venerdì 28 febbraio 2014

Domenica VIII T.O,

Is 49, 14-15
Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.
Sal 61
Solo in Dio riposa l’anima mia: / da lui la mia salvezza. / Lui solo è mia roccia e mia salvezza, / mia difesa: mai potrò vacillare. / Solo in Dio riposa l’anima mia / da lui la mia speranza. / Lui solo è mia roccia e mia salvezza, / mia difesa: non potrò vacillare. / In Dio è la mia salvezza e la mia gloria; / il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio. / Confida in lui, o popolo, in ogni tempo; / davanti a lui aprite il vostro cuore.
1Cor 4,1-5
Fratelli, ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.
Mt 6,24-34
[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:]
24 Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. 25 Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27 E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28 E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29 Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30 Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31 Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32 Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33 Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34 Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.
INQUADRAMENTO
- I capitoli quinto, sesto e settimo del vangelo di Matteo, tra i quali oggi la liturgia propone alla lettura un brano significativo del sesto, sono dedicati al Discorso della Montagna. Ma, mentre il capitolo 5 e la prima sezione del capitolo 6 hanno strutture riconoscibili - a) introduzione aperta dalle beatitudini; b) le sei antitesi; c) tre atti di pietà: elemosina, preghiera e digiuno (che la liturgia non ha proposto in quanto si tratta di un testo di apertura al periodo quaresimale) - il testo di questa domenica ha, piuttosto, un marcato carattere sapienziale.
E’ da notare che Matteo contestualizza le Similitudini e il Padre nostro nel Discorso (a differenza di Luca, la cui versione ha carattere maggiormente storico), in quanto si propone di costruire un vero e proprio catechismo sulla preghiera.
- Isaia, nella prima lettura, di cui leggiamo il passo più bello, ribadisce un concetto fondamentale, presente nelle  tre grandi religioni -cristiana, ebraica, musulmana- sulla certezza della vicinanza amorosa di Dio al suo popolo. L’immagine della madre (come quella del padre di cui il vangelo) designa il modo in cui si esplica la cura di Dio per l’essere umano. In essa si radica il concetto di Provvidenza raffigurata dal simbolo della maternità divina [tanto malintesa dai vari tipi di femminismo].
Accompagna il testo di Isaia la sezione del salmo 61 che riporta una preghiera, capolavoro in grado di ‘dire’ la piena fiducia in Dio: Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia salvezza. Lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: mai potrò vacillare. / Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia speranza. Lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: non potrò vacillare. / In Dio è la mia salvezza e la mia gloria; il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio. Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;davanti a lui aprite il vostro cuore.
- Paolo, nella seconda lettura, ricorda ai Corinzi che ciascuno dovrà considerare se stesso come hypêretê, servo sottoposto a un padrone, e oikonomos, amministratore (cioè interprete e trasmettitore) dei misteri di Dio, che gli sono stati affidati al fine di metterli a disposizione della comunità.
Dopo queste premesse passa a parlare di se stesso in prima persona singolare: per lui ha ben poca importanza il fatto di essere giudicato dai corinzi o da un qualsiasi altro tribunale umano; anzi neppure lui si sente autorizzato a giudicare se stesso. Il giudicare, designato con il verbo anakrinô, è riducibile ad una inchiesta giudiziaria; e Paolo rifiuta una procedura di questo tipo, sia che sia compiuta da altri, sia che sia lui stesso ad applicarla a sé. Infatti egli, anche se non si sente consapevole (da syneidêsis, coscienza) di aver commesso qualche sbaglio nel suo ministero presso di loro, non per questo si ritiene giustificato (da dedikaiômai, cioè liberato dal peccato), poiché la liberazione totale è da rimandare al momento finale, e cioè al momento in cui essa si compirà in modo definitivo.
E’ significativo che, parlando del giudizio divino, Paolo menzioni solo il verdetto positivo, ciascuno riceverà da Dio la lode o ricompensa. La logica divina non è quella del do ut des, perché si ispira al concetto di dono assoluto, indipendente anche dalle opere buone; queste, per essere meritorie debbono essere ben intenzionate, in quanto spogliate da ogni egocentrismo.
IL BRANO di MATTEO
1) UNO SGUARDO D’INSIEME
La struttura interna del brano è scandita quasi come un ritornello dal verbo merimnaō (preoccuparsi, darsi cura). Ripetendo per ben tre volte Non preoccupatevi, il discorso non è chiuso, quasi si trattasse di un semplice incoraggiamento di carattere psicologico; è aperto alla certezza che Dio si prende cura delle persone le quaòi si affidano a Lui.
L’intento dell’evangelista è quello di mostrare come nella missione di Cristo s’inaugura una nuova coscienza religiosa, sostanziata di fiducia nella Provvidenza; fiducia che persiste anche nelle situazioni difficili, a patire da quella della povertà materiale. In quest’ultimo specifico caso non può mancare tale fiducia, poiché interverranno la solidarietà, la generosità e l’amore vicendevole [il migliore esempio per entrare nell’ottica della fiducia nella Provvidenza ce lo danno i più poveri, alcuni dei quali riescono a vivere sereni, forse anche felici, insomma ‘ce la fanno’ meglio di altri che hanno più dell’essenziale, si preoccupano di avere uno, al massimo due figli, e ciò nonostante, non sono mai paghi, fino a naufragare nello scoraggiamento senza speranza].
In estrema  sintesi per Matteo la dinamica teologica della provvidenza di Dio, di cui sono chiamati a farsi paladini i discepoli, ha come effetto concreto un atteggiamento di libertà nei confronti dei bisogni e delle necessità che si sperimentano all’interno di ogni situazione.
2) ANALISI dei singoli versetti
24 Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
Adoperando ancora lo schema del confronto fra due realtà opposte, l’evangelista arriva fino in fondo con la sua riflessione sulla prima beatitudine: la fedeltà al Signore deve essere totale, non può lasciare il cuore diviso negli affetti (amare l’uno e odiare l’altro). Al tentativo di mettere insieme Dio e il denaro (cfr. Lc 16,14: I farisei, che erano attaccati al denaro…) Gesù risponde in maniera radicale: nessun discepolo, se si pone sulla scia da lui tracciata, può vivere in contemporanea nella fiducia in Dio e nell’attaccamento al dio denaro.
Negli scritti giudaici la ricchezza è denominata mammona (termine dalla radice incerta, forse dall’ebraico aman, degno di fiducia): si tratta del patrimonio sul quale si ripone la propria fiducia e sicurezza, e, per estensione, rappresenta tutto ciò che ha un valore in denaro, di solito associato all’ingiusta ricchezza.
Queste parole hanno suscitato lungo la storia forti critiche: in primo luogo perché non è facile capire come esse (le parole) possano andare d’accordo con tante situazioni di fame e di calamità;in secondo luogo perché sembrano fungere da invito al disimpegno e all’ingenuità.
L'immagine complessiva del versetto è densa di contrasti netti: se l’essere umano ripone la sua fiducia nella ricchezza, vuol dire che per lui Dio non significa nulla. Il rischio latente è quello di confidare nella forza del denaro per garantirsi la vita; ma non si può tenere il piede in due staffe; non ha potere salvifico l'ambiguità di una vita condotta senza la piena adesione a Dio.
E’ significativo che Matteo presenti Gesù nell’atto di mettere la comunità di fronte all'alternativa con il termine servire: l’uso di questo verbo sembra alludere al rischio serio di diventare servi del denaro anche nel servire gli altri.
25 Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Nell'affermazione si passa dal valore minore, il cibo e il vestito, a quelli superiori.
E’ evidente che il contesto teologico di fiducia elimina l’equivoco dell’invito alla pigrizia o allo scoraggiamento; infatti l'esortazione è stimolo da non ridurre alla noncuranza che strappa all’ansia, da riportare ad una filiale fiducia in Dio (di cui nella preghiera del Padre nostro).
Il termine vita, che traduce il greco psiche, è da intendere, secondo l'antropologia semita, come tutto l'essere umano (e non solo la sua anima).
26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?
Tra tutti gli animali che nel Talmud vengono benedetti dagli uomini, gli uccelli sono esclusi perché ritenuti insignificanti. E Matteo vuole offrire alla considerazione della comunità la fiducia che deve avere il discepolo nell’efficacia dell’amore del Padre, il quale non trascura nemmeno queste creature, e quindi non potrebbe non curarsi di quelle fatte a sua immagine.
Una seconda motivazione per illustrare l’insegnamento viene presa dall’osservazione della natura: chi si impegna con il proprio lavoro (seminare, mietere, raccogliere), troverà in abbondanza ciò di cui ha bisogno per la vita.
27 E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
Il paragone con gli elementi della creazione (uccelli, piante) è interrotto da una domanda che riguarda l’esistenza umana. Il termine elichia può essere inteso sia come età della vita, sia come statura del corpo, pechis (cubito di 45 cm circa).
28 E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29 Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
L’esempio relativo al vestito, è anch'esso evocativo della breve durata dell'erba del campo, di cui parla Isaia nella prima lettura, con un significativo riferimento a Salomone che nella Bibbia è sempre presentato nella sua magnificenza, anche quando non si parla di vestito come qui.
30 Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
L'espressione gente di poca fede, dal significato negativo, è una citazione che Matteo utilizza spesso, e qui adopera per sottolineare l’aspetto negativo, nell’intento di educare i discepoli ad una robusta fede.
31 Non preoccupatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". 32 Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
C’è latente un richiamo lontano al Padre celeste che si prese cura del suo popolo oppresso in Egitto. E c’è un richiamo vicino ai pagani che non facevano parte del nuovo popolo di Israele, rappresentato ora dalla comunità cristiana alla quale il discorso del monte è rivolto.
33 Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
La giustizia del regno è un tema caro a Matteo che lo aggiunge al suo testo base (la fonte Q in comune con Luca). Il cercate che invita alla giustizia in relazione all'insegnamento di Gesù, contestualizza anch’esso tutto il passo nella comunità di Matteo.
Il Regno è la nuova convivenza fraterna, in cui ogni persona deve sentirsi responsabile dell'altra. Questo modo di vedere il Regno aiuta a capire meglio le parabole degli uccelli e dei fiori. Attraverso queste è più facile capire nel suo insieme il significato dell’insegnamento, valido anche nell’attualità: l'adesione a Dio libera da ogni preoccupazione, causata, non solo dall'egoismo, ma anche da una visuale troppo corta che non permette di vivere la pienezza della vita.
34 Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.
Questo versetto, che bene conclude il brano, costituisce un’aggiunta finale. E’ un detto della saggezza popolare, dal velato sapore pessimistico, ma che, collegato con il senso del v. 32, porta a una conclusione consolante: il Padre celeste nella sua provvidenza ha cura del nostro domani. Bene esprime questo concetto Agostino di Ippona: Non è senza ricompensa che amiamo Dio, anche se bisogna amarlo senza preoccuparsi di questa ricompensa.
PUNTUALIZZAZIONI
Fior da fiore dagli esegeti sulla PROVVIDENZA:
Si chiede qualche esegeta [trascrivo con libertà, unita a scrupolosa attenzione]: il vangelo pone una domanda sul come intendere la provvidenza, che era un’idea ben nota già alla filosofia stoica.
La risposta si dispiega in ampio spettro.
La provvidenza, intesa come forma del rapporto tra Dio e mondo, designa l’onnipotenza divina che governa il corso delle cose, dal cosmo fino all’individuo. Il passo evangelico suggerisce di intenderla anzitutto come modalità dell’umano porsi davanti al mondo, alla vita e al Creatore. Questa modalità è interna all’atto di fede. Così la riassume Michel Deneken: Essere amato, ovvero, sentire di esistere per qualcuno, ma anche grazie a qualcuno. Un atteggiamento non banalmente ottimistico o spiritualistico, dimentico della dimensione del tragico e dell’irredento che traversa il mondo, ma consapevole della filialità che unisce il credente al Creatore e che suscita in lui la solidarietà con tutte le creature.
Il vivere il quotidiano evangelico non è solo saggezza; è sapienza profonda. Così ha scritto sr. Odette Prévost, uccisa in Algeria il 10 novembre 1995: Vivi l’oggi: Dio te lo offre, è tuo, vivilo in Lui. Il domani è di Dio, non ti appartiene. Non trasferire sul domani la preoccupazione di oggi: il domani è di Dio, rimettilo in Lui. Il momento presente è un fragile ponte: se lo appesantisci con i dispiaceri di ieri e con l’inquietudine di domani, il ponte cede e tu non puoi passare. Il passato? Dio lo perdona. Il futuro? Dio lo dona. Vivi l’oggi in comunione con lui.
Christian, di Tibhirine, vissuto  da monaco in Algeria nella metà del ‘900, così si esprime: L’adesione all’oggi è misura di protezione dalla tentazione di voler possedere il futuro e di aver presa sul domani. Essa si oppone al diffuso consumismo del tempo che si nutre di oroscopi e di astrologia ed è ciò che consente di sperare. C’è speranza solo là dove si accetta di non vedere il futuro.
Più sommessamente c’è da fare una domanda alquanto sconvolgente: Questo discorso, che Gesù fa a persone che hanno liberamente deciso di impegnare la loro vita nel discepolato, può essere rivolto a chi vive nella miseria e muore di fame o a chi vive nell’angoscia esistenziale?.
La risposta la leggo in Elio Taretto, carmelitano ‘laico’, morto non molti anni fa:
La speranza ha sempre un nome concreto, / e nasce quando un uomo si incarica, / giorno dopo giorno, / del proprio fratello, per camminare insieme. / La speranza sei tu se cammini. / Ma se ti fermi la speranza muore con te. / E tu dovrai rendere conto, un giorno, / della speranza che hai fatto morire / nel cuore dei tuoi compagni di strada.

venerdì 21 febbraio 2014

DOMENICA VII T.O. anno A

DOMENICA VII T.O. anno A
Lv19,1-2,17-18
Il Signore parlò a Mosè e disse: Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”.
1Cor3,16-23
Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi. Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani. Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.
Mt5,38-48
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 38 Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. 39 Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, 40 e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41 E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42 Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. 43 Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. 44 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45 affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46 Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste..
INTRODUZIONE
- Questo tempo fra Natale e la Quaresima fa riflettere, come le scorse settimane, sul fatto che non è possibile ridurre la fede cristiana a una serie di comportamenti, cioè ad una morale.
Siamo nel cuore del messaggio evangelico. Non sono in gioco ragioni etiche di filantropismo, ma ragioni di  reciprocità a dettare le norme di un amore in perdita, che continua ad amare anche quando non si è amati. La giustizia non deve perdere di vista l’amore, liberato perfino da vincoli familiari. Non capire questo è, per lo meno, non cristiano.
- Nella prima lettura, tratta dal libro del Levitico che riunisce leggi e osservanze molto antiche, si indicano delle modalità concrete con le quali è possibile che la santità non sia mera utopia.
- Nella lettera ai Corinzi Paolo afferma che l'uomo è tempio di Dio e quindi come tale deve operare nella pienezza dell'amore: se Dio è in noi, abbiamo in noi la sua stessa forza e la sua stessa grazia.
- Il vangelo di oggi riporta le ultime due antitesi che, insieme alle prime quattro lette la settimana scorsa, invitano a superare la legge intesa in senso letterale, e presentano il compimento e la perfezione dell’Amore di Dio, che Gesù traduce nel suo insegnamento e soprattutto nella sua vita.
IL VANGELO DI OGGI
Quinta antitesi – La legge del taglione
38 Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”.
La pratica della legge del taglione era già presente nel codice di Hammurabi (1800 a.C.); era una sorta di legalizzazione della vendetta privata. La legislazione di Mosè segnò un grande passo avanti in ciò che riguardava la gestione della vendetta, strappandola dalla illimitatezza; è famoso nella Bibbia il vanto di Lamech, di cui parla la Genesi: Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Ecco perché Il proverbio “occhio per occhio e dente per dente” era una forma di moderazione: la reazione al male ricevuto doveva essere proporzionata al danno, all’offesa.
39 Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra,
Il non opporsi al malvagio potrebbe essere inteso come un invito alla passività di fronte alla prepotenza. Al contrario, il vangelo invita a spezzare il cerchio della violenza attraverso iniziative di bene. Il caso dello schiaffo si riferisce ai casi di esplosione violenta nelle relazioni familiari e sociali di ogni giorno, dunque nella vita quotidiana.
40 e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.
La causa in tribunale per impossessarsi del vestito era umiliante a motivo sia della condanna pubblica sia della spogliazione conseguente. Il caso intravisto in questo versetto riguarda un processo per pignoramento, situazioni di violenza sociale ed istituzionale le quali, poste a servizio della giustizia, possono divenire strumenti di ingiustizia.
La tunica, con la sua consistenza, proteggeva la pelle, copriva la persona dalla nudità e ne esprimeva in qualche modo la dignità. Basti ricordare che Giacobbe quale espressione del suo amore particolare per Giuseppe gli regalò una tunica dalle lunghe maniche; i fratelli invece, quando lo vendettero come schiavo, gliela tolsero, spogliandolo in tal modo della sua posizione di prediletto del padre, così come si toglieva la tunica agli schiavi per spogliarli della dignità di uomini liberi. La tunica dunque esprime la dignità della persona e ne indica la posizione sociale.
41 E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due.
Un miglio, cioè mille passi, era il percorso massimo consentito ad un fedele ebreo prima di infrangere il riposo del sabato. Gesù autorizza a violare la legge per compiere un gesto di generosità verso l’altro.
42 Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
L’ambito economico è quello che più scatena cupidigia e violenza, che possono essere sconfitte con il donare a chi chiede. Per Gesù questo non basta. Ed ecco un esempio in cui tale generosità è messa maggiormente a prova: la pressante richiesta di un un prestito; ebbene, egli fa notare che proprio in situazioni simili si determina l’occasione di usarla.
Sesta antitesi – L’amore per il nemico
La seconda tappa, l'amore esteso anche al nemico, supera decisamente la passiva e inerme inoffensività del non contrapporsi, per passare ad un dinamico e dirompente amore, che impegna il credente da un punto di vista esistenziale e ad ogni livello, aprendolo non solo al prossimo amico, ma anche al nemico. Non si tratta più di sopportare pazientemente le offese ricevute, ma di farsi parte attiva per ricercare il bene e l'affermazione di chi ha offeso, interpellandolo e mettendolo a duro confronto con un nuovo e inaspettato comportamento. Ecco una legge altra, non meno dura e sconcertante, che esce da aspettative e schemi umani, e tocca l’essere umano nella sua parte più vera e profonda.
43 Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”.
L’amore del prossimo nell’interpretazione della Legge ebraica doveva limitarsi nell’ambito della appartenenza al clan familiare o alla propria tribù; anzi era giustificato l’odio verso chi era ritenuto nemico di Dio; tipico è il canto del salmista: “Quanto odio, Signore, quelli che ti odiano”.
44 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano,
Gesù propone un amore che non conosce limiti. Per indicare l’amore non è usato il verbo greco filéo che indica l’amore di benevolenza, che riceve qualcosa in cambio; ma il verbo agapao, da cui la parola agape, amore indipendente dalla corrispondenza.
Con la frase e pregate per quelli che vi perseguitano, Matteo allude a chi perseguitava la comunità cristiana.
Amare e perdonare era previsto e predicato dai rabbini. Matteo puntualizza che la predicazione di Gesù è tesa a sovvertire l’ordine dell’amore: non basta amare coloro da cui si è amati.
Pregando per il nemico prende nuove radici la mentalità, fonte dei comportamenti. La logica divina può scardinare ogni logica violenta, con il sovvertimento delle altre logiche. I suoi germi sono attecchiti nella storia: da Stefano protomartire a Francesco da Assisi, da Gandhi ai tanti testimoni dell’oggi.
45 affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Essere figli dello stesso padre nella cultura ebraica significava assomigliare al padre nel comportamento. Matteo puntualizza questo aspetto per estenderlo alla sua comunità (e quindi al cristiano).
La frase egli fa sorgere… indica un’offerta di vita rivolta a tutti, senza discriminazione tra meritevoli e non, tra puri e impuri
La frase fa piovere… va capita nel contesto della credenza diffusa in Medio Oriente in preda a continua siccità, dove la pioggia era sempre una benedizione.
46 Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?
Ecco le categorie ritenute più lontane da Dio: i pubblicani, considerati impuri fino all’essenza stessa della persona, e i pagani che adoravano altre divinità.
48 Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
E’ anzitutto interessante cogliere la pregnanza del come che indica la qualità; non si dice quanto, che indica la quantità. Gli esseri umani, con possibilità limitate dal punto di vista quantitativo, sono invitati a riprodurre il modello dell’amore divino dal punto di vista qualitativo; e non è cosa da poco: nei gesti della ‘vera’ generosità  brilla la luce del divino.
Il Siate perfetti come il Padre vostro celeste è perfetto vuole ricondurre l'essere umano a quella primordiale pienezza divina di cui godeva fin da principio, quando Dio lo aveva creato sua immagine e somiglianza, rendendolo partecipe della sua stessa vita. Non è da leggere sotto tono questa essenziale identità di contenuto tra il bagaglio religioso derivato dalla Legge (cosiddetta) antica e Legge (cosiddetta) nuova: le antitesi di Gesù non sono vere e proprie antitesi, tranne che negli aspetti formali (che per altro si riproducono anche in ogni istituzione, anche la meno grande).
Il termine greco téleioi (perfetti), assieme al suo corrispondente ebraico tamin, racchiude in sé un senso cultuale di integrità e santità, che richiama in qualche modo il "Siate santi perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo" della prima lettura. La completezza  nel vangelo ha come punto di riferimento, non tanto l’essere umano in quanto tale, quanto Dio, il quale rivolge a tutti il suo amore in maniera completa. Dal momento che la prospettiva è l’imitazione del Padre, tutto cambia radicalmente anche nella stessa natura umana: si può amare fino all’inimmaginabile, sapendo che il Padre ama tutti come suoi figli.
Una chiosa non è trascurabile. Luca, riprendendo questo testo, decide di apportare una correzione: siate misericordiosi, dice, come è misericordioso il Padre vostro. Luca aveva paura, forse, dei cristiani che pensano di essere migliori, solo perché diventano professionisti della fede, e quindi neo-farisei, giusti ed ipocriti; temeva che si facesse del Padre un modello di compassione, proprio come si riscontra nei molti che compiono gesti di pietà, facendo anche prevalere la parte migliore di se stessi, ma senza una radicale trasformazione [direi antropologica] del modello di umanità. E’ proprio questo modello che è da rimodellare.
CONSIDERAZIONI
su Amore teologico o Carità, e Giustizia
- Chi fa della fede nel Dio dell’Amore l’essenziale, l’unica cosa che dà senso alla propria vita, non può non confrontarsi con la pratica di ciò in cui crede. Ne consegue un necessario confronto tra Amore teologico o Carità, e Giustizia.
Si tratta di un confronto che si consuma dentro la propria persona, e cioè tale da investire la mentalità, prima che la pratica di vita.
L’evangelista Giovanni chiama bugiardo e mentitore chi osasse dire di amare il Dio invisibile e di fatto non amasse i fratelli vicini a lui. E si potrebbe rovesciare il discorso osservando che sarebbe bugiardo chi dicesse di amare i fratelli se non amasse il comune Padre.
- Il cristianesimo, radicando nel disegno biblico del Creatore l’amore profondo in grado di esprimesi in tutte le forme e iniziative umane, ha offerto all’umanità un modello di Amore che è stato frainteso in più modi.
Il primo fraintendimento avviene attraverso la modernità, così come la storia dell’Occidente l’ha concepita. Essa, proclamando con enfasi l’autonomia della ragione e dell’umano di fronte allo stesso Dio, ha puntato su un concetto di umano indipendente da Dio, in quanto esso stesso divino.
Da ciò: a) il concetto di una laicità tesa ad appropriarsi con le forze umane dei valori perenni (e quindi tali che vanno oltre l’umano): i cosiddetti trascendentali, bene-bello-vero, debbono essere sganciati dal Dio biblico trascendente, per essere consegnati alla soggettività umana. b) il concetto di una religiosità che si trincera nel rifiuto dell’autonomia umana, in nome dell’ubbidienza a Dio e al suo volere ‘registrato’ nella ‘Legge’.
Si tratta di due lacerazioni, dovute all’ambizione di assolutizzare le due posizioni.
Lacerazioni che possiamo leggere attraverso lo spettro che offre la contemporaneità nel quotidiano.
- Per farmi capire una esemplificazione in apparenza  banale.
Oggi i fanatismi predominano ovunque, nascosti in seno a linguaggi discriminatori. a) C’è chi difende a tutto spiano la giustizia, trema al solo pericolo che essa la si possa violare impunemente, ed impreca contro i trasgressori, soprattutto se pregiudicati (=condannati senza remissione!); ma non si preoccupa del fatto che non è questo lo spirito del vangelo: ai più basta affidarsi ai santi, che immagina aureolati in cielo e si crea in terra, puntando su figure carismatiche, scambiate per messia o Dio in terra. b) E c’è chi difende il peccatore, quasi con ammiccamento al peccato, relativizzando lo stesso significato di peccato.
Fanatismi davvero preoccupanti.
Possono sconfiggerli soltanto la Carità che sa guardare l’altro con i ‘suoi’ bisogni e la preghiera suggerita da Matteo al v. 44.
- Proprio da questo versetto traggo lo spunto per una mia limitata conclusione.
Se è vero che nessuno può sottrarsi alla unilateralità delle vedute, è anche vero che è doveroso almeno tollerare la veduta opposta. Tollerare significa assumersi la veduta opposta. Non si può restare circoscritti nella propria: pena il crollo del concetto stesso di persona umana, cioè capace di relazionarsi. 
- Chiudo perciò invitando a pregare con il salmo 102 della liturgia di oggi, il quale con estrema semplicità fa puntare lo sguardo verso un Dio definito simbolicamente quale Padre tenero, che perdona senza guardare alle colpe, nostre ed altrui.
Benedici il Signore, anima mia, / quanto è in me benedica il suo santo nome. / Benedici il Signore, anima mia, mia / non dimenticare tutti i suoi benefici. / Egli perdona tutte le tue colpe, / guarisce tutte le tue infermità, / salva dalla fossa la tua vita, / ti circonda di bontà e misericordia. / Misericordioso e pietoso è il Signore, / lento all’ira e grande nell’amore . / Non ci tratta secondo i nostri peccati/ e non ci ripaga secondo le nostre colpe. / Quanto dista l’oriente dall’occidente, / così egli allontana da noi le nostre colpe. / Come è tenero un padre verso i figli, / così il Signore è tenero verso quelli che lo temono.

venerdì 14 febbraio 2014

VI domenica T.O. anno A

VI domenica T.O. anno A
Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa. I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare.
Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano». Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.
Mt 5,17-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:17 Non crediate che io sia venuto  ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18 In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. 20 Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. 21 Avete inteso che fu detto agli antichi: ‘Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio’. 22 Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. 23 Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25 Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26 In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo! 27 Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio’. 28 Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29 Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna 30 E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31 Fu pure detto: ‘Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio’. 32 Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio. 33 Avete anche inteso che fu detto agli antichi: ‘Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti’. 34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. 36 Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37 Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno.
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BREVE PREAMBOLO
La liturgia di domenica scorsa richiamava l'insegnamento di Gesù ai suoi discepoli in modo che comprendessero quale testimonianza dovessero dare con la loro vita. In questa domenica le letture cercano di far comprendere quale debba essere il ruolo del cristiano. Egli può essere luce del mondo se, pervaso dallo Spirito di Dio, vive con sapienza.
La prima lettura ribadisce l'importanza dell'osservanza della Legge.
E’ tratta dal libro del Siracide. Questo libro prende il nome da colui che lo ha materialmente scritto, cioè Ben Sirach (196-175 a.C.), ma nella traduzione latina veniva chiamato con il termine "Ecclesiastico" perché era molto usato dalla comunità ecclesiale cristiana.
La seconda lettura è tratta dalla prima lettera di Paolo ai Corinti.  Egli, scrivendo ai membri di questa comunità, parla in modo molto concreto, sperando di arrivare al loro cuore. Li chiama ‘perfetti’, perché molti di essi si sentivano superiori agli altri. Paolo ricorda loro come i grandi non hanno conosciuto la sapienza di Dio perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero messo in croce il Cristo. E mette in luce che la pienezza della rivelazione di Dio nel vangelo avviene attraverso il dono dello Spirito di Cristo. Da sottolineare il v.10: solo lo Spirito fa addentrare ne le profondità di Dio!
Il brano evangelico di Matteo che propone la liturgia consta di quattro delle sei antitesi che servono da introduzione al grande discorso della montagna e costituiscono un esempio di rivisitazione e reinterpretazione della Legge.
La tesi di fondo è che la giustizia esigita da Gesù è superiore alla Legge interpretata in maniera legalistica e perciò comunemente detta ‘farisaica’ (i Farisei rappresentano la corrente principale fra quelle in cui era venuto evolvendosi il giudaismo del post-esilio).
ESEGESI essenziale su Mt 5,17-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:17 Non crediate che io sia venuto  ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18 In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. 20 Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Questi versetti che introducono alle antitesi lasciano trasparire la forte polemica in atto tra il nascente cristianesimo e il giudaismo. Infatti,  in virtù della nuova predicazione si riteneva la Legge mosaica ormai superata. Matteo richiama con forza la sua comunità a scoprire l’intimo nesso tra la Legge  e il messaggio di Gesù. Le antitesi, in realtà, si annidano nel cuore umano, e perciò si superano attraverso un’osservanza della Legge che superi una visione miope e proprio per questo contrappositiva.
Bastano questi brevi accenni per comprendere la complessità tematica di questi versetti, apparentemente semplici.
Il v.17 in modo velatamente polemico lascia trasparire come all'interno della comunità matteana, composta prevalentemente da giudei convertiti al cristianesimo, fosse in qualche modo filtrata la convinzione che la venuta di Gesù avesse posto fine alla Legge mosaica e alle sue pretese, e che un nuovo capitolo religioso e cultuale si fosse aperto per i nuovi discepoli.
Questo modo di pensare doveva creare certamente un qualche problema, e non di poco conto, alla comunità, dal momento che Matteo interviene in modo deciso: il non crediate è teso a togliere ogni dubbio e a troncare ogni polemica o illazione. Gesù è venuto, non per abbattere o distruggere, ma per dare compimento alla Legge. Il termine compimento, che in Matteo ricorre almeno quindici volte, è utilizzato in questi casi esclusivamente per sottolineare come per Gesù non c'è contrapposizione tra il suo operare ed insegnare, e la tradizione religiosa e cultuale ebraica; le due realtà si integrano e si illuminano reciprocamente.
Posta in questi termini, la comunità, nell’intenzione dell’evangelista, avrebbe dovuto configurare in Gesù il polo catalizzatore di confluenza dell'intera storia veterotestamentaria, nonché dell'intera umanità, in risposta al disegno salvifico del Creatore.
Il v.18 si apre con un'affermazione di principio dall'intonazione solenne -in verità vi dico- in modo da ribadire il concetto del compimento della Legge in Gesù.
Il v.19 stabilisce un parallelismo -caratteristico nella retorica ebraica- tra il trasgredire e l'osservare. Il comandamento stimato piccolo dai sofismi umani, è grande, perché in esso si rispecchia e si esprime la volontà di Dio.
E’ implicito il riferimento a due correnti di pensiero che dovevano essere in qualche modo presenti all'interno della comunità matteana: alcuni ritenevano i comandamenti di poco conto, così da poterli trascurare e in tal modo relativizzare; altri, invece, sostenevano l'obbligatorietà dell'osservanza radicale di tutti i comandamenti, in tal modo assolutizzandoli. Il punto di ricongiunzione è nel verbo insegnare: per essere minimi o grandi non sembra sufficiente il violare o l’eseguire, ma si richiede anche l'insegnare, nel senso del relazionarsi esemplare all'interno della comunità.
Il v. 20 ha una intonazione polemica: il regno dei cieli richiede una giustizia decisamente superiore a quella praticata dagli scribi e dai farisei: come dire che le nuove realtà portate da Cristo possiedono in se stesse delle esigenze e delle pretese che la Scrittura da sola non è in grado di soddisfare. Di conseguenza giusta è la persona che osserva la Legge guardando allo spirito di essa; soltanto grazie a ciò è destinata ad entrare nel regno dei cieli.
Prima antitesi 21-26 OMICIDIO
21 Avete inteso che fu detto agli antichi: ‘Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio’. 22 Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. 23 Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25 Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26 In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Il v.21 segna l’inizio della prima antitesi.
La struttura dell'antitesi è semplice: esposizione della tesi, che si rifà a dei noti comandamenti mosaici -Avete udito che fu detto agli antichi- e contrapposizione ad essa con un'altra tesi che, riprendendo il tema della prima, lo amplia in modo innovativo -ma io vi dico-.
Il fu detto è un passato remoto espresso nella forma passiva perché  ha come soggetto implicito Dio stesso. Ma probabilmente nei tempi antichi il soggetto richiamava Mosé, che ricevette da Dio la Legge e successivamente Giosué e gli anziani, i quali a loro volta la ricevettero da Mosè.
La tesi -non ucciderai- è tratta dall’Esodo, ma la formulazione è assoluta ed atemporale. Si noti come non viene specificato l'oggetto verso cui l'azione dell'uccidere è rivolta, per lasciare intendere come tale divieto è posto a totale tutela della vita sotto qualsiasi forma essa si presenti.
Il v.22 sottolinea che l'atto di aggressione alla vita non si manifesta soltanto con la soppressione fisica della stessa. I termini aramaici dabar, stupido, e raca, insensato, pazzo, in concreto sono aggressione, attentato alla vita, e perciò chi li pronunzia è soggetto ad un giudizio di condanna.
Il v. 23 pone l’accento, non su chi compie normalmente l'azione cultuale, ma su chi non la sta compiendo e che è pertanto fuori dal cerchio cultuale; motivo per cui, se l'altro ha qualcosa contro di te -non tu, ma l'altro- tu non puoi dirti riconciliato e per questo non puoi entrare in comunione con Dio.
I vv.24-26 indicano il modo di ricomporre l’equilibrio spezzato: a fatti.
Seconda antitesi vv.27-30 ADULTERIO
27 Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio’. 28 Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29 Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30 E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Lo sfondo biblico della seconda antitesi è quello dell’Esodo.
Il compimento proposto da Gesù va nel senso della ricerca di ciò che sta alla radice del peccato: cioè più che il peccato materiale conta la motivazione interiore che lo provoca; il peccato si ‘cura’ risalendo alla causa della caduta morale.
I vv.27-28 alludono al nono comandamento, non ridotto a fattore prescrittivo, di osservanza: il senso dei comandamenti va cercato oltre le formulazioni, nell’impostazione che ciascuno dà alle proprie scelte di vita.
I vv.29-30 aggiungono un'ulteriore esemplificazione che fa riferimento a parti del corpo ritenute importanti (nel parallelo di Marco sono menzionati mano, piede, occhio) per la loro funzione, che simboleggia i comportamenti. Ecco perché l'occhio ha un collegamento con il desiderio. Questo, se lussurioso, guarda la persona in modo possessivo, laddove il desiderio dovrebbe essere incanalato verso la persona da rispettare  ed amare.
Il tema dell'adulterio è affrontato giuridicamente in Esodo, Levitico e Deuteronomio, e non presenta equivoci nella sua interpretazione. L’adulterio si verifica quando uno dei due coniugi tradisce l'altro, o entrambi si tradiscono reciprocamente. In tal caso viene gravemente offeso il vincolo matrimoniale che fa dei due una sola carne e trova il suo fondamento in Genesi: Gesù lo ricondurrà a questo principio genesiaco. Inoltre nella Scrittura esso viene preso come parametro di raffronto per configurare il rapporto di Alleanza tra Dio e il suo popolo. Pertanto il matrimonio viene ad assumere un significato e una sacralità che vanno ben al di là del semplice decorso naturale delle cose.
Gesù vuole ricondurre l'essere umano alla sincerità del cuore, là dove nel segreto egli si incontra con Dio ancor prima di celebrarlo nel culto del Tempio o della Torah, poiché ciò che lo contamina è ciò che esce dal suo cuore.
Terza antitesi vv.31-32 DIVORZIO
31 Fu pure detto: ‘Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio’. 32 Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Soltanto questa terza antitesi esordisce in modo diverso con Fu detto poi. Il poi dice aggiunta, aggancio all’antitesi precedente.
Contro la pratica del ripudio prevista dal Deteuronomio, Gesù ribadisce l'indissolubilità del matrimonio. Mentre in Luca l'adulterio si dà nel caso in cui al divorzio segua un altro matrimonio, per Matteo il divorzio stesso è equiparato all'adulterio. Per unione illegittima si intende l'unione illecita, proibita, ma accettabile nel caso di persone provenienti dal paganesimo, oppure caratterizzate da un atteggiamento sessuale deviato. Il termine utilizzato nell'originale greco, porneia, ha un significato molto controverso (la clausola è presente solo in Matteo).
Quarta antitesi vv.33-37 GIURAMENTO
33 Avete anche inteso che fu detto agli antichi: ‘Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti’. 34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re.
36 Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.37 Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno.
La quarta antitesi è introdotta da un anche che pare segnare una frattura con le precedenti. Il riferimento è ai testi del Levitico e dell’Esodo: si giurava usando dei termini sostitutivi del nome di Dio: il cielo, la terra, la propria testa. L'osservazione del v. 36 è ironica, visto che la pratica di tingersi i capelli è antichissima e sotto la tinta era sempre possibile scorgere il colore naturale; potrebbe essere quindi un rimprovero per la tentazione sempre in agguato di voler cambiare la natura.
La proibizione di Gesù contro il giuramento ha lo stesso scopo della norma contro il falso giuramento.
Il maligno di cui si parla nel v. 37 può essere riferito sia all'essere umano che compie il male sia a Satana.
UNA CONCLUSIONE?
Tante volte, ascoltando i commenti evangelici a più livelli, stranamente essi mi sembrano poco dissimili da quelli che mi ammannisce in radio-Maria nelle lunghe notti insonni Padre Livio, instancabile accanito noioso predicatore; o i giornalisti preparati del tipo di ‘Prima Pagina’, o qualche raro show televisivo qualificato sulla intricata attualità, o i discorsi che ovunque ascolto dalla tanto plagiata gente comune (il nuovo dio da adulare). Ovunque non c’è modo di uscire dall’empasse: non ascoltare nessuno o trovare il modo giusto di ascoltare. Nemmeno la mia lettura appassionata della Scrittura mi libera da tale empasse.
La liberazione la trovo nella preghiera, quando in essa mi metto nella disposizione di ascoltare la Parola autentica di Dio.
Ma la preghiera è efficace se mi distoglie dal cercare da me ed a mio uso e consumo; se non mi pone nella disposizione di ‘obbedire al tempo’ (S.Weil), e cioè al limite di qualsiasi parola e relativo atteggiamento umano.
Ed è difficile saper pregare: bisogna implorare la stessa preghiera perché sia lo Spirito a pregare in me e potere scoprire che i cosiddetti comandamenti sono dono, grazia, e che hanno la forza propulsiva di cambiare tutto: nell’operare, comunicare, vivere.
Gesù non prega con parole sue sulla croce, ripete salmi frutto di una sapienza senza confini geografici e temporali. Le sue parole sono frutto dei tale sapienza. La quale, in ultima analisi, non è umana.
- Insegnami, o Gesù, a pregare come Te
[Sarebbero utili gli sviluppi anche minimi da parte di chi legge, perché io davvero non so dire meglio e di più].