venerdì 17 novembre 2017

DOMENICA XXXIII T.O. anno A


PROVERBI, cap. 31
Una donna forte chi potrà trovarla? / Ben superiore alle perle è il suo valore. / In lei confida il cuore del marito / e non verrà a mancargli il profitto. / Gli dà felicità e non dispiacere / per tutti i giorni della sua vita. / Si procura lana e lino / e li lavora volentieri con le mani. /  Stende la sua mano alla conocchia / e le sue dita tengono il fuso. / Apre le sue palme al misero, / stende la mano al povero. / Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, / ma la donna che teme Dio è da lodare. / Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città.
Sal 127
Beato chi teme il Signore / e cammina nelle sue vie. / Della fatica delle tue mani ti nutrirai, / sarai felice e avrai ogni bene. / La tua sposa come vite feconda / nell’intimità della tua casa; / i tuoi figli come virgulti d’ulivo /  intorno alla tua mensa. / Ecco com’è benedetto / l’uomo che teme il Signore. / Ti benedica il Signore da Sion. / Possa tu vedere il bene di Gerusalemme / tutti i giorni della tua vita!
1Ts 5.1-6
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.


Mt 25.14-30

 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14 Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16 colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20 Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 21 Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due. 23 Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo. 26 Il padrone gli rispose: Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

 

C o m m e n t o

 

INTRODUZIONE
Una delle cose che più influiscono nelle nostre scelte di vita è l'idea che ci facciamo di Dio.
Tra i farisei, alcuni immaginavano Dio come un Giudice severo che trattava le persone secondo il merito conquistato seguendo la Torah. Questo tipo di immagine aveva presa in buona parte degli ebrei ed influenzava anche quelli divenuti cristiani, che frequentavano le prime comunità. Non è difficile capire che, nella fase del loro assestamento spirituale e morale, questa immagine ostacolasse l’apertura della coscienza dei singoli nel cammino di fede, teso a dare spazio alla nuova esperienza di Dio, di cui Gesù era considerato profeta e maestro.
La parabola che oggi leggiamo è destinata proprio a tali comunità.
Nel costruirla Matteo ha come fonte parabole precedenti simili, nonché altre che in seguito furono considerate apocrife.
Non è il caso di riportare qui la dinamica dei fatti ritratta da Matteo, anche perché sulle parabole si è scritto moltissimo e sovente le diverse interpretazioni non concordano, anzi talora divergono in modo considerevole. Pertanto, volendo approfondire il senso della parabola, si può avere l’impressione di inoltrarsi in mare aperto, con la paura e talora il rischio effettivo di smarrire la rotta.
Matteo sa bene che Gesù raccontava le parabole, non semplicemente per farsi capire, ma più radicalmente per sollecitare la conversione. Infatti lo scopo della parabola è trasformare il modo di relazionarsi con Dio  e con gli altri. (Invero talvolta la parabola rimane oscura a chi non si decide ad impegnarsi).
Il problema emergente nella comunità dei primi lettori del vangelo è il prolungarsi dell’attesa della venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, anche perché, dopo la resurrezione di Gesù, il mondo sembra andare avanti come prima.
A questo problema Matteo reagisce affermando, attraverso le parole di Gesù: c’è una certezza che non possiamo mettere in discussione, la garanzia che Dio renderà giustizia, compirà il suo volere e noi saremo giustificati, cioè saremo resi partecipi della nostra eredità. È necessario, però, non perdere il contatto con Dio, avvertirlo presente e vicino a chi ha il coraggio di mettere in gioco totalmente la propria vita per testimoniarlo.
 
ENTRIAMO NELLA PARABOLA per coglierne l’essenziale
= Il padrone parte per un lungo viaggio. In questa partenza è da notare un riferimento all'ascensione di Gesù, e nella consegna dei talenti un riferimento al dono dello Spirito Santo.
Egli affida ai servi un bene mobile, che per sua stessa natura chiede di essere investito. Il denaro, infatti, ha come scopo principale quello di rendere agevoli i rapporti mercantili e quindi di potersi moltiplicare attraverso il guadagno che si produce per mezzo di essi. Per far ciò, chi ha in mano i talenti deve saper scegliere i traffici giusti, fare operazioni commerciali azzeccate; avere coraggio e determinazione; rischiare e, allo stesso tempo, capire le scelte giuste da fare nel momento giusto. Il denaro è, sì, un talento, una sorta di eredità di partenza, ma necessita di essere trasformato dalle mani e dall'intelligenza.
= Anticipo subito alcune conclusioni della parabola in forma schematica e sparsa:
- L'attesa del ritorno di Cristo ribalta il senso del tempo e della storia.
- I talenti non ci appartengono, ma sono doni di Dio; perciò debbono essere investiti sotto forma di servizio e di dono, secondo quanto chiede la loro stessa natura. Nessuno è tanto povero da dire: seppellisco quello che ho e me ne sto tranquillo! Nessuno è tanto ricco da poter dire: dispongo di una ricchezza che può crescere e moltiplicarsi da sé. Ci vuole chi traffica, cosa che nessuno può fare standosene da solo. La comunità è anche questo: riconoscere che nessuno è un microcosmo, a ciascuno è stato dato in maniera  diversificata, perché le persone sono diverse, e stare insieme è una necessità.
- La paura opprime colui che nasconde nelle tenebre il proprio talento.
- Nascondere il proprio talento è come seppellire se stessi,tradendo il disegno di Dio.
- Chi non si mette a servizio degli altri si perde nella propria inanità.
- Siamo mattoni diversi e indispensabili di un edificio che è casa, Chiesa, ma soprattutto umanità ...
 
ESEGESI DELLA TERZA SCENA
La parte del testo che è l’elemento chiave per capire la parabola è quella riguardante il terzo servo (a quell’epoca tutti i dipendenti di un re o di una persona importante, pur ricoprendo funzioni alte e anche di responsabilità tanto da amministrare somme ingenti di danaro, venivano chiamati servi).
Il terzo servo non nasconde di avere un’immagine del Signore fabbricata da lui stesso: descrive un padrone che fa paura, che chiede una scrupolosa osservanza di ciò che ordina, e che agisce anche in modo arbitrario. Perciò al ritorno del padrone, gli restituisce ciò che è suo. Nient’altro di peccaminoso nella sua condotta, ma anche nulla di lodevole e gioioso.
Ma allora come mai questo servo è aggredito dal suo signore come fosse malvagio, pigro e traditore?
Lo sappiamo: è più facile seppellire i doni che Dio ci ha dato, piuttosto che condividerli; conservare la posizione e i tesori del passato, anziché andare a scoprirne di nuovi; diffidare dell’altro che ci ha fatto del bene, piuttosto che rispondere di persona, consapevolmente, nella libertà e per amore. Ecco dunque la lode per chi rischia ed ecco il biasimo per chi si accontenta di ciò che ha, rinchiudendosi nel suo piccolo io.
Il terzo servo  vanifica il dono che ha ricevuto. Fuor di metafora, non è che Dio si riprenda quello che ha già donato, ma è il singolo a rendersi conto della sua incapacità a far fruttificare il dono.
Questa parabola non è un’esaltazione, un applauso all’efficienza, né è un inno alla meritocrazia; vuole piuttosto servire come richiamo alla comunità perché confermi i nuovi adepti nel nuovo orizzonte proposto da Gesù.

 

RIFLESSIONI

Tornando alla parabola, leggiamo che il terzo servo si attiene alla lettera del diritto rabbinico, secondo il quale, quando si seppelliva un tesoro o del denaro in terra, in caso di furto non si era tenuti a risarcirlo. Da qui, forse, la paura. La risposta terribilmente severa del padrone sembra giustificare tale paura.
Ma, dicono non pochi esegeti, non si tratta di un’ingiustizia da parte del Signore, bensì di una dinamica della vita.
Avanzo un’ipotesi che mi pare più logica. Matteo e/o altri redattori per lui, dovevano essere davvero preoccupati dell’indolenza delle comunità nel traghettare i discepoli da una condizione di servi di Dio a quella di figli di Dio. E’ più facile essere pecore ubbidienti, che lupi accorti.
I primi due servi della parabola mostrano di aver capito l’intenzione del Padrone per il fatto che ne seguono l’esempio:  sanno apprezzare e moltiplicare il dono generoso del Padrone.
Se le vergini sagge della parabola precedente dovevano conservare il dono della sapienza, qui i servi invece sono chiamati a non sprecare quello della fede. E’ questa, in fondo, la responsabilità più grande che viene consegnata loro.
La fede che opera è importante nel vocabolario matteano. La nostra parabola potrebbe dunque voler dire qualcosa sul credere o non credere in Dio nel tempo intermedio che separa dal giudizio. Il terzo servo, più che malvagio, è un uomo che ormai non ha fede: l'ha persa col tempo.
Che la parabola tratti del dono della fede, si può indirettamente evincere anche da Paolo di Tarso, che leggiamo nella liturgia di questa domenica: siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
La vita terrena è un'opportunità unica e decisiva; e, da come si reagisce a ciò che essa mette davanti a ciascuno di noi, deriva l’appartenenza all’Eterno presente di Dio. Dalle ore e dalle scelte di questo frammento di spazio e di tempo nella vita terrena, nasce per ciascuno un destino di figli della luce e figli del giorno. Sappiamo che Dio, creandoci, ha voluto  chiamarci a condividere il suo Amore con gli altri e con Lui: è nella natura stessa dell'amore, che si espanda a tutti e a tutto.
= Una domanda finale: come mai è stata inserita nelle liturgia odierna, come prima lettura, l’esaltazione della donna perfetta?
Come donna ho una qualche reazione. Non mi è mai piaciuto che si esiga dalla donna la perfezione.
E’ vero che non si può leggere la Bibbia facendo nostra una mentalità dura a morire. Il cambiamento non è mai frutto di un salto all’indietro.
Da parte mia affido piuttosto il cambiamento all’arte, la quale traduce la realtà concreta in qualcosa di sempre Nuovo, tale che sia un alito di eterno nel tempo. Bene esprime questo concetto Denis Diderot: Quando si scrive delle donne bisogna intingere la penna nell'arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali delle farfalle.
E’ cosa meravigliosa scrivere ogni giorno una pagina intinta nel tempo con la fantasmagoria dei sui colori, a patto di doverla sempre riscrivere, perché le farfalle che cancellano ogni sfumatura sono quanto di più effimero ci sia nella durata della loro vita. Così mi immagino l’Eterno: un tempo iscritto nella Novità perenne di Dio. Spiegarlo prosasticamente mi è impossibile. Sarebbe meglio comunicarvelo col cuore. Ma questo riesco a farlo con la preghiera.

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