venerdì 24 novembre 2017


DOMENICA XXXIV T.O. anno A

 

Mt 25.31-46

in quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

 

Ezechièle 34,11-12.15-17

Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.

Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio.

Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.

A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri.

Sal 22

Il Signore è il mio pastore: / non manco di nulla. / Su pascoli erbosi mi fa riposare. / Ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia, / mi guida per il giusto cammino / a motivo del suo nome. /

Davanti a me tu prepari una mensa / sotto gli occhi dei miei nemici. / Ungi di olio il mio capo; / il mio calice trabocca. /

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita, / abiterò ancora nella casa del Signore / per lunghi giorni.

1Cor 15,20-26.28

Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.

Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.

È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.

E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.


C o m m e n t o   a Mt 25.31-46

 

[BREVE PREMESSA

E’ difficile far capire che i commenti che spesso ascoltiamo o leggiamo riguardano la parola scritta così come è scritta, non la verità di essa. Questa va cercata attraverso le domande che rivolgiamo a tutto il contesto storico e, alla fin fine, al nostro cuore che la cerca con amore.

La domanda più importante resta chi è Dio. La risposta ci spiazzerà, perché ci accorgeremo che Dio ci ha parlato sempre senza parole, e siamo noi a non avere ascoltato la sua voce.

Di questo faremo cenno nella terza parte]

 

1) ANALISI ESSENZIALE

= Il testo evangelico che la liturgia propone oggi si trova unicamente in Matteo: è l’ultimo testo a precedere il racconto dell’arresto e della condanna a morte di Gesù.

L’argomento centrale è il giudizio che il Re dell’Universo, in nome di Dio, farà all’umanità e alla sua storia

Il principio decisivo per il giudizio sarà il comportamento che ciascuno ha avuto con i suoi simili; e sarà un giudizio valido per tutti gli esseri umani, di qualsiasi religione, idee o cultura.

Matteo afferma per bocca di Gesù: Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Si tratta dunque di un giudizio parziale, rivolto principalmente ai popoli pagani, e non direttamente agli israeliti, per i quali era riservato il termine greco popolo, laòs (Mt 19,28); un giudizio che si ripeterà in occasione della caduta di ciascun regime oppressivo e disumano.

Il regno del Figlio dell’uomo esiste all’interno della storia umana.

Gesù, nella pericope, è presentato nella veste del re che invita coloro che stanno alla sua destra, ad andare da Lui per  ricevere il Regno in qualità di eredi che hanno la più alta dignità, grazie alla loro risposta alle elementari, indispensabili, esigenze, che consentono all’essere umano di rimanere in vita: il mangiare e il bere, il vestire chi non ha di che coprirsi, l’assistere il malato, l’accogliere lo straniero...

Il fatto che Gesù ritenga compiuto verso se stesso quel che vien fatto verso i bisognosi non giustifica la teoria di vedere Cristo nel povero. Il bisognoso va aiutato in quanto tale e non per una presunta presenza del Signore in essi.

= La venuta del Signore ha rappresentato in tutti i tempi la speranza dei suoi seguaci. Già la promessa del ritorno fatta da Gesù ai discepoli al momento della sua ascensione dal Monte degli Ulivi, aveva illuminato l'avvenire dei credenti e riempito i loro cuori di gioia e di speranza.

Quando i cristiani di Tessalonica erano rattristati pensando ai loro cari scomparsi che avevano tanto sperato di vivere fino al giorno dell'avvento di Gesù, l'apostolo Paolo, loro maestro, li consolò parlando loro della risurrezione che avverrà al ritorno del Salvatore.

= Ciò che è detto nella pericope odierna ha avuto degli sviluppi non tutti attendibili; come, ad esempio, la visione millenarista, di cui non è il caso di occuparci in questa domenica.

= Nell’epoca attuale ci sono segni abbastanza simili ad altri che si sono ripetuti periodicamente nella storia: epoche di grande corruzione e di perdita di fede. La chiesa, senza avvallare studi ed attese integrate in formazioni religiose, parla di una fine totale di questo mondo e di speranza di cieli e terra nuova, preceduti da terribili catastrofi, al fine di dare compimento al trionfo definitivo del bene sul male che, come il grano e la zizzania, saranno cresciuti insieme.

Cristo glorioso, venendo alla fine dei tempi a giudicare i vivi e i morti, renderà a ciascun essere umano ciò che gli spetta secondo le sue opere e secondo l'accoglienza o il rifiuto della grazia.

 

2) IL GIUDIZIO E LA FINE DEL MONDO

 

= Quell’unica volta in cui compare in Matteo il termine maledetti, la maledizione non proviene da Dio; riguarda chi si chiude alla vita del prossimo e sua, e perciò maledice se stesso.

Il fuoco eterno, segno di distruzione, a differenza del Regno, non è stato preparato fin dalla fondazione del mondo; è destinato al diavolo e ai suoi angeli e non agli esseri umani! Ma chi va a finire in questo fuoco eterno va incontro alla distruzione totale, conclusione logica per chi, privando di vita gli altri, si esclude dalla vita.

L’espressione di Matteo castigo si rifà all’immagine contenuta nel Libro di Daniele 12,2: molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. Ma l’evangelista inverte i termini del brano di Daniele, e mette per ultima la vita eterna; quindi la pericope finisce al positivo.

La punizione o infamia eterna, unica volta in Matteo, non comporta un castigo supplementare post-mortem, ma la definitiva scomparsa della persona. Non c’è, a differenza di altri testi apocalittici, alcuna descrizione di tale punizione. Il contrario di una vita eterna definitiva, è la morte definitiva: è quel fallimento definitivo dell’essere umano che nell’Apocalisse viene detto la seconda morte.

= L’intenzione dell’evangelista, presentando il forte contrasto tra chi entra nella vita e chi finisce nella perdizione, è quella di sollecitare tutti, compresi i suoi discepoli, ad essere misericordiosi, per vivere in pienezza il programma del Regno a partire dall’aldiquà.

Viene utilizzato come modello un brano conosciuto nella tradizione ebraica in cui si diceva che il Signore si sarebbe messo seduto sul suo trono con il rotolo della legge e chi avesse osservato questa legge sarebbe entrato nella sua gloria.

= Eppure questo giudizio non è un giudizio universale, per tutti. Scrive infatti Matteo: Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli; e adopera il termine greco éthne che indica l’etnia delle nazioni pagane; quindi non è per il popolo di Israele e non è per la comunità cristiana; è per quelli che non hanno conosciuto mai il vero Dio.

Ebbene, Gesù dice:. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre;

al  contrario nella tradizione ebraica si diceva che Dio scriveva le azioni dell’uomo su un libro per vedere poi se il saldo fosse positivo o negativo.

Matteo descrive in altri contesti Gesù come il pescatore che sa distinguere i pesci buoni dai pesci marci, o come il contadino sa distinguere i frutti buoni dai frutti fradici. Il termine di confronto è la distinzione tra le persone che attraverso l’amore si sono realizzate e invece quelle che hanno pensato unicamente a se stesse.

 

3) PERPLESSITA’ E DOMANDE PERSONALI

L'attributo di Dio più menzionato nella Bibbia è la santità. Sempre secondo la Bibbia, dal momento che Dio è santo (da sancire con un patto e perciò protetto, inviolabile), il peccato è così grave ai suoi occhi che Egli dovrà punirlo; e sono tante le citazioni attorno all’antitesi bene-male, da esserne piena la Bibbia.

Il giudizio e il castigo spettano al Cristo. E’ attraverso di lui che si esplica la giustizia divina.

Ma una variante è accentuata nel Nuovo Testamento, il quale spesso parla di un Gesù mite ed umile di cuore. Il suo presentarsi anche come il Giudice del mondo nella sua fine è in stridente contrasto col suo rapportarsi con e per gli altri.

L’enigma di un castigo inesorabile da infliggere in modo spietato, resta incomprensibile.


 

Mi lascerebbe sconvolta un Dio che sfoga la sua ira e la sua condanna con una maledizione.

Come non pensare a Cristo che ce l’ha fatto chiamare Padre?

Rispetto la tua Legge d’amore, o mio Dio, ma si rivoltano le mie viscere ad immaginare un Cristo assiso nella gloria senza che le sue braccia siano rivolte al mondo intero, nessuno escluso.

La Parola di Dio non può lasciarmi che dalla parte dell’amore i n f i n i t o.

Sono tante le mamme che piangono gli errori – i più tremendi – dei figli, ma aspettano tutta la vita l’istante del loro pentimento. E io ad esse mi associo.

Meditando, trovo un Dio misericordioso senza limiti, e da questa immagine non voglio allontanarmi mai mai mai.

= =

Una mia antica poesiola mi assicura che ho sempre guardato lontano; che è meglio non interrogare nemmeno la mia amica-Natura e ascoltare il Mistero nascosto dentro me stessa:

 

UN GIORNO - SOLA

Camminavo di lena su lieti viali e sorprese aspettavo

con cuore gioioso di bimba, volendo scoprire il segreto

d’orizzonti mai visti. Mi piaceva guardare lontano

e vederli la annegare in invisibili spazi.

 

Oggi voglio arrivarci, e decisa m’inoltro.

Or ecco, la strada è interrotta. E non so dove sono.

Poi un giardino -che gioia- panche giochi odori di vita

e viottoli alberi prati, finché tutto si sperde.

 

Protendo ancora lo sguardo a cercare ancora più giù

con vago insistente senso d’attesa e d’ignoto.

Finché l’oceano –sorpresa!- m’assicura un traguardo:

splendente, azzurro, possente, si sperde nel cielo.

 

Non m’illudo. Cosa vi attende, mare e cielo,

nell’indistinto annegati? che c’è oltre?

Il mio spazio interiore mi sottrae all’inganno

e l’orizzonte pietoso camuffa i temuti confini. Meglio

 

non cercare lontano

venerdì 17 novembre 2017

DOMENICA XXXIII T.O. anno A


PROVERBI, cap. 31
Una donna forte chi potrà trovarla? / Ben superiore alle perle è il suo valore. / In lei confida il cuore del marito / e non verrà a mancargli il profitto. / Gli dà felicità e non dispiacere / per tutti i giorni della sua vita. / Si procura lana e lino / e li lavora volentieri con le mani. /  Stende la sua mano alla conocchia / e le sue dita tengono il fuso. / Apre le sue palme al misero, / stende la mano al povero. / Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, / ma la donna che teme Dio è da lodare. / Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città.
Sal 127
Beato chi teme il Signore / e cammina nelle sue vie. / Della fatica delle tue mani ti nutrirai, / sarai felice e avrai ogni bene. / La tua sposa come vite feconda / nell’intimità della tua casa; / i tuoi figli come virgulti d’ulivo /  intorno alla tua mensa. / Ecco com’è benedetto / l’uomo che teme il Signore. / Ti benedica il Signore da Sion. / Possa tu vedere il bene di Gerusalemme / tutti i giorni della tua vita!
1Ts 5.1-6
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.


Mt 25.14-30

 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14 Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16 colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20 Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 21 Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due. 23 Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo. 26 Il padrone gli rispose: Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

 

C o m m e n t o

 

INTRODUZIONE
Una delle cose che più influiscono nelle nostre scelte di vita è l'idea che ci facciamo di Dio.
Tra i farisei, alcuni immaginavano Dio come un Giudice severo che trattava le persone secondo il merito conquistato seguendo la Torah. Questo tipo di immagine aveva presa in buona parte degli ebrei ed influenzava anche quelli divenuti cristiani, che frequentavano le prime comunità. Non è difficile capire che, nella fase del loro assestamento spirituale e morale, questa immagine ostacolasse l’apertura della coscienza dei singoli nel cammino di fede, teso a dare spazio alla nuova esperienza di Dio, di cui Gesù era considerato profeta e maestro.
La parabola che oggi leggiamo è destinata proprio a tali comunità.
Nel costruirla Matteo ha come fonte parabole precedenti simili, nonché altre che in seguito furono considerate apocrife.
Non è il caso di riportare qui la dinamica dei fatti ritratta da Matteo, anche perché sulle parabole si è scritto moltissimo e sovente le diverse interpretazioni non concordano, anzi talora divergono in modo considerevole. Pertanto, volendo approfondire il senso della parabola, si può avere l’impressione di inoltrarsi in mare aperto, con la paura e talora il rischio effettivo di smarrire la rotta.
Matteo sa bene che Gesù raccontava le parabole, non semplicemente per farsi capire, ma più radicalmente per sollecitare la conversione. Infatti lo scopo della parabola è trasformare il modo di relazionarsi con Dio  e con gli altri. (Invero talvolta la parabola rimane oscura a chi non si decide ad impegnarsi).
Il problema emergente nella comunità dei primi lettori del vangelo è il prolungarsi dell’attesa della venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, anche perché, dopo la resurrezione di Gesù, il mondo sembra andare avanti come prima.
A questo problema Matteo reagisce affermando, attraverso le parole di Gesù: c’è una certezza che non possiamo mettere in discussione, la garanzia che Dio renderà giustizia, compirà il suo volere e noi saremo giustificati, cioè saremo resi partecipi della nostra eredità. È necessario, però, non perdere il contatto con Dio, avvertirlo presente e vicino a chi ha il coraggio di mettere in gioco totalmente la propria vita per testimoniarlo.
 
ENTRIAMO NELLA PARABOLA per coglierne l’essenziale
= Il padrone parte per un lungo viaggio. In questa partenza è da notare un riferimento all'ascensione di Gesù, e nella consegna dei talenti un riferimento al dono dello Spirito Santo.
Egli affida ai servi un bene mobile, che per sua stessa natura chiede di essere investito. Il denaro, infatti, ha come scopo principale quello di rendere agevoli i rapporti mercantili e quindi di potersi moltiplicare attraverso il guadagno che si produce per mezzo di essi. Per far ciò, chi ha in mano i talenti deve saper scegliere i traffici giusti, fare operazioni commerciali azzeccate; avere coraggio e determinazione; rischiare e, allo stesso tempo, capire le scelte giuste da fare nel momento giusto. Il denaro è, sì, un talento, una sorta di eredità di partenza, ma necessita di essere trasformato dalle mani e dall'intelligenza.
= Anticipo subito alcune conclusioni della parabola in forma schematica e sparsa:
- L'attesa del ritorno di Cristo ribalta il senso del tempo e della storia.
- I talenti non ci appartengono, ma sono doni di Dio; perciò debbono essere investiti sotto forma di servizio e di dono, secondo quanto chiede la loro stessa natura. Nessuno è tanto povero da dire: seppellisco quello che ho e me ne sto tranquillo! Nessuno è tanto ricco da poter dire: dispongo di una ricchezza che può crescere e moltiplicarsi da sé. Ci vuole chi traffica, cosa che nessuno può fare standosene da solo. La comunità è anche questo: riconoscere che nessuno è un microcosmo, a ciascuno è stato dato in maniera  diversificata, perché le persone sono diverse, e stare insieme è una necessità.
- La paura opprime colui che nasconde nelle tenebre il proprio talento.
- Nascondere il proprio talento è come seppellire se stessi,tradendo il disegno di Dio.
- Chi non si mette a servizio degli altri si perde nella propria inanità.
- Siamo mattoni diversi e indispensabili di un edificio che è casa, Chiesa, ma soprattutto umanità ...
 
ESEGESI DELLA TERZA SCENA
La parte del testo che è l’elemento chiave per capire la parabola è quella riguardante il terzo servo (a quell’epoca tutti i dipendenti di un re o di una persona importante, pur ricoprendo funzioni alte e anche di responsabilità tanto da amministrare somme ingenti di danaro, venivano chiamati servi).
Il terzo servo non nasconde di avere un’immagine del Signore fabbricata da lui stesso: descrive un padrone che fa paura, che chiede una scrupolosa osservanza di ciò che ordina, e che agisce anche in modo arbitrario. Perciò al ritorno del padrone, gli restituisce ciò che è suo. Nient’altro di peccaminoso nella sua condotta, ma anche nulla di lodevole e gioioso.
Ma allora come mai questo servo è aggredito dal suo signore come fosse malvagio, pigro e traditore?
Lo sappiamo: è più facile seppellire i doni che Dio ci ha dato, piuttosto che condividerli; conservare la posizione e i tesori del passato, anziché andare a scoprirne di nuovi; diffidare dell’altro che ci ha fatto del bene, piuttosto che rispondere di persona, consapevolmente, nella libertà e per amore. Ecco dunque la lode per chi rischia ed ecco il biasimo per chi si accontenta di ciò che ha, rinchiudendosi nel suo piccolo io.
Il terzo servo  vanifica il dono che ha ricevuto. Fuor di metafora, non è che Dio si riprenda quello che ha già donato, ma è il singolo a rendersi conto della sua incapacità a far fruttificare il dono.
Questa parabola non è un’esaltazione, un applauso all’efficienza, né è un inno alla meritocrazia; vuole piuttosto servire come richiamo alla comunità perché confermi i nuovi adepti nel nuovo orizzonte proposto da Gesù.

 

RIFLESSIONI

Tornando alla parabola, leggiamo che il terzo servo si attiene alla lettera del diritto rabbinico, secondo il quale, quando si seppelliva un tesoro o del denaro in terra, in caso di furto non si era tenuti a risarcirlo. Da qui, forse, la paura. La risposta terribilmente severa del padrone sembra giustificare tale paura.
Ma, dicono non pochi esegeti, non si tratta di un’ingiustizia da parte del Signore, bensì di una dinamica della vita.
Avanzo un’ipotesi che mi pare più logica. Matteo e/o altri redattori per lui, dovevano essere davvero preoccupati dell’indolenza delle comunità nel traghettare i discepoli da una condizione di servi di Dio a quella di figli di Dio. E’ più facile essere pecore ubbidienti, che lupi accorti.
I primi due servi della parabola mostrano di aver capito l’intenzione del Padrone per il fatto che ne seguono l’esempio:  sanno apprezzare e moltiplicare il dono generoso del Padrone.
Se le vergini sagge della parabola precedente dovevano conservare il dono della sapienza, qui i servi invece sono chiamati a non sprecare quello della fede. E’ questa, in fondo, la responsabilità più grande che viene consegnata loro.
La fede che opera è importante nel vocabolario matteano. La nostra parabola potrebbe dunque voler dire qualcosa sul credere o non credere in Dio nel tempo intermedio che separa dal giudizio. Il terzo servo, più che malvagio, è un uomo che ormai non ha fede: l'ha persa col tempo.
Che la parabola tratti del dono della fede, si può indirettamente evincere anche da Paolo di Tarso, che leggiamo nella liturgia di questa domenica: siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
La vita terrena è un'opportunità unica e decisiva; e, da come si reagisce a ciò che essa mette davanti a ciascuno di noi, deriva l’appartenenza all’Eterno presente di Dio. Dalle ore e dalle scelte di questo frammento di spazio e di tempo nella vita terrena, nasce per ciascuno un destino di figli della luce e figli del giorno. Sappiamo che Dio, creandoci, ha voluto  chiamarci a condividere il suo Amore con gli altri e con Lui: è nella natura stessa dell'amore, che si espanda a tutti e a tutto.
= Una domanda finale: come mai è stata inserita nelle liturgia odierna, come prima lettura, l’esaltazione della donna perfetta?
Come donna ho una qualche reazione. Non mi è mai piaciuto che si esiga dalla donna la perfezione.
E’ vero che non si può leggere la Bibbia facendo nostra una mentalità dura a morire. Il cambiamento non è mai frutto di un salto all’indietro.
Da parte mia affido piuttosto il cambiamento all’arte, la quale traduce la realtà concreta in qualcosa di sempre Nuovo, tale che sia un alito di eterno nel tempo. Bene esprime questo concetto Denis Diderot: Quando si scrive delle donne bisogna intingere la penna nell'arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali delle farfalle.
E’ cosa meravigliosa scrivere ogni giorno una pagina intinta nel tempo con la fantasmagoria dei sui colori, a patto di doverla sempre riscrivere, perché le farfalle che cancellano ogni sfumatura sono quanto di più effimero ci sia nella durata della loro vita. Così mi immagino l’Eterno: un tempo iscritto nella Novità perenne di Dio. Spiegarlo prosasticamente mi è impossibile. Sarebbe meglio comunicarvelo col cuore. Ma questo riesco a farlo con la preghiera.

venerdì 10 novembre 2017

DOMENICA XXXII T.O. anno A


DOMENICA XXXII T.O. anno A

 

Mt 25.1-13  - Parabola delle dieci vergini

 

25 1 Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. 2 Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3 le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; 4 le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. 5 Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono.5 A mezzanotte si levò un grido: 6 Ecco lo sposo, andategli incontro! 7  Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade.8  E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. 9 Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene.10  Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11  Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! 12 Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco.13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.

 

Sap 6,12-16
La sapienza è splendida e non sfiorisce, / facilmente si lascia vedere da coloro che la amano / e si lascia trovare da quelli che la cercano. / Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano. / Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, /
la troverà seduta alla sua porta. / Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta, / chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni; / poiché lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei, / appare loro benevola per le strade / e in ogni progetto va loro incontro.

Sal 62
O Dio, tu sei il mio Dio, / dall’aurora io ti cerco, / ha sete di te l’anima mia, / desidera te la mia carne / in terra arida, assetata, senz’acqua. /  Così nel santuario ti ho contemplato, / guardando la tua potenza e la tua gloria. / Poiché il tuo amore vale più della vita, / le mie labbra canteranno la tua lode. / Così ti benedirò per tutta la vita: / nel tuo nome alzerò le mie mani. / Come saziato dai cibi migliori, / con labbra gioiose ti loderà la mia bocca. / Quando nel mio letto di te mi ricordo / e penso a te nelle veglie notturne, / a te che sei stato il mio aiuto, / esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
1Ts 4,13-18
Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti. Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

 

C o m m e n t o

 

1) PREMESSA

= Il Vangelo di Matteo ha due tipi di parabole. Quelle che aiutano a percepire il Regno di Dio presente nell'attività di Gesù, e quelle che aiutano a prepararsi per la venuta futura del Regno.
Le prime appaiono soprattutto nella prima parte della vita apostolica di Gesù; le seconde sono più frequenti nella seconda metà, quando appare evidente che Gesù sarà perseguitato, arrestato e ucciso per mano delle autorità civili e religiose. In altre parole, nelle parabole si mescolano le due dimensioni del Regno: 1) il Regno già presente, qui e ora, nascosto nel quotidiano della nostra vita e che va scoperto e approfondito da parte nostra; 2) il Regno futuro che ancora deve venire e per il quale ciascuno deve prepararsi fin da ora. La tensione fra già e non ancora pervade la vita cristiana.
Matteo, come gli altri due sinottici, non è una Cassandra né tantomeno un Nostradamus ante litteram, bensì è un responsabile di comunità e un pastore d'anime, molto preoccupato per come si stavano mettendo le cose all'interno delle sue comunità e per l'ostile contesto storico, sociale e religioso in cui esse vivevano. Egli, pertanto, deve dare una risposta ai problemi delle sue comunità e fornire loro una corretta chiave di lettura di quanto formava, probabilmente, l'oggetto delle loro discussioni e delle loro paure, ponendo fine a speculazioni e a fomentazioni da parte di sobillatori ed esaltati.
= La sanguinosissima guerra giudaica (66-73 d.C.) era da poco finita e aveva lasciato dietro di sé una scia impressionante di morti, profondi risentimenti e una grande voglia di rivalsa. Il Tempio, centro della vita sociale, culturale e religiosa del giudaismo, era distrutto assieme a Gerusalemme. Il sacerdozio ebraico, i sacrifici, il culto al tempio e tutto ciò che vi ruotava attorno era drammaticamente finito per sempre. Si stava stagliando all'orizzonte un nuovo tipo di giudaismo, quello rabbinico, incentrato, non più sul Tempio, bensì sulla Torah e la sua interpretazione; e, svanito il sacerdozio, una nuova classe dirigente si andava affermando, quella degli scribi e dei farisei, specialisti della Legge, contro i quali Matteo tuona nel cap.23. Le sue comunità innescarono un confronto molto polemico e duro, generando una netta rottura con il mondo giudaico.
Intanto le tensioni sociali e religiose si insinuavano, non solo all'interno delle prime comunità, ma anche all'interno delle stesse famiglie dei primi credenti e all'interno dei loro rapporti di amicizia e sociali in genere, arrivando anche a rompere l'unità naturale della famiglia e creando in essa odi e divisioni tra i suoi stessi componenti
= Matteo riprende questi eventi, rileggendoli in chiave escatologica ed utilizzando il linguaggio proprio dell'apocalittica giudaica, riadattata alle logiche cristiane. Egli sente la necessità di controbattere tante attese e pretese fantasiose che circolavano ovunque.
Tuttavia all'interno dell’attesa sentita come imminente e agitata da pericolose fantasie, si poneva un altro problema molto serio: l'inspiegabile e imbarazzante ritardo della venuta finale di Gesù, ritardo che causava sfiducia e rilassamento spirituale. La compattezza iniziale delle comunità necessitava, quindi, di un ricompattamento, fondato su due elementi: la ricomprensione della storia della salvezza in termini temporali più lunghi di quelli previsti e la sferzante esortazione dei credenti alla vigilanza e all'impegno di un fare fecondo nel bene, nell'attesa di una certa, anche se tardiva, venuta del Signore, con il conseguente giudizio finale. E sarà il tema della vigilanza e dell'operosità nel bene, l'obiettivo primario dell'ultimo grande discorso, che attraverserà per intero i capp. 24 e 25.
= Nelle scorse due domeniche e nella prossima la chiesa propone la lettura liturgica integrale del cap.25 di Matteo, il cui testo della  domenica prossima costituisce la seconda parte, scritta esclusivamente da lui.

 

2) LA PARABOLA DELLE 10 VERGINI (GIOVANI RAGAZZE)

       e        LO  SPOSO NELLA BIBBIA

 

= La parabola è costruita ad arte da Matteo, certamente a partire dal ricordo di parole usate per descrivere la prolungata attesa della venuta gloriosa del Signore Gesù, dal momento che è Lui che tarda, il Messia, lo Sposo.
La base di questa convinzione era riposta nelle Sacre Scritture, che si rifacevano alla Tenak ebraica, la quale aveva accolto nella sua intera collezione anche testi non-canonci. Il tutto ha uno sviluppo nell’idea evangelica dello Sposo e delle nozze di Dio con l'umanità intera.
- Matteo rende evidente quale è il matrimonio perfetto: quello della Famiglia di Nazareth, frutto dell'alleanza tra Dio e la coppia di un uomo e di una donna: alleanza infranta con la colpa primigenia e ricostituita attraverso uno sposo umano, Giuseppe, e una donna, Maria, consenzienti a realizzare il matrimonio perfetto, attraverso lo Spirito di Dio.
- Vale la pena far notare e costatare che la Bibbia, nel racconto della creazione, non ha mai parlato di un Dio che abbia usato il nome proprio di adam per rivolgersi al singolo Adamo in quanto maschio della coppia, ma l’avrebbe usato come nome comune di uomo e donna. Invece nei Vangeli di Matteo e Luca si racconta che l’angelo chiama per nome separatamente sia Giuseppe sia Maria.
= Senza ricorrere a disanime specialistiche, è facile a tutti percepire che la cultura dominante, anche nell’ambiente cattolico, è una cultura individualistica o, all’opposto, collettivistica. Questo lo si avverte anche nelle regioni a più antica tradizione familiaristica: mentre sussiste la difesa forte della famiglia come istituzione, manca una cultura della coniugalità. Anche là dove sembra affermarsi il modello-coppia come emergente, permane nel sottofondo un’esasperata ansia della realizzazione personale, al di là della relazione d’amore.
a)La dittatura della soggettività prevarica quando la relazione d’amore, anziché essere servizio alla promozione del partner in tutte le sue dimensioni, fa della persona amata un supporto al personale benessere; si è tanto lontana dal celebre detto …E voi mariti amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei.
b) La dittatura del collettivo non lascia spazio all’attenzione alla realizzazione per la relazione all’interno della coppia, o la consente come momento privatistico, a patto che non prenda il sopravvento sull’operare comune. Coppia e famiglia non diventano mai cellula fondamentale, categoria di lettura interpretativa dell’essere-famiglia.
Manca l’orizzonte attraverso cui il mistero di Gesù interseca il mistero della coppia: mistero di amore totale, fecondo e fedele.
= La rivelazione di Dio-Amore nella coppia all’inizio dell’umanità si fa strada lentamente, non senza l’approfondimento giunto attraverso la voce dei Profeti nella direzione del riconoscimento della Paternità di Dio; e non senza l’afflato della Sapienza che celebra, anch’essa, la sua opera:
lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei, / appare loro benevola per le strade / e in ogni progetto va loro incontro [lo leggiamo nel brano proposto dalla liturgia].
Tramite il Cristo, siamo indotti a far nostra la sua intimità con Dio e con l’umanità, divenuta immagine e somiglianza del Dio invisibile, impronta della sua Sostanza.
Si’; queste sono immagini forti nella loro sublimità. Ci viene incontro Paolo, che scrive agli Efesini: E voi mariti amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa.
[Mi si permetta un’aggiunta, non solo mia: Se l’Apostolo avesse voluto soltanto esortare i mariti ad una maggiore benevolenza verso le loro mogli o avesse inteso offrire testimonianze edificanti sull’amore coniugale, avrebbe potuto presentare con più immediatezza l’esempio di uomini sposati nell’AT, così come è stato testimoniato nella Lettera agli ebrei].
= [Ancora una provocazione: perché l’Apostolo ha dato come immagine Gesù, uomo non coniugato? Eppure ha affermato: E voi mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa. Anzi gli sta a cuore aggiungere: e ha sacrificato se stesso per lei].
Gesù è segno esemplare dell’uomo che vuole amare di un amore sponsale. La sua vita è parabola di un’alleanza nuziale. La sua morte è testimonianza alla sposa (la chiesa), di una solidarietà radicale, di una fedeltà a questo patto di solidarietà fino a morire.
[Altra domanda intrigante: è solo per allegoria, per esemplarità che noi chiamiamo Cristo lo Sposo, o può essere un titolo che gli compete proprio perché è il Messia? Perché la Chiesa si definisce la Sposa?]
= Rispondiamo attraverso il brano di omelia di un Arcivescovo di Cartagine del V secolo. Si chiama Quodvultdeus. Morì a Napoli verso il 453, scacciato dalla sua città. Questa omelia ci è stata tramandata tra le carte di Agostino, ed era destinata agli aspiranti al battesimo per sollecitarne la professione di fede. L’intensità di accenti amorosi è tale da risultare paragonabile al Cantico dei Cantici. Ecco: Giubila, giubila o Chiesa, tu sei la Sposa! Se Cristo non avesse sopportato la sua passione, tu no saresti nata da lui. Egli è stato venduto per liberarti, è stato ucciso perché ti ha amata. Poiché egli ti ama infinitamente ha voluto morire per te. Tale unità nuziale è un mistero veramente grande. Le parole umane non hanno espressioni adeguate per esprimere il sublime mistero di questo sposo, di questa sposa. La sposa è nata dall’uomo amato, e l’ora della nascita è l’ora delle nozze. Egli si dona alla persona amata nel momento in cui muore, ed egli l’abbraccia quando si libera dalla sua condizione mortale.
= Gesù chiama i discepoli gli invitati a nozze. Un’altra traduzione più vicina alla realtà di quei tempi, chiama gli invitati i figli del convito nuziale. Si tratta di un’allocuzione semitica che indica le persone presenti nel cerimoniale di nozze: parenti ed amici personali degli sposi, nonché quelli che facevano brillare la festa.
La prima testimonianza data dal Battista sull’identità del Messia è nell’uso che fa della locuzione l’amico dello sposo!
Non si può tralasciare di riportare le affermazioni di Isaia in riferimento all’Amata da Dio, immagine dello del popoli di Israele: Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata mio compiacimento e la tua terra, Sposata, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo: e ancora: Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto, come gioisce lo sposo per la sposa così il tuo Dio gioirà per te. Il Signore fa rinascere la speranza nel cuore di Israele annunciandole che non sarà lasciata più in balia del proprio destino e di quanti potrebbero approfittarne. Ma questa speranza è legata, non ad una promessa generica di intervento divino ogni qualvolta Israele si trovasse nei guai, bensì ad una solidarietà fondata su un patto nuziale: come un giovane sposa una donna....
= Fino a Gesù l’amore umano fra marito e moglie era la parabola vivente per rivelare il rapporto di Dio con Israele. Con l’Incarnazione del Cristo, è Lui la parabola vivente che rivela la verità di ogni rapporto d’amore nuziale fra marito e moglie. Infatti mentre parliamo di validità per quanto riguarda il matrimonio-istituzione, invece parliamo di verità quando ci riferiamo al matrimonio come intima comunità di amore.
= l’Apocalisse prosegue questa liturgia nuziale. Il primo tempo del matrimonio (quello del fidanzamento, quando lo sposo va nella casa della sposa e questa offre il prezzo della sua dote) sta per finire. E’ venuto lo sposo nella casa dell’umanità-sposa, che ha pagato con il suo sangue il prezzo dello sposalizio
Ora sta per compiersi il secondo momento. La celebrazione solenne delle nozze: Alleluja. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello e la sua sposa è pronta, le hanno dato una veste di lino puro splendente.
La veste di lino sono le opere giuste dei santi La promessa sposa sta per andare ad abitare definitivamente con lo sposo nella sua casa dove non ci sarà più lutto, dove ogni lacrima sarà tersa dai suoi occhi. Lei si è preparata da discepola con le opere giuste; ha pure conosciuto l’infedeltà per logoramento, incomunicabilità sterilità. E l’amore l’ha fatta rivivere: Vieni ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello; Vidi la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
Già sposa per diritto, ma non-ancora per amore consumato! Ecco allora il grido dell’innamorata del Cantico: Oh, se tu fossi mio fratello... Trovandoti fuori, ti potrei baciare e nessuno potrebbe disprezzarmi. Ti condurrei, ti introdurrei nella casa di mia madre; mi insegneresti l’arte dell’amore... La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia.
Chi è testimone di tali proclamazioni risponde: Sì, verro presto! Amen! E lo stesso Spirito ci fa gridare in quanto figli: Abbà, mentre la sposa aggiunge: Mettimi come sigillo sul tuo cuore.

 

3) PERSONALE

Chi non è assuefatto al simbolismo biblico potrebbe trovarsi spaesato, lontano dal linguaggio e soprattutto dal significato mistico, quale quello disseminato su quanto ho commentato lavorando su testi autorevoli. L’abitudine a ciò che è stato chiamato banale quotidiano, così come rende poco sensibili ai prodotti dell’arte e perfino alle bellezze naturali, non permette allo spirito di lasciarsi permeare dal linguaggio mistico.
Ma non è questo che mi preoccupa di più nell’affidarvi alla lettura di questo commento: chi andrebbe a toccare questi argomenti con tanti nostri fratelli privi del necessario, con i disabili lasciati a se stessi, con i disperati perché abbandonati alla sorte in maniera lacerante?
Abbiamo il dovere di far diventare vita  la sostanza del vangelo, occupandoci di chi ha bisogno di noi nella misura del possibile.
Mi chiedo cosa significhino lo Sposo e la Sposa biblici per la maggior parte degli esseri umani. I mistici appartengono forse ad una categoria a parte in questa povera terra lacerata dal dolore e dal male? E a chi giova leggere il Vangelo con sottolineature mistiche come quelle che ho cercato di fare?
Tutto ciò mi tormenta. Perché non trovare il modo di cantare col cuore  Mettimi come sigillo sul tuo cuore e abbracciare nello stesso tempo l’umanità sofferente, e non a parole ma a fatti?
A causa dei miei limiti che mi impediscono di spendermi per gli altri, prego così, confrontandomi con una strofa del  salmo di questa domenica:

 

 Salmo 62……………………………………………………………………………………Personale

O Dio, tu sei il mio Dio, / dall’aurora io ti cerco                                 O Padre di tutti, notte e giorno Ti cerco.

ha sete di te l’anima mia, / desidera te la mia carne                        Ti invoco assieme a chi non Ti cerca né Ti desidera

in terra arida, assetata, senz’acqua                                               e perciò vive disperato la sua sete e la sua fame.

Così nel santuario ti ho contemplato,                                                Ti cerco tra gli sperduti e soli sulle strade:   

guardando la tua potenza e la tua gloria.                                           sono essi la Tua potenza e la Tua gloria