venerdì 14 febbraio 2014

VI domenica T.O. anno A

VI domenica T.O. anno A
Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa. I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare.
Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano». Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.
Mt 5,17-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:17 Non crediate che io sia venuto  ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18 In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. 20 Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. 21 Avete inteso che fu detto agli antichi: ‘Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio’. 22 Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. 23 Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25 Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26 In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo! 27 Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio’. 28 Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29 Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna 30 E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. 31 Fu pure detto: ‘Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio’. 32 Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio. 33 Avete anche inteso che fu detto agli antichi: ‘Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti’. 34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. 36 Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37 Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno.
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BREVE PREAMBOLO
La liturgia di domenica scorsa richiamava l'insegnamento di Gesù ai suoi discepoli in modo che comprendessero quale testimonianza dovessero dare con la loro vita. In questa domenica le letture cercano di far comprendere quale debba essere il ruolo del cristiano. Egli può essere luce del mondo se, pervaso dallo Spirito di Dio, vive con sapienza.
La prima lettura ribadisce l'importanza dell'osservanza della Legge.
E’ tratta dal libro del Siracide. Questo libro prende il nome da colui che lo ha materialmente scritto, cioè Ben Sirach (196-175 a.C.), ma nella traduzione latina veniva chiamato con il termine "Ecclesiastico" perché era molto usato dalla comunità ecclesiale cristiana.
La seconda lettura è tratta dalla prima lettera di Paolo ai Corinti.  Egli, scrivendo ai membri di questa comunità, parla in modo molto concreto, sperando di arrivare al loro cuore. Li chiama ‘perfetti’, perché molti di essi si sentivano superiori agli altri. Paolo ricorda loro come i grandi non hanno conosciuto la sapienza di Dio perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero messo in croce il Cristo. E mette in luce che la pienezza della rivelazione di Dio nel vangelo avviene attraverso il dono dello Spirito di Cristo. Da sottolineare il v.10: solo lo Spirito fa addentrare ne le profondità di Dio!
Il brano evangelico di Matteo che propone la liturgia consta di quattro delle sei antitesi che servono da introduzione al grande discorso della montagna e costituiscono un esempio di rivisitazione e reinterpretazione della Legge.
La tesi di fondo è che la giustizia esigita da Gesù è superiore alla Legge interpretata in maniera legalistica e perciò comunemente detta ‘farisaica’ (i Farisei rappresentano la corrente principale fra quelle in cui era venuto evolvendosi il giudaismo del post-esilio).
ESEGESI essenziale su Mt 5,17-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:17 Non crediate che io sia venuto  ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18 In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. 20 Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Questi versetti che introducono alle antitesi lasciano trasparire la forte polemica in atto tra il nascente cristianesimo e il giudaismo. Infatti,  in virtù della nuova predicazione si riteneva la Legge mosaica ormai superata. Matteo richiama con forza la sua comunità a scoprire l’intimo nesso tra la Legge  e il messaggio di Gesù. Le antitesi, in realtà, si annidano nel cuore umano, e perciò si superano attraverso un’osservanza della Legge che superi una visione miope e proprio per questo contrappositiva.
Bastano questi brevi accenni per comprendere la complessità tematica di questi versetti, apparentemente semplici.
Il v.17 in modo velatamente polemico lascia trasparire come all'interno della comunità matteana, composta prevalentemente da giudei convertiti al cristianesimo, fosse in qualche modo filtrata la convinzione che la venuta di Gesù avesse posto fine alla Legge mosaica e alle sue pretese, e che un nuovo capitolo religioso e cultuale si fosse aperto per i nuovi discepoli.
Questo modo di pensare doveva creare certamente un qualche problema, e non di poco conto, alla comunità, dal momento che Matteo interviene in modo deciso: il non crediate è teso a togliere ogni dubbio e a troncare ogni polemica o illazione. Gesù è venuto, non per abbattere o distruggere, ma per dare compimento alla Legge. Il termine compimento, che in Matteo ricorre almeno quindici volte, è utilizzato in questi casi esclusivamente per sottolineare come per Gesù non c'è contrapposizione tra il suo operare ed insegnare, e la tradizione religiosa e cultuale ebraica; le due realtà si integrano e si illuminano reciprocamente.
Posta in questi termini, la comunità, nell’intenzione dell’evangelista, avrebbe dovuto configurare in Gesù il polo catalizzatore di confluenza dell'intera storia veterotestamentaria, nonché dell'intera umanità, in risposta al disegno salvifico del Creatore.
Il v.18 si apre con un'affermazione di principio dall'intonazione solenne -in verità vi dico- in modo da ribadire il concetto del compimento della Legge in Gesù.
Il v.19 stabilisce un parallelismo -caratteristico nella retorica ebraica- tra il trasgredire e l'osservare. Il comandamento stimato piccolo dai sofismi umani, è grande, perché in esso si rispecchia e si esprime la volontà di Dio.
E’ implicito il riferimento a due correnti di pensiero che dovevano essere in qualche modo presenti all'interno della comunità matteana: alcuni ritenevano i comandamenti di poco conto, così da poterli trascurare e in tal modo relativizzare; altri, invece, sostenevano l'obbligatorietà dell'osservanza radicale di tutti i comandamenti, in tal modo assolutizzandoli. Il punto di ricongiunzione è nel verbo insegnare: per essere minimi o grandi non sembra sufficiente il violare o l’eseguire, ma si richiede anche l'insegnare, nel senso del relazionarsi esemplare all'interno della comunità.
Il v. 20 ha una intonazione polemica: il regno dei cieli richiede una giustizia decisamente superiore a quella praticata dagli scribi e dai farisei: come dire che le nuove realtà portate da Cristo possiedono in se stesse delle esigenze e delle pretese che la Scrittura da sola non è in grado di soddisfare. Di conseguenza giusta è la persona che osserva la Legge guardando allo spirito di essa; soltanto grazie a ciò è destinata ad entrare nel regno dei cieli.
Prima antitesi 21-26 OMICIDIO
21 Avete inteso che fu detto agli antichi: ‘Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio’. 22 Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. 23 Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25 Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26 In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Il v.21 segna l’inizio della prima antitesi.
La struttura dell'antitesi è semplice: esposizione della tesi, che si rifà a dei noti comandamenti mosaici -Avete udito che fu detto agli antichi- e contrapposizione ad essa con un'altra tesi che, riprendendo il tema della prima, lo amplia in modo innovativo -ma io vi dico-.
Il fu detto è un passato remoto espresso nella forma passiva perché  ha come soggetto implicito Dio stesso. Ma probabilmente nei tempi antichi il soggetto richiamava Mosé, che ricevette da Dio la Legge e successivamente Giosué e gli anziani, i quali a loro volta la ricevettero da Mosè.
La tesi -non ucciderai- è tratta dall’Esodo, ma la formulazione è assoluta ed atemporale. Si noti come non viene specificato l'oggetto verso cui l'azione dell'uccidere è rivolta, per lasciare intendere come tale divieto è posto a totale tutela della vita sotto qualsiasi forma essa si presenti.
Il v.22 sottolinea che l'atto di aggressione alla vita non si manifesta soltanto con la soppressione fisica della stessa. I termini aramaici dabar, stupido, e raca, insensato, pazzo, in concreto sono aggressione, attentato alla vita, e perciò chi li pronunzia è soggetto ad un giudizio di condanna.
Il v. 23 pone l’accento, non su chi compie normalmente l'azione cultuale, ma su chi non la sta compiendo e che è pertanto fuori dal cerchio cultuale; motivo per cui, se l'altro ha qualcosa contro di te -non tu, ma l'altro- tu non puoi dirti riconciliato e per questo non puoi entrare in comunione con Dio.
I vv.24-26 indicano il modo di ricomporre l’equilibrio spezzato: a fatti.
Seconda antitesi vv.27-30 ADULTERIO
27 Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio’. 28 Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29 Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30 E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Lo sfondo biblico della seconda antitesi è quello dell’Esodo.
Il compimento proposto da Gesù va nel senso della ricerca di ciò che sta alla radice del peccato: cioè più che il peccato materiale conta la motivazione interiore che lo provoca; il peccato si ‘cura’ risalendo alla causa della caduta morale.
I vv.27-28 alludono al nono comandamento, non ridotto a fattore prescrittivo, di osservanza: il senso dei comandamenti va cercato oltre le formulazioni, nell’impostazione che ciascuno dà alle proprie scelte di vita.
I vv.29-30 aggiungono un'ulteriore esemplificazione che fa riferimento a parti del corpo ritenute importanti (nel parallelo di Marco sono menzionati mano, piede, occhio) per la loro funzione, che simboleggia i comportamenti. Ecco perché l'occhio ha un collegamento con il desiderio. Questo, se lussurioso, guarda la persona in modo possessivo, laddove il desiderio dovrebbe essere incanalato verso la persona da rispettare  ed amare.
Il tema dell'adulterio è affrontato giuridicamente in Esodo, Levitico e Deuteronomio, e non presenta equivoci nella sua interpretazione. L’adulterio si verifica quando uno dei due coniugi tradisce l'altro, o entrambi si tradiscono reciprocamente. In tal caso viene gravemente offeso il vincolo matrimoniale che fa dei due una sola carne e trova il suo fondamento in Genesi: Gesù lo ricondurrà a questo principio genesiaco. Inoltre nella Scrittura esso viene preso come parametro di raffronto per configurare il rapporto di Alleanza tra Dio e il suo popolo. Pertanto il matrimonio viene ad assumere un significato e una sacralità che vanno ben al di là del semplice decorso naturale delle cose.
Gesù vuole ricondurre l'essere umano alla sincerità del cuore, là dove nel segreto egli si incontra con Dio ancor prima di celebrarlo nel culto del Tempio o della Torah, poiché ciò che lo contamina è ciò che esce dal suo cuore.
Terza antitesi vv.31-32 DIVORZIO
31 Fu pure detto: ‘Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio’. 32 Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Soltanto questa terza antitesi esordisce in modo diverso con Fu detto poi. Il poi dice aggiunta, aggancio all’antitesi precedente.
Contro la pratica del ripudio prevista dal Deteuronomio, Gesù ribadisce l'indissolubilità del matrimonio. Mentre in Luca l'adulterio si dà nel caso in cui al divorzio segua un altro matrimonio, per Matteo il divorzio stesso è equiparato all'adulterio. Per unione illegittima si intende l'unione illecita, proibita, ma accettabile nel caso di persone provenienti dal paganesimo, oppure caratterizzate da un atteggiamento sessuale deviato. Il termine utilizzato nell'originale greco, porneia, ha un significato molto controverso (la clausola è presente solo in Matteo).
Quarta antitesi vv.33-37 GIURAMENTO
33 Avete anche inteso che fu detto agli antichi: ‘Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti’. 34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re.
36 Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.37 Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno.
La quarta antitesi è introdotta da un anche che pare segnare una frattura con le precedenti. Il riferimento è ai testi del Levitico e dell’Esodo: si giurava usando dei termini sostitutivi del nome di Dio: il cielo, la terra, la propria testa. L'osservazione del v. 36 è ironica, visto che la pratica di tingersi i capelli è antichissima e sotto la tinta era sempre possibile scorgere il colore naturale; potrebbe essere quindi un rimprovero per la tentazione sempre in agguato di voler cambiare la natura.
La proibizione di Gesù contro il giuramento ha lo stesso scopo della norma contro il falso giuramento.
Il maligno di cui si parla nel v. 37 può essere riferito sia all'essere umano che compie il male sia a Satana.
UNA CONCLUSIONE?
Tante volte, ascoltando i commenti evangelici a più livelli, stranamente essi mi sembrano poco dissimili da quelli che mi ammannisce in radio-Maria nelle lunghe notti insonni Padre Livio, instancabile accanito noioso predicatore; o i giornalisti preparati del tipo di ‘Prima Pagina’, o qualche raro show televisivo qualificato sulla intricata attualità, o i discorsi che ovunque ascolto dalla tanto plagiata gente comune (il nuovo dio da adulare). Ovunque non c’è modo di uscire dall’empasse: non ascoltare nessuno o trovare il modo giusto di ascoltare. Nemmeno la mia lettura appassionata della Scrittura mi libera da tale empasse.
La liberazione la trovo nella preghiera, quando in essa mi metto nella disposizione di ascoltare la Parola autentica di Dio.
Ma la preghiera è efficace se mi distoglie dal cercare da me ed a mio uso e consumo; se non mi pone nella disposizione di ‘obbedire al tempo’ (S.Weil), e cioè al limite di qualsiasi parola e relativo atteggiamento umano.
Ed è difficile saper pregare: bisogna implorare la stessa preghiera perché sia lo Spirito a pregare in me e potere scoprire che i cosiddetti comandamenti sono dono, grazia, e che hanno la forza propulsiva di cambiare tutto: nell’operare, comunicare, vivere.
Gesù non prega con parole sue sulla croce, ripete salmi frutto di una sapienza senza confini geografici e temporali. Le sue parole sono frutto dei tale sapienza. La quale, in ultima analisi, non è umana.
- Insegnami, o Gesù, a pregare come Te
[Sarebbero utili gli sviluppi anche minimi da parte di chi legge, perché io davvero non so dire meglio e di più].

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