venerdì 7 luglio 2017

Domenica XIV T.O. anno A


Domenica XIV T.O. anno A

 

Mt11,25-30

25 In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27 Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo. 28 Venite a me, voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero.

 

C o m m e n t o

 

PREMESSA
Nei capitoli 11-12 del vangelo di Matteo, dopo il discorso missionario rivolto da Gesù ai discepoli (cf. Mt 10), si legge una sezione narrativa che testimonia l’esistenza intorno a Lui di un clima di tensione e di contraddizioni. Proprio le città in cui Gesù aveva fatti azioni prodigiose, come Corazin e Betsaida, da lui evangelizzate, non hanno dato segni di conversione.
Il contesto è dunque pesante. E’ un’ora di prova nel ministero di Gesù, un’ora in cui sono possibili lo scoramento e il senso di fallimento.
Eppure Matteo sottolinea che proprio in quel tempo di crisi, Gesù fa sgorgare dal suo cuore un inno di lode gioiosa e convinta a Dio. Lo chiama Padre, in aramaico Abba, perché in questo nome sono racchiusi per Gesù la tenerezza, l’amore e la misericordia.
Certamente qui il linguaggio di Gesù, che risente dello stile semitico, va decodificato. Sembrerebbe infatti che Dio nasconda arbitrariamente qualcosa, la verità profonda, a saggi e intellettuali, mentre si riservi di comunicarla solo ai piccoli, ai poveri e agli ultimi. Come se ci fosse nelle parole di Gesù una condanna dell’intelligenza e un’esaltazione dell’ignoranza… Sappiamo che non è così: Il nostro brano evangelico non va inteso nel senso che Dio precluda la rivelazione ai saggi e agli intellettuali di questo mondo; attraverso Gesù, Dio si rivolge a costoro, ma essi non accolgono la sua parola e, così facendo, induriscono orecchi e cuore.

 

LA  PERICOPE DI OGGI

Il brano del vangelo di oggi, per le risonanze che si ritrovano nel vangelo di Giovanni è detto anche comma giovanneo; infatti il linguaggio, del tutto inusuale in Matteo e nei sinottici in genere, mostra strette affinità con il quarto vangelo, e può essere considerato a buon diritto come un ponte fra la tradizione sinottica e quella giovannea. Comunque ad un esame letterario più accurato si rilevano facilmente tracce della letteratura sapienziale, apocalittica e profetica in genere.
Secondo alcuni esegeti, questo brano proviene dalla fonte Q  [questa conterrebbe una raccolta di detti di Gesù, forse trasmessa per via orale, ma che a un certo punto dovrebbe essere stata posta per iscritto. Si è giunti a tale conclusione perché sia in Matteo, sia in Luca è dato lo stesso ordine al materiale raccolto]
Luca che qualifica la preghiera di Gesù quale sussulto di gioia ispirato dallo Spirito Santo. In particolare Matteo inserisce il passo in una sezione che evidenzia l'incomprensione e il rifiuto opposti a Gesù, quasi a controbilanciare l'incredulità delle città che furono testimoni dei prodigi di Cristo.
vv. 25-26
L’inizio - In quel tempo - specifica una temporalità in cui si realizzano scelte importanti, e perciò è chiamato aion, in quanto  è il tempo di Dio [un tempo oltre il tempo, cioè l’eterno], che si distingue dal tempo chiamato chrònos, scandito nei suoi vari momenti, il tempo dell’attesa e dell’affidamento. (C’è anche un altro modo evangelico di definire il tempo: kairòs. Nella nostra vita, come in ogni vita, c’è un momento nel quale riconosciamo l’agire di Dio, e allora è il tempo della benedizione).
Le parole che Matteo pone in bocca a Gesù - Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra… sono ricalcate su quelle del profeta Isaia 29, 14: perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti… Riportate da Matteo, esprimono in sintesi tutta la novità cristiana: il Dio di Israele, il Signore del cielo e della terra, il Padre, l'infinito Tu, al quale Gesù può rivolgersi con riconoscente amore, per rendergli lode e per ringraziarlo.
Nel linguaggio biblico rendere lode significa celebrare la divina sapienza e onnipotenza dispiegata nelle opere mirabili della creazione o nella storia della salvezza.
L’espressione Signore del cielo e della terra conferisce all’esclamazione di Gesù un certo tono di
solennità.
… hai nascosto queste cose - E’ proprio del genere apocalittico esprimersi in questi termini per indicare il mistero di Dio, che si può nascondere o rivelare. Ma la volontà di Dio è sempre positiva: anche nascondendosi ai sapienti e ai saggi, cioè gli scribi e i farisei che rifiutano Gesù come il Cristo, si vuole affermare che la via per raggiungere i misteri del regno non ha esclusioni.
… così hai deciso nella tua benevolenza. Il greco eudokia è l'equivalente dell'ebraico rashòn, che
esprime l'idea della benevola volontà di Dio nel guidare e indirizzare tutto e tutti a Sé.
v.27. Questo versetto è uno dei più densi di contenuto dottrinale non solo del vangelo di Matteo, ma di tutto il N.T. In esso sono condensati tre enunciati che riguardano la donazione di ogni potere al Figlio da parte del Padre; la reciproca esclusiva conoscenza tra Padre e Figlio; la necessaria mediazione del Figlio per raggiungere la conoscenza del Padre. Il conoscere è la conoscenza che, nel linguaggio biblico, non è semplicemente un'operazione dell'intelletto, ma esprime l’intima familiarità, l’amore sponsale che genera la vita. [L'inconoscibilità di Dio è un punto fondamentale della religione d'Israele, che la letteratura sapienziale, in tempi più recenti, ha cercato di illuminare con la personificazione della divina Sapienza].
v.28 Venite a me, voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Il detto espresso è esclusivamente di Matteo. E’ l'invito che la Sapienza rivolge ai piccoli già nell'A.T., al fine di ottenere il Dono supremo, lo Spirito Santo, l'Acqua della vita.
La traduzione di pephortisménoi, ‘stanchi e oppressi’, si riferisce agli oppressi dal peso della Torah; infatti gli scribi avevano caricata la Legge Antica di tante osservanze, prescritte, in caso di inosservanza, sotto la minaccia della maledizione. [Questo versetto è frutto di un finissimo lavoro teologico, certamente elaborato da uno scriba conoscitore della tradizione sapienziale. Richiama quanto nella Bibbia si dice della Sapienza (Sir 6,28): Alla fine in essa troverai riposo, ed essa si cambierà per te in gioia.].
v.29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita
Il giogo della Torah, imposto ad ogni giudeo pio, era particolarmente duro nell'applicazione che ne
facevano gli scribi. Pietro lo chiamerà un giogo insopportabile (At 15,10) e Gesù condannerà aspramente gli scribi per aver imposto agli uomini un peso così grande (Mt 23,4).
Il giogo di Gesù è il giogo del regno dei cieli annunciato e proposto ai suoi seguaci, il quale non ha nulla a che vedere con quello della Torah interpretata da Scribi e Farisei. Anzi Gesù presenta Sé stesso come mite e umile di cuore.
Nell'originale greco il termine umile è tapeinós, dal quale deriva il nostro tapino, applicato a chi è povero, misero, infelice, basso, debole; è un vocabolo di grande rilievo nella spiritualità neotestamentaria. Per tre volte Gesù ripete la frase: Chi si innalza sarà umiliato (tapeinós) e chi si umilia sarà innalzato. Anche Maria, la madre di Gesù, è consapevole che questa è la vera strada per la gloria e nel suo cantico, il Magnificat, esclama: il Signore rovescia i potenti dai troni ed innalza gli umili, dopo aver dichiarato che Dio ha guardato all'umiltà della sua serva.
v.30  Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero. La frase fa avanzare ai moderni la pretesa che Gesù voglia affidarci un legame che non costa sacrifici. Di per sé ogni religione comporta un peso. La differenza tra le altre religioni e quella annunciata da Gesù è che il giogo cristiano, abbracciato per scelta ed amore, diventa lieve.
 

RIFLESSIONI

- Non si sa quale esigenza irrita di più ascoltando questo Vangelo: se l’abbandono totale dei legami familiari o il grado di amore richiesto. E’ certo che le parole di Gesù provocano fino allo scandalo. Viene da chiedersi: come si concilia ciò con il fatto che il nostro cammino di fede ci ha fatto scoprire il Signore come il buon Pastore, che ad acque tranquille ci conduce (Sal 23)?.
Come potrebbe un Padre, la cui grazia è nel cielo e la cui fedeltà fino alle nubi (Sal 36), impedirci di vedere il minimo segno dell’amore di Dio nella nostra vita? Egli è nella sicurezza familiare, nella salute del corpo e dell’anima, nella consolazione interiore di fronte ai colpi del destino e negli inattesi avvenimenti felici di ogni giorno. E per questo che cerchiamo la presenza del Signore e ci mettiamo al suo seguito.
Per trovare una spiegazione al quesito dobbiamo capire che Dio ci fa resistenza quando vogliamo mescolare i nostri interessi personali con la nostra relazione di amicizia; quando separiamo i doni ricevuti da Colui che ce li dona, per costruire un piccolo mondo egoista alle sue spalle. In particolare Egli si erge contro l’egoismo tinto di religiosità, e vuole difenderci dagli inganni e dagli errori. Le sue esigenze, così irritanti, mirano al nostro vero bene.
L’argomentazione più seria è la seguente. L’imitazione di Cristo è inseparabile dalla croce del Calvario.
- L’ultima parte del vangelo di oggi ci consegna tre verbi che suonano come una chiamata: venite, prendete, imparate. A questi segue una promessa ripetuta due volte nel testo, all’inizio e alla fine:  io vi darò ristoro.
Gesù sembra dirci con queste parole che il contrario del riposo non è la fatica, ma la preoccupazione che nasce dall’aver scelto male i punti di riferimento del nostro vivere. Se ci pensiamo bene, nello scorrere dei nostri giorni è proprio così: ad affaticarci, non è mai la fatica in se stessa, anzi, ci sono fatiche che ci riempiono di gioia, che ci fanno vivere il senso del compimento. Ciò che affatica invece è l’affanno causato dall’esserci caricati di un peso che non è il suo giogo. Suo, perché, ogni giogo si porta in due (da qui la parola coniuge, con-iugo, cioè sotto lo stesso giogo). La gioia di faticare con colui che ami non stanca mai, ma rinvigorisce.
- Ferdinand Ebner (filosofo austriaco convertito 1888-1031) afferma: Un commento al Vangelo non si deve scrivere ma vivere. E ci sono molti più commenti viventi al Vangelo di quanto possa sembrare a prima vista.
Il filosofo tedesco ateo dell’Ottocento, Friedrich W. Nietzsche così si esprime: Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, non avreste bisogno di insistere così ostinatamente perché si creda all'autorità di questo libro: le vostre opere, le vostre azioni dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia perché voi stessi dovreste continuamente costituire la Bibbia nuova.
Madre Teresa di Calcutta ci lascia una preghiera:
Dio, Padre onnipotente, tu ci fai camminare in un mondo pieno di belle cose e tra doni a noi destinati. Noi ti rendiamo grazie. Infatti il fascino della tua creazione ci dona il gusto della gioia e del bene; sì, essa ci mantiene nella certezza che tu vuoi il nostro bene e che ci hai creati perché possiamo partecipare a una pienezza inimmaginabile nel tuo amore trinitario. Donaci il senso di ciò che è vero e sicuro! Donaci la capacità di discernere tra la realtà e le apparenze ingannatrici, tra il durevole e l’effimero! Allora non saremo delusi dalle promesse di Felicità della tua creazione. Questo mondo, nella sua infinita varietà, non sarà la nostra rovina, ma la via della nostra salvezza, al termine della quale Tu già ci attendi.

 

 

* Un testo consigliato

Piero Stefani, «Gli uni e gli altri». La Chiesa, Israele e le genti. Una ricerca teologica, collana «Nuovi saggi teologici» 116, EDB, Bologna 2017, pp. 304, € 26,50.

Testo impegnativo, ma che affronta un punto teologico importante e ineludibile, che non ha raggiunto ancora da parte di alcuno un’esposizione equilibrata e completamente soddisfacente.
Stefani propone il testo integrale del documento – da lui lodato – stilato dal Gruppo interconfessionale Teshuvah di Milano Chiesa e Israele. Punti fermi e interrogativi aperti (ottobre 2013, pp. 267-282). Vale la pena riportare i quattordici titoli dei paragrafi (che riportano anche alcune domande che spingono alla ricerca futura), per avere un’idea del percorso da seguire nella ricerca teologica. L’elezione di Israele è irrevocabile; Gesù è ebreo e lo è per sempre; I primi seguaci di Gesù erano ebrei e il loro movimento nasce come intraebraico; Il movimento dei credenti in Gesù Cristo ha una propria specificità che lo distingue dalle altre correnti giudaiche; Gli scritti neotestamentari sono incomprensibili senza far riferimento alle Scritture d’Israele; La Chiesa, in virtù della sua origine, ha un legame permanente con il popolo d’Israele; È illegittimo definire la Chiesa nuovo Israele; La teologia della sostituzione prospetta un’immagine di Chiesa non conforme al Nuovo Testamento; L’ebraismo, in tutta la sua storia, è stato ed è una realtà multiforme; Nel corso della sua storia il cristianesimo non ha ignorato la perdurante esistenza del popolo ebraico, ma lo ha definito in base a categorie quasi sempre autoreferenziali e ostili; È inammissibile la missione verso gli ebrei da parte della Chiese cristiane; Il dialogo cristianesimo-ebraismo è condizione necessaria di ogni ecumenismo tra cristiani e premessa di una corretto rapporto con le religioni; Nel dialogo cristiano-ebraico non può essere ignorato il rapporto del popolo ebraico con la sua terra; Nel dialogo cristiano-ebraico oggi è irrinunciabile la riflessione sull’evento Shoah; L’attesa delle “cose ultime” accomuna e distingue ebrei e cristiani nella speranza. Chiude il volume una ricca bibliografia (pp. 283-295).

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