venerdì 5 aprile 2013

La pentecoste di Giovanni


7 aprile 2013 - II Domenica di Pasqua - Anno C

Atti 5, 12-16; Apocalisse 1, 9-11a.12-13.17-19

Giovanni 19-31

19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". 22 Detto questo soffiò e disse loro: "Ricevete Spirito Santo. 23 “A coloro a cui cancellerete i peccati, saranno cancellati; a coloro a cui non li cancellerete, non saranno cancellati". 24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore!. Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo. 26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa, e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!". 27 Poi disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!". 28 Gli rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! 29 Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". 30 Gesù, in presenza dei suoi discepoli fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31 Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo abbiate la vita nel suo nome.

introduzione

Il giorno cinquantesimo, in greco pentecoste, dalla liberazione dalla schiavitù di Egitto, il popolo d'Israele ricevette al monte Sinai, attraverso Mosè, la legge di Dio come patto di fedeltà e di amore reciproco.

Ogni anno la ricorrenza era celebrata con solennità. E la rivelazione mosaica continuava ad animare la speranza di Israele che un un potente messia lo liberasse definitivamente dalle insidie provenienti dai paesi circostanti, i quali costituivano una continua minaccia per la sua sussistenza materiale, strettamente connessa alla fedeltà religiosa.

Le attese  di un messia trionfatore sui nemici di Israele si intensificavano sempre più; e le autorità, mentre alimentavano la speranza della sua venuta, vigilavano perché non ci fosse spazio per possibili impostori che si presentassero in qualità di messia.

I discepoli di Gesù che avevano  vissuto  con lui lungo il suo pellegrinaggio tra la gente, man mano e tra tanti tentennamenti, avevano imparato ad individuare in lui l’atteso messia. E, pur notando (lo dimostrano i ricordi trasmessi nella successiva scrittura) che egli chiedeva sempre la fede come suggello di ogni opera miracolosa, non riuscirono a capire il vero senso di tale richiesta.

L’epilogo drammatico della sua morte di croce li riporta ai dubbi precedenti. Della risurrezione non hanno altri segni che la tomba vuota e i vestiti a terra in un angolo. NON PARE CHE ABBIANO DATO CREDITO ALLE DONNE, TENACI NEL CERCARLO E NEL PROCLAMARE LA SUA RISURREZIONE. E perciò, quando lo incontrano individualmente o in quello che è rimasto della comunità, non lo riconoscono immediatamente.

Finché non interviene un fatto straordinario che li stravolge.

Non è il cinquantesimo giorno dalla sua morte-risurrezione, ma l’ottavo. Ma Giovanni, come aveva visto in un tuttuno morte e risurrezione, così ne vede il corollario nella rivelazione della nuova pentecoste, e la anticipa. Non in una sola apparizione, ma più volte il Risorto si fa incontrare per rivelare che lui, come Mosè, è testimone della rivelazione del Mistero di Dio quale presenza di liberazione nella storia; come Mosè addita la via per non smarrire il segreto di una liberazione totale, che inizia già dalla vita nel tempo, in quanto si realizza in esso, se si sa leggervi, racchiuso, il segreto d’eternità. Mosè consegna al suo popolo il segreto della risposta divina ai suoi interrogativi: Gen 33, 20 “Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”; cioè devi contare sulla tua esperienza di Dio; così come canta l’invocazione del Sal 4,7: Risplenda su noi la luce del tuo volto. Gesù addita le tracce del del Dio invisibile nelle sue ferite. In entrambi i casi il protagonista è lo Spirito: lo stesso Dio invisibile che investe l’essere umano in ricerca di Vita, e lo permea di Sé.

La scena descritta nel Vangelo di oggi si svolge a Gerusalemme, in luogo imprecisato. La tradizione lo indica senza alcun fondamento come il Cenacolo, cioè la camera al piano superiore dove i discepoli, secondo quando si afferma in At 1,13, si riunivano prima della Pentecoste e dove fu istituita l'Eucarestia. Di fatto, il narratore vuole solo dire che erano riuniti in un solo luogo e affermare il carattere ecclesiale dell'apparizione. E in Tommaso vede incarnato l’atteggiamento di ricerca di ogni credente incredulo, che sfocia in grido di riconoscimento: Mio Signore e mio Dio.

I singoli versetti di Giovanni

PREMESSA - Ogni indicazione testuale è teologica, se pur suggerita dalla esperienza vissuta in seno alle prime comunità cristiane durante le riunioni domenicali per la celebrazione dell’eucaristia.

19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". Il primo giorno della settimana dopo è ancora una volta l’ottavo giorno, simbolo della vita indistruttibile. Si parla di discepoli, non di apostoli, cioè della comunità di quelli che lo seguivano, uomini e donne. Le porte chiuse e la paura dei testimoni diretti è la stessa che attraversa le comunità proto-cristiane, viste in maniera sospetta dal mondo non cristiano in cui erano collocate.

Gesù si pone al centro della scena, cioè della comunità riunita. La pace annunziata da Gesù traduce l’esperienza della gioia che trionfa sulla paura.

22 Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete Spirito Santo”. L’alito nella Bibbia, come in molte altre culture, è per eccellenza il simbolo della vita, della realtà positiva e buona: nel geroglifico egizio il termine nfr, che significa buono e bello (si ricordi la bellissima Nefertiti il cui nome contiene la stessa radice), è raffigurato con l’immagine dei polmoni e della trachea. In ebraico, come in greco, un unico vocabolo (ruah ebraico e pneûma greco) indica contemporaneamente vento e spirito, da cui il suo manifestarsi come soffio. In Gen 2,7 LXXIl si dice: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. Ma altri casi si potrebbero citare, non ultimo quello di Ezechiele cap. 37, che invoca tale soffio sulle ossa aride per farle rivivere.

L’esperienza della comunità è la stessa che troviamo nell’episodio di Nicodemo, Gv 3,8 “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove venga né dove vada: così è di chiunque è nato dallo Spirito”. E Paolo 1Cor 15,44 spiega: grazie al soffio dello Spirito il corpo materiale diventa corpo spirituale. In sintesi lo Spirito è come il respiro di Dio che entra nell’essere umano trasformandolo in nuova creatura.

23 “A coloro a cui cancellerete i peccati, saranno cancellati; a coloro a cui li cancellerete, non saranno cancellati". Il perdono da dare non è l’esercizio di un potere, ma una capacità che si misura dalla sintonia con Gesù per mezzo dello Spirito. L’evangelista fa un attento uso dei termini: adopera il verbo perdonare nel senso di condonare, cioè liberare, cancellare, togliere via; e si riferisce ai peccati [contro Dio] e non alle colpe, cioè alle mancanze umane. Negli scritti neotestamentari conosciamo altri termini usati per esprimere il peccato, in una vasta gamma di significati, tra cui quello di involontario (Eb 9,7), e quello di singola violazione (Mt 6,14-15; Ef 1,7).

24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Tommaso è già apparso nell’episodio di Lazzaro con il suo soprannome di Dìdimo, che vuol dire Gemello, nel senso che ha gli stessi sentimenti di Gesù; in quell’occasione egli, Gv 11,16, aveva dichiarato “andiamo anche noi a morire con lui”.

25 Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo. È solo da questo versetto di Giovanni che si conosce l’uso dei chiodi per la crocifissione di Gesù e si conosce altresì che Tommaso, in effetti, sta dimostrando il suo disperato bisogno di credere; anche se nel vangelo non si afferma abbia messo il dito nelle ferite di Gesù né che l’abbia toccato, è la sua professione di fede a contare. 

26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa, e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!". Sono forti le allusioni alla celebrazione eucaristica. La reiterazione del saluto Pace a voi, che precede la comunicazione dello Spirito, indica che ogni qualvolta Gesù si rende presente, rinnova la missione dei suoi discepoli comunicando loro lo Spirito.

27 Poi disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!". Gesù si manifesta a tutti ma si rivolge in particolare a Tommaso. Nel rimprovero di Gesù risuona quello rivolto al funzionario di Cafarnao, Gv 4,28: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”.

28 Gli rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! Da Tommaso, l’incredulo, abbiamo la professione di fede più alta di tutti i Vangeli! Punto centrale dell’episodio: la coppia dei verbi vedere-credere appare sette volte nel Vangelo di Giovanni (4,48; 6,30.36; 20,8.25.29.29bis) e tre volte in questo episodio.

29 Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". Questa è la sfida dei cristiani successivi all’esperienza dei testimoni diretti, come  a vantare  una beatitudine maggiore rispetto a quella dei primi.

30 Gesù, in presenza dei suoi discepoli fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Le molte altre testimonianze non scritte vengono evocate a convalida degli sviluppi maturati in seno alle prime comunità cristiane.

31 Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo abbiate la vita nel suo nome. Porre una prima conclusione avanti la conclusione finale di un libro era un procedimento letterario ben testimoniato nella letteratura antica (cfr. 1Mac 9,22); è un augurio ed un’esortazione a proseguire nel cammino di fede.

CONCLUSIONE - Il Risorto non fa nulla di straordinario per convincere i discepoli della sua identità ma molto semplicemente mostra i segni delle ferite, che sono in strettissima relazione con il perdono dei peccati. Negare il perdono è tradire quel corpo, tradire quelle ferite; non perdonare significa essere incapaci di leggere il racconto iscritto nel corpo di Gesù. Corpo che continua a rivelarsi nella comunità, non solo ecclesiale ma umana, ferito, piagato.

E’ bello, luminoso, il volto di chiesa che si piega verso le piaghe umane e vi si immerge. Papa Francesco ne è un testimone, come Giovanni Paolo I, come il primo Francesco della storia, come Tonino Bello, altri.

Preghiera

Gesù, ti ripeto sempre il mio grazie. E ti prego: aiuta tutti gli esseri umani a scoprire il volto di dio nascosto in ogni esperienza. sia lo spirito di Dio - non noi - l’interprete del disegno di Dio inscritto nelle righe storte (teresa di caLcutta) dell’esperienza terrena.


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4 commenti:

Caterina Cattai ha detto...

Chiedo perchè nella liturgia di oggi si festeggia la divina misericordia quando invece è molto bello fermarsi alla pentecoste di Giovanni.............

Anonimo ha detto...

Perchè l'ha istituita Giovanni Paolo II dopo (credo) la canonizzazione di Suor Faustina Kowalska.

Ciao,
Joelle

Fiordaliso ha detto...

a me non piace l'immagine di Gesù misericordioso, non vi scandalizzate, ma la sopporto come mi ha sempre inculcato Ausilia, che indulge su queste espressioni melliflue come su tante altre cose, perché non possiamo raddrizzare le gambe ai cani. ma noi che leggiamo l'esegesi di Ausilia fatta con tanta serietà queste cose dovremmo capirle da noi.

Anonimo ha detto...

La mia era solo una precisazione alla domanda di Caterina.