venerdì 7 febbraio 2014

V DOMENICA T.O. anno A

V DOMENICA T.O. anno A
Is 58.7-10
Così dice il Signore: Non consiste forse [il digiuno che voglio] nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, ma senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio..
1Cor 2.1-5
Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso.  Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
Mt 5.13-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 13 Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15 né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
INTRODUZIONE
Nella lettura continua del vangelo di Matteo, domenica scorsa sostituita dalla festa della presentazione al tempio, la liturgia aveva proposto la difficile pagina delle beatitudini. E da questa domenica e per qualche settimana si approfondiranno proprio queste.
La prima lettura da Isaia, di impareggiabile bellezza, scritta tanti secoli prima di Cristo, sintetizza, nella forma e nella sostanza, il suo messaggio, quale è giunto ai posteri attraverso i vangeli. Si sofferma sull'esercizio della carità sincera e operosa: vestire gli ignudi, condividere anche le poche risorse di cui si dispone con chi è privo del necessario, praticare la giustizia verso gli umili e i derelitti. E sottolinea che, quando l'esercizio dell'amore al prossimo diventa cosa effettiva, perfino le tenebre si tramutano in luce. Cos'altro può rendere più luminosi e convincenti della carità?
La luce come responsabilità dei credenti: così potrebbe essere intesa l’unità tra prima lettura e vangelo. Ovvero, la chiamata alla fede è la chiamata a divenire luce.
Il testo di Paolo della seconda lettura ricorda, a partire dalla sua esperienza, che la logica di Dio è diversa da quella del mondo, in quanto è è una logica crocifissa. Per entrare in essa non ci vogliono “discorsi persuasivi di sapienza” (anche la sapienza può essere soltanto umana):  la forza della predicazione del vangelo si basa sulla comunicazione dello Spirito.
ANALISI di Mt 5.13-16
13 Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Il primo modello del discepolato di Gesù è espresso attraverso l’immagine del sale, in cui al senso ovvio di dare sapore ai cibi (Gb 6,6), si aggiunge quello di conservare (Bar 6,27) e purificare. Ha un senso liturgico molto significativo, facendo riferimento all'uso cultuale AT (per i sacrifici era prescritta l'aggiunta del sale). Nell'AT il sale era anche indice di valore duraturo, in riferimento al ruolo di conservazione, ed era simbolo della sapienza.
Matteo si rivolge alla comunità cristiana ricordandole che essa  deve avere il sapore delle beatitudini; e deve divenire sale della terra, poiché il vangelo dà senso all'esistenza. Infatti la fede in Cristo rende consapevoli dell’identità umana di figli del Padre.
A prima vista sorprende la messa in guardia circa la possibilità di perdere sapore, ma resta vero che il sale si può adulterare e quindi avere meno forza. In verità Matteo usa la frase il sale impazzisce, anziché perde sapore. L’originale dà l’idea di qualcosa che viene triturato, calpestato dalla gente. Come se si volesse specificare: la gente attende dai discepoli un’alternativa a quella sociale; se essi non passano alla pratica, perdono il sapore, cioè l’autorevolezza: il discepolo che non ha il sapore di Cristo non serve a nessuno.
14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte,
Che Dio sia luce del mondo lo abbiamo sentito, il Vangelo di Giovanni l'ha ripetuto, ci crediamo; ma sentire - e credere - che anche l'essere umano è luce, che lo siamo anch'io e tu, con tutti i nostri limiti e le nostre ombre, questo è sorprendente. E non si tratta di una esortazione di Gesù: siate, sforzatevi di diventare luce, ma: sappiate che lo siete già. La candela non deve sforzarsi, se è accesa, di far luce, è la sua natura, così voi. La luce è il dono naturale del discepolo che ha respirato Di.
Luce e tenebre sono il binomio di contraddizione che interessa diverse pagine della Bibbia, non ultima quella della Genesi intorno alla creazione. Essa effettivamente non pone i due elementi antitetici in relazione iniziale di contrasto ma di necessaria continuità: la luce è possibile solo quando sussistano le tenebre e queste sono consequenziali e relative alla luminosità. In altre parole, luce e tenebre nella creazione sono cose distinte, ma ciascuna è correlativa all'altra. Sia Giovanni Battista sia Gesù ci descrivono però le tenebre necessariamente opposte alla luce, perché assumono il significato profondo di peccato, o meglio di disagio morale che consegue al peccato, e parlano di luce che irrompe nelle tenebre per averne ragione.
E’ da notare che Matteo parla di luce del mondo. Dunque l’essere luce a cui sono chiamati i discepoli ha una funzione universale. Sarebbe una piccola misera cosa la luce che splendesse soltanto per gli appartenenti alla comunità cristiana.
La frase la città che sta sopra un monte è allegorica. Puntualizza che la città è santificata dalla presenza del Tempio, e nello stesso tempo simboleggia la visibilità che essa è chiamata ad avere oltre i suoi confini.
15 né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
Ai tempi di Gesù c’era ancora un usanza: il capo famiglia, alla fine della giornata, prendeva una lucerna d’argilla riempita d’olio di oliva e, una volta accesa, la poneva in alto, su un lucerniere appeso al soffitto affinché la piccola fiammella illuminasse tutta la stanza. Da qui l'immagine della lampada assieme a quella del moggio, un aggeggio di misurazione che aveva la forma di un mastello poggiato su tre o quattro piedi.
Il significato dell’immagine è teologico: posporre il kérigma alle ideologie umane o allinearlo ad esse vuol dire spegnerlo perché viene ad essere posto sotto il moggio della interpretazione e speculazione dell’uomo [forse il tempo attuale è come non mai il tempo del moggio, che nasconde la luce di Dio e accende gli stoppini maleodoranti dei prodotti umani senza Dio].
16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
Il cristiano è invitato a non cercare successo, e quindi  a vivere la sua identità, tenendo sempre presente che essa consiste nel lasciarsi compenetrare del sapore e della luce di Cristo, non in funzione dell’incremento della personalità del singolo e della sua comunità, ma ai fini di essere esemplare per tutti gli esseri umani.
L'appellativo il Padre vostro che è nei cieli è caratteristico in Matteo, e rappresenta un tipico modo ebraico di rivolgersi a Dio nella preghiera. Per la prima volta si nomina Dio nella sua qualità di datore di vita: egli è Padre, in cui tutta la comunità si riconosca e tutto il creato sia santificato (è questo il significato del rendere gloria: colui che è pervaso dalla grazia di Dio è chiamato a ricondurre il creato alla sua funzione di rispecchiare e realizzare il fine della creazione. Il Padre non ha voluto restare nei cieli della trascendenza, ma farsi immanente, senza sminuire la sua trascendenza divina. In sintesi, il discepolo di Cristo ha il compito di rendere efficace il disegno creativo.
QUALCHE CONCLUSIONE
a) fior da fiore DAGLI ESEGETI
- - - Diceva Abram Lincoln: "la religione di un uomo non serve a nulla se non ne traggono vantaggio anche il suo cane e il suo gatto"; ed effettivamente nessuna fede è compatibile con la coerenza e con la linearità quando non produce appropriati frutti e quando il professarla non produce una gioiosa testimonianza della quale tutti possono usufruire.
- - - Colui che vede i bisogni e le sofferenze altrui e interviene per alleviarli, vedrà rimarginarsi le proprie ferite. La coscienza di essere noi stessi malati è essenziale per vedere le ferite altrui e potersene prendere cura con efficacia, sperimentando in tal modo su di sé effetti terapeutici positivi.
- - - L’essere luce e sale in rapporto a tutti non è un dato acquisito una volta per sempre, ma un evento che accade ogni qualvolta il credente ascolta la parola di Gesù e del Vangelo e la mette in pratica in attitudine di servizio. Ci va la consapevole umiltà di riconoscere che il contributo messianico nei riguardi dell’umanità da parte dei credenti è sempre limitato e parziale: ogni sua declinazione in senso totalitario e assoluto è un tradimento della logica evangelica; nulla è scontato nella vita di fede; il rischio della de-vocazione è reale.
- - - Una glossa bizantina al nostro testo evangelico recita: “Non dice: Voi siete luci, ma luce”. La cartina di tornasole, attraverso la quale vedere quale è il compito della Chiesa, è il suo farsi comunione fraterna, non in seno ad una élite, ma in seno all’umanità intera.
- - - Gesù svela il volto di un Dio diverso dalle paure umane. Egli, davanti alla perplessità e alla fatica di vivere, invece di abbassare il tiro, lo alza. Non mette dei bemolle, non cerca compromessi: se il sale perde il sapore, con che cosa possiamo salare i cibi?
- - - Il sale è prezioso: non per niente era dato come paga ai soldati romani. Non è necessaria una quantità grande di sale. Come non c'è bisogno di molto sale per insaporire una pietanza, così non c’è bisogno di folle di cristiani per insaporire la società, bensì di cristiani autentici; di un cristianesimo che non si riduca ad abitudine, a tradizione, a etica, a solidarietà, ma che doni più sapore alla vita.
- - - I sentieri delle tenebre che attraversiamo in questa vita temporale spesso sono molto più accattivanti delle vie della luce. Un proverbio cinese afferma. "è difficile trovare un gatto nero in una stanza buia"; infatti ci va la luce per scoprirlo. Un certo filosofo filosofo aggiunge che cercare la verità senza la Trascendenza è come cercare un gatto nero in una stanza buia e ogni tanto gridare "l'ho trovato, l'ho trovato", tipico di chi si illude di trovare l'inverosimile con le sue sole forze.
Essere stati illuminati è prerogativa per essere luminosi. Ma qual è il concreto atteggiamento che rende luce? Sorprendente è la risposta che riporta il libro del profeta Isaia di cui alla Prima Lettura odierna: l'esercizio della carità sincera e operosa. Cos'altro può rendere infatti più luminosi e convincenti della carità?
- - - L'indifferentismo religioso è tendenzialmente il nome nuovo e più pericoloso dell'ateismo nella società secolarizzata contemporanea.
b) attraverso IL MIO CUORE
- - - Assisto con dolore all’inutile dibattersi per correggere le storture attuali in ogni campo: dalla politica ai luoghi della cultura ufficiale e non. Vedo prevalere un clima culturale intossicato soprattutto dai social network (per giunta affidati in mano a bambini ed adolescenti). E mi accorgo che nessuno sa o si impegna a trovare soluzioni adeguate alla contemporaneità. Mi chiedo se chi legge il vangelo lo interroghi seriamente.
Mi fa tanta tristezza assistere al divario quasi assoluto tra fede e vita. E temo che ciò avvenga anche tra coloro che leggono i miei commenti domenicali. Da alcuni sintomi noto che sia prevalente o un’attenzione poco efficace o il solito spirito di critica nei riguardi della chiesa, il quale produce ben poco.
- - - Nel leggere e rileggere le Letture, voglio condividere con voi alcuni dubbi in forma interrogativa: cosa è il nostro essere sale e luce? ci basta qualche azione buona, la frequenza dei sacramenti, o la non frequentazione per delusione? come confrontarci con e nella chiesa? ci bastano i soliti mezzi che ci vengono offerti? vogliamo davvero illuderci che questo papa possa far miracolosi cambiamenti? ci bastano i soliti mezzi caritativi, sia pure più ‘umani’, delegando ancora allo welfare o alla caritas o ad altre generose formazioni che nella sostanza restano di beneficenza? E mi fermo qui.
- - - Non so cosa siano gli anziani ormai inabili per i canali che offre la chiesa. Io ho la buona sorte (per poterla condividere con tanti altri) di provare quanto siano insufficienti.
- - - Preferisco chiudere queste mie confidenze, invocando il Padre con la preghiera formulata da Teilhard de Chardin (ben sapendo che la preghiera ha un grandissimo valore, ma rischia, se non si è vigili, di essere considerata suppletiva della condivisione concreta di cui sopra):
Oh! adorare e cioè perdersi nell'insondabile, immergersi nell'inesau­ribile, trovare pace nell'incorruttibile, assorbirsi nell'immensità defi­nita, offrirsi al Fuoco e alla Trasparenza, annientarsi consapevol­mente e volontariamente man mano che si prende sempre più coscienza di sé, darsi senza limiti a ciò che non ha limite!

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