venerdì 26 aprile 2013

V domenica di Pasqua


28 aprile 2013 V Domenica di Pasqua Anno C
Atti 14, 21b-27; Apocalisse 21, 2-5a

Giovanni 13, 31-33a.34-35
31 Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: “Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32 Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33 Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: Dove vado io, voi non potete venire. 34 Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35 Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.

Premessa
I pochi pregnanti versetti di Giovanni riportati nel brano della liturgia di oggi pongono non pochi interrogativi, primo fra tutti, come in ogni discorso attribuito a Gesù, quello che divide la sostanza del messaggio lanciato dall’evangelista alla sua comunità dalla sua fedeltà alla verità storica. Non si può mettere in dubbio che Gesù abbia trasmesso l’essenziale di quanto è rimasto impresso nel ricordo dei suoi seguaci, altrimenti non ne sarebbe risultata la scrittura evangelica. Ma urge fare dei distinguo tra il ricordo e la parola scritta. Altrimenti i due piani si confondono e non si può discernere, attraverso la verità relativa (alla temporalità), la traccia dell’unica Verità (trascendente) che può illuminarla.
Dalle poche impegnative analisi esegetiche (raccolte in questo blog dagli studiosi), si può desumere con certezza che a) nessuna frase attribuita a Gesù può essere considerata letteralmente autentica; b) il grande messaggio di Gesù all’umanità è stato rilanciato sulla linea della tradizione profetica dell’Antica Alleanza; c) difficilmente si può uscire dalle bimillenarie coordinate attraverso cui la pastorale e la catechesi trasmettono il risultato dell’assetto teologico, liturgico ed autoritativo dei capisaldi di una fede normata, dai precisi contorni; d) ma forse è doveroso, per chi ha sete di Verità più che di certezze, porsi  nella linea profetico-mistica, che attraversa la storia e di cui l’umanità ha un estremo bisogno; e) è colma di falsità ogni paura tesa ad evitare eviti la tentazione di accodarsi e di adattarsi ad una comoda inerzia; f) il coraggio della speranza inculcato da papa Francesco può venire in soccorso dei volenterosi; tra cui certamente sono da escludere i superficiali, incapaci di reggere la fatica di impegnarsi a capire, termine che significa farsi capienti, accoglienti della Luce che emana dall’Alto ed è nascosta nelle profondità del cuore umano.  
Parziale analisi dei versetti 
I versetti sono tratti dal cap. 13, dove è contenuto il ‘discorso’ di addio di Gesù, quale compendio del suo compito nella terra.
13,31“Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. La gloria è segno della presenza di Dio nella Bibbia, la quale nel deserto era nube che accompagnava il popolo. Il vangelo usa molte volte il termine "gloria", doxa, che vuol dire lett. mostrarsi, farsi vedere. La gloria è il mostrarsi, il farsi vedere dell’invisibile Dio. Gesù è la gloria di Dio perché in lui Egli si è fatto vedere. L'uomo è  altrettanto gloria di Dio quando nella sua vita sa cogliere la sua presenza.  Giovanni usa il verbo al passato, glorificato, per indicare che Gesù ha fatto il primo passo verso la gloria attraverso la croce, la quale è risurrezione, passaggio alla Vita senza fine. E non è da ritenere che la visione di Giovanni si riferisca ad una realtà proiettata nel futuro idealizzato: morte e risurrezione sono sostanza della vita cristiana quotidiana.
13,33 “Figlioli”. E’ l’unica volta che appare il termine figlioli, letteralmente bambini. Gesù, manifestando tenerezza, rivela il volto del Padre sulla terra.
13,34 “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”. Il comandamento è nuovo perché rinnovato dall’impegno del vero seguace di Cristo. “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi”: il come di questo amore non indica solo la misura (comparazione) di questo amore, ma la causa: si è capaci di amare come Gesù nella misura in cui si fa ciò che, e nel modo in cui, lui lo ha fatto.
E’ necessaria una messa a punto per indicare il duplice senso da dare alla novità del comandamento dell’amore:
a) E’ vero che l’amore di Dio qualifica l’amore verso il prossimo, in quanto lo rende saldamente ancorato alla Fonte dell’amore e da ciò scaturisce la sua fecondità; ma c’è il pericolo di appiattirlo su un umanesimo antropologico il quale non ha nulla a che fare con l’essenza dell’amore stesso. L’insistenza sul fatto che nell’altro essere umano ci sia –tout court- Dio, trascura l’aspetto rivelativo del farsi vedere, manifestarsi di Dio nell’essere umano. Per riconoscere Dio nell’altro è necessario che sia Lui punto fermo di riferimento di tale rivelazione. L’aspetto relazionale gli uni gli altri deve essere illuminato dal manifestarsi della gloria di Dio attraverso il Figlio: non c’è figliolanza senza comune paternità. Quindi nel come la dimensione orizzontale invoca quella verticale. L‘orizzontale da sola può essere annoverata tra i valori umani che fecondano la storia attraverso la solidarietà, soprattutto se impreziosita dal senso della fraternità. Ma chiave evangelica per capire la comparazione è nel v.32“Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”. Senza rapporto verticale ogni valore umano è illusorio; perfino la bellezza si alimenta al tocco della trascendenza; quale capolavoro resisterà al tempo in cui tutto è destinato a finire? Tutti i valori umani trasportano oltre l’umano, e solo per questo resisteranno ad ogni distruzione.
Le perplessità Nell’attuale momento storico
Le perplessità sono prezioso segno che ancora c’è la possibilità di sottrarsi alla morsa della vorace distruttività propria della società mass-meditaica, fatta di estrema velocizzazione.
Chi ha il coraggio proprio del cercatore di Verità di dire a se stesso e a tutti che non può bastare nessuna verità storica? I profeti non hanno pagato caro la loro fedeltà al barlume di Verità presente in se stessi?
Papa Francesco che celebra riti e indossa le vesti dell’apparato, che rispetta le formule usuali, che perfino autorizza (come potrebbe fare altrimenti?) l’aureola da conferire a sempre nuovi santi, lascia intravedere un quid di notevole capacità ad adeguarsi alla voglia celebrativa, ma senza perdere di vista la necessità di andare oltre. Sono sicura che la sua pazienza della storia non sarà sterile, come non è stata sterile la traccia lasciata da pochi, e forse non-pochi, che l’hanno preceduto.
Preghiera
Gesù, mi basta che tu sia mio fratello. Il tuo volto umano illuminato dal Volto nascosto di Dio, risplenda sull’umanità TUTTA, non chiusa in alcun comodo confine. La storia ce la potrà fare a superare ambiguità, contrapposizioni estreme, storture di ogni tipo, se la fede predicata ed esaltata come santità codificata, diventerà lievito di apertura al divino. Voglio con te ripetere il dacci oggi il nostro pane quotidiano  e contare, prima che su un impegno umano di fedeltà, sul modello di figliolanza che tu ci hai consegnato,

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venerdì 19 aprile 2013

IV domenica di Pasqua: IL BUON PASTORE



21 aprile 2013 IV Domenica di Pasqua Anno C
Atti 13, 14.43-52; Apocalisse 7, 9.14b-17
Giovanni 10, 27-30
In quel tempo, Gesù disse: 27 “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29 Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola".
L’IMMAGINE DEl BUON PASTORE
a) LA LITURGIA DE GIORNO
Nella quarta domenica di Pasqua la liturgia offre un piccolo brano, tolto dal discorso nel quale Gesù si presenta come il Buon Pastore. Nello stesso tempo si celebra la Chiamata, la Vocazione a farsi guida delle comunità. Tale associazione fa dell'immagine del Buon Pastore il modello della sequela.
Il segreto per rispondere adeguatamente alla chiamata consiste nel vivere la stessa relazione di Gesù col Padre, attraverso la conoscenza divina, sostanziata di relazione sponsale, di reciprocità, in cui non c’è un prima e un di più tra Maestri e seguaci. Bene sintetizza tale idea teologica di parità Gv 10,27: Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le amo (conosco) ed esse mi seguono”
b) ORIGINE DELL’IMMAGINE del Buon Pastore
L'immagine deI BUON PASTORE era frequente nel repertorio mitologico artistico romano quale auspicio di pace per i defunti. L’arte paleocristiana vi si ispira e nel medesimo tempo si radica nel mondo ebraico che rifiuta l’immagine.
Il popolo ebraico, nomadico, e quindi legato alla vita pastorale spesso in tensione con l’aspirazione alla vita sedentaria, vive tale contrasto, come risulta dalla scena di Abele, pastore, e Caino, agricoltore.
Il nomadismo resta una componente fondamentale dell’esperienza ebraica anche sulla base della vicenda esodica, del vagare per quaranta anni nelle steppe del Sinai.
Nelle prime comunità cristiane l’immagine del Buon Pastore assume tonalità improntate all’ambiente romano fortemente figurativo, passando attraverso il simbolismo ellenistico. Basti ricordare la pittura dei cubicoli, nei sarcofagi e anche nelle epigrafi, segno dell’anima portata nella pace, da Cristo Buon Pastore, o Bel Pastore (secondo l’originale greco) che va in cerca della pecorella smarrita, usata da Gesù stesso nella parabola (Lc.15,3-7; Gv.10,11-16).
E' di rilievo la caratteristica dell’anti-tipo del Buon Pastore, il MERCENARIO, che nell’Antica Alleanza incarnava il lavoratore salariato assunto a giornata con una mercede pattuita volta per volta e versata a lui prima del tramonto del sole, al termine della sua prestazione (Levitico 19,13). Lo stesso concetto si ritroverà nella Nuova Alleanza, come in Matteo 20,1-16 nella parabola dei lavoratori mandati nella vigna a ore diverse.
c) SIGNIFICATO TEOLOGICO DI TALE IMMAGINE
Sia nell’Antica, sia nella Nuova Alleanza, caratteristica del buon pastore è quella di non mettersi in salvo, sfamarsi o dissetarsi indipendentemente dal suo gregge, a differenza dei pastori – i capi politici e religiosi – che non curano gli interessi di coloro di cui si dichiarano guide. Questi ultimi, come leggiamo in Ezechiele 34, sono preoccupati di “nutrirsi di latte, di rivestirsi di lana, di ammazzare le pecore più grasse, ignorando le pecore deboli, non curando le inferme, non fasciando le ferite, non riportando le disperse”.
d) L’ANTEFATTO DEL TESTO DI GIOVANNI
Nella PRIMA LETTURA è evidente il carattere teologico della prima predicazione pastorale. Paolo e Barnaba, forti della propria testimonianza, annunciano la Parola del Signore a molti e li conducono al battesimo. Sono consapevoli che le opere sono la conseguenza, non di uno sforzo personale, ma dell’adesione totale all’essere relazionale di Dio: Gv 10,30 “Io e il Padre siamo uno”. Detto in altre parole, la cosiddetta pastorale deve porre al centro, sull'esempio di Gesù, la dimensione relazionale piuttosto che quella funzionale o organizzativa.
Nella SECONDA LETTURA gli eletti sono un numero incalcolabile. La chiesa nascente vede abbattuto in Gesù ogni confine: Io, Giovanni, vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua.
GIOVANNI, 10,27-30
Nei tre versetti del vangelo di oggi l’estensore evangelico si dimostra imbevuto dell’esperienza concreta e teologica della chiesa primitiva che riprende la figura del mercenario per alludere ai sacerdoti, agli scribi, ai politici del tempo o agli zeloti, i ribelli anti-romani: tutti pronti a raggiungere i propri scopi e a tutelare i propri interessi, non certo a donare la vita per il gregge. Come nell’Antica Scrittura l’assillo preminente dei profeti era la formazione di buoni pastori per il popolo, così il Gesù di cui parla Giovanni si presenta come prototipo dell’intesa relazionale tra Dio e i suoi eletti: Gesù parla e le pecore lo ascoltano e seguono; dona loro la vita eterna ed esse non andranno mai perdute perché nessuno le potrà mai strappare dalla sua mano.
Giovanni insiste sull'idea che Gesù è il solo Pastore, il modello di tutti i pastori e che tutti gli altri sono ladri e briganti. Gli attacchi possono riguardare anzitutto i capi della sinagoga, ma inevitabilmente ricadono sui capi delle prime chiese: è evidente la venatura polemica che il brano conserva e che ne impedisce ogni interpretazione sentimentale e bucolica.
OGGI 
Come si esprimono qualificati esegeti, faremmo un torto alla Bibbia, ed in particolare al testo di oggi, se accomodassimo affrettatamente l'immagine del pastore buono alla figura dei preti e dei consacrati. C'è una rivendicazione d'assolutezza da parte di Dio, che si fa invito a non usare il nome di Dio a sproposito. Se l'essere pastori nella chiesa attinge la sua giusta dimensione alla relazione personale con il Signore, nutrita di fede e di preghiera, essa coinvolge parimenti le 'pecore',  che entrano nello stesso circuito di conoscenza e amore.
Nei vv. 28-29 vi è come un gioco delle mani per cui la mano del pastore umano e la mano del pastore divino si identificano: 29 "Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo uno". Nessuno può esercitare degnamente un servizio senza esserne stato per prima destinatario; Il Pastore è anche agnello, come Gesù. Pastore perché ha saputo immedesimarsi nella condizione di nullità e d’insignificanza delle pecore, perché ha voluto egli stesso fare parte del gregge e per di più perché non ha ricusato di essere, fra tutte le pecore, la più indifesa e abbandonata, cioè l'agnello condotto al macello.
Afferma il libro dell'Apocalisse: "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti con il sangue dell'Agnello”.
Tale è l'identità della Chiesa: una realtà di comunione, estesa a tutta l'umanità. 

venerdì 12 aprile 2013

III domenica d Pasqua 14 aprile


14 aprile 2013 III DOMENICA DI PASQUA Anno C
Atti 5, 27b-32.40b-41; Apocalisse 5, 11-1
Giovanni 21, 1-19
In quel tempo, 1 dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: 2 si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3 Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. 4 Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5 Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. 6 Allora egli disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7 Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8 Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. 9 Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10 Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11 Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatrè grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12 Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13 Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14 Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli dopo essere risorto dai morti. 15 Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più dicostoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16 Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17 Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18 In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19 Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E,
detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Da G.Ravasi - L'idea che il Risorto continui a incrociare uomini e donne per le strade delle nostre città o sui viottoli di campagna, spesso senza essere riconosciuto, è tutt'altro che rara. Forse è naturale non riconoscerlo confuso tra la folla della Grande Mela o di un'altra metropoli occidentale; ma come è stato possibile non identificarlo ai due discepoli che quel pomeriggio percorrevano i sessanta stadi, ossia la dozzina di chilometri che separava la città santa dal villaggio di Emmaus ove erano diretti? Eppure Luca, che descrive nel suo Vangelo (24, 13-35) quell' itinerario e il relativo approdo, non ha esitazioni nell'affermare che “i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”. Ma ancor più sconcertante è ciò che era accaduto - stando al Vangelo di Giovanni (20,11-18) - proprio in quella stessa giornata, all'alba, presso la tomba di Gesù. Maria di Magdala, che aveva visto il volto di Cristo per mesi e mesi, ne aveva sentito i discorsi e ne conosceva le inflessioni della voce, quando le si era parato innanzi il Risorto l'aveva scambiato per il custode del giardino cimiteriale: “Vide Gesù che stava lì in piedi, ma non sapeva che era Gesù… Pensava che fosse il custode del giardino”. Ancora, in questa appendice allo stesso quarto Vangelo, c'è una scena altrettanto stupefacente. Sette apostoli sono ritornati, dopo la Pasqua, alla loro antica professione di pescatori su quel lago di Tiberiade ove avevano incontrato per la prima volta Gesù. Là, rientrando dopo una notte di pesca infruttuosa, vedono sul litorale un uomo: “Ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù”. E l'offuscamento del loro sguardo si accompagna a quello dell'udito: Gesù disse loro: Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli risposero: "No!". La domanda si fa, quindi, sempre più urgente e necessaria: come può accadere che i discepoli non riconoscano subito Gesù nel Cristo risorto? La risposta è nella natura stessa dell’evento pasquale. Esso insiste e incide nella storia ma è, nella sua sostanza, soprannaturale, trascendente, misterioso. Certo, ci sono segni storici come la testimonianza delle donne sulla tomba vuota, attestazione certa e non inventata perché, essendo le donne nell'antico Vicino Oriente inabilitate a testimoniare, la Chiesa delle origini non le avrebbe mai poste come soggetto testimoniale se ciò non fosse nella realtà stessa dell'evento. C'è poi un sepolcro vuoto con fasce e sudario abban­donati. I Vangeli, però, non descrivono l'evento "risurrezione"(saranno solo gli apocrifi a farlo, seguiti dall'arte cristiana: si pensi solo all'imponente Cristo che sale dalla tomba, opera di Piero della Francesca). È per questo che gli incontri del Risorto coi discepoli comprendono uno sconcerto. Gli studiosi classificano due modelli narrativi per questi incontri o apparizioni: il termine, anche se è corretto perché in greco si dice che Cristo apparve o fu visto, non è felice perché  nell’accezione odierna rimanda a esoterismo, magia, occultismo, a esperimenti mediatici. La prima di queste tipologie e' detta appunto  "di riconoscimento". Così, Maria di Magdala riconosce Gesù risorto solo dopo che egli l'ha chiamata per nome, in una vera e propria vocazione rinnovata. I due discepoli di Emmaus - uno di nome Cleopa (cioè Cleopatro) e l'altro ignoto - lo riconoscono quando "spezza il pane", allusione al rito eucaristico, ossia in un atto sacro specifico. E sul litorale del lago di Tiberiade a riconoscere per primo il Risorto è "il discepolo amato", espressione del perfetto credente, da identificare con Giovanni, il quale esclama: “È il Signore!”. Per avere il riconoscimento del Cristo glorioso non basta, allora, avere avuto una conoscenza storica, camminando con lui sulle strade palestinesi, ascoltandolo mentre parlava nelle piazze o si cenava insieme. È necessario avere un canale di conoscenza e di comprensione superiore, quello della fede, e allora Cristo si rivela vivo e presente nella storia che continua. In questa luce è facile intuire che l’apparizione cioè l'incontro col Risorto, è disponibile a tutti coloro che crederanno o saranno da lui interpellati nella fede. L'esperienza di fede, però non vuole dire fantasia, sogno assenza di realtà storica. Ecco perché in Luca24, 42-43, ad esempio, si insiste sul fatto che Cristo risorto “mangia una porzione di pesce arrostito”, e in Gv 21,13 “Gesù prese il pa­ne e lo diede loro, e altrettanto fece col pesce”, si introduce un rimando vigoroso alla corporeità, che per il semita non è solo fisicità ma è indizio di personalità e di presenza. L’oggettività dell’esperienza pasquale non sboccia ad una sensazione soggettiva; è indotta da una presenza esterna trascendente ma reale. Così reale ed efficace da mutare radicalmente la vita di quegli uomini esitanti e timorosi e persino quella di un avversario deciso come Paolo.
Da L.Manicardi - La presenza del Risorto ricrea la comunità, che era ridotta a uno sparuto gruppo di gente smarrita.
Da A.Geron - Cristo risorto mangia con i suoi apostoli per affermare la sua corporeità e la sua invisibilità per affermare che aveva un corpo reale anche se diverso dal predente e cioè un corpo spiritualizzato
Da A.Rungi - l testo è chiaramente di struttura e contenuto eucaristico. Nel testo del Vangelo è interessante notare in questa nuova versione del testo la differenza tra la domanda di Gesù: mi ami? E la risposta di Pietro: ti voglio bene. C'è da evidenziare che solo Dio può amare davvero, l'uomo può volere bene. Cioè l'amore trova la sua sorgente in Dio e solo Dio può dire di amare ed ama fino a dare la vita per noi.
Da R.Rossi - Gesù è risorto, lo hanno visto, ma ancora non sanno cosa fare. Ritornano alla vita e al lavoro normale, vanno a pescare. Ma sono ancora nella notte, con le loro forze umane non prendono nulla. Appare Gesù, arriva l'alba e la luce, li invita a pescare e con la sua grazia compiono una pesca grandiosa. Gesù si fa conoscere nella sua vita di risorto ma nella concretezza della sua persona: non è un fantasma, è il "Signore" e mangia con loro. Poi c'è il dialogo intenso e commovente con Pietro, un capolavoro di grazia e di misericordia da parte di Gesù, un capolavoro di fervore, di umiltà, di fiducia, di abbandono, di affetto e amore sincero da parte di Pietro. Per tre volte lo aveva rinnegato, per tre volte farà la sua professione di amore. Non solo professione di fede, ma di amore! "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?" "Certo, Signore, tu sai che io ti amo!"

venerdì 5 aprile 2013

La pentecoste di Giovanni


7 aprile 2013 - II Domenica di Pasqua - Anno C

Atti 5, 12-16; Apocalisse 1, 9-11a.12-13.17-19

Giovanni 19-31

19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". 22 Detto questo soffiò e disse loro: "Ricevete Spirito Santo. 23 “A coloro a cui cancellerete i peccati, saranno cancellati; a coloro a cui non li cancellerete, non saranno cancellati". 24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore!. Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo. 26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa, e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!". 27 Poi disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!". 28 Gli rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! 29 Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". 30 Gesù, in presenza dei suoi discepoli fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31 Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo abbiate la vita nel suo nome.

introduzione

Il giorno cinquantesimo, in greco pentecoste, dalla liberazione dalla schiavitù di Egitto, il popolo d'Israele ricevette al monte Sinai, attraverso Mosè, la legge di Dio come patto di fedeltà e di amore reciproco.

Ogni anno la ricorrenza era celebrata con solennità. E la rivelazione mosaica continuava ad animare la speranza di Israele che un un potente messia lo liberasse definitivamente dalle insidie provenienti dai paesi circostanti, i quali costituivano una continua minaccia per la sua sussistenza materiale, strettamente connessa alla fedeltà religiosa.

Le attese  di un messia trionfatore sui nemici di Israele si intensificavano sempre più; e le autorità, mentre alimentavano la speranza della sua venuta, vigilavano perché non ci fosse spazio per possibili impostori che si presentassero in qualità di messia.

I discepoli di Gesù che avevano  vissuto  con lui lungo il suo pellegrinaggio tra la gente, man mano e tra tanti tentennamenti, avevano imparato ad individuare in lui l’atteso messia. E, pur notando (lo dimostrano i ricordi trasmessi nella successiva scrittura) che egli chiedeva sempre la fede come suggello di ogni opera miracolosa, non riuscirono a capire il vero senso di tale richiesta.

L’epilogo drammatico della sua morte di croce li riporta ai dubbi precedenti. Della risurrezione non hanno altri segni che la tomba vuota e i vestiti a terra in un angolo. NON PARE CHE ABBIANO DATO CREDITO ALLE DONNE, TENACI NEL CERCARLO E NEL PROCLAMARE LA SUA RISURREZIONE. E perciò, quando lo incontrano individualmente o in quello che è rimasto della comunità, non lo riconoscono immediatamente.

Finché non interviene un fatto straordinario che li stravolge.

Non è il cinquantesimo giorno dalla sua morte-risurrezione, ma l’ottavo. Ma Giovanni, come aveva visto in un tuttuno morte e risurrezione, così ne vede il corollario nella rivelazione della nuova pentecoste, e la anticipa. Non in una sola apparizione, ma più volte il Risorto si fa incontrare per rivelare che lui, come Mosè, è testimone della rivelazione del Mistero di Dio quale presenza di liberazione nella storia; come Mosè addita la via per non smarrire il segreto di una liberazione totale, che inizia già dalla vita nel tempo, in quanto si realizza in esso, se si sa leggervi, racchiuso, il segreto d’eternità. Mosè consegna al suo popolo il segreto della risposta divina ai suoi interrogativi: Gen 33, 20 “Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”; cioè devi contare sulla tua esperienza di Dio; così come canta l’invocazione del Sal 4,7: Risplenda su noi la luce del tuo volto. Gesù addita le tracce del del Dio invisibile nelle sue ferite. In entrambi i casi il protagonista è lo Spirito: lo stesso Dio invisibile che investe l’essere umano in ricerca di Vita, e lo permea di Sé.

La scena descritta nel Vangelo di oggi si svolge a Gerusalemme, in luogo imprecisato. La tradizione lo indica senza alcun fondamento come il Cenacolo, cioè la camera al piano superiore dove i discepoli, secondo quando si afferma in At 1,13, si riunivano prima della Pentecoste e dove fu istituita l'Eucarestia. Di fatto, il narratore vuole solo dire che erano riuniti in un solo luogo e affermare il carattere ecclesiale dell'apparizione. E in Tommaso vede incarnato l’atteggiamento di ricerca di ogni credente incredulo, che sfocia in grido di riconoscimento: Mio Signore e mio Dio.

I singoli versetti di Giovanni

PREMESSA - Ogni indicazione testuale è teologica, se pur suggerita dalla esperienza vissuta in seno alle prime comunità cristiane durante le riunioni domenicali per la celebrazione dell’eucaristia.

19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". Il primo giorno della settimana dopo è ancora una volta l’ottavo giorno, simbolo della vita indistruttibile. Si parla di discepoli, non di apostoli, cioè della comunità di quelli che lo seguivano, uomini e donne. Le porte chiuse e la paura dei testimoni diretti è la stessa che attraversa le comunità proto-cristiane, viste in maniera sospetta dal mondo non cristiano in cui erano collocate.

Gesù si pone al centro della scena, cioè della comunità riunita. La pace annunziata da Gesù traduce l’esperienza della gioia che trionfa sulla paura.

22 Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete Spirito Santo”. L’alito nella Bibbia, come in molte altre culture, è per eccellenza il simbolo della vita, della realtà positiva e buona: nel geroglifico egizio il termine nfr, che significa buono e bello (si ricordi la bellissima Nefertiti il cui nome contiene la stessa radice), è raffigurato con l’immagine dei polmoni e della trachea. In ebraico, come in greco, un unico vocabolo (ruah ebraico e pneûma greco) indica contemporaneamente vento e spirito, da cui il suo manifestarsi come soffio. In Gen 2,7 LXXIl si dice: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. Ma altri casi si potrebbero citare, non ultimo quello di Ezechiele cap. 37, che invoca tale soffio sulle ossa aride per farle rivivere.

L’esperienza della comunità è la stessa che troviamo nell’episodio di Nicodemo, Gv 3,8 “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove venga né dove vada: così è di chiunque è nato dallo Spirito”. E Paolo 1Cor 15,44 spiega: grazie al soffio dello Spirito il corpo materiale diventa corpo spirituale. In sintesi lo Spirito è come il respiro di Dio che entra nell’essere umano trasformandolo in nuova creatura.

23 “A coloro a cui cancellerete i peccati, saranno cancellati; a coloro a cui li cancellerete, non saranno cancellati". Il perdono da dare non è l’esercizio di un potere, ma una capacità che si misura dalla sintonia con Gesù per mezzo dello Spirito. L’evangelista fa un attento uso dei termini: adopera il verbo perdonare nel senso di condonare, cioè liberare, cancellare, togliere via; e si riferisce ai peccati [contro Dio] e non alle colpe, cioè alle mancanze umane. Negli scritti neotestamentari conosciamo altri termini usati per esprimere il peccato, in una vasta gamma di significati, tra cui quello di involontario (Eb 9,7), e quello di singola violazione (Mt 6,14-15; Ef 1,7).

24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Tommaso è già apparso nell’episodio di Lazzaro con il suo soprannome di Dìdimo, che vuol dire Gemello, nel senso che ha gli stessi sentimenti di Gesù; in quell’occasione egli, Gv 11,16, aveva dichiarato “andiamo anche noi a morire con lui”.

25 Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo. È solo da questo versetto di Giovanni che si conosce l’uso dei chiodi per la crocifissione di Gesù e si conosce altresì che Tommaso, in effetti, sta dimostrando il suo disperato bisogno di credere; anche se nel vangelo non si afferma abbia messo il dito nelle ferite di Gesù né che l’abbia toccato, è la sua professione di fede a contare. 

26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa, e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!". Sono forti le allusioni alla celebrazione eucaristica. La reiterazione del saluto Pace a voi, che precede la comunicazione dello Spirito, indica che ogni qualvolta Gesù si rende presente, rinnova la missione dei suoi discepoli comunicando loro lo Spirito.

27 Poi disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!". Gesù si manifesta a tutti ma si rivolge in particolare a Tommaso. Nel rimprovero di Gesù risuona quello rivolto al funzionario di Cafarnao, Gv 4,28: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”.

28 Gli rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! Da Tommaso, l’incredulo, abbiamo la professione di fede più alta di tutti i Vangeli! Punto centrale dell’episodio: la coppia dei verbi vedere-credere appare sette volte nel Vangelo di Giovanni (4,48; 6,30.36; 20,8.25.29.29bis) e tre volte in questo episodio.

29 Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". Questa è la sfida dei cristiani successivi all’esperienza dei testimoni diretti, come  a vantare  una beatitudine maggiore rispetto a quella dei primi.

30 Gesù, in presenza dei suoi discepoli fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Le molte altre testimonianze non scritte vengono evocate a convalida degli sviluppi maturati in seno alle prime comunità cristiane.

31 Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo abbiate la vita nel suo nome. Porre una prima conclusione avanti la conclusione finale di un libro era un procedimento letterario ben testimoniato nella letteratura antica (cfr. 1Mac 9,22); è un augurio ed un’esortazione a proseguire nel cammino di fede.

CONCLUSIONE - Il Risorto non fa nulla di straordinario per convincere i discepoli della sua identità ma molto semplicemente mostra i segni delle ferite, che sono in strettissima relazione con il perdono dei peccati. Negare il perdono è tradire quel corpo, tradire quelle ferite; non perdonare significa essere incapaci di leggere il racconto iscritto nel corpo di Gesù. Corpo che continua a rivelarsi nella comunità, non solo ecclesiale ma umana, ferito, piagato.

E’ bello, luminoso, il volto di chiesa che si piega verso le piaghe umane e vi si immerge. Papa Francesco ne è un testimone, come Giovanni Paolo I, come il primo Francesco della storia, come Tonino Bello, altri.

Preghiera

Gesù, ti ripeto sempre il mio grazie. E ti prego: aiuta tutti gli esseri umani a scoprire il volto di dio nascosto in ogni esperienza. sia lo spirito di Dio - non noi - l’interprete del disegno di Dio inscritto nelle righe storte (teresa di caLcutta) dell’esperienza terrena.


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