venerdì 22 novembre 2013

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario Anno C
e ultima dell’Anno liturgico 2012/2013
SOLENNITA’ di
NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
(a chiusura dell’anno della fede)

Dopo aver letto i commenti di parecchi esegeti
sui brani liturgici di questa festività,
non riesco a farla lunga, per motivazioni di carattere laico:
è stridente il contrasto tra celebrazioni ecclesiali e
concreto svolgersi degli eventi odierni.
Qui offro a chi legge scarni, sudati spunti
di studio e di riflessione personale.
Rimando anche a quanto scrivevo in questo stesso blog
il 25 novembre del 2012, commentando la stessa festività,
la quale riportava altre letture bibliche,
in particolare il vangelo di Giovanni 18,33b-37
QUALE CELEBRAZIONE
Questa ‘solennità’ è stata introdotta da papa Pio XI con l’enciclica Quas Primas dell’11 dicembre 1925, dove si afferma: E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun'altra cosa possa maggiormente giovare quanto l'istituzione di una festa particolare e propria di Cristo.
La sua collocazione è nell’anno liturgico, alla fine di un ciclo, al quale la domenica successiva seguirà, con l’Avvento, l’inizio di un nuovo anno.
Dato termine alla narrazione dei momenti salienti della vita e dello svolgimento della missione di Gesù sulla terra, con le letture odierne se ne vuole evidenziare l’epilogo, che si fa inizio del coagularsi di nuclei di discepoli protesi a farsi ecclesia, assemblea, luogo concreto di comunione universale, regno visibile del Regno di Dio sulla terra.
La sostanza del concetto di regalità attribuita a Cristo Gesù è tutta nel concetto di Regno di Dio, Utopia progettuale di un mondo oltre l’orizzonte temporale.
Lo scarto tra l’Utopia progettuale e il suo attuarsi storico va salvaguardato, pena lo svuotamento del progetto stesso; perciò bisogna sgombrare il terreno della sempre-parziale realizzazione terrena dal pericolo della congelazione idolatrica.
Nella religione ebraica messaggeri di tale utopia erano stati i profeti, e Gesù si riallaccia ad essi. Al momento culminante della sua missione affida lo stesso compito ai suoi e alla comunità da loro costituita perché lo consegnino ai posteri. Non è cosa strana che dall’impatto con la concretezza dei fatti, molte contraddizioni si intreccino ai buoni propositi.
A distanza di duemila anni è tempo di chiedersi chi si debba fare carico nella comunità cristiana della trasmissione del messaggio di Gesù. Teoricamente la risposta è pronta e sicura: tutti i fedeli, secondo la propria specifica funzione. Ma le cose non sono così semplici. Perciò oggi, in questa ricorrenza, è bene meditare sui brani proposti dalla liturgia, e limitarsi a fare un confronto d’insieme con la realtà comunitaria, ormai solidificata nell’istituzione.
Alcune note sulla definizione “celebrazione di Cristo Re”.
Spesso si attribuisce alla sua prima introduzione nella chiesa cattolica un significato storico poiché, quando fu istituita, si viveva in un tempo caratterizzato dalla suggestione per i regimi totalitari.
La Comunione anglicana sottolinea la regalità di Cristo nella storia dei popoli e delle singole nazioni, e le cosiddette chiese cristiane, pur nella differenza circa il modo di concepirsi-chiesa, concordano nel proporsi la trasmissione del vangelo dello stesso Cristo, crocifisso nel tempo e risorto nel Sempre eterno.
E’ notevole la possibilità che i componenti di tutte le chiese, compresa la cattolica, divengano destinatari, anziché attori in prima persona della Comunione che si propongono. Questa, per essere tale, non può tollerare una divisione di compiti irrigidita in regole; compiti distribuiti in settori sostanzialmente separati, Soprattutto non può esserci una casta sacerdotale dalle caratteristiche ben note [ci accostiamo al tema marginalmente].
LA LITURGIA ODIERNA (rito romano)
2Sam 5,1-3
In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.
Col 1,12-20
Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le  cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.
Lc 23,35-42
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù] 35 il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36 Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37 e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38 Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». 39 Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40 L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41 Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42 E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». 43 Gli rispose: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso.
Le tre letture sono coordinate e permettono di fare un giro di orizzonte che va
da Davide in 2Sam, conduttore del suo popolo in cammino verso Dio, rappresentante tipico (non unico) dell’investitura divina su persone carismatiche;
a Gesù di Col 1,12-20, che Paolo definisce Figlio di Dio, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione e divenuto capo della Chiesa: dunque egli, da Figlio di Dio (il significato dell’appellativo è ben altro da quello attribuito successivamente nelle chiese cristiane), assume un compito in continuità con i profeti dell’AT; e alla fine del suo percorso terreno inaugura una nuova fase;
a Cristo il quale, interrogato sulla croce dal primo ladrone: Non sei tu il Cristo?  risponde, rivolgendosi al secondo: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso, rivelandosi per quello che è, l’atteso Messia [aveva fatto questa rivelazione alcune volte, in maniera più o meno velata durante la sua missione itinerante, davanti al popolo e in maniera didascalica ai suoi seguaci]. Con questa affermazione ora mette in crisi gli astanti, se l’episodio è veramente accaduto così  come è riportato.
Se si prescinde dalle frasi bibliche, che rivelano una lenta consistente elaborazione del carattere messianico di Gesù, nonché dall’ottica dogmatica, che potrebbe disturbare la comprensione dei testi, si rileva più facilmente l’essenziale, così come lo compendia Paolo nella frase finale del brano di oggi: Cristo è colui che ha pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli [i cieli rappresentano l’universo intero, nel quale ha consistenza la terra]. Infatti Luca vuole evidenziare che con la sua morte si apre l’era nuova di Cristo, capo del corpo della chiesa.
SPIGOLATURE con mie note
Da E.Ronchi: C'è un malfattore, uno almeno che intuisce e usa una espressione rivelatrice: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena... Dio nel nostro patire, Dio sulla stessa croce dell'uomo, Dio vicinissimo nella passione di ogni uomo. Che entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Perché il primo dovere di chi ama è di essere con l'amato. Costui non ha fatto nulla di male. Che bella definizione di Gesù, nitida semplice perfetta: niente di male, per nessuno, mai, solo bene, tutto bene. E si preoccupa fino all'ultimo non di sé ma di chi gli muore accanto … E mentre la logica della nostra storia sembra avanzare per esclusioni, per separazioni, per respingimenti alle frontiere, il Regno di Dio avanza per inclusioni … Dio non guarda alle virtù. Guarda alla povertà, al bisogno, come un padre o una madre guardano al dolore e alle necessità del figlio … allora le porte del cielo resteranno spalancate per sempre per tutti quelli che riconoscono Gesù come loro compagno d'amore e di pena, qualunque sia il loro passato…
Nota - Concordo col fare di Gesù un compagno d’amore e di pena: lo sguardo di Dio si rivela in quello compassionevole di Gesù; [aggiungo] così come si rivela in quello compassionevole degli altri crocefissi della storia, in tacita risposta alla nostra condivisione.
Da L.Manicardi: Gesù abita lo scandalo del Messia perduto che può così raggiungere chiunque si trovi in situazioni di perdizione. Del resto, noi sappiamo che condizione indispensabile per incontrare e aiutare l’altro nella sua sofferenza, è condividere qualcosa della sua impotenza e debolezza. E cita Dietrich Bonhoeffer: Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza e della sua sofferenza … La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare
Nota - Non sono pochi ad essere considerati (in vario modo) Messia, Unti, cioè investiti da Dio del compito di farsi esecutori del suo disegno creativo; investiti nel segno del prendersi-cura degli altri, senza appannaggi di grandezza, nella debolezza dell’impotenza [circa il concetto di ‘impotenza di Dio’ si richiederebbe una precisazione che qui non posso fare].
Da P.Curtaz: La festa di oggi è una provocazione alla nostra tiepida fede, che sfida la nostra fragile contemporaneità, il nostro cristianesimo miope, fatto di piccoli progetti. Cristo è re, significa dire che Lui avrà l'ultima parola sulla storia, su ogni storia, sulla mia storia personale Gesù è venuto a dire Dio, a raccontarloI due ladroni sono la sintesi del diventare discepoli Che re, sbilenco, amici. Un re che indica un altro modo di vivere, che contraddice il nostro "salvare noi stessi" per salvare gli altri o - meglio - per lasciarci salvare da Lui. Siamo onesti, amici: lo vogliamo davvero un Dio così? Un Dio debole che sta dalla parte dei deboli? È questo, davvero, il Dio che vorremmo? Di quale Dio vogliamo essere discepoli? Di quale re vogliamo essere sudditi? Non date risposte affrettate, per favore, altrimenti ci tocca convertirci.
Nota - Mi schermisco contro l’invito del mio principale bersaglio a non dare ‘risposte affrettate’, e lo  rassicuro (!) che io non ho voglia di convertirmi così come, forse, intende lui. A me basta confortarmi, stando in compagnia del leggendario Giobbe che impreca contro Dio, mentre continua a rivolgersi a Lui. E me la prendo anche con una lunga, forse interminabile storia, nella quale si registra un atteggiamento idolatrico, che pesa come un macigno.
Chiarisco il concetto con la seguente confessione.
Provo ripugnanza per l’uso dei termini con i quali si definisce questa ricorrenza liturgica e si fanno commenti esegetici ridondanti, nei quali, tra l’altro, non si riesce a distinguere se parlano di Dio-Padre o di Gesù.
Provo ripugnanza per le artistiche creazioni sul Cristo Pantocrator: di enorme, schiacciante grandezza, dall’atteggiamento di giudice severo, regale, maestoso; come pure per l’iconografia che ha lasciato raffigurazioni di un Gesù dolciastro, affascinante, accarezzando un devozionalismo di maniera, o di un Gesù-tra-i-piccoli, o di certi Cuori-di-Gesù trapassati di spine, eccetera.
Preferisco il volto sorridente e b u o n o di papa Francesco, così come quello di tanti altri, comprese ignorate semplici persone, le quali sanno sorridere ed avere parole attinte alla Fonte misteriosa nascosta nell’intimo del loro cuore. Faccio di papa Francesco soltanto il loro paradigma, così come emerge dall’immagine che lo ritrae quando cammina festoso, accompagnato di ragazzini con in mano palloncini colorati.
Mi resta un dubbio: se sono convinta che la vera figura di Gesù è, come recita Paolo nella seconda lettura, immagine del Dio invisibile; se sono altrettanto convinta che sarà forse impossibile liberarsi dell’alone mitico del quale tale immagine viene avvolta e tradita nel mondo religioso e laico, perché lavoro tanto alacremente a smontare ciò che è stato montato?
Ebbene: non è su questo lavoro che conto, bensì sulla mia testarda voglia di scegliermi amici, dotti ed indotti, con i quali condividere i miei ‘crucci religiosi’ e i miei barlumi di speranza. Tra questi amici annovero il primo Francesco (di Assisi), e assieme a lui non mi stanco di ripetere: mio Dio, mio tutto.


Vedo che parecchie persone di questa lista non sanno utilizzare il blog per apporre commenti personali: basterebbe cliccare alla voce commenti e inserire il proprio nome o pseudonimo alla voce nome o URL. (Se non riuscite tutto come al solito).

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