venerdì 29 novembre 2013

I DOMENICA di AVVENTI annoA

I.12.21013 I DOMENICA DI AVVENTO anno A
Is 2,1-5
Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme. Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore.

Rm 13,11-14
Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.
Mt 24,37-44
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 37 Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39 e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 40 Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41 Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. 42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43 Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi tenetevi pronti, perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
INTRODUZIONE
La ricorrenza celebrativa
Avvento significa venuta, o verso-la-venuta. Nel linguaggio religioso del paganesimo, indicava la venuta periodica di Dio e la sua presenza  nel tempio; dunque significava ritorno o anniversario.
Dal punto di vista cristiano ha un duplice significato: indica le due venute di Gesù, la prima del Gesù di Nazareth, la seconda della fine dei tempi.
La ricorrenza liturgica cattolica sorse nel IV secolo e in seguito si stabilì che abbracciasse  le sei settimane antecedenti il Natale. E’ presente anche nella confessione luterana e nella comunione anglicana.
La liturgia odierna
Nello scorso anno, nella ricorrenza omologa, si leggeva Luca nella parte iniziale dl discorso escatologico. Quest’anno entra in campo Matteo, il quale ricorda anche lui il punto di arrivo della Storia umana con la venuta  del Figlio dell’uomo o parusia, e lo carica di grandi significati teologici (attraverso brani estrapolati dal loro contesto, che perciò non possono tradurre tutta la loro bellezza).
Le tre letture sono ben armonizzate attorno allo stesso tema, che possiamo compendiare nel termine vigilanza:
a) Isaia offre l'immagine classica del banchetto dell'incontro finale con Dio: tutti i popoli affluiscono al monte di Dio, impegnati a  costruire un mondo di pace universale, in cui le spade saranno trasformate in vomeri e le lance in falci sicché cessi ogni contrapposizione. L'affascinante esortazione del v.3 camminiamo nella luce del Signore, trasporta in una realtà che è utopica e nello stesso tempo in grado di gettare luce sulle incertezze dell’esistenza terrena.
b) Paolo invita a svegliarsi, ad indossare le armi della luce, a rivestirsi di Cristo: immagini, tutte, della vigilanza, senza la quale si rischia la caduta nel vicolo chiuso del non-senso della vita.
c) Matteo offre preziosi spunti che aiutano ad anticipare la realtà futura nel presente  e a viverlo pienamente. Nel suo brano s’insinua la sensazione dell’imminenza della fine, così come era vissuta nelle prime comunità cristiane, preoccupate di assicurarsi il premio finale, e Matteo sente l’urgenza pastorale di spronarle ad un’assidua vigilanza, più che a interrogarsi sul quando e sul come avverrà la fine dell’esperienza terrena. Ma forse c’è da aggiungere subito che la vigilanza  richiede un fattore non trascurabile, ben puntualizzato da molti mistici che parlano piuttosto di desiderio di Dio [genitivo oggettivo]; desiderio che ha il suo corrispettivo nel desiderio di Dio [genitivo soggettivo]: Lui attende tutti con cuore pieno di misericordia, cioè carico dei bisogni di ciascun essere umano.
ANALISI del brano di Matteo
37 Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo.
La pericope scelta per questa prima domenica di Avvento offre tre piccole parabole attraverso cui l'evangelista sottolinea l'imprevedibilità dell'ora della venuta del Figlio dell'uomo e la necessità di essere pronti, di vegliare. Il retroterra del testo è costituito dalle attese escatologiche, sia giudaiche sia delle comunità cristiane dei primi secoli.  L'espressione Figlio dell’uomo rimanda al testo di Dn 7,13-14che per i cristiani del tempo si riferiva a Gesù Cristo. Però, mentre i testi apocalittici giudaici del tempo si attardavano a calcolare il tempo di tale venuta, nel testo matteano si fa chiaro il concetto della sua imprevedibilità. 
38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca,
È da notare che Matteo, riferendosi ai giorni prima del diluvio, non accenna, come fa il libro della Genesi, alla malvagità e alla violenza di quella generazione; parla di una generazione che fa cose, diremmo, normali: mangiare, bere, eccetera. Il rimprovero non può essere per queste cose, è, invece, per quello di cui nel versetto seguente.
39  e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo.
Ed ecco a chi è rivolto il rimprovero: a chi 'non si accorge’, cioè resta sordo ai moniti dei profeti e prende ogni cosa con superficialità.
40 Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato.
41 Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata.
Questi due versetti presentano due esempi di un’unica parabola, che fa riferimento al lavoro, all’attività quotidiana di persone le quali, nella differenza dei loro compiti, hanno  lo stesso destino, certamente legato al modo in cui li [=i compiti] assolvono.
42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 
L’espressione Signore vostro, anziché Figlio dell’uomo, è divenuta invocazione comunitaria del Maranà tha [frase aramaica che significa Dio nostro, vieni], adottata da Paolo in 1Cor 16,22, nonché  in Didachè 10 (cfr. anche Ap 22,20).
43 Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.
L'invito indiretto rivolto ai credenti è di non considerarsi padroni della propria vita (cfr. Lc 7, 24.27): la morte è la personale fine de mondo, che ruba ogni cosa solo a chi non crede.
44 Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo.
Il tenetevi pronti, fa eco a Dt 30,15-20, dove la scelta tra la vita e la morte, tra il bene e il male, è posta nelle mani umane.
CONFRONTI
a) Per una volta sono d’accordo con P. Curtaz: Dio è il grande assente del nostro tempo proprio perché l'uomo non riesce ad essere veramente uomo. Ecco allora l'attesa, l'attesa per eccellenza, l'attesa di Dio.
b) Cito volentieri una considerazione [ne abbiamo fatto cenno sopra] di A. Casati: [la nostra] è una generazione che non si accorge di nulla. Che non ha attenzione e lucidità… Vedete, noi siamo stati educati a guardarci dalla malvagità e dalla violenza. E non sempre ce ne siamo guardati. Non siamo stati educati invece, o lo siamo stati meno, a guardarci dal sonno dello spirito: "Svegliamoci" diceva oggi Paolo "dal sonno", dall'indifferenza, dalla cecità. Di qui questo non accorgersi di nulla, questo non interrogarci sulle questioni fondamentali, questo essere trascinati dagli eventi, risucchiati dal trantran delle cose.
c) Simone Weil ne l’Attesa diDio ha parole di impareggiabile profondità; ne ho estrapolate alcune: Noi abbiamo una patria celeste, ma in un certo senso ci è troppo difficile amarla, perché non la conosciamo e, in un altro senso, è troppo facile amarla, perché non la conosciamo e, in un altro senso, è troppo facile amarla, perché possiamo immaginarla come ci piace. Rischiamo di amare, sotto quel nome, una finzione. Se l’amore di questa finzione è abbastanza forte, qualsiasi virtù diventa facile, ma sarà di poco valore. Amiamo la patria terrena. Essa è reale e resiste all’amore. E’ lei che Dio ci ha dato di amare; e ha voluto che ciò fosse difficile, ma possibile. * Finché nella vita sociale ci sarà la sventura, finché l’elemosina legale o privata e il castigo saranno inevitabili, la separazione fra istituzioni civili e vita religiosa sarà un delitto. L’idea laica, in sé, è del tutto falsa. Può essere in qualche modo giustificabile solo come reazione contro una religione totalitaria. * La religione, per poter essere presente dappertutto, non solo non deve essere totalitaria ma deve mantenersi rigorosamente sul piano dell’amore soprannaturale, l’unico che le si addice. Se così fosse penetrerebbe dappertutto. * Il concetto di morale laica è un’assurdità appunto perché la volontà è impotente a produrre la salvezza. Ciò che si chiama morale, infatti, fa appello solo alla volontà. E proprio a ciò che essa ha, per così dire, di più muscolare. La religione invece corrisponde al d e s i d e r i o  c h e  s a l v a… [se] colmo di umiltà. * L’uomo che ha trovato una perla in un campo vende tutti i suoi beni per acquistare quel campo; non ha bisogno di vangare tutto il campo per dissotterrare la perla, gli basta vendere tutti i suoi beni.
d) Trovo calzante cogliere il senso del contesto delle letture di oggi  attraverso papa Francesco nella Esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’, pubblicata il 26 novembre 2013 [evidenzio a colore le sue precise espressioni]:
La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. * Desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni. * Bisogna recuperare la freschezza originale del Vangelo, trovando nuove strade e metodi creativi, per non imprigionare Gesù nei nostri schemi noiosi. Occorre una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno e occorre una riforma delle strutture ecclesiali perché diventino tutte più missionarie. Bisogna pregare per una conversione del papato perché sia più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali della evangelizzazione; si auspica che le Conferenze episcopali diano un contributo affinché il senso di collegialità si realizzasse concretamente, perché non si è pienamente realizzato; una salutare decentralizzazione, senza la paura di rivedere consuetudini della Chiesa non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia. Segno dell’accoglienza di Dio è avere dappertutto chiese con le porte aperte perché quanti sono in ricerca non incontrino la freddezza di una porta chiusa. * Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Così, l’Eucaristia non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia.  Meglio una Chiesa ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci è che tanti nostri fratelli vivono senza l’amicizia di Gesù. * La più grande minaccia è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando. Non un pessimismo sterile, ma la rivoluzione della tenerezza.
Ancora:
Non la spiritualità del benessere che rifiuta impegni fraterni. E’ da vincere la mondanità spirituale che consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana. Molti si sentono superiori agli altri perché irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato e invece di evangelizzareclassificano gli altri o hanno una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nei bisogni della gente. Questa è una tremenda corruzione con apparenza di beneDio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!
Attenzione a non cadere nelle invidie e nelle gelosie: all’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! ... Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?.  Si richiede la crescita della responsabilità dei laici, tenuti al margine delle decisioni da un eccessivo clericalismo.
Circa le donne nella chiesa: C’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa, in particolare nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti... Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donnenon si possono eludere superficialmente.
I giovani devono avere un maggiore protagonismo. Di fronte alla scarsità di vocazioni non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione.
L’inculturazione: il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale, mentre il volto della Chiesa deve essere pluriforme. Non possiamo pretendere che tutti i popolinell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia.



venerdì 22 novembre 2013

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario Anno C
e ultima dell’Anno liturgico 2012/2013
SOLENNITA’ di
NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
(a chiusura dell’anno della fede)

Dopo aver letto i commenti di parecchi esegeti
sui brani liturgici di questa festività,
non riesco a farla lunga, per motivazioni di carattere laico:
è stridente il contrasto tra celebrazioni ecclesiali e
concreto svolgersi degli eventi odierni.
Qui offro a chi legge scarni, sudati spunti
di studio e di riflessione personale.
Rimando anche a quanto scrivevo in questo stesso blog
il 25 novembre del 2012, commentando la stessa festività,
la quale riportava altre letture bibliche,
in particolare il vangelo di Giovanni 18,33b-37
QUALE CELEBRAZIONE
Questa ‘solennità’ è stata introdotta da papa Pio XI con l’enciclica Quas Primas dell’11 dicembre 1925, dove si afferma: E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun'altra cosa possa maggiormente giovare quanto l'istituzione di una festa particolare e propria di Cristo.
La sua collocazione è nell’anno liturgico, alla fine di un ciclo, al quale la domenica successiva seguirà, con l’Avvento, l’inizio di un nuovo anno.
Dato termine alla narrazione dei momenti salienti della vita e dello svolgimento della missione di Gesù sulla terra, con le letture odierne se ne vuole evidenziare l’epilogo, che si fa inizio del coagularsi di nuclei di discepoli protesi a farsi ecclesia, assemblea, luogo concreto di comunione universale, regno visibile del Regno di Dio sulla terra.
La sostanza del concetto di regalità attribuita a Cristo Gesù è tutta nel concetto di Regno di Dio, Utopia progettuale di un mondo oltre l’orizzonte temporale.
Lo scarto tra l’Utopia progettuale e il suo attuarsi storico va salvaguardato, pena lo svuotamento del progetto stesso; perciò bisogna sgombrare il terreno della sempre-parziale realizzazione terrena dal pericolo della congelazione idolatrica.
Nella religione ebraica messaggeri di tale utopia erano stati i profeti, e Gesù si riallaccia ad essi. Al momento culminante della sua missione affida lo stesso compito ai suoi e alla comunità da loro costituita perché lo consegnino ai posteri. Non è cosa strana che dall’impatto con la concretezza dei fatti, molte contraddizioni si intreccino ai buoni propositi.
A distanza di duemila anni è tempo di chiedersi chi si debba fare carico nella comunità cristiana della trasmissione del messaggio di Gesù. Teoricamente la risposta è pronta e sicura: tutti i fedeli, secondo la propria specifica funzione. Ma le cose non sono così semplici. Perciò oggi, in questa ricorrenza, è bene meditare sui brani proposti dalla liturgia, e limitarsi a fare un confronto d’insieme con la realtà comunitaria, ormai solidificata nell’istituzione.
Alcune note sulla definizione “celebrazione di Cristo Re”.
Spesso si attribuisce alla sua prima introduzione nella chiesa cattolica un significato storico poiché, quando fu istituita, si viveva in un tempo caratterizzato dalla suggestione per i regimi totalitari.
La Comunione anglicana sottolinea la regalità di Cristo nella storia dei popoli e delle singole nazioni, e le cosiddette chiese cristiane, pur nella differenza circa il modo di concepirsi-chiesa, concordano nel proporsi la trasmissione del vangelo dello stesso Cristo, crocifisso nel tempo e risorto nel Sempre eterno.
E’ notevole la possibilità che i componenti di tutte le chiese, compresa la cattolica, divengano destinatari, anziché attori in prima persona della Comunione che si propongono. Questa, per essere tale, non può tollerare una divisione di compiti irrigidita in regole; compiti distribuiti in settori sostanzialmente separati, Soprattutto non può esserci una casta sacerdotale dalle caratteristiche ben note [ci accostiamo al tema marginalmente].
LA LITURGIA ODIERNA (rito romano)
2Sam 5,1-3
In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.
Col 1,12-20
Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le  cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.
Lc 23,35-42
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù] 35 il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36 Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37 e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38 Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». 39 Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40 L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41 Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42 E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». 43 Gli rispose: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso.
Le tre letture sono coordinate e permettono di fare un giro di orizzonte che va
da Davide in 2Sam, conduttore del suo popolo in cammino verso Dio, rappresentante tipico (non unico) dell’investitura divina su persone carismatiche;
a Gesù di Col 1,12-20, che Paolo definisce Figlio di Dio, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione e divenuto capo della Chiesa: dunque egli, da Figlio di Dio (il significato dell’appellativo è ben altro da quello attribuito successivamente nelle chiese cristiane), assume un compito in continuità con i profeti dell’AT; e alla fine del suo percorso terreno inaugura una nuova fase;
a Cristo il quale, interrogato sulla croce dal primo ladrone: Non sei tu il Cristo?  risponde, rivolgendosi al secondo: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso, rivelandosi per quello che è, l’atteso Messia [aveva fatto questa rivelazione alcune volte, in maniera più o meno velata durante la sua missione itinerante, davanti al popolo e in maniera didascalica ai suoi seguaci]. Con questa affermazione ora mette in crisi gli astanti, se l’episodio è veramente accaduto così  come è riportato.
Se si prescinde dalle frasi bibliche, che rivelano una lenta consistente elaborazione del carattere messianico di Gesù, nonché dall’ottica dogmatica, che potrebbe disturbare la comprensione dei testi, si rileva più facilmente l’essenziale, così come lo compendia Paolo nella frase finale del brano di oggi: Cristo è colui che ha pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli [i cieli rappresentano l’universo intero, nel quale ha consistenza la terra]. Infatti Luca vuole evidenziare che con la sua morte si apre l’era nuova di Cristo, capo del corpo della chiesa.
SPIGOLATURE con mie note
Da E.Ronchi: C'è un malfattore, uno almeno che intuisce e usa una espressione rivelatrice: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena... Dio nel nostro patire, Dio sulla stessa croce dell'uomo, Dio vicinissimo nella passione di ogni uomo. Che entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Perché il primo dovere di chi ama è di essere con l'amato. Costui non ha fatto nulla di male. Che bella definizione di Gesù, nitida semplice perfetta: niente di male, per nessuno, mai, solo bene, tutto bene. E si preoccupa fino all'ultimo non di sé ma di chi gli muore accanto … E mentre la logica della nostra storia sembra avanzare per esclusioni, per separazioni, per respingimenti alle frontiere, il Regno di Dio avanza per inclusioni … Dio non guarda alle virtù. Guarda alla povertà, al bisogno, come un padre o una madre guardano al dolore e alle necessità del figlio … allora le porte del cielo resteranno spalancate per sempre per tutti quelli che riconoscono Gesù come loro compagno d'amore e di pena, qualunque sia il loro passato…
Nota - Concordo col fare di Gesù un compagno d’amore e di pena: lo sguardo di Dio si rivela in quello compassionevole di Gesù; [aggiungo] così come si rivela in quello compassionevole degli altri crocefissi della storia, in tacita risposta alla nostra condivisione.
Da L.Manicardi: Gesù abita lo scandalo del Messia perduto che può così raggiungere chiunque si trovi in situazioni di perdizione. Del resto, noi sappiamo che condizione indispensabile per incontrare e aiutare l’altro nella sua sofferenza, è condividere qualcosa della sua impotenza e debolezza. E cita Dietrich Bonhoeffer: Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza e della sua sofferenza … La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare
Nota - Non sono pochi ad essere considerati (in vario modo) Messia, Unti, cioè investiti da Dio del compito di farsi esecutori del suo disegno creativo; investiti nel segno del prendersi-cura degli altri, senza appannaggi di grandezza, nella debolezza dell’impotenza [circa il concetto di ‘impotenza di Dio’ si richiederebbe una precisazione che qui non posso fare].
Da P.Curtaz: La festa di oggi è una provocazione alla nostra tiepida fede, che sfida la nostra fragile contemporaneità, il nostro cristianesimo miope, fatto di piccoli progetti. Cristo è re, significa dire che Lui avrà l'ultima parola sulla storia, su ogni storia, sulla mia storia personale Gesù è venuto a dire Dio, a raccontarloI due ladroni sono la sintesi del diventare discepoli Che re, sbilenco, amici. Un re che indica un altro modo di vivere, che contraddice il nostro "salvare noi stessi" per salvare gli altri o - meglio - per lasciarci salvare da Lui. Siamo onesti, amici: lo vogliamo davvero un Dio così? Un Dio debole che sta dalla parte dei deboli? È questo, davvero, il Dio che vorremmo? Di quale Dio vogliamo essere discepoli? Di quale re vogliamo essere sudditi? Non date risposte affrettate, per favore, altrimenti ci tocca convertirci.
Nota - Mi schermisco contro l’invito del mio principale bersaglio a non dare ‘risposte affrettate’, e lo  rassicuro (!) che io non ho voglia di convertirmi così come, forse, intende lui. A me basta confortarmi, stando in compagnia del leggendario Giobbe che impreca contro Dio, mentre continua a rivolgersi a Lui. E me la prendo anche con una lunga, forse interminabile storia, nella quale si registra un atteggiamento idolatrico, che pesa come un macigno.
Chiarisco il concetto con la seguente confessione.
Provo ripugnanza per l’uso dei termini con i quali si definisce questa ricorrenza liturgica e si fanno commenti esegetici ridondanti, nei quali, tra l’altro, non si riesce a distinguere se parlano di Dio-Padre o di Gesù.
Provo ripugnanza per le artistiche creazioni sul Cristo Pantocrator: di enorme, schiacciante grandezza, dall’atteggiamento di giudice severo, regale, maestoso; come pure per l’iconografia che ha lasciato raffigurazioni di un Gesù dolciastro, affascinante, accarezzando un devozionalismo di maniera, o di un Gesù-tra-i-piccoli, o di certi Cuori-di-Gesù trapassati di spine, eccetera.
Preferisco il volto sorridente e b u o n o di papa Francesco, così come quello di tanti altri, comprese ignorate semplici persone, le quali sanno sorridere ed avere parole attinte alla Fonte misteriosa nascosta nell’intimo del loro cuore. Faccio di papa Francesco soltanto il loro paradigma, così come emerge dall’immagine che lo ritrae quando cammina festoso, accompagnato di ragazzini con in mano palloncini colorati.
Mi resta un dubbio: se sono convinta che la vera figura di Gesù è, come recita Paolo nella seconda lettura, immagine del Dio invisibile; se sono altrettanto convinta che sarà forse impossibile liberarsi dell’alone mitico del quale tale immagine viene avvolta e tradita nel mondo religioso e laico, perché lavoro tanto alacremente a smontare ciò che è stato montato?
Ebbene: non è su questo lavoro che conto, bensì sulla mia testarda voglia di scegliermi amici, dotti ed indotti, con i quali condividere i miei ‘crucci religiosi’ e i miei barlumi di speranza. Tra questi amici annovero il primo Francesco (di Assisi), e assieme a lui non mi stanco di ripetere: mio Dio, mio tutto.


Vedo che parecchie persone di questa lista non sanno utilizzare il blog per apporre commenti personali: basterebbe cliccare alla voce commenti e inserire il proprio nome o pseudonimo alla voce nome o URL. (Se non riuscite tutto come al solito).

venerdì 15 novembre 2013

XXXIII DOMENICA T.O. anno C

17 novembre 2013 XXXIII DOMENICA T.O. anno C
Malachìa 3, 19-20°
Ecco: sta per venire il giorno rovente come un forno.
Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà –dice il Signore degli eserciti– fino a non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia.
2Tessalonicesi 3, 7-12
Fratelli, sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità.
Luca 21, 5-19
In quel tempo, 5 mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, disse: 6 Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta. 7 Gli domandarono: “Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?” 8 Rispose: Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! 9 Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine. 10 Poi diceva loro: Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11 e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. 12 Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13 Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14 Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15 Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16 Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17 sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18 Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19 Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.
PREAMBOLO RIASSUNTIVO
Quasi al termine dell'anno liturgico, si conclude quello che potrebbe essere definito un ciclo di discorsi di Gesù sul tema fondamentale: il rapporto tra vita nel tempo e Vita oltre il tempo. Ha sempre accompagnato tali discorsi il tema della preghiera, che in questa domenica ha un appellativo nel termine perseveranza. E’ questa l’unico modo umano per trovare la bussola, l’orientamento di vita. Sullo sfondo le controversie causate da una mentalità difficile da cambiare perché aggrappata a comode certezze; e perciò le letture di oggi si colorano di diverse tonalità, da quello minaccioso che annunzia la perdizione a quello più rassicurante che invita ad optare per la salvezza totale [lo so, termini come salvezza e perdizione sono poco digeribili nell’età del linguaggio innovativo a tutti i costi].
a) Malachia (etimologicamente si tratta di un nome comune –mio messaggero-, che getta un primo sospetto sull’esistenza concreta della persona) è l’ultimo dei profeti minori. Sono vaghi i riferimenti biografici che ne collocherebbero l’esistenza al periodo di poco posteriore alla ricostruzione del tempio di Gerusalemme nel 520 a.C., avvenuta al ritorno dall’esilio babilonese. Eppure i sei brani del  testo che la tradizione ebraica ci ha lasciati, sono interessanti ed utili; denunziano lo svuotamento ritualistico del significato religioso del tempio e sollecitano l’attesa dell'incontro, che si realizzerà tramite un messaggero (Giovanni Battista? Così fa supporre l’odierno accorpamento liturgico della lettura di Malachia alle altre), destinato a discernere gli empi dai fedeli.
b) Paolo nel tratto che oggi leggiamo della seconda lettera ai Tessalonicesi si ferma a considerare un aspetto fondamentale dell’impegno missionario cristiano: la rinunzia ad ogni sorta di pur-dovuta rimunerazione, almeno a livello di sussistenza. Il radicalismo dei portatori della Parola ha bisogno di quella tangibilità che permetta a chi ascolta di cogliere in essi ogni assenza di interesse individuale: l’utopia deve rivestirsi di caratteri estremi, se vuole rompere la spessa coltre dell’appiattimento umano sui modi usuali del vivere e del pensare. Il biblista A. Casati sottolinea le due risposte di Paolo date a: 1) i super-fanatici del ‘ritorno del Signore’: Non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, abbiamo lavorato con fatica e sforzo, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi; 2) i super-agitati: A questi ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace. La concretezza di questi due moniti è richiamo forte a ricavare insegnamenti di vita da quanto leggiamo.
c) Luca presenta Gesù che, in prossimità della Pasqua, si reca da pellegrino, come ogni pio giudeo, al Tempio di Gerusalemme. Alcuni parlano con ammirazione della sua straordinaria bellezza (anche perché in seguito alla ricostruzione avvenuta dopo l'esilio babilonese nel 515 a.C. è stato ampliato negli anni 20 a.C.-64 d.C).
Il conflitto tra Gesù e i suoi avversari è alle ultime battute, quando all’evangelista risulta chiaro che la sua comunità, ostinatamente chiusa nel suo sistema religioso, si pone dalla parte di coloro che rifiutano di farsi discepoli di uno che si presenta in forma umile, da sconfitto. 
Lungi dal parlare della fine del mondo e degli eventi che la precederanno, il riferimento è ad essi (eventi), in quanto occasione di martyria, testimonianza (v.13). E se degli sconosciuti e innominati ammirano le belle pietre (v.5) del tempio e i doni votivi che lo adornano, invece Gesù ne vede la fine prossima: le realizzazioni umane, siano pure le più sante e spirituali, sono caduche; perciò vanno viste come segni della venuta del Signore. Per rendersene conto e non cadere nell’inganno ci va discernimento: questo è il senso dell’invito di Gesù v.8 non seguiteli (invito-comando che corrisponde al seguitemi, usato nello stesso Luca in altri contesti).
Su questa piattaforma si innerva la raccomandazione fondamentale di resistere a perservare nelle prove. Come scrive Dietrich Bonhoeffer dal carcere di Tegel nel 1944: in tempi particolarmente duri e difficili dovremo resistere più che avanzare.
Luca, a differenza di Matteo e di Marco che la riservano ai discepoli nel monte degli ulivi, indirizza tale raccomandazione al popolo [oggi diremmo ‘a tutti’]. La comunità cristiana è la prima destinataria del messaggio di Gesù, ma sotto l’aspetto funzionale. Torna a proposito il passo famoso del trattatello anonimo noto come “Discorso a Diogneto”: I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio né per lingua né per costumi... Abitano nella propria patria, ma come pellegrini; partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma da tutto sono distaccati come stranieri; ogni nazione è la loro patria e ogni patria è una nazione straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non espongono i loro nati. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita superano le leggi...
SCARNA ANALISI DEL TESTO DI LUCA
5 Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, disse:
Gesù si trova ancora nel tempio, dove si sono svolte le dispute con i diversi partiti giudaici (vedi cap. 20), e risponde a qualcuno che di mezzo al popolo ammira la bellezza della costruzione e dei doni votivi. 
6 Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta. 
Si potrebbe trattare di un detto isolato, utilizzato per introdurre il discorso successivo. La sua formulazione ripete quella dello stesso Luca in 19,44, dove però parla della distruzione di Gerusalemme. L'espressione non sarà lasciata pietra su pietra, insolita e suggestiva, ricorda il modo usuale del parlare di Gesù. Certamente Luca la può utilizzare quando l’evento è stato confermato storicamente: siamo di fronte, non ad una profezia, bensì ad una occasione attraverso la quale introdurre il discorso di carattere escatologico. 
7 Gli domandarono: "Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?". 
Ecco la richiesta di un segno, anziché di una profezia di carattere apocalittico. Luca usa il verbo ginestai, accadere, a differenza di Marco che usa il termine syntelesthai, che significa il compiersi della fine del mondo.
8 Rispose: Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io", e: "Il tempo è vicino". Non andate dietro a loro! 
Il Sono io, posto in bocca ai falsi profeti, richiama le immagini errate dell’idolatria, che riducono Dio ad un oggetto da manipolare, ad un dio-tappabuchi (secondo l’immagine usata da Bonhöffer), ad un dio-medusa, che cambia secondo la volontà umana. E’ notevole la differenza tra l’Io sono dei falsi profeti e l’Io sono rivelato ad Abramo, Isacco, Giacobbe, o della preghiera di Mosè in Esodo: Mostrami il tuo volto, o Signore; o del Dio di Osea, 11,1.3-4, che corre incontro al suo popolo e si prende cura di esso, inchinandosi per sollevarlo.
L'affermazione il tempo è vicino rende evidente il riferimento alla comunità cristiana, la quale immaginava imminente il giorno finale. 
9 Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine.
Luca inserisce una prospettiva storica attraverso l'utilizzo di espressioni temporali: prima e non la fine (sulla quale, invece, si sofferma Marco).
10 Poi diceva loro: Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno,
11 e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. 
Luca fa una distinzione tra i fatti storici e politici ricorrenti e i segni naturali e cosmici che preludono la parusia.
12 Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome.
Il prima di tutto questo è ancora un richiamo al tempo presente: le persecuzioni da parte sia dei Giudei sia dei pagani, non sono segni premonitori della fine dei tempi; appartengono alla storia di tutti i tempi (della chiesa; ma fa capolino ogni tipo di società). Va notato che la persecuzione è tipica della sequela: a causa del mio nome.
13 Avrete allora occasione di dare testimonianza. 
Si avverte la preoccupazione di Luca di voler infondere fiducia alla sua comunità (manca infatti il severo avvertimento di Mc 13,9). 
14 Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa;
Nella raccomandazione non si cita lo Spirito Santo; ma del resto per Luca non è il Risorto a donare lo Spirito (Lc 24,48ss.; At 2,33).
15 io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Luca dà ai suoi un avvertimento: la diffusione del vangelo avviene sì in modo irresistibile, ma attraverso la tribolazione (negli Atti invece sono riprodotti accaduti nei quali la promessa diviene realtà). L’invito a non difendersi sottolinea la necessità della testimonianza.
16 Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi;
17 sarete odiati da tutti a causa del mio nome.
Stupiscono i termini pessimisti: l’avvertimento vuole essere severo.
18 Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 
Ecco un proverbio, usato da Luca anche altrove, conosciuto anche nell'AT; ma non è chiaro il suo legame con il contesto, il quale è in linea con il carattere esortativo e incoraggiante di tutto il testo. 
19 Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita. 
Per capire il senso della frase bisogna risalire a ben sette secoli prima, quando Sennacherib, il temibile re di Assiria, dopo aver devastato ben 46 città, cinse d’assedio Gerusalemme; ebbene, quando si pensava che ormai il giorno dopo per loro sarebbe stato la fine, la notte portò una grande sorpresa: al mattino non c’erano più gli occupanti; Sennacherib aveva tolto le tende.
GUARDANDO ALL’OGGI
Uso una citazione (fresca di conio) di P.Curtaz perché, sia pure con mie parole, avrei usato gli stessi suoi toni descrittivi sulla situazione attuale (nel ritratto della quale manca un cenno al disastro naturale avvenuto nelle Filippine e dintorni).
Nell’ultima parte della citazione non posso fare a meno di aggiungere una nota in cui esprimo la ma diversità.
Le vicende del mondo inquietano, un poco rimpiango la beata ignoranza dei tempi che furono e il rassegnato fatalismo di chi, ad esempio, riceveva a mezzo posta la notizia di dover andare a morire sul Carso per una guerra pensata da qualche genio della politica e cultore del nazionalismo. 
Oggi, invece, se sei proprio sadico ti inviano le notizie anche sul cellulare: l'Afghanistan è in fiamme, la situazione in Iraq è una catastrofe, l'economia ristagna, la politica fa fuggire a gambe levate le persone normali, il tasso di litigiosità delle persone è astronomico. Il piccolo villaggio globale ormai incide anche sulla pelle del singolo cittadino: gli amici del Veneto sono stati invasi dall'acqua, quelli di Napoli dalla monnezza, la stragrande maggioranza dei miei coetanei non ha un lavoro degno di questo nome e vorrebbero imbracciare un fucile se solo sapessero a chi sparare... Per non parlare delle vicende personali. Ricevo decine di mail ogni giorno. Rispondo a tutti, in maniera insufficiente, vi chiedo scusa, ma tutti porto nella mia povera preghiera di credente. E allora divento una discarica: affido al Signore Gianni che ha perso la splendida moglie e resta con tre figli da crescere, l'ansia di G. e M. per il loro figlio con una malattia che nessuno riesce a diagnosticare, lo scoraggiamento di G., grande artista, che vede il suo figlio adottivo, ormai adulto, completamente folle. 
Chi vive con un minimo di consapevolezza e magari si sta convertendo (non tutto di colpo che ha delle pesanti controindicazioni!), dopo anni passati a combattere per il Vangelo, è ancora più stordito. Le cose non vanno nella Chiesa: lentezze, rigidità, incoerenze dei cristiani, la tragedia della pedofilia, il triste ritorno al neoclericalismo e l'afasia dei vescovi. E lo sport che d'ogni tanto emerge della caccia al cattolico, sempre più violento (noi prestiamo molto il fianco!) ripercorrendo i buoni vecchi stereotipi della Chiesa reazionaria e cloro-al.clero e il potere del Vaticano (e basta!).
Ad un tratto la descrizione prende un’altra piega (nella quale non manca qualche giravolta):
E se la vita fosse davvero un coacervo inestricabile di luce e di tenebre che mastica e tritura ogni emozione e ogni sogno? E se Dio - tenero! - avesse esagerato con l'idea della libertà degli uomini e del fatto che l'uomo può farcela da solo? 
No, dice Gesù, state sereni. Non sono questi i segni della fine, come qualche predicatore insiste nel dire. Non sono questi i segnali di un mondo che precipita nel caos….
Lo dico ufficialmente… preferisco crogiolarmi nelle mie vere o presunte disgrazie, preferisco lamentarmi di tutto e di tutti, vivere nella rabbia cronica. Preferisco cento volte lamentarmi del mondo brutto sporco e cattivo ed eventualmente costruirmi una piccola setta cattolica molto devota in cui ci troviamo bene (almeno all'inizio poi, è statistico, facciamo come il mondo cattivo!). Preferisco fare a modo mio, accipicchia! 
Ma se proprio devo fare come vuoi tu, Signore, allora libera il mio cuore dal peso del peccato, dall'incoerenza profonda, dalla tendenza all'autolesionismo che mi contraddistingue e rendimi libero, in attesa del tuo Regno.
Troppo facile passare dal pessimismo più nero all’ottimismo attraverso una riflessione, accompagnata da una preghiera.
Io, che prego all’incirca come l’autore citato, non ottengo lo stesso risultato magico.
La mia preghiera resta puro gemito, e non per le mie sofferenze e per i miei limiti, ma per le sofferenze che alcune persone mi fanno palpare DA VICINO. Queste rivelano soltanto rabbia perché toccate da un punto di vista esistenziale durissimo, disperante.
Dopo tutto i ‘pastori d’anima’ sono al sicuro anche quando scelgono ‘uno stile di povertà’; il loro status fa da scudo, a differenza di quello dei poveri che hanno unicamente, quando ce l’hanno, il diritto di arrabbiarsi o mugugnare.
Io preferisco essere contagiata da questi, e reagire come Giobbe, forse insultando Dio.
C’è di più: mi accorgo che lo stesso mio perseverare nella preghiera, sia pur rabbiosa, è qualcosa di non-mio: l’ho acquisito nella formazione religiosa della quale mi hanno rivestita. Perciò cerco l’unica cosa vera e concreta: il contatto con gli arrabbiati, di cui sopra.
Ed è già tanto che Dio non mi fulmini.