da qui l'espressione ‘domenica Laetare’, propria della IV domenica di Quaresima nel calendario liturgico della Chiesa cattolica e di molte altre chiese di tradizione latina, come la Chiesa anglicana e altre chiese minori. E per sottolineare lo stacco di letizia durante la quaresima, la liturgia attenua persino il colore dei paramenti liturgici e dal viola passa al rosaceo.

L’esortazione a rallegrarsi sembrerebbe non aver più senso da quando la Quaresima non è avvertita nella sua severità e il digiuno è quasi totalmente disatteso. In effetti i quaranta giorni scorrono per lo più come tutti gli altri. L'invito liturgico, che in passato comportava la sospensione dell'austerità, non voleva comunque spingere verso un senso di spensieratezza o di superficiale e incontrollato senso della vita. Al contrario, la liturgia è consapevole del bisogno umano di  quella letizia vera, che faccia ritrovare una dimensione spirituale, attraverso la quale dare senso alla vita.

Nel quarto vangelo, la domenica scorsa è stato posto al centro l’annuncio di Gesù quale ‘luogo’ della comunione con Dio.

In questa IV domenica di quaresima viene riproposto lo stesso tema. Siamo, però, di fronte ad un testo per molti aspetti difficile: Giovanni ha una visione che va colta al di là di quello che scrive: una visione profonda, alla quale può pervenire solo chi, sulle orme di Gesù nella sua vicenda terrena, coltiva la fede in Dio.

- Giovanni è stato testimone della passione e morte di Gesù sul Golgota, il venerdì, vigilia di Pasqua, 7 aprile dell’anno 30 della nostra era. Ha visto la sua sofferenza, il disprezzo subìto da parte dei carnefici e soprattutto il supplizio vergognoso e terribile, come lo definisce Cicerone, della croce. Perciò il suo modo di leggere gli eventi della passione e morte di Gesù, nonché della resurrezione, si differenzia alquanto da quello dei sinottici. Egli attesta la necessità della croce con un linguaggio ‘altro’: ciò che nei sinottici è infamia, tortura, supplizio in croce, per Giovanni diventa innalzamento e gloria.

14. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo.

L’evangelista fa dire allo stesso Gesù queste parole che commentiamo:

Gesù, appeso al legno, è stato innalzato da terra, analogamente al serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto quale antidoto contro i pericoli nell’attraversamento del Sinai (gli israeliti aggirarono il paese di Edom per raggiungere il Mar Rosso). Il bastone di Aronne, insieme alla verga di Mosè misero in atto gli straordinari poteri contro le Piaghe d'Egitto. Ora Gesù si farà crocifiggere e chiunque innalzerà il suo sguardo verso di lui, troverà la salvezza.

- La definizione Figlio dell’uomo, che rispecchia un dato storico, si riferisce al Servo di JHWH sofferente (figura letteraria descritta da Isaia, nella sezione identificata come deutero Isaia), ed è la preferita da Gesù.

Dietro la versione greca – la lingua utilizzata dagli evangelisti – c’è un originale aramaico, ben adam o bar enash, la cui traduzione esatta è il bastone di Aronne (il bastone dotato di poteri straordinari che,  secondo il racconto dell’Esodo, era stato usato da Aronne a protezione del fratello Mosè).

Anche oggi l’evocazione di tale titolo è interessante, perché designa l’essere umano nella sua condizione creaturale di fronte a Dio; Figlio dell’uomo significa in maniera appropriata: uno della stirpe umana, e perciò preordinato alla sofferenza e alla morte.

Con questa auto-definizione Gesù esprime la sua profonda solidarietà con la condizione umana, e lascia intravedere la sua funzione di inviato di Dio.

Alla luce della Pasqua i primi cristiani rileggeranno tale titolo pensando alla sua venuta nella gloria, quando egli assumerà anche una funzione giudiziale escatologica.

15. perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Questo versetto merita attenzione particolare circa l’espressione vita eterna.

Cosa è l’eternità? E che rapporto ha col tempo?

- La vita eterna per i cristiani è uno stato di comunione con Dio: definizione che pone l’accento sull’aspetto mistico, cioè riguardante il profondo sentire-Dio nell’intimo di chi lo ama.

- E’ bene, però, guardare al concetto elaborato dalla filosofia e dalla teologia.

L’eterno non ha un prima e un dopo, ma è l’attimo, che è sempre identico a se stesso, anche nel suo divenire nel tempo. Eterno è ciò che, una volta incarnato nell’esistenza, alla fine non ritorna nel nulla, ma perdura.

Dice Platone: il tempo è immagine mobile dell’eternità. Il tempo è una successione di istanti che nel loro trascorrere, passano da un modo di essere ad un altro. Eppure essi non mutano in se stessi. Un peccatore morente può avvertire di avere attraversato momenti diversi, ma l’istante che vive nell’atto di morire può ritrovarsi nella possibilità di pentirsi, cioè di ritrovare se stesso…    

16. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.

All’innalzamento del Figlio dell’uomo corrisponde, in questa frase,l’amore di Dio che dà il suo Figlio Unigenito; il mondo indica l’umanità intera, non in senso negativo, ma in quanto bisognosa di salvezza.

Il fatto che in questo contesto venga usato il verbo dare, da didômi e non il più consueto consegnare, paradidômi, collegato alla morte del Servo di JHWH, significa che l’evangelista non pensa semplicemente alla morte di Gesù in croce, ma a tutta la sua vita di amore e di dedizione ai fratelli. Alla croce, intesa come ritorno a Dio, corrisponde quindi l’esperienza umana di Gesù, vista come dono che Dio ha fatto all’umanità per dimostrarle il suo amore. Gesù dunque è ‘innalzato’ perché Dio stesso lo aveva ‘donato’: in questi due verbi è racchiuso tutto il mistero del Figlio dell’uomo, su cui si basa la fede nella vita eterna, cioè la vita di comunione con Dio.

- In questo versetto l’attributo di Figlio dell’uomo viene sostituito con quello di Figlio unigenito, più significativo per mettere in luce il rapporto specialissimo che unisce Gesù a Dio.

17-19.

A tale rifiuto può sopperire solo il fare la verità.

Questa frase è da leggere in profondità, cioè da capire con intelletto d’amore. Non basta accettare intellettualmente alcune verità di fede, senza impegno personale. Il cristiano vive nella verità soltanto quando egli cerca continuamente di assimilarla, per lasciarsi progressivamente trasformare da essa. E’ la condanna di ogni formalismo, di ogni superficialità, di ogni cristianesimo indifferente, non autentico.

Al versetto 16 leggiamo: .

L’immagine di Dio che appare in questi versi è quella di un padre pieno di tenerezza e non di un giudice severo. Chi crede in Gesù e lo accetta come rivelazione di Dio non è giudicato, perché già è accettato da Dio. E chi non crede in Gesù è già stato giudicato. Si esclude da sé. E l’evangelista ripete ciò che ha già detto nel prologo: molte persone non vogliono accettare Gesù, perché la sua luce rivela la cattiveria che esiste in loro.

20-21

Giovanni esprime in questi versetti una visione ecumenica. Per lui Gesù è rivelazione del Padre. Nella fedeltà a Ges l’unica risposta al desiderio più profondo dell’essere umano.

4. personale

In questa parte del Vangelo, ma non soltanto in essa, Gesù è il grande Mediatore tra l’umanità e Dio.

Vi supplico di leggere il mio pensiero prendendo preventivamente le distanza. Ciò che dico non è Parola di Dio.

Non posso leggere il vangelo se non nel quadro dell’umanità intera. Cioè nell’umanità non c’è qualcuno che faccia l’eccezione di essere escluso. Il più efferato delinquente fa parte dell’umanità. Non c’è un essere umano mostruoso che non merita uno sguardo (e non solo) di amore.

Sarebbe possibile pensare che chi non crede in Cristo sia condannato, escluso dalla comunione con Dio?

Eppure il v.20 recita così: Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate.

Potrei citare altri versetti della pericope che hanno il medesimo significato: esclusione.

Ma l’evangelista usa un linguaggio, anzi ha una mentalità che lo induce a questa concezione. Non si può pretendere una visione assolutamente universalistica del destino dell’essere umano a persone vissute duemila anni fa.

Quanto a me  / Mi si attacchi la lingua al palato / se lascio cadere il tuo ricordo, /se non innalzo Gerusalemme.

Mi si conceda semplicemente la sostituzione della parola Gerusalemme con Tu che mi hai fatto.

III DOMENICA DI QUARESIMA


a) IL VANGELO

Gv2,13-25

13. Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16. e ai venditori di colombe disse: Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!. 17. I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. 18. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: Quale segno ci mostri per fare queste cose?. 19. Rispose loro Gesù: Distruggete questo santuario e in tre giorni lo farò risorgere. 20 Gli dissero allora i Giudei: Questo santuario è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?. 21. Ma egli parlava del santuario del suo corpo. 22. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 23. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25. e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

 

b) LE LETTURE

Èsodo (20, 1-3.7-8.12-17)

In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: - Non avrai altri dèi di fronte a me. -   Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. - Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. - Non ucciderai. - Non commetterai adulterio. - Non ruberai. - Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. - Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

Sal 18

La legge del Signore è perfetta, / rinfranca l’anima; / la testimonianza del Signore è stabile, / rende saggio il semplice. / I precetti del Signore sono retti, / fanno gioire il cuore; / il comando del Signore è limpido, / illumina gli occhi. /  Il timore del Signore è puro,  / rimane per sempre; / i giudizi del Signore sono fedeli, / sono tutti giusti. / Più preziosi dell’oro, / di molto oro fino, / più dolci del miele /  e di un favo stillante.

1Cor1,22-25
Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Commento

breve premessa

- Oggi si celebra la terza domenica di Quaresima e il cammino verso la Pasqua diventa più impegnativo per ogni cristiano, in considerazione di ciò che propone la Parola di Dio.

- Mentre per i sinottici questo episodio dà inizio alla settimana conclusiva della vita di Gesù (cfr. Mc11,15-17), per Giovanni dà inizio all’esercizio del suo ministero. Il confronto con il Tempio rappresenta il primo e più significativo compito del Messia (cfr. Mal3,1-3). Al tempo stesso l’episodio pone tutto il ministero di Gesù nella prospettiva della sua morte e risurrezione.

- Secondo i primi tre vangeli, Gesù, scacciando i venditori e i cambiavalute che fornivano quanto era necessario per i sacrifici e le offerte, blocca l’esercizio del culto, reso illegittimo dal mercimonio, e ne preannunzia la distruzione.

Nel quarto vangelo l’opposizione ai profanatori del Tempo, rispecchia, sì, il disagio di Gesù di fronte al modo in cui il Tempio era utilizzato, ma di riflesso fa intravedere l’urgenza di una nuova prospettiva, cioè di un modo nuovo di concepire il culto da rendere a Dio.

LE LETTURE

– L’Esodo nella parte che ascoltiamo nella prima lettura, fa riferimento ai Dieci Comandamenti, al fine di denunziare in termini espliciti tutto ciò che era in contraddizione con la fede e col culto vero.

- Il Salmo 18 snoda un inno sapienziale alla TORAH, tratteggiata con attributi solari. Bene commenta, nel Medio Evo, l’esegeta rabbinico Kimchì: come il mondo non s’illumina e vive se non per opera del sole, così l’anima non si sviluppa se non attraverso la TORAH.

Il salmo sembra gettare uno sguardo di amore su quanto i Comandamenti impongono con rigore e perciò parla di precetti che fanno gioire il cuore… perché sono retti, / il comando del Signore è limpido, / illumina gli occhi. /  Il timore del Signore è puro,  / rimane per sempre.

- Paolo Apostolo, scrivendo ai cristiani di Corinto nella sua prima lettera (di cui in questa domenica si ascolta un breve brano), usa questa espressione: ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini. Ciò significa che Dio ha scelto deliberatamente lo scandalo della croce perché il suo amore potesse raggiungere anche le persone cadute nel peccato.

analisi testuale del brano

13. Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.

- Il brano si apre con una indicazione cronologica: Gesù, mostrandosi in linea con le feste liturgiche di Israele, sale a Gerusalemme in quanto  la Pasqua si avvicinava. Ma Giovanni non precisa in quale momento delle celebrazioni pasquali l’episodio narrato nella pericope ha avuto luogo: i sinottici lo collocano nel lunedì santo, mentre lui lo sposta intenzionalmente all'inizio della predicazione di Gesù; il suo scopo è quello di porre un avvenimento significativo all'inizio dell'attività di Gesù.

C’è un altro elemento temporale in cui gli evangelisti divergono: mentre i sinottici parlano di una sola Pasqua, quella della croce e resurrezione, il Vangelo di Giovanni parla di tre feste, celebrate da Gesù durante il periodo della sua vita pubblica. Esse sono legate, la prima alla purificazione del tempio, la seconda alla moltiplicazione dei pani, la terza alla morte e resurrezione.

- Nell’AT la Pasqua era detta del Signore; ora diventa dei Giudei: segno che, quando Giovanni scriveva, le comunità erano già staccate dal culto ebraico.

14. Trovò nel Tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.

- Rispetto al racconto dei sinottici, Giovanni mette in scena alcuni elementi come l'indicazione degli animali, che rendono la scena più viva.

La presenza delle persone dedite al commercio degli animali  era funzionale ai sacrifici, e, anche se risultava indecorosa, era tollerata. Poiché non si poteva entrare al tempio con monete romane che avevano l’effige dell’imperatore, esse venivano scambiate con i sicli, monete di rame. I sommi sacerdoti sfruttavano la situazione mettendo dei cambiavalute; e così, nel cambio, potevano trarre guadagno. Comunque era normale il fatto che ci fosse qualcuno che facesse questi scambi.

- Gesù quindi trova gente che vende cose necessarie al culto; solo che, a causa degli scambi, il Tempio di Gerusalemme diventava la banca centrale di Palestina. Se si pensa che per la festa di pasqua si calcolava la presenza di circa centomila persone, doveva esserci un commercio piuttosto fiorente nei dintorni e dentro il tempio. C’è da osservare che, se il tempio diventa mercato è altrettanto vero che il mercato diventa il tempio e Gesù ha motivo di adirarsi, come vediamo nel seguente versetto

15. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi,

- A differenza dei sinottici, il racconto giovanneo riferisce la reazione al gesto di Gesù da parte dei presenti, che è duplice: positiva per i discepoli che la interpretano come un'azione coraggiosa; negativa per i giudei, secondo i quali è un gesto criticabile. Ma non è l'atto in se stesso al centro dell'attenzione, bensì la persona di Gesù che lo ha realizzato.

- Certamente Gesù compie un’azione che appare inaudita. Non sappiamo se il testo riferisca un fatto accaduto nei termini che leggiamo. Possiamo soltanto affidarci a varie interpretazioni:

a) Egli fa un atto profetico come quello di molti Profeti nell’A.T.; il suo gesto, allora, sarebbe simbolico, oltre che di denunzia della corruzione.

b) La tradizione presentava il Messia come armato di un flagello, con il quale avrebbe dovuto castigare i peccatori.

c) Gesù, scacciando prima di tutto le pecore, lascia intravedere l'immagine del pastore che libera le pecore dall'ovile in cui sono state racchiuse.

15. e sparse le monete dei cambiavalute

Le monete restano nel tempio, non sono state scacciate insieme alle pecore e ai buoi, perché è chiamato in causa solo il falso dio adorato in quel luogo.

La reazione di Gesù (che ad una prima lettura del teso risulterebbe in dissonanza con il rispetto che egli dimostra sempre nei vangeli per il luogo santo, dedicato alla preghiera e alla lode di Dio) sarebbe motivata esplicitamente dal concetto di casa del Padre (di cui è scritto nel versetto successivo).

16. e a chi vendeva colombe disse: Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!.

Sembra strano che Gesù, dopo aver cacciato via tutti, rimproveri solo i venditori di colombe, dal momento che la colomba era l'animale che si potevano permettere i poveri per il sacrificio di purificazione ed era simbolo del popolo di Israele.

Non fate un mercato. Mercato corrisponde al greco emporio, em poros, luogo di passaggio, dove si entra e si esce per fare movimenti economici.

Padre mio è un termine tipicamente giovanneo che non richiama, come invece fanno i sinottici, il testo di Isaia 56,7 (probabilmente un aggiunta della comunità primitiva), bensì si  riferisce al  testo di Zaccaria 14,21: Non vi saranno più mercanti nella casa di JHWH degli eserciti in quel giorno.

In sintesi, il Gesù di Giovanni non si riferisce solo al culto e ai sacrifici, ma al rapporto vivo con la persona di Dio.

17. I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.

L'evangelista cita letteralmente il salmo 69 al versetto 10: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Lo zelo era quello che animava il profeta Elia nel difendere la causa del Signore.

Il verbo non è né al passato (lo zelo per la tua casa mi ha divorato), né al presente come fa la traduzione italiana, ma al futuro: mi divorerà, sollecitando il lettore a leggere nel gesto di Gesù la motivazione della sua condanna a morte.

18. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: Quale segno ci mostri per fare queste cose?.

- I discepoli, prevenuti nei confronti di Gesù, reagiscono con diffidenza e chiedono un segno. Essi leggono, sì, come un'azione profetica il suo gesto, ma vogliono la conferma che egli ne abbia l'autorità. (Anche nei sinottici a Gesù è richiesto un segno a giustificazione dei suoi gesti di autorità, ma egli non li fornisce. Ricordiamo però quando riferisce Matteo 12,39: In quanto al segno non le sarà dato altro che il segno di Giona).

- Tutti i vangeli, anche se in modi diversi, mostrano un legame tra il gesto compiuto nel tempio e la morte di Gesù. La comprensione dei discepoli è guidata dalla scrittura; ma il riferimento al salmo 69 può essere un'aggiunta della prima comunità cristiana dopo la resurrezione.

19. Rispose loro Gesù: Distruggete questo santuario e in tre giorni lo farò risorgere.

Giovanni a mo' di risposta, mette sulla bocca di Gesù l'accusa che gli verrà mossa durante il processo e la combina con il racconto della cacciata dei venditori, dandogli un senso nuovo, con un riferimento sia alla sua resurrezione che al significato del santuario.

Prima si parlava di tempio, che comprende tutto l’edificio -1500 metri di perimetro-; ora di santuario, la parte del tempio riservata e segreta dove sta il santo dei santi con l’arca dell’alleanza.

- I capi di Israele accuseranno Gesù per avere usato l’espressione e in tre giorni lo farò risorgere; e per questo sarà deriso anche ai piedi della croce (Mc15,29).

Ma qual è questo nuovo santuario? E che cosa sarà rinnovato?

L'unica indicazione è il riferimento temporale in tre giorni dal sapore escatologico, cioè tale che fa presagire il tempio definitivo promesso dai profeti. Gesù sembra indicare se stesso come autore di questo tempio escatologico, facendo passare il discorso dal tempio di pietra al luogo della Presenza divina.

Il verbo utilizzato (egeiro) (differente da quello scelto dai sinottici) si adatta bene sia alla resurrezione dei corpi, sia all'edificazione di un edificio. Se la distruzione del tempio di Gerusalemme è segno della morte del corpo di Gesù, la sua ricostruzione mantiene il gioco simbolico ma anche lo rovescia. E' il Risorto che illumina ciò che sarà il tempio escatologico di Dio.

Gesù non distrugge, né abolisce, né sostituisce il Tempio: lo farà risorgere, anche se i falsi testimoni gli fanno dire ne edificherò un altro (Mc 14,58)]. Riedificando il santuario di Gerusalemme, Gesù potrà realizzare l’unità tra Antica e Nuova Alleanza.

20. Gli dissero allora i Giudei: Questo santuario è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?. 

Questo versetto è un intervento dell'evangelista al fine di poter chiarire il senso della risposta che darà Gesù nel versetto seguente.

Ricostruire il tempio era stata l’idea geniale di Erode per dare un risveglio religioso ed economico straordinario a Gerusalemme. Il tempio cominciò, secondo l’opera Antichità di Giuseppe Flavio, il 18° anno del regno del re Erode il Grande cioè il 20 circa a. C.; contando 46 anni, si arriva alla Pasqua del 28 d.C., 15° anno di Tiberio. Questo è uno dei dati cronologici più solidi della vita di Gesù.

- Quando Gesù era in vita, il tempio era ancora in costruzione; verrà finito intorno al 60 d.C. e poi raso al suolo.

21. Ma egli parlava del santuario del suo corpo.

Cosa dire della spiegazione fornita dell'evangelista?

Gli interlocutori diretti di Gesù non potevano fare il collegamento tra il Tempio di pietra e il suo corpo. Il collegamento sarà possibile solo dopo la sua resurrezione, infatti il seguito del brano si riferisce chiaramente al Tempio di pietra.

Gesù probabilmente parlava sia del Tempio sia del suo corpo. Come avviene spesso nel testo giovanneo, le grandi figura bibliche sono usate da Gesù per indicare se stesso, segnalando il segreto collegamento tra A.T. e N. T. Gesù chiede quindi ai suoi interlocutori di riconoscergli il potere e la capacità di edificare il tempio escatologico e definitivo che i profeti avevano annunciato.

Naturalmente anche i discepoli non potevano cogliere il significato profondo dell'affermazione di Gesù (lo compresero dopo la sua resurrezione). La loro disponibilità però li poneva in una posizione favorevole ad accogliere anche questo nuovo elemento relativo al tempio definitivo.

22. Quando dunque risorse dai morti, si ricordarono i suoi discepoli che questo voleva dire e cedettero alla Scrittura e alla parola che Gesù disse loro.

Abbiamo una continuazione dell'interpretazione dell'evangelista che precisa la fede post-pasquale dei discepoli. Essi si ricordarono: Giovanni utilizza lo stesso verbo del v. 17 in modo da attuare un parallelo tra la funzione della Scrittura e quella dello Spirito: entrambi illuminano e fanno comprendere gli eventi che Dio opera per il suo popolo e le opere che Gesù compie.

In un senso più ampio anche Paolo parlerà spesso del corpo dei credenti come tempio dello Spirito della chiesa come edificio spirituale.

23. Mentre era a Gerusalemme nella festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome vedendo i suoi segni che faceva.

La pericope continua con alcuni versetti che costituiscono un piccolo sommario di introduzione al capitolo terzo, che mette in luce la fede di molti che videro i segni di Gesù a Gerusalemme. Si tratta però di una fede iniziale, basata sui segni, sul vedere, che deve ancora crescere e sarà messa alla prova, come vedremo nell'episodio di Nicodemo.

24. Gesù però non si fidava di loro poiché conosceva tutti

25. e perché non gli era necessario che alcuno gli testimoniasse sull’uomo; egli infatti conosceva cosa c’era nell’uomo.

Gesù sottolinea la dimensione superficiale di coloro che identificano la fede col miracolismo. Egli ne è consapevole e agisce di conseguenza non fidandosi (pisteuein) di loro.

PERSONALE

 

L’espressione - egli infatti conosceva cosa c’era nell’uomo - è per me la più toccante.

La lascio ai lettori perché la sviluppino interiormente, con l’aiuto della preghiera.

Ci possono aiutare a meditare la Parola di Dio anche i versetti del salmo che leggiamo oggi:
I precetti del Signore sono retti,/fanno gioire il cuore;/il comando del Signore è limpido,/ illumina gli occhi./ Il timore del Signore è puro,/rimane per sempre;/i giudizi del Signore sono fedeli,/sono tutti giusti./Più preziosi dell’oro,/di molto oro fino,/più dolci del miele…