venerdì 3 novembre 2017

Domenica XXXI T.O anno A


Domenica XXXI T.O anno A

Mt 23.1-12          


1Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato.
 

C o m m e n t o

 

1) INTRODUZIONE

All’epoca di Gesù e della stesura del NT non esistevano ancora due religioni contrapposte, ma due posizioni di confronto e di scontro tra chi accettava e chi rifiutava il senso della missione di Gesù di Nazaret, nel quadro di una osservanza religiosa che era quella del giudaismo. Questo non era monolitico, ed era – bisogna ricordarlo - posteriore ai tempi di Gesù. Se ne deduce che la questione attorno al Cristo era in origine una questione tra ebrei, seguaci della stessa religione. Il contrasto riguarda gli ammonimenti dei profeti rivolti a coloro che non ascoltavano i loro profeti (e Gesù si comportava come uno di essi). Perciò il tono e i forti richiami che Matteo mette in bocca a Gesù sono simili quelli usati da profeti come Isaia, Amos, Malachia.
= Nell’uditorio descritto da Matteo non ritroviamo né il pubblico di Gesù né il popolo ebraico e neanche le persone storiche. L’evangelista vuole offrire alla lettura un archetipo del destinante e del destinatario; ed è al destinante che lancia l’ammonimento di non pretendere l’osservanza della giustizia nell’altro anziché in se stesso. (È chiaro che uno scrittore ebreo del primo secolo non poteva trarre i suoi modelli che dai rappresentanti della sua stessa cultura; ma sarebbe un errore identificare il modello socio-culturale con le persone concrete o con il gruppo nazionale che vi è dietro).
= La scelta del brano di questa domenica, difficile ed emotivamente coinvolgente, ancora più duro di quelli commentati altre volte, è una provocazione o, se si vuole, una sfida, al criterio di sottolineare la radice ebraica del cristianesimo. La sfida consiste nel fatto che i cristiani si credevano autorizzati a confrontarsi con gli ebrei nella pretesa di poterli giudicare e condannare. Ma, in realtà, Matteo sta mettendo a confronto due immagini di Chiesa: l'una farisaica, pomposa, appariscente e vuota, dominata da capi avidi di onore e di potere; l'altra guidata direttamente da Cristo e dal Padre, di cui tutti siamo ugualmente figli. Resta fermo che La Chiesa di Cristo è una comunità di uguali, i quali praticano una fraternità che ha come criterio di discernimento il servizio. In essa esiste una diversità di ruoli e di responsabilità, che però devono essere svolti come servizio. Questo stile ha come modello Gesù stesso, il quale è venuto per servire.

- Al tempo di Matteo, pur essendoci una polarizzazione tra sinagoga e chiesa, non c’era ancora la netta separazione che avrà luogo qualche decennio dopo. Con la scomparsa della casta sacerdotale dopo la caduta del Tempio essa era ormai diventata la classe dirigente del popolo con tutti gli onori, privilegi, vantaggi personali. La fonte dell’ipocrisia era nella ricerca e nell’appetibilità di questi, a prescindere dall’utilità del servizio reso alla gente.
Se Matteo mette sulla bocca di Gesù una critica così forte nei suoi confronti, il motivo non è il desiderio di correggerle, ma piuttosto di premunire la comunità cristiana dal cadere nello stesso pericolo.
Le ammonizioni di Gesù non sono rivolte ai rappresentanti del giudaismo ufficiale, ma ai cristiani, i quali sono tenuti a confrontarsi incessantemente con il vangelo e a seguire l’esempio sublime di servizio dato da Gesù. Intanto le ammonizioni di Gesù restano valide per i cristiani di tutti i tempi. Essi dovrebbero superare una concezione religiosa secondo cui si tende a scaricare l’insegnamento sui capi della comunità, in quanto dotati di poteri speciali; infatti i compiti dovrebbero essere condivisi tra tutti i suoi membri.

= Matteo contrappone Gesù in preghiera sul monte, a scribi e farisei seduti sulla cattedra di Mosè: i loro insegnamenti non hanno nulla in comune.
= Le parole che leggiamo nella pericope sono un chiaro richiamo all’AT: a) in primo luogo la menzione della cattedra di Mosè rievoca la parola di Dio e non certo la parola degli scribi e farisei, anche se essi impongono, la loro dottrina da maestri; b) in secondo luogo, l’espressione Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono ricorda l’impegno di fedeltà che il popolo di Israele si era assunto nell’alleanza del Sinai: Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto (Es 24,7); c) l’espressione ma non agite secondo le loro opere richiama l’avviso che il Signore aveva dato al popolo quando esso, entrando nella terra promessa, doveva astenersi da ogni pratica idolatrica: tu non ti prostrerai davanti ai loro dèi e non li servirai, tu non ti comporterai secondo le loro opere, ma dovrai demolire dovrai frantumare le loro stele (Es 23,24).
= La preghiera dei rappresentanti dell’istituzione.
era supportata da filatteri, custodie in pelle nera, assicurate sulla fronte e sul braccio sinistro (la parte del cuore): e, siccome esse contenevano delle pergamene su cui erano scritti quattro brani biblici… non c’era bisogno di recitare la preghiera!  
Il termine greco Kráspeda, frange, era già stato usato da Matteo in relazione al lembo del mantello di Gesù e alle guarigioni operate col semplice toccarlo; cosa che testimonia il suo potere carismatico, mai disgiunto dall’umiltà.

 

2) IL BRANO DI OGGI

ll brano inizia con un versetto introduttivo: Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli…. I diretti interessati, gli scribi e i farisei, non figurano come interlocutori. Come nel discorso della montagna, Gesù parla alle folle, che però restano sullo sfondo, ma più direttamente si riferisce ai discepoli. Si tratta quindi di un discorso destinato alla comunità.
Gesù esordisce con queste parole: Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno.
La cattedra di Mosè designava nelle sinagoghe, in un tempo successivo a quello dell’evangelista, un seggio distinto e ornato, posto di fronte agli altri, sul quale potevano sedere soltanto coloro che avevano conseguito il titolo ufficiale di rabbi. Al tempo di Matteo questo titolo aveva forse solo un significato metaforico: i maestri appartenenti al gruppo dei farisei, l’unico sopravvissuto alla catastrofe di Gerusalemme, si erano arrogati il ruolo stesso di Mosè, il grande legislatore del popolo ebraico. Gesù sembra legittimare la loro pretesa in quanto sorta a fare ciò che essi prescrivono. Questa direttiva sembra in contrasto con quanto dice altrove; però non si tratta di una vera contraddizione, in quanto, secondo Matteo, la legge, con tutte le sue prescrizioni, resta valida anche nella nuova economia inaugurata da Gesù, e con essa permane l’autorità degli interpreti ufficiali. Ciò che egli respinge decisamente è invece la loro ipocrisia, perché essi non si comportano in sintonia con il loro insegnamento. 
Gli scribi si erano assunti il compito di interpretare la legge, composta in un tempo più arcaico, caratterizzato da situazioni economiche e sociali diverse, in modo da renderla praticabile ai loro contemporanei. Le loro interpretazioni erano considerate come legge orale, il cui valore era identico a quello della legge scritta. Con lo scopo di interpretare la legge, l’avevano appesantita con minuziose prescrizioni, che avevano lo scopo di garantirne l’esatta osservanza. Così facendo, essi legavano sulle spalle della gente, cioè dichiaravano obbligatori, pesanti fardelli, incombenze difficili da praticare, che essi, con una loro casistica, sapevano facilmente eludere.
Oltre a imporre agli altri pesanti fardelli, gli scribi e i farisei si comportano con orgoglio e arroganza.
Gesù non condanna le pie usanze giudaiche, probabilmente praticate anche da lui, ma l’ostentazione dei farisei , i quali, per darsi importanza, ricercavano i posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe, i saluti ossequienti sulle piazze e l’appellativo di rabbi, che originariamente significava uomo grande, maestro grande. Questo titolo verrà usato solo più tardi, dopo la distruzione di Gerusalemme, per designare i dottori della legge che ricevevano a tal fine l’imposizione delle mani al termine degli studi nell’Accademia. 
In contrasto con le pretese dei farisei Gesù proibisce ai discepoli di farsi chiamare, non solo con il titolo di rabbi, ma anche con quelli analoghi di padre e di kathêgêtês, maestro autorevole, guida spirituale.
Sullo sfondo di questa direttiva si intravede la profezia della Nuova Alleanza, Geremia 31,31-34, in forza della quale negli ultimi tempi Dio avrebbe scritto la sua legge nel cuore del popolo, divenendo così l’unico Maestro interiore di ciascuno.
Le ultime parole della pericope odierna ripropongono in sintesi tutto il messaggio: Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato.
Sono due massime che ricorrono anche in altri contesti: si preannunzia che nel giudizio escatologico vi sarà un radicale rovesciamento delle situazioni in cui si trovano le persone, sulla linea di quanto affermato nelle beatitudini.
 

3) ANNOTAZIONI UTILI

= Il gruppo dei farisei nasce nel II secolo prima di Cristo, con la proposta di un’osservanza più perfetta della Legge di Dio, soprattutto delle prescrizioni sulla purezza (da intendere come consacrazione degli oggetti da usare per il culto). Loro erano più aperti alle novità che i Sadducei. Per esempio, accettavano la fede nella risurrezione e la fede negli angeli, cosa che i Sadducei non accettavan.
La vita dei farisei era una testimonianza esemplare: pregavano e studiavano la legge per otto ore al giorno; lavoravano otto ore per poter sopravvivere; si dedicavano al riposo otto ore. Per questo, erano molto rispettati dalla gente. E così, aiutavano la gente a conservare la propria identità e a non perderla, nel corso dei secoli.
Con il tempo, i farisei cominciarono ad attaccarsi al potere e non ascoltavano più gli appelli della gente, né la lasciavano parlare.
La parola fariseo significa separato. Da qui nasce l’espressione mentalità farisaica, tipica delle persone  che pensano di conquistare la giustizia mediante un’osservanza rigida e rigorosa della Legge di Dio. Generalmente si tratta di persone che non hanno il coraggio di assumere il rischio della libertà e della responsabilità, e perciò si nascondono dietro le leggi e l’autorità; anzi, se ottengono una funzione importante, diventano dure e insensibili in modo da nascondere la propria imperfezione.
Rabbino, Guida, Maestro, Padre sono i quattro titoli che Gesù proibisce di usare. Oggi, nella Chiesa, i sacerdoti sono chiamati padre o don (dal latino dominus, signore). Bisogna tener conto del motivo che spinse Gesù a proibire l’uso di questi ed altri titoli. Infatti usarli è il contrario del monito di Gesù di farsi umili e servi di tutti.
= Quando leggiamo che essi dicono e non fanno, c’è il riconoscimento, per bocca di Gesù, dell’autorità degli scribi e dei farisei. Ma loro, pur occupando la cattedra di Mosè ed insegnando la legge di Dio, non osservano ciò che insegnano. Ecco quindi l’avvertimento per la gente: dire e non fare! E’ una critica terribile!
Gesù richiama l’attenzione dei discepoli sul comportamento incoerente di alcuni dottori della legge. Marco racconta che agli scribi piaceva entrare nelle case delle vedove e recitare lunghe preghiere per ricevere denaro in cambio!
(Nel meditare su queste incoerenze, conviene pensare, non ai farisei e agli scribi di quel tempo ormai passato, bensì a noi stessi e alle nostre incoerenze).
Matteo, alla fine della pericope riassume quanto detto in poche parole: il maggiore è il minore. Questa frase è ciò che caratterizza sia l’insegnamento che il comportamento di Gesù.
Le parole di Gesù appaiono dure e polemiche. Proviamo a meditarle in rapporto al primo discorso di Gesù, quello sul monte, secondo la redazione di Matteo. Esse diventano allora come un paragone tra l’ideale di vita del discepolo di Cristo e i comportamenti non corrispondenti. Il discorso è rivolto alle folle e in particolare ai discepoli, non agli scribi e ai farisei, almeno in questa prima parte del capitolo 23.
Il riferimento all’insegnamento degli scribi, che lo prestavano “seduti sulla cattedra di Mosè”, era reale nelle sinagoghe, ma ha anche un riferimento simbolico, perché è divenuto un segno di potere; al contrario di Gesù che ammaestrava stando seduto per terra (Mt 5,1).
Il rapporto di Gesù con la Legge è chiarito nel discorso della montagna: egli non è venuto per abolirla, ma per portarla a compimento (Mt 5, 17-19). Anzi Gesù aggiungeva: Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 5,20.
 Per il discepolo di Cristo sono valide soltanto le motivazioni interiori, le intenzioni autentiche (Mt 6, 22-23). Quindi nessuno può sottrarsi al monito di Gesù: la religiosità può essere motivo di esibizionismo, cosa che è contraria a quanto insegnato nel discorso della montagna. Più importante, per il discepolo, non è il consenso sociale e il rispetto umano, né i titoli di onore, ma essere poveri in spirito (Mt 5,3) perché si deve porre tutto nelle mani di Dio e non trattenere nulla per sé.

 

4) PERSONALE

(i passi che sono stampati nel mio intimo)

 

Sal 130/131

Signore, non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me.

Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l'anima mia.

Israele attenda il Signore, da ora e per sempre.

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Vivere del Vangelo fa passare dalla ipocrisia di una vita esteriore alla trasparenza di una vita che sta alla presenza di Dio.

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Dal mio intimo non voglio cavare parole, ma silenzio ed ascolto, e tanta voglia di  comunicare i doni che Dio mi dà. Doni che non voglio smarrire per la sciocchezza di apparire (ma apparire a chi?).

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Il seme della Tua Parola lo custodisco sotto la terra, aspettando con impaziente pazienza, che germogli. Non prima, o mio Amore: potrei sciuparlo, perderlo…

Custodiscilo Tu! Per me e per gli altri!

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