DOMENICA
XVI T.O. anno A
Mt 13, 23-44
[In
quel tempo, Gesù] espose loro [alla folla] un’altra parabola, dicendo: 24 «Il
regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo
campo. 25 Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della
zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26 Quando poi lo stelo crebbe e fece
frutto, spuntò anche la zizzania. 27 Allora i servi andarono dal padrone di
casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo?
Da dove viene la zizzania?”28 Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto
questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”.29 “No,
rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa
sradichiate anche il grano. 30 Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme
fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori:
Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano
invece riponètelo nel mio granaio"».
31
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un
granellino di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32 Esso è il
più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre
piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono
a fare il nido fra i suoi rami». 33 Disse loro un’altra parabola: «Il regno
dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di
farina, finché non fu tutta lievitata». 34 Tutte queste cose Gesù disse alle
folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35 perché si
compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Aprirò la mia bocca
con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo. 36 Poi
congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per
dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37 Ed egli rispose:
«Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. 38 Il campo è il mondo
e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno
39 e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del
mondo e i mietitori sono gli angeli. 40 Come dunque si raccoglie la zizzania
e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41 Il Figlio
dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti
gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42 e li getteranno nella
fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti
splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!
C o m m e n
t o
Premessa
Dopo seria
riflessione, mi permetto di commentare scostandomi dall’analisi del testo,
con lo scopo di coglierne il senso profondo.
E’ proposito soltanto di Matteo (che solitamente
procede di pari passo con Marco e Luca) far capire bene alla comunità quale è la realtà
del Regno dei cieli.
A tal fine pone
in scena e fa parlare lo stesso Gesù.
C’è da chiedersi come mai i discepoli non ne
fossero ancora edotti, e il perché forse è da trovare nel fatto che molti
provenivano dal discepolato affermatosi attorno al Battista, il quale non
vedeva ancora in Gesù il Messia. Né è da trascurare l’influenza esercitata
dai farisei, che accusavano Gesù di non distinguere i giusti dai peccatori.
- Se facessimo
un salto parabolico per poi fermarci a dare uno sguardo di attenzione a ciò
che ne pensano i cristiani del nostro tempo, sentiremmo balbettare risposte
imprecise allo stesso quesito.
Il Regno dei cieli non è destinato ai buoni, come
insegnavano e forse insegnano ancora
le e i catechisti. Il fatto è che nessuno saprebbe dare una definizione su
ciò che è bene e su ciò che è male. Impareggiabile la dimostrazione che ne dà
il filosofo ateo dell’ottocento F. Nietzsche: Sono stati gli stessi ‘buoni’, cioè i nobili, i potenti, gli uomini
di ceto superiore e di sentimenti elevati a sentire e definire se stessi e le
loro azioni come buoni, cioè di prim'ordine, e in antitesi a tutto ciò che è
volgare, di sentimenti volgari, comune e plebeo.
Questa
tagliente definizione non ci porta lontano dalla parabola della zizzania,
quando Gesù si oppone all’idea di eliminarla il più presto possibile, v.29 perché non succeda che, raccogliendo la
zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Solo i fanatici, che frequentemente degenerano verso la
violenza ed il terrore, si propongono le depurazioni per far trionfare la
propria ideologia. Gesù risponde che,se si asseconda la tentazione di
adoperare il forza e la coercizione (anche di carattere morale) per
diffondere il regno di Dio, essa (la tentazione di eliminare i ‘non-buoni’)
si ripresenterebbe sempre puntualmente.
Quando i cristiani cominciarono a riunirsi in seno alle comunità
[soltanto Matteo usa il termine chiesa], avvenne un altro fenomeno deviante rispetto all’insegnamento di Gesù. I
credenti si riunivano nel giorno del Signore, la domenica, per approfondire
la Parola; ma questa poco a poco cominciò ad essere celebrata più che
approfondita, in quanto assumeva un carattere rituale, di culto e di
conseguenza cominciava a svuotarsi di senso.
Lo stesso
fenomeno è avvenuto nel corso dei secoli.
Joseph
Ratzinger, nel
luglio 1966, a Bamberg, affermava: la Riforma liturgica ha compiuto un atto di
importanza decisiva… (col) rimettere
in valore la verità della Parola e, nello stesso tempo, la verità del culto
della Parola.
Lo stesso
J.R. è tornato sull’argomento più volte. Forte e bella la sua precisazione: la liturgia non consiste nel riempirci
del sentimento del sacro, per mezzo di fremiti e di allusioni, bensì nel
metterci di fronte alla spada tagliente della Parola di Dio. Essa non
consiste nel metterci in un ambiente di solennità e di bellezza per
raccoglierci e meditare in pace, ma nell’introdurci nel ‘noi’ dei figli di
Dio.
Necessario corollario di quanto detto, non è – come
spesso è risultato - la semplice diffusione della Parola di Dio, ma anche la
promozione dell’uso della Bibbia in ogni famiglia. Eppure bisogna far
attenzione: senza un’istruzione adeguata a capire il testo, si corre il
rischio di cadere in forme ambigue: superstizione, devozionalismo, decadenza
della fede genuina in pratiche secondarie fatte passare per essenziali. Da
qui il diffondersi di fenomeni che hanno a che fare con le apparizioni, il
prodigioso, ecc. che rischiano di far dimenticare la via ordinaria della fede,
la quale si nutre di conoscenza adeguata e di preghiera. Come ben
sintetizza l’allora vescovo Walter Kasper, una scarsa conoscenza della fede è sempre stata il miglior terreno
per la superstizione e l’errore.
Il Regno di Dio in Matteo
A
differenza di Marco che mette spesso attorno a Gesù la folla, Matteo mette
quasi sempre i discepoli.
Egli usa
spesso la parola mathetes che
significa discepolo, rappresentante della Chiesa riunita in ascolto attorno al
Cristo, cristiano.
Ma c’è una
seconda categoria che per l’evangelista è importante e che è il cuore della
predicazione di Gesù stesso: è la categoria Regno:
regno dei cieli, regno di Dio, regno del Padre. E’ un simbolo molto noto
nell’AT, soprattutto nei salmi. Ed è questa – Mal’ak adonai, il Signore regna – la dichiarazione fondamentale
che Isaia rappresenta, quando parla di un araldo che lo gridava sui colli
davanti a Gerusalemme.
Regno è l’azione
divina nella storia, e quindi non è identico alla Chiesa, ma ne è una
porzione, realizzata per mezzo di Cristo. in sintesi, quando si annuncia il
Regno, si annuncia il Signore che agisce nella storia.
Altro punto
da definire sul termine Regno, è questo: il mondo ebraico non ama pronunciare
il nome di Dio, e perciò usa un modo eufemistico; lo chiama preferibilmente regno dei cieli.
Le due
dimensioni fondamentali della chiesa post-pasquale sono l’annuncio del regno e il modo
di praticarlo.
E qui si
inserisce il tema dell’accoglienza: chi
avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli,
perché è mio discepolo, in verità io vi dico non perderà la sua ricompensa
(cap.10, vv.40-42).
N o t e s u i vv.31-33
v.31- Un'interpretazione
comune della parabola del granello di senape, mette l'accento sulla
sproporzione tra il seme iniziale e l'albero che il seme riesce a produrre.
Si può rilevare anche un altro significato, per il quale viene in aiuto il
vangelo di Giovanni. Secondo la concezione degli antichi, un seme deposto
sotto terra muore. Giovanni (12,24) infatti dice: Se il chicco di grano caduto in terra non muore, resta solo; ma se
muore produce molto frutto.
La parabola
del granello di senape rivela che il regno dei cieli ha esiti
imprevedibilmente grandi, anche quando viene messo in atto un piccolo gesto,
sovente nascosto o ignorato da tutti.
v.32 - Il significato dell'albero che accoglie
gli uccelli del cielo viene rivelato in Ezechiele e Daniele, dai quali è specificato
che il regno di Dio assume proporzioni universali, accoglie tutti,
soprattutto i pagani, simboleggiati dagli uccelli.
v.33 – La cosa che è messa in rilievo in questo versetto
è che il lievito deve
essere nascosto, sepolto nella farina per sviluppare la sua azione
fermentatrice. Tre staia di farina fornirebbe un pasto a più di cento
persone. (Vi è una sola donna, nella Bibbia, che abbia impastato tre staia di
farina, cioè Sara, moglie di Abramo, che secondo Gn 18,6 accoglie con tale
banchetto i tre ospiti che le annunziavano la nascita di Isacco, il figlio
della promessa). Questo inizio profetico legge la storia del regno come un
unico straordinario processo di crescita che dagli inizi più modesti, con
Abramo e Sara, si svolge nascosta lungo tutto l'Antico Testamento fino
all'attuale irradiamento quando il regno assume delle proporzioni universali
S p i g o l a t u r e
su:
L’impegno cristiano perché il Regno dei cieli venga in
noi
Centrare la
propria vita attorno alla Parola di Dio significa ritrovare il centro della
vita spirituale, la quale può alimentare l’annuncio del Vangelo, ieri come
oggi. Una spiritualità profondamente radicata nella Parola di Dio è capace di
generare e rigenerare alla vita cristiana. Ricordiamo il senso della parabola
della zizzania. Ci sono i servi che vedono soprattutto le erbacce, il
negativo, il pericolo; Il Padrone, invece, fissa il suo sguardo sul buon
grano; la zizzania è secondaria.
Nessuno
coincide con il suo peccato o con le sue ombre. Ma se non si vede la luce in
se stessi, non la si vedrà in nessuno. Davanti a Dio una spiga di buon grano
conta più di tutta la zizzania del campo; il bene è più importante del male;
il peso specifico del bene vale di più del peso specifico del male.
Simone Weil nei Quaderni:
- Un cero è l'immagine di un essere
umano che ad ogni istante offre a Dio la combustione interiore, l'usura
interiore di tutti gli istanti di cui è fatta la vita vegetativa. Questo significa
offrire a Dio tutto il tempo.
- Il
rischio è quello di "mancare
l'appuntamento: Dio e l'umanità sono come due amanti che si sono sbagliati
circa il luogo dell'appuntamento. Tutti e due arrivano in anticipo sull'ora
fissata, ma in due luoghi diversi. E aspettano, aspettano, aspettano. Uno è
in piedi, inchiodato sul posto per l'eternità dei tempi. L'altra è distratta
e impaziente. Guai a lei se si stanca e se ne va!
- L'idea di una ricerca dell'uomo da
parte di Dio è di uno splendore e di una profondità insondabili. C'è
decadenza quando è rimpiazzata dall'idea di una ricerca di Dio da parte
dell'uomo.
- È evidente che nella logica
dell'amore la follia è di casa, perché non si può amare seguendo gli schemi
razionali (…). Dio è folle nel cercare il consenso degli uomini. [Una follia che, secondo Weil, resta tale se si pensa
Dio "come essere", non se lo si pensa "come amore"]
Nella "folle logica"
dell'amore, acquista senso, significato e valore la sofferenza ed è meno
difficile amarne la fecondità, perché essa ci unisce alla onnipotente
debolezza di Dio.
Amare il dolore comporta, non dolorismo inutile, ma
accogliere una sofferenza da amare nel
suo essere gratuita ovvero "senza significato"; da amare nella sua
assurdità, se si vuole amare Dio, ben consapevoli che questo amore non
richiede sforzo né ascesi, ma solo una resa incondizionata. Come dice Eschilo:
ciò che è divino è senza sforzo.
- Noi non possiamo fare nemmeno un
passo verso il cielo: la direzione verticale ci è preclusa. Ma se guardiamo a
lungo il cielo, Dio discende e ci rapisce. Ci rapisce facilmente.
A. Grün
- Per i monaci il silenzio ha una
funzione terapeutica. Esso aiuta a prendere le distanze dall'agitazione e
dalla collera, aiuta a conoscere meglio se stessi in quanto non permette di
sfogare immediatamente sull'altro la rabbia, ma inizia a trattenerla per
analizzarla.
- La serenità ha bisogno di tempo.
Non sopporta la frenesia. Devo lasciarmi tempo per essere sereno nelle cose
che faccio o che vivo.
- Proprio perdendo si mostra la
propria grandezza. Essere un bravo perdente connota la dignità
dell'individuo.
- Quando nel Padre nostro preghiamo
che Dio non ci induca in tentazione, il significato è un altro. La parola
greca è peirasmós, che significa in primo luogo confusione. La vera
tentazione del male è quindi la confusione.
- Soltanto dopo aver pianto da
solo la mia solitudine posso iniziare con il partner un dialogo che non si
trasforma in un'accusa, bensì in un invito a ritornare a parlarsi.
- Silenzio e tacere sono due cose
diverse. Il silenzio ci è dato; il tacere sta a noi praticarlo.
B. M. Chevignard
Si sente spesso dire che la rinuncia
è l’aspetto negativo del cristianesimo. Forse sarebbe meglio dire che è il
rovescio necessario dell’amore.
Etty
Hillesum ad Auschwitz
Dentro
di me c'è una melodia che a volte vorrebbe essere tradotta in parole. Ma per
la mia repressione, mancanza di fiducia, pigrizia, e non so che altro, rimane
soffocata e nascosta.
Vivere è cosa buona dovunque, perfino dietro
il filo spinato, nelle nostre baracche aperte a tutti i venti, purché si viva
pieni d’amore per le persone e per la vita stessa.
===
in un caos di forme entità luce tenebre
il creato erompe dal cerchio del Tutto
spaccato di Dio
precipitato nel tempo
che va chissà dove - di sua origine ignaro
Come ha potuto, il mondo, generare il pensiero
se tutto in esso si comprime tra cieche forze opposte?
Forse lo stesso duro gioco fa riscoprir la frattura
e inonda di lacrime il mondo - Sono esse a ri-generarlo
di libertà
|
Parliamo della nostra vita di FEDE. Da un po' si preferisce dare spazio al Vangelo della domenica. In un mondo stanco di parole vuote, una lettura non omiletica; ispirata ai 'facitores' della Verità, quali sono sempre stati i mistici.
venerdì 21 luglio 2017
DOMENICA XVI T.O. anno A
venerdì 14 luglio 2017
DOMENICA XV T.O. anno A
DOMENICA
XV T.O. anno A
Mt
13.1-23
1 Quel giorno Gesù uscì di
casa e sedette in riva al mare. 2
Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a
sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. 3 Egli
parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a
seminare.4 Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli
e la mangiarono. 5 Un'altra parte cadde sul terreno sassoso,
dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era
profondo, 6 ma quando spuntò il sole,
fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7 Un'altra parte cadde sui
rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8 Un'altra parte cadde sul
terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9 “Chi ha orecchi, ascolti". 10 Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a
loro parli con parabole?». 11 Egli
rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma
a loro non è dato.
12 Infatti a colui che ha,
verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche
quello che ha. 13 Per questo ad essi parlo con parabole: perché
guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. 14 Così si compie per loro
la profezia di Isaia che dice: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete,
sì, ma non vedrete. 15
Perché il cuore di questo popolo è
diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non
comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca! 16 Beati invece i vostri occhi perché vedono e
i vostri orecchi perché ascoltano.
17 In verità io vi dico: molti
profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo
videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! 18 Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. 19 Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene
il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme
seminato lungo la strada. 20 Quello che è stato seminato sul terreno
sassoso è colui che ascolta la Parola e l'accoglie subito con gioia, 21 ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una
tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno.
22 Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la
preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed
essa non dà frutto. 23 Quello seminato sul terreno buono è colui
che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il
sessanta, il trenta per uno".
C o m m e n t o
La liturgia questa domenica propone la lettura della prima
delle tre parabole raccolte da Matteo nel cap.13.
Tutto il capitolo si muove tra la casa e il
mare. Gesù, uscito dalla casa si siede lungo il mare per insegnare come un
Rabbi. Ma il discorso che Egli fa non è un insegnamento vero e proprio: è
piuttosto un annuncio, una predicazione
- La parabola del seminatore inizia con la
frase Quel giorno.
Si tratta di una notazione di
tipo didattico, destinata a far capire che il discorso è stato fatto in un solo
giorno.
Interessante il particolare della casa. E' la
prima volta che Matteo parla in modo esplicito della casa abitata da Gesù (si
tratta in effetti della casa di Pietro a Cafarnao). Egli, per tessere l’ordito
delle parabole e farlo immaginare a chi ascolta, presenta un Gesù che fa
ricorso alla realtà, al mondo contadino della Galilea, a ciò che ha visto,
contemplato e pensato; un Gesù che usa parole comprensibili, non agli
intellettuali, ma a gente semplice, disposta ad ascoltare.
- Il quadro complessivo in cui si collocano
le parabole e gli ascoltatori è la chiesa delle origini, quando le comunità
cercano di capire il vissuto e la predicazione di Gesù.
Ma Matteo stende il suo vangelo in un periodo
successivo, quando nelle comunità già si cominciava a fare un discorso teologico sistematico e si
abbandonava il metodo delle parabole. Perciò il suo discorso è retrospettivo:
trasporta al clima della chiesa nascente attorno a Gesù, e nel medesimo tempo
si preoccupa di parlare a discepoli del tempo successivo: quello in cui prende
forma la redazione matteana, e i discepoli, nell’incombere di
condizioni difficili per la diffusione del vangelo, sono vacillanti nella
fede e bisognosi di orientamento.
Ecco perché entra in scena un
gruppo di discepoli che si rivolge a Gesù per chiedere: v.10 Perché a
loro parli con parabole? [loro sono le folle
impreparate].
Per comprendere questa parabola e la domanda dei discepoli,
per prima cosa cerchiamo di orientarci anche noi con l’ausilio degli esegeti
che hanno scavato sul testo in profondità.
a)
Il termine parabola
proviene da paraballo, in ebraico mäšäl, che alla lettera significa pongo accanto, comparo. Era un termine peculiare
dell'oratoria rabbinica
Nelle culture dell’antico Oriente la parola (lógos
in greco, dabár in ebraico) non era semplicemente un segno che trasmette
un’idea, ma era una forza che trasmetteva la realtà espressa dalla parola
stessa
Tuttavia la parabola che oggi leggiamo è
raccontata, più che per il fine di spiegare meglio i concetti alle folle, per
un altro motivo utile: data l’ostilità di molti nei riguardi della Parola
ascoltata, sembrava cosa opportuna sottolineare che ad ascoltarla c’erano
persone le quali, data la forma dell’allegoria, non potevano scandalizzarsi.
Infatti esse v.13
guardando
non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Non è detto con disprezzo. Entra nell’ordine
della piccolezza umana poterne fare motivo di beatitudine…
b)
Nella pericope
è citato il profeta Isaia (vissuto nel 600 a.C.), 6,9-10: Perché il cuore di questo popolo è
diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non
comprendano con il cuore, e non si convertano e io li guarisca.
Secondo la lettura
dataci dai Settanta l'indurimento del cuore non è né provocato né voluto da
Dio, ma autoindotto dal popolo.
Ce lo spiega il
Padre della chiesa Girolamo: per evitare di pensare che l'intorpidimento
del cuore e l'indurirsi degli orecchi siano dovuti alla natura e non alla
propria volontà, il profeta parla in nome di Dio e aggiunge: in parabole e
oscuramente ascoltano dunque coloro i quali, avendo gli occhi chiusi, non
vogliono vedere la verità.
Noi a nostra volta
possiamo dedurre che Gesù, con il suo insegnamento in parabole, non sta facendo
altro che rispecchiare la verità della situazione: questa parabola del
seminatore, proprio come la semente in essa raccontata, da alcuni sarà colta da
altri no. Coloro che, nella folla, non hanno orecchi per ascoltare sono la via,
il terreno sassoso e ricoperto di rovi.
c) Ma le parabole evangeliche del regno, oltre
alla funzione didattica di chiarificare o di incitare gli uditori alla
riflessione, hanno soprattutto uno scopo teologico: esse nascondono agli occhi
di chi è mal disposto il mistero: affinché
- è l’amara esperienza fatta dal profeta Isaia di fronte all’ostinata
insensibilità del popolo eletto, che ora si ripete nella predicazione di Gesù, vedendo non vedrete, udendo non
comprenderete e si convertano e sia concesso loro il perdono (Is 6,9-10).
d) Le parabole furono modificate
nell’insegnamento della comunità; queste modificazioni emergono chiaramente
quando si mettono a confronto le differenti versioni della stessa parabola nei
diversi evangeli.
I commenti alle parabole e gran parte delle caratteristiche
allegoriche sono quasi universalmente considerati dagli studiosi moderni come
elaborazioni fatte dalla Chiesa.
Stupisce in questa parabola la quantità di seme gettato
dal seminatore, e chi non sa che in Palestina prima si seminava e poi si arava
per seppellire il seme, potrebbe pensare a un contadino sbadato… Invece il seme
è abbondante perché abbondante è la parola di Dio, come un seme che deve essere
lanciato nel terreno senza parsimonia. Il predicatore che la annuncia sa quanti
ascoltatori la sentono risuonare all’orecchio, ma in verità non l’ascoltano;
non le fanno spazio nel cuore, e così essa è subito portata via.
Ma ci sono anche
coloro che, pur essendo nella folla, hanno orecchi per ascoltare e si
sentiranno spinti ad indagare più a fondo la parabola, insieme ai discepoli. C’è sempre qualcuno
che accoglie la Parola, la pensa, la interpreta, la medita, la prega e la
realizza nella propria vita.
Certo, il risultato di una semina così
abbondante può sembrare deludente: tanto seme, tanto lavoro, piccolo il
risultato… Eppure la piccolezza non va temuta: ciò che conta è che il frutto
venga generato!
Perché la ripetizione del verbo ascoltare?
L'interpretazione classica è fornita nella
pericope stessa nei vv.18-23,
considerati anch’essi, dalla maggior parte della critica, un'aggiunta
redazionale, per cui ai differenti tipi di terreno corrispondono le diverse
disposizioni d'animo di chi ascolta la Parola.
Tuttavia alcuni esegeti propongono
un'ulteriore lettura, non in via accademica, ma come ipotesi di studio: ai
quattro tipi di terreno possono corrispondere i diversi tempi del piano divino
di Salvezza, a partire da quello dei progenitori nell’Eden.
Fermiamoci ancora un po’ all’ultima condizione favorevole.
Al seme seminato nel terreno buono,
corrisponde il tempo attuale della nostra salvezza, in cui tutti beneficiamo
del terreno bello e buono (kalos v.23) che fu il giardino
ove fu sepolto Gesù (Gv 19,41) e in cui avvenne la Sua Risurrezione, a partire
dalla quale tutti possiamo rendere, se ascoltiamo e comprendiamo i Divini
Misteri, chi il cento, chi il sessanta, chi il trenta per uno.
Ma perché così pochi credono e si convertono?
Perché questa parola di Dio - se è veramente parola di Dio - non travolge il
mondo, non lo cambia in un baleno?
C'è poi la domanda che si ponevano con più
dolore, amarezza e sgomento gli ebrei convertiti: perché il popolo non ha
accettato la Parola? Perché non c'è una conversione in massa come ci
aspettavamo dalle promesse?
- Non si può rispondere a tutti i quesiti,
perché dobbiamo interrogare noi stessi e lasciarci travolgere per primi dalla
Parola……
= = =
A noi
che ogni domenica ascoltiamo la Parola e accogliamo la sua semina nel cuore,
non resta che vigilare e stare attenti: la Parola viene a noi e noi dobbiamo
anzitutto interiorizzarla, custodirla, meditarla e lasciarci da lei ispirare;
dobbiamo perseverare in questo ascolto, nel custodirla, nel non dissiparla.
Ma dobbiamo essere certi che l’efficacia
della Parola di Dio è oltre ogni nostro sforzo. E’ in se stessa.
Afferma Paolo nella lettera ai Romani che si
legge nella liturgia odierna: il
Vangelo è potenza di Dio. Tocca a noi non perdere mai la fiducia nella forza del
seme che può attecchire anche nel pugno di terra e rovi che siamo noi.
venerdì 7 luglio 2017
Domenica XIV T.O. anno A
Domenica
XIV T.O. anno A
Mt11,25-30
25 In quel tempo Gesù disse: «Ti
rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste
cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre,
perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27 Tutto è stato dato a me dal
Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il
Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo. 28 Venite a
me, voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29 Prendete
il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e
troverete ristoro per la vostra vita. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso
leggero.
C o m m e n t o
PREMESSA
Nei capitoli 11-12 del vangelo di Matteo, dopo il discorso missionario rivolto
da Gesù ai discepoli (cf. Mt 10), si legge una sezione narrativa che testimonia
l’esistenza intorno a Lui di un clima di tensione e di
contraddizioni. Proprio le città in cui Gesù aveva fatti azioni
prodigiose, come Corazin e Betsaida, da lui evangelizzate, non hanno dato segni
di conversione.
Il contesto è dunque pesante. E’ un’ora di prova nel ministero di Gesù,
un’ora in cui sono possibili lo scoramento e il senso di fallimento.
Eppure Matteo sottolinea che proprio in quel
tempo di crisi, Gesù fa sgorgare dal suo cuore un inno di lode gioiosa e
convinta a Dio. Lo chiama Padre, in aramaico
Abba, perché in questo nome sono
racchiusi per Gesù la tenerezza, l’amore e la misericordia.
Certamente qui il linguaggio di Gesù, che risente dello stile semitico, va
decodificato. Sembrerebbe infatti che Dio nasconda arbitrariamente qualcosa, la
verità profonda, a saggi e intellettuali, mentre si riservi di comunicarla solo
ai piccoli, ai poveri e agli ultimi. Come se ci fosse nelle parole di Gesù una
condanna dell’intelligenza e un’esaltazione dell’ignoranza… Sappiamo che non è
così: Il nostro brano evangelico non va inteso nel senso che Dio precluda la
rivelazione ai saggi e agli intellettuali di questo mondo; attraverso Gesù, Dio
si rivolge a costoro, ma essi non accolgono la sua parola e, così facendo,
induriscono orecchi e cuore.
LA PERICOPE DI OGGI
Il brano del
vangelo di oggi, per le risonanze che si ritrovano nel vangelo di Giovanni è
detto anche comma giovanneo; infatti il
linguaggio, del tutto inusuale in Matteo e nei sinottici in genere, mostra
strette affinità con il quarto vangelo, e può essere considerato a buon diritto
come un ponte fra la tradizione sinottica e quella giovannea. Comunque ad un
esame letterario più accurato si rilevano facilmente tracce della letteratura
sapienziale, apocalittica e profetica in genere.
Secondo alcuni
esegeti, questo brano proviene dalla fonte Q [questa conterrebbe
una raccolta di detti di Gesù, forse trasmessa per via orale, ma che a un certo
punto dovrebbe essere stata posta per iscritto. Si è giunti a tale conclusione
perché sia in Matteo, sia in Luca è dato lo stesso ordine al materiale raccolto]
Luca che qualifica
la preghiera di Gesù quale sussulto di gioia ispirato dallo Spirito Santo. In
particolare Matteo inserisce il passo in una sezione che evidenzia
l'incomprensione e il rifiuto opposti a Gesù, quasi a controbilanciare
l'incredulità delle città che furono testimoni dei prodigi di Cristo.
vv. 25-26
L’inizio - In quel tempo - specifica
una temporalità in cui si realizzano scelte importanti, e perciò è chiamato aion, in quanto è il tempo di Dio [un tempo oltre
il tempo, cioè l’eterno], che si distingue dal tempo chiamato chrònos,
scandito nei suoi vari momenti, il tempo
dell’attesa e dell’affidamento.
(C’è anche un altro modo evangelico
di definire il tempo: kairòs. Nella nostra vita, come in ogni vita, c’è un momento nel
quale riconosciamo l’agire di Dio, e allora è il tempo della benedizione).
Le parole che Matteo
pone in bocca a Gesù - Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra… sono ricalcate su quelle del profeta Isaia 29,
14: perirà la sapienza dei suoi sapienti e
si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti… Riportate da Matteo, esprimono
in sintesi tutta la novità cristiana: il Dio di Israele, il Signore del cielo e
della terra, il Padre, l'infinito Tu,
al quale Gesù può rivolgersi con riconoscente amore, per rendergli lode e per
ringraziarlo.
Nel linguaggio
biblico rendere lode significa celebrare la
divina sapienza e onnipotenza dispiegata nelle opere mirabili della creazione o
nella storia della salvezza.
L’espressione Signore del cielo e della terra conferisce all’esclamazione di Gesù un certo tono di
solennità.
… hai nascosto queste cose - E’ proprio del genere apocalittico esprimersi in questi
termini per indicare il mistero di Dio, che si può nascondere o rivelare. Ma la volontà
di Dio è sempre positiva: anche nascondendosi ai sapienti e ai saggi, cioè gli
scribi e i farisei che rifiutano Gesù come il Cristo, si vuole affermare che la
via per raggiungere i misteri del regno non ha esclusioni.
… così hai deciso nella tua
benevolenza. Il greco eudokia
è l'equivalente dell'ebraico rashòn, che
esprime l'idea
della benevola volontà di Dio nel guidare e indirizzare tutto e tutti a Sé.
v.27. Questo versetto è uno dei più densi di contenuto dottrinale non solo del
vangelo di Matteo, ma di tutto il N.T. In esso sono condensati tre enunciati
che riguardano la donazione di ogni potere al Figlio da parte del Padre; la
reciproca esclusiva conoscenza tra Padre e Figlio; la necessaria mediazione del
Figlio per raggiungere la conoscenza del Padre. Il conoscere è la conoscenza che, nel linguaggio biblico, non è
semplicemente un'operazione dell'intelletto, ma esprime l’intima familiarità, l’amore
sponsale che genera la vita. [L'inconoscibilità
di Dio è un punto fondamentale della religione d'Israele, che la letteratura
sapienziale, in tempi più recenti, ha cercato di illuminare con la
personificazione della divina Sapienza].
v.28 Venite a
me, voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Il detto espresso è esclusivamente di Matteo. E’ l'invito che la
Sapienza rivolge ai piccoli già
nell'A.T., al fine di ottenere il Dono supremo, lo Spirito Santo, l'Acqua della
vita.
La traduzione di pephortisménoi,
‘stanchi e oppressi’, si riferisce agli oppressi dal peso della Torah; infatti
gli scribi avevano caricata la Legge Antica di tante osservanze, prescritte, in
caso di inosservanza, sotto la minaccia della maledizione. [Questo
versetto è frutto di un finissimo lavoro teologico, certamente elaborato da uno
scriba conoscitore della tradizione sapienziale. Richiama quanto nella Bibbia
si dice della Sapienza (Sir 6,28): Alla fine in essa troverai riposo, ed essa
si cambierà per te in gioia.].
v.29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che
sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita
Il giogo della Torah, imposto ad ogni giudeo pio, era
particolarmente duro nell'applicazione che ne
facevano gli
scribi. Pietro lo chiamerà un giogo insopportabile (At 15,10) e Gesù condannerà
aspramente gli scribi per aver imposto agli uomini un peso così grande (Mt
23,4).
Il giogo di Gesù è il giogo del regno dei cieli
annunciato e proposto ai suoi seguaci, il quale non ha nulla a che vedere con quello
della Torah interpretata da Scribi e Farisei. Anzi Gesù presenta Sé stesso come mite e umile di cuore.
Nell'originale
greco il termine umile è tapeinós, dal quale deriva il nostro
tapino, applicato a chi è povero, misero, infelice, basso, debole; è un
vocabolo di grande rilievo nella spiritualità neotestamentaria. Per tre volte
Gesù ripete la frase: Chi si innalza sarà umiliato (tapeinós) e chi si
umilia sarà innalzato. Anche Maria, la madre di Gesù, è consapevole che questa
è la vera strada per la gloria e nel suo cantico, il Magnificat, esclama: il
Signore rovescia i potenti dai troni ed innalza gli umili, dopo aver
dichiarato che Dio ha guardato all'umiltà della sua serva.
v.30 Il mio giogo
infatti è dolce e il mio peso leggero. La
frase fa
avanzare ai moderni la pretesa che Gesù voglia affidarci un legame che non
costa sacrifici. Di per sé ogni
religione comporta un peso. La differenza tra le altre religioni e quella
annunciata da Gesù è che il giogo cristiano, abbracciato per scelta ed amore,
diventa lieve.
RIFLESSIONI
- Non si sa quale
esigenza irrita di più ascoltando questo Vangelo: se l’abbandono totale dei
legami familiari o il grado di amore richiesto. E’ certo che le parole di Gesù
provocano fino allo scandalo. Viene da chiedersi: come si concilia ciò con il
fatto che il nostro cammino di fede ci ha fatto scoprire il Signore come il
buon Pastore, che ad acque tranquille ci
conduce (Sal
23)?.
Come potrebbe un
Padre, la cui grazia è nel cielo e la cui
fedeltà fino alle nubi (Sal 36), impedirci di
vedere il minimo segno dell’amore di Dio nella nostra vita? Egli è nella
sicurezza familiare, nella salute del corpo e dell’anima, nella consolazione
interiore di fronte ai colpi del destino e negli inattesi avvenimenti felici di
ogni giorno. E per questo che cerchiamo la presenza del Signore e ci mettiamo
al suo seguito.
Per trovare una
spiegazione al quesito dobbiamo capire che Dio ci fa resistenza quando vogliamo
mescolare i nostri interessi personali con la nostra relazione di amicizia; quando
separiamo i doni ricevuti da Colui che ce li dona, per costruire un piccolo mondo
egoista alle sue spalle. In particolare Egli si erge contro l’egoismo tinto di
religiosità, e vuole difenderci dagli inganni e dagli errori. Le sue esigenze,
così irritanti, mirano al nostro vero bene.
L’argomentazione più
seria è la seguente. L’imitazione di Cristo è inseparabile dalla croce del
Calvario.
- L’ultima parte del vangelo di oggi ci consegna tre verbi
che suonano come una chiamata: venite, prendete, imparate.
A questi segue una promessa ripetuta due volte nel testo, all’inizio e alla
fine: io vi
darò ristoro.
Gesù sembra dirci con queste parole che il contrario del
riposo non è la fatica, ma la preoccupazione che nasce dall’aver scelto male i
punti di riferimento del nostro vivere. Se ci pensiamo bene, nello scorrere dei
nostri giorni è proprio così: ad affaticarci, non è mai la fatica in se stessa,
anzi, ci sono fatiche che ci riempiono di gioia, che ci fanno vivere il senso
del compimento. Ciò che affatica invece è l’affanno causato dall’esserci
caricati di un peso che non è il suo giogo.
Suo, perché, ogni giogo si porta in due (da qui la parola coniuge, con-iugo,
cioè sotto lo stesso giogo). La gioia di faticare con colui che ami non
stanca mai, ma rinvigorisce.
- Ferdinand Ebner (filosofo austriaco convertito 1888-1031) afferma: Un commento al Vangelo non si deve scrivere
ma vivere. E ci sono molti più commenti viventi al Vangelo di quanto
possa sembrare a prima vista.
Il filosofo tedesco ateo
dell’Ottocento, Friedrich W. Nietzsche così si esprime: Se la buona novella della vostra Bibbia
fosse anche scritta sul vostro volto, non avreste bisogno di insistere così
ostinatamente perché si creda all'autorità di questo libro: le vostre opere, le
vostre azioni dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia perché voi stessi
dovreste continuamente costituire la Bibbia nuova.
Madre Teresa di
Calcutta ci lascia una
preghiera:
Dio, Padre onnipotente, tu ci fai camminare
in un mondo pieno di belle cose e tra doni a noi destinati. Noi ti rendiamo
grazie. Infatti il fascino della tua creazione ci dona il gusto della gioia e
del bene; sì, essa ci mantiene nella certezza che tu vuoi il nostro bene e che
ci hai creati perché possiamo partecipare a una pienezza inimmaginabile nel tuo
amore trinitario. Donaci il senso di ciò che è vero e sicuro! Donaci la
capacità di discernere tra la realtà e le apparenze ingannatrici, tra il
durevole e l’effimero! Allora non saremo delusi dalle promesse di Felicità
della tua creazione. Questo mondo, nella sua infinita varietà, non sarà la
nostra rovina, ma la via della nostra salvezza, al termine della quale Tu già
ci attendi.
* Un
testo consigliato
Piero Stefani,
«Gli uni e gli altri». La Chiesa,
Israele e le genti. Una ricerca teologica, collana «Nuovi
saggi teologici» 116, EDB, Bologna 2017, pp. 304, € 26,50.
Testo impegnativo, ma
che affronta un punto teologico importante e ineludibile, che non ha raggiunto
ancora da parte di alcuno un’esposizione equilibrata e completamente
soddisfacente.
Stefani propone il
testo integrale del documento – da lui lodato – stilato dal Gruppo
interconfessionale Teshuvah di Milano Chiesa
e Israele. Punti fermi e interrogativi aperti (ottobre
2013, pp. 267-282). Vale la pena riportare i quattordici titoli dei paragrafi
(che riportano anche alcune domande che spingono alla ricerca futura), per
avere un’idea del percorso da seguire nella ricerca teologica. L’elezione di
Israele è irrevocabile; Gesù è ebreo e lo è per sempre; I primi seguaci di Gesù
erano ebrei e il loro movimento nasce come intraebraico; Il movimento dei
credenti in Gesù Cristo ha una propria specificità che lo distingue dalle altre
correnti giudaiche; Gli scritti neotestamentari sono incomprensibili senza far
riferimento alle Scritture d’Israele; La Chiesa, in virtù della sua origine, ha
un legame permanente con il popolo d’Israele; È illegittimo definire la Chiesa
nuovo Israele; La teologia della sostituzione prospetta un’immagine di Chiesa
non conforme al Nuovo Testamento; L’ebraismo, in tutta la sua storia, è stato
ed è una realtà multiforme; Nel corso della sua storia il cristianesimo non ha
ignorato la perdurante esistenza del popolo ebraico, ma lo ha definito in base
a categorie quasi sempre autoreferenziali e ostili; È inammissibile la missione
verso gli ebrei da parte della Chiese cristiane; Il dialogo
cristianesimo-ebraismo è condizione necessaria di ogni ecumenismo tra cristiani
e premessa di una corretto rapporto con le religioni; Nel dialogo
cristiano-ebraico non può essere ignorato il rapporto del popolo ebraico con la
sua terra; Nel dialogo cristiano-ebraico oggi è irrinunciabile la riflessione
sull’evento Shoah;
L’attesa delle “cose ultime” accomuna e distingue ebrei e cristiani nella
speranza. Chiude il volume una ricca bibliografia (pp. 283-295).
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