sabato 7 settembre 2019

ventitreesima 19


Lc 14,25-33 XXIII DOMENICA T.O. anno C



25 In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
26 Se uno viene a me e  non odia suo padre e la madre e i figlie i fratelli e sorelle, e ancora la sua stessa vita, non può essere mio discepolo.
27 Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29 Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: 30 ‘Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro’.
31 Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32 Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
33 Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

SUCCINTA ANLISI DEL TESTO

25 In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
Con questo versetto introduttivo pare che Gesù ritorni ad evangelizzare. Egli sta dirigendosi verso Gerusalemme, dove morirà crocifisso e risorgerà (ma in realtà l’evangelista dedica queste pagine ai numerosi convertiti della Chiesa nascente).
26 Se uno viene a me e  non odia suo padre e la madre e i figli e i fratelli e sorelle, e ancora la sua stessa vita, non può essere mio discepolo.
La traduzione italiana del testo del brano ha avuto due versioni: quella del 1974 e quella del 2008. Nel vangelo secondo Luca la frase suona come abbiamo letto.
Il testo originale è greco, data la vicinanza dell’autore alla lingua ebraica ed alla aramaica, che non hanno il comparativo (più di). Invece la versione di Matteo è questa: chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Questo stesso detto appare altre volte negli altri vangeli;  leggiamo ad esempio in Giovanni: chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
D’altra parte il significato di odiare, in greco misein (da cui la parola misantropo), è posporre decisamente. 
Storicamente queste parole erano rivolte a persone singole scelte da lui, ma nella Chiesa di Luca esse (queste parole) continuarono ad avere efficacia soprattutto durante le persecuzioni e furono percepite come rivolte a tutti i credenti (le folle).
Utilizzando il verbo essere (e non diventare) mio discepolo, e i verbi al tempo presente, l'evangelista si propone di puntualizzare, non solo la scelta iniziale con cui si diventa discepoli, ma il comportamento che deve caratterizzare tutta l'esistenza del cristiano: scegliere Cristo esige la prontezza a posporre i legami familiari e la propria vita, in modo da essere veramente e durevolmente suo discepolo. La richiesta di Gesù dunque non è più limitata a persone che devono seguirlo concretamente sulle vie della Galilea. 
27 Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Luca insiste sul valore permanente e quotidiano di tale realtà. Ognuno ha la sua croce, cioè sofferenze e prove. Ma nel contesto c’è l’invito ad una comprensione ancora più radicale: la disponibilità a dare la propria vita, la prontezza al martirio per la causa di Cristo. Inoltre ‘portare la croce’ non è affatto sinonimo di passiva rassegnazione, bensì appartiene alla definizione del discepolo.
28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine?
La domanda retorica chi di voi?  introduce generalmente una similitudine.
29 Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: 30 ‘Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro’.
Un lavoro incompiuto mette il responsabile in balìa degli scherni altrui e lo rende ridicolo: la reputazione era una realtà molto importante in Oriente.
31 Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32 Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Nel contesto del vangelo di Luca, le due similitudini hanno lo scopo di sottolineare tutta la serietà della vocazione cristiana. Potrebbero anche essere lette come invito a rinunciare alla vocazione cristiana, per coloro che non se ne sentissero all'altezza.
In realtà si tratta di appelli a riconoscere che la realtà cristiana è una cosa seria: occorre essere pronti a mettere tutto in gioco, anche la propria vita e i propri beni, per vivere pienamente tale scelta. 
33 Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

La relativizzazione dei legami parentali si lega al tema della croce. Significativamente Luca qui usa il verbo bastázein, che viene tradotto con portare, sostenere piuttosto che il matteano lambánein, che vuol dire prendere, accogliere.
In sintesi Luca mette in guardia i lettori di ogni tempo avvertendoli che il cuore umano è incline a legarsi. Nessuno si illuda: la forza attrattiva delle realtà di questo mondo tiene il cuore umano avvinto a tutto ciò che lo sostiene, lo consola, lo gratifica. Il movimento di Gesù è per i neofiti promessa di un esodo verso la libertà assoluta che può sedurre al principio per poi creare forti disillusioni e sensi di colpa. Il realismo lucano qui è garanzia di una fede adulta.
Con queste parole ha termine il capitolo 14 del vangelo secondo Luca.

PERSONALE

Volendo dire qualcosa di strettamente personale preferisco spostarmi su un altro fronte.
Non so gli altri, ma io ho vissuto i fatti politici attuali in pieno.
Mi sono chiesta: cosa significa l’attuale matrimonio del Pd (partito con una sua solidità, a prescindere dall’arroganza di parecchi iscritti, sicuri che a sbagliare sono sempre gli altri), e i grillini, scapigliati-antisistema?
Anche solo accennando alla mia perplessità, ho dovuto arretrare di fronte alla sicumera di chi parteggia per l’una o per l’altra parte politica; e perciò ne ho taciuto…
Ma una mia impressione voglio spiattellarla al di dentro di questo commento.
In TV ho sentito dibattiti e ho letto titoloni di giornali in contrapposizione.
Arrivato ‘il giorno del giudizio’ dei dati di fatto, ho notato una sola cosa.
Ecco.
Che fasto nel panorama generale del Viminale! E quale atteggiamento di gioia e di soddisfazione in chi è diventato ministro/a!!!
Ho pensato a quel che diceva Platone [riporto in maniera approssimativa]: chi è chiamato a governare deve farlo con riluttanza e, se possibile, deve esserne costretto perfino con la forza.
In questo clima, invece si rivendica il diritto a pretendere il non-uso del termine poltrone  e, più in generale, a difendere le proprie posizioni.
- Dunque, governare è, o no, un privilegio? Perché gli schieramenti e le contrapposizioni  anche nell’esprimere pareri, anzi veri e propri fanatismi? E perché, in campo religioso, confondiamo la radicalità evangelica col radicalismo esasperato?
- In sintesi,  quel che non vogliamo capire è sia la fragilità interpretativa, sia la transitorietà delle cose di questa povera terra. Tanto che verrebbe da concludere col motto di Cesare Augusto, detto poco prima di morire. Guardandosi attorno egli chiese: la commedia è finita?
= Ma la mia conclusione più opportuna è quella riguardante la Parola di Dio, cioè riguardante la fede che deve sorpassare i piccoli credo umani. Le vere risposte a tutti i problemi umani non ce le danno gli schieramenti, ma il silenzio, cioè lo spazio riservato all’interiorità dove Dio parla nascostamente, ma, veracemente. Basta essere seriamente consapevoli del bisogno che abbiamo di trascenderci ascoltando Lui e non noi stessi. E…. pagando di persona, come Aldo Moro, vera Vittima dei garbugli umani.


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Lc 14,25-33 XXIII DOMENICA T.O. anno C



25 In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
26 Se uno viene a me e  non odia suo padre e la madre e i figlie i fratelli e sorelle, e ancora la sua stessa vita, non può essere mio discepolo.
27 Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29 Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: 30 ‘Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro’.
31 Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32 Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
33 Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

SUCCINTA ANLISI DEL TESTO

25 In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
Con questo versetto introduttivo pare che Gesù ritorni ad evangelizzare. Egli sta dirigendosi verso Gerusalemme, dove morirà crocifisso e risorgerà (ma in realtà l’evangelista dedica queste pagine ai numerosi convertiti della Chiesa nascente).
26 Se uno viene a me e  non odia suo padre e la madre e i figli e i fratelli e sorelle, e ancora la sua stessa vita, non può essere mio discepolo.
La traduzione italiana del testo del brano ha avuto due versioni: quella del 1974 e quella del 2008. Nel vangelo secondo Luca la frase suona come abbiamo letto.
Il testo originale è greco, data la vicinanza dell’autore alla lingua ebraica ed alla aramaica, che non hanno il comparativo (più di). Invece la versione di Matteo è questa: chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Questo stesso detto appare altre volte negli altri vangeli;  leggiamo ad esempio in Giovanni: chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
D’altra parte il significato di odiare, in greco misein (da cui la parola misantropo), è posporre decisamente. 
Storicamente queste parole erano rivolte a persone singole scelte da lui, ma nella Chiesa di Luca esse (queste parole) continuarono ad avere efficacia soprattutto durante le persecuzioni e furono percepite come rivolte a tutti i credenti (le folle).
Utilizzando il verbo essere (e non diventare) mio discepolo, e i verbi al tempo presente, l'evangelista si propone di puntualizzare, non solo la scelta iniziale con cui si diventa discepoli, ma il comportamento che deve caratterizzare tutta l'esistenza del cristiano: scegliere Cristo esige la prontezza a posporre i legami familiari e la propria vita, in modo da essere veramente e durevolmente suo discepolo. La richiesta di Gesù dunque non è più limitata a persone che devono seguirlo concretamente sulle vie della Galilea. 
27 Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Luca insiste sul valore permanente e quotidiano di tale realtà. Ognuno ha la sua croce, cioè sofferenze e prove. Ma nel contesto c’è l’invito ad una comprensione ancora più radicale: la disponibilità a dare la propria vita, la prontezza al martirio per la causa di Cristo. Inoltre ‘portare la croce’ non è affatto sinonimo di passiva rassegnazione, bensì appartiene alla definizione del discepolo.
28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine?
La domanda retorica chi di voi?  introduce generalmente una similitudine.
29 Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: 30 ‘Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro’.
Un lavoro incompiuto mette il responsabile in balìa degli scherni altrui e lo rende ridicolo: la reputazione era una realtà molto importante in Oriente.
31 Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32 Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Nel contesto del vangelo di Luca, le due similitudini hanno lo scopo di sottolineare tutta la serietà della vocazione cristiana. Potrebbero anche essere lette come invito a rinunciare alla vocazione cristiana, per coloro che non se ne sentissero all'altezza.

In realtà si tratta di appelli a riconoscere che la realtà cristiana è una cosa seria: occorre essere pronti a mettere tutto in gioco, anche la propria vita e i propri beni, per vivere pienamente tale scelta. 

33 Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
La relativizzazione dei legami parentali si lega al tema della croce. Significativamente Luca qui usa il verbo bastázein, che viene tradotto con portare, sostenere piuttosto che il matteano lambánein, che vuol dire prendere, accogliere.
In sintesi Luca mette in guardia i lettori di ogni tempo avvertendoli che il cuore umano è incline a legarsi. Nessuno si illuda: la forza attrattiva delle realtà di questo mondo tiene il cuore umano avvinto a tutto ciò che lo sostiene, lo consola, lo gratifica. Il movimento di Gesù è per i neofiti promessa di un esodo verso la libertà assoluta che può sedurre al principio per poi creare forti disillusioni e sensi di colpa. Il realismo lucano qui è garanzia di una fede adulta.
Con queste parole ha termine il capitolo 14 del vangelo secondo Luca.

PERSONALE

Volendo dire qualcosa di strettamente personale preferisco spostarmi su un altro fronte.
Non so gli altri, ma io ho vissuto i fatti politici attuali in pieno.
Mi sono chiesta: cosa significa l’attuale matrimonio del Pd (partito con una sua solidità, a prescindere dall’arroganza di parecchi iscritti, sicuri che a sbagliare sono sempre gli altri), e i grillini, scapigliati-antisistema?
Anche solo accennando alla mia perplessità, ho dovuto arretrare di fronte alla sicumera di chi parteggia per l’una o per l’altra parte politica; e perciò ne ho taciuto…
Ma una mia impressione voglio spiattellarla al di dentro di questo commento.
In TV ho sentito dibattiti e ho letto titoloni di giornali in contrapposizione.
Arrivato ‘il giorno del giudizio’ dei dati di fatto, ho notato una sola cosa.
Ecco.
Che fasto nel panorama generale del Viminale! E quale atteggiamento di gioia e di soddisfazione in chi è diventato ministro/a!!!
Ho pensato a quel che diceva Platone [riporto in maniera approssimativa]: chi è chiamato a governare deve farlo con riluttanza e, se possibile, deve esserne costretto perfino con la forza.
In questo clima, invece si rivendica il diritto a pretendere il non-uso del termine poltrone  e, più in generale, a difendere le proprie posizioni.
- Dunque, governare è, o no, un privilegio? Perché gli schieramenti e le contrapposizioni  anche nell’esprimere pareri, anzi veri e propri fanatismi? E perché, in campo religioso, confondiamo la radicalità evangelica col radicalismo esasperato?
- In sintesi,  quel che non vogliamo capire è sia la fragilità interpretativa, sia la transitorietà delle cose di questa povera terra. Tanto che verrebbe da concludere col motto di Cesare Augusto, detto poco prima di morire. Guardandosi attorno egli chiese: la commedia è finita?
= Ma la mia conclusione più opportuna è quella riguardante la Parola di Dio, cioè riguardante la fede che deve sorpassare i piccoli credo umani. Le vere risposte a tutti i problemi umani non ce le danno gli schieramenti, ma il silenzio, cioè lo spazio riservato all’interiorità dove Dio parla nascostamente, ma, veracemente. Basta essere seriamente consapevoli del bisogno che abbiamo di trascenderci ascoltando Lui e non noi stessi. E…. pagando di persona, come Aldo Moro, vera Vittima dei garbugli umani.


sabato 10 agosto 2019

Domenica XIX T. O, annoC


XIX DOMENICA T.O. anno C


Luca 12, 32-48
32 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
33 Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma.
34 Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
35 Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese;
36 siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 
37 Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
38 E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 
39 Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa.
40 Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
41 Allora Pietro disse: Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?. 
42 Il Signore rispose: Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito
43 Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 
45 Ma se quel servo dicesse in cuor suo: ‘il mio padrone tarda a venire’, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi,
46 il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. 
47 Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse;
48 quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

PUNTUALIZZAZIONI (per non stancare i lettori non faccio un’analisi minuziosa dei singoli versetti)

= L’attesa del ritorno del Signore era forte nelle prime comunità cristiane. In esse si faceva tutto in vista di quel ritorno che tutti immaginavano imminente. E poiché il ritorno tardava, alcuni, avendo perso entusiasmo, avevano cessato di impegnarsi e si erano abbandonati all’inefficienza, rimandando tutto ad un poi che però non arrivava mai.
Per questa ragione l’evangelista Luca pone in bocca a Gesù l’ammonimento severo di stare attenti e pronti perché nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
= E’ molto interessante l’uso l’uso di questo presente indicativo: viene.
L’ora viene ogni giorno (si potrebbe dire ogni attimo) e bisogna vigilare. Ciò significa che il distacco da ogni cosa implica la presenza vera. Detto in altri termini, peraltro filosofici e di importanza assoluta: il Presente è l’eterno che ha una durata minima nel tempo, quindi da non immaginare lontano, ma da vedere presente già qui ed ora.
= Il Regno - Il Regno dei Cieli [in greco: βασιλεία τν ορανν, he basileia tōn ouranōn) oppure il Regno di Dio (in greco: βασιλεία το Θεο, he basileia tou Theou] è un concetto chiave del Cristianesimo, basato su una espressione riportata nei Vangeli come detta da Gesù.
= Piccolo gregge è un’immagine distante dal modo di sentire odierno, ma dalla caratteristica che esprime la piccolezza. Gesù aveva  al suo seguito una piccola realtà, mentre grande era la realtà religiosa dei giudei e grandissima appariva la realtà del mondo in cui quelle piccole comunità sorgevano.
La comunità di cui parla la pericope non viene lasciata nell’ansia e nella paura tanto che, in quella situazione così precaria, come dicono le parole del testo, Gesù stesso l’avrebbe così incoraggiata: Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Certamente, per accogliere tali parole di Gesù e, di conseguenza, non temere, bensì gioire, bisogna essere davvero il piccolo gregge che Lo segue nella sua vicenda fino al fallimento e alla morte.
= Vendere tutto e farsi borse che non si consumano significa, come specifica lo stesso testo, trovare il vero tesoro che non si corrode in modo da poterlo condividere. Quindi non si tratta di puro vendere tutto, o di spogliamento (diremmo noi, ascetico, tanto meno collegabile al cinismo filosofico, in particolare stoico).
In sintesi, privandosi di tutto, si acquista il meglio e il più.
= Sollecitato da Pietro, Gesù dice senza mezzi termini [accenno che i problemi della comunità di cui qui si parla erano evidenti nella comunità successiva, non in quella dei tempi di Gesù quando era vivo] che nella comunità c’è una distinzione tra i semplici discepoli e i responsabili. C’è qualcuno che nella comunità ha il compito preciso dell’oikonómos, del preposto alla casa, chiamato a svolgere il suo servizio nel dare da mangiare ai fratelli e sorelle, e nel dare il cibo della parola e della sapienza di Dio. Spetta a lui la cura spirituale e materiale dei fratelli, e il suo servizio deve essere quello di persona affidabile (pistós), intelligente, sapiente (phrónimos).
Ma se questo servo si pone al centro della vita comunitaria e afferma solo se stesso, allora il Signore lo tratterrà da persona non affidabile.
= A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.
Questa è una sentenza sapienziale che funge da conclusione generale anche alla parabola dell'amministratore fedele/infedele e all'intera sezione che affronta il tema della vigilanza. 
Quel che la frase vuole sottolineare è che bisogna allontanarsi dalla prospettiva terrena della punizione. I carismi e le funzioni all'interno della comunità sono da sfruttare per il bene dell'intera comunità; sono doni da amministrare a favore degli altri, e chi adempie questo dovere deve farlo con senso di responsabilità anziché di appropriazione. 

PERSONALE

= Prendo spunto da questa conclusione per esprimere un mio parere, con tutto il rispetto per il testo, pur se ben distante dai tempi attuali, quando ormai la Chiesa ha seguito il suo corso e la cultura ha attraversato innumerevoli vicende.
= Eppure un po’ tutti ci aspettiamo una Parola eterna da quella che chiamiamo Parola di Dio.
= L’altro giorno, parlando con un futuro Pastore della chiesa ortodossa, mi sono trovata in condizione di dissenso parlando, più che dei sinottici, di Giovanni. L’ho trovato in piena armonia con quest’ultimo, propriamente al contrario di me.
Concordo col  mio interlocutore sul fatto che l’Autore del quarto vangelo abbia delle splendide e dense pagine di dottrina e di sapienza, e per giunta concordanti con quelle del Popolo ‘eletto’. Il Dio di cui parla Giovanni  è il Dio di Abramo e di tutti i Patriarchi dell’A.T.
Ma sul testo di Giovanni la Chiesa Cattolica ha costruito tutti i suoi dogmi. Invece i primi tre vangeli hanno toni più umili, più intrisi di verità fondate sul quotidiano (senza dire che l’Autore Giovanni non coincide sempre con il Giovanni “amato da Gesù”).
Ma non è questo il motivo del mio dissenso dall’interlocutore. Si tratta di un motivo di sostanza.
Mi esprimo ricorrendo a un discorso parallelo.
Tommaso d’Aquino è uno dei pilastri teologici e filosofici della Chiesa cattolica, ed è anche il punto di raccordo tra la cristianità e la filosofia classica che va da Socrate agli ellenisti e non solo. Fu allievo di Alberto Magno, che lo difese quando i compagni lo chiamavano il bue muto con queste parole: Io vi dico, quando questo bue muto muggirà, i suoi muggiti si udranno da un’estremità all’altra della terra.
Eppure egli in fin di vita ‘ruggisce’ per gridare che voleva bruciare i suoi grossi tomi affermando: i miei tomi sono paglia!
Viene da aggiungere: anche noi ci diamo da fare per affermare la nostra verità; e quanto tempo perdiamo!
= Una mia prima conclusione
Ignoramus et semper ignorabimus! Questo è un aforisma latino enunciato nel 1872 dal fisiologo tedesco Emil Du Bois-Reymond nell'opera "Sui limiti della nostra comprensione della natura". La stessa cosa si potrebbe dire dei limiti della nostra comprensione di Dio e di noi stessi. Dovremmo umilmente professare che ogni punto di vista non è la verità.
Eppure questa professione non ci esonera di parlare di Parola di Dio. Anche nell’A.T. si parla di rivelazione di Dio: quando Dio si rivelò nel dettare  i dieci comandamenti, eccetera. I maestri, come per esempio Rashi, ritengono che ogni Ebreo  debba vivere come se ogni giorno venisse rivelata laTorah; e la ‘visione’ della Parola di Dio viene paragonata al tuono.
= La mia più importante conclusione
Confidenzialmente vi dico che a volte mi sento un’atea. Ma sono un’atea che prega….
Come mai se studio e medito con passione il vangelo?
Rispondo con un aneddoto in cui sono protagoniste mia mamma e una ignorante vecchietta. Mia mamma le chiese cosa dicesse facendo scorrere tutto il giorno la corona del rosario. La vecchietta rispose con una frase che non capirete perché mi piace riportarla in dialetto siciliano: cuffittedda iusu, cuffitedda susu (la cuffitedda è una cesta, e iusu vuol dire giù mentre susu vuol dire su. La sua preghiera era una frase senza senso, ma dettata dalla sua fede.
Così recito le mie preghiere in cui non mi riconosco, ma che recito affidandomi ad una senso profondo di Dio.


sabato 3 agosto 2019

DOMENICA XVIII T. O. anno C

DOMENICA XVIII T.O. annoC

Lc 12, 13-21

13 In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità.
14 Ma egli rispose: O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?
15 E disse loro: Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede.
16 Poi disse loro una parabola: La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante.
17 Egli ragionava tra sé: ‘Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti?
18 Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni.
19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divèrtiti!’
20  Ma Dio gli disse: ‘Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?’.
21 Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio.

Questa pericope è stata analizzata in altro contesto per errore. Perciò oggi passo subito alle…

Riflessioni sulla pericope

- Il vangelo odierno è una perla preziosa di semplicità, profondità, verità.
L’argomento è quanto mai attuale: il rapporto con il denaro.
E’ molto significativo il fatto che Luca [ho accennato più volte al fatto che dietro il nome di ogni evangelista c’è sempre l’elaborazione operata in seno alle comunità cristiane, talora prolungata nei secoli successivi; nel caso del vangelo di Luca è anche ben riconoscibile la sua mano, grazie all’inconfondibile stile che lo caratterizza] ponga in bocca a  Gesù parole, le quali mostrano come Lui (Gesù)  non abbia voluto intromettersi in questioni di eredità; le sue parole sono traducibili con questa espressione icastica: Vedetevela voi!.
Ieri come oggi, il denaro e le relative ricchezze hanno sempre un allettamento formidabile sul cuore umano. C’è proprio da rattristarsi pensando a cosa avviene oggi nelle famiglie quando c’è da dividere un’eredità!
Paolo nella sua prima Lettera a Timoteo è giunto ad affermare che l’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali; per lo sfrenato desiderio di ricchezza alcuni hanno deviato dalla fede e si sono auto-tormentati con molti dolori.
Di fatto non c’è chi non veda come, quando ci si attacca ai soldi, ci si attacca in ugual modo a tante altre cose: a se stessi, ai propri comodi, soddisfazioni, piaceri, giudizi e ‘chi più ne metta’.
Ho letto da qualche parte che un bravo padre missionario in Brasile, parroco di una comunità dal numero incredibile di attività e opere, ama dire spesso: Per dirti cristiano non basta che Gesù ti abbia toccato il cuore, bisogna che ti tocchi anche nel portafoglio!.
- Qual è il messaggio fondamentale di questa pericope?
Bisogna stare in guardia dall’inganno molto presente nella storia dell’umanità e forse anche in quella personale: quello di vivere completamente assorbiti dalla dimensione terrena, temporale e orizzontale, e di non sapere aprirsi alla dimensione eterna e verticale.
Sull’espressione del v.21 Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio c’è da dire che spesso il linguaggio religioso pone l'accento sulla distanza che separa Dio dall'essere umano: sarebbe sottolineare gli aspetti che rendono entrambi l'uno vicino all'altro in quanto abitati dal medesimo spirito.
- Il commento più adeguato del vangelo che leggiamo oggi celo offre la liturgia nella prima lettura:

QOELET 1,2; 2,21-23
Vanità delle vanità, tutto è vanità. Perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e grande sventura. 
Allora quale profitto c’è per l’uomo in tutta la sua fatica e in tutto l’affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose, il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità!

BREVE COMMENTO
Il libro da cui è riportata la presente lettura è designato con l’appellativo del suo presunto autore, in ebraico Qohelet, oggi in genere preferito alla traduzione greca Ekklesiastês, Ecclesiaste.
Nel canone ebraico questo libro si situa nella sezione degli Scritti di cui fa parte, insieme con Rut, Cantico dei cantici, Lamentazioni, Ester, i cinque volumi (meghillôt) che nella liturgia ebraica vengono utilizzati nelle principali festività dell’anno.
Il Qohelet è un piccolo libro, pieno di dubbi, scritto da un autore disincantato, il quale riflette sul significato e sulla caducità della vita umana, mettendo in questione idee e luoghi comuni della tradizione biblica e soprattutto sapienziale. Esistono numerosi problemi circa le circostanze e modalità della sua composizione, ma soprattutto circa il contenuto che, mentre lo pone in stretta contiguità con Giobbe, lo allontana da gran parte della letteratura sapienziale e, più in genere, biblica. Il suo genere letterario si avvicina a quello di una raccolta di pensieri ruotanti intorno ad un certo tema, ma che mantengono in gran parte la loro autonomia.
Nella frase iniziale del brano si compendia l’intera riflessione dell’autore: tutto è hebel, vanità. Il termine significa propriamente vapore, alito, e designa qualcosa di vuoto, effimero, senza consistenza. La forma raddoppiata, vanità delle vanità, usata in ebraico per indicare il superlativo, significa che si tratta di una vanità totale, senza eccezione né rimedio.
L’autore aggiunge poi un altro motivo del suo pessimismo: Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità! (vv. 22-23). In realtà l’essere umano paga paga il successo in campo economico con preoccupazioni e affanni, al punto tale da perdere persino la possibilità di riposare nella notte.
La frase finale Anche questo è vanità! esprime il colmo della tristezza, perché lo stesso lamentarsene è inutile.

UNA RIFLESSIONE PERSONALE

Da tempo inseguo la verità di me stessa, certa, o meglio speranzosa, di farla coincidere con la Verità divina. E mi sono chiesta quale potrebbe essere per me l’ostacolo da superare. Ma Qohelet sembra volermi insegnare che anche questa assidua ricerca è vanità….
Eppure non mi rassegno a non cercare,
un bel giorno mi son detta: forse è cosa migliore che io mi abbandoni (o mi sprofonda) nel mistero di Dio.
Da qualche tempo la  duro cercando di rintracciare in me stessa il mistero di Dio. Non sono certamente i dogmi (che si presume siano risultato di verità rivelate)  a consegnarmi al Mistero [ma non mi piace contrappormi ad essi: che cosa ne ricaverei?].
Invece abbandonarmi o sprofondare nel mistero significa non affannarmi per scoprirlo (il mistero); e questo, più che il non riposare sui beni accumulati, è ciò che costituisce il senso del brano evangelico di oggi: non affidare la propria sicurezza a ciò che è destinato a perire.
- Ed ecco profilarsi dinanzi a me un’altra riflessione.
Come non vedere quanto sia triste assistere allo scenario che scorre davanti a noi dai fatti di quest’epoca? Chi e che cosa offre un po’ di sicurezza in una società sostanzialmente atea?
Unico scampo è, non una vaga speranza umana, ma l’impegno a trovare nella propria interiorità il potenziale che sappia misurarsi con tutto il male, l’orrido, il cattivo, ogni negatività terrena.
Quando guardo la TV mi disorientano e stancano le scene della devastazione dagli aspetti più disparati. Come Qohelet che traduce il messaggio della pericope lucana in termini davvero tragici.
La via di uscita non è nel suo pessimismo nero, ma nell’arricchirsi presso Dio del vangelo di Luca