venerdì 30 agosto 2013

Domenica XXII T.O. annoC


DOMENICA XXII T.O. anno C
Sir 3, 19-21.30-31
Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato. Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male. Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio.
Eb 12, 18-19.22-24
Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.
Luca 14,1.7-14
Avvenne che 1 un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. 2 Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. 3 Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: È lecito o no guarire di sabato?. 4 Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. 5 Poi disse loro: Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?. 6 E non potevano rispondere nulla a queste parole. 7 Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8 Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9 e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: ‘Cedigli il posto!’. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10 Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: ‘Amico, vieni più avanti!’. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11 Perché chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.12 Disse poi a colui che l’aveva invitato: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13 Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14 e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti.
LE LETTURE ODIERNE: l’agire umile
Nelle proto-comunità cristiane Gesù è raffigurato come colui che apre il corso di un nuovo modo di vivere il rapporto con Dio e il prossimo, e ciò propone ai suoi seguaci; in effetti il testo di Luca che oggi leggiamo ha una portata cristologica.
Nell’A.T. è prevalente un'immagine teocentrica dell'essere umano: questi, riconoscendosi dipendente da Dio, non ha nulla di cui vantarsi, ma sa che non gli mancherà mai la protezione divina. Il salmo 8.4,5 recita così: Che cos'è l'uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura? Eppure tu l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio, e l'hai coronato di gloria e d’onore.
Attraverso questa immagine l’osservanza religiosa sfocia nella condivisione agapica con JHWH, il Dio che vuole gli esseri umani partecipi della sua pienezza di Vita.
Tale idea-base è sostanzialmente recepita nel N.T., ma ora essa si innesta nella visione antropocentrica del mondo greco, dato che i testi antichi, di cui si nutriva la religiosità ebraica, sono stati tradotti in greco, e qualcosa è stata smarrita nel senso originario delle parole. La dipendenza amorosa da Dio si carica di toni ascetici, che riflettono una condizione di inferiorità: c’è da superare un senso di vergogna per la propria indegnità mediante il pensiero e l'azione che contrastino la natura, la quale è essenzialmente hybris, cioè arroganza.
Da qui, nel versante cristiano, si profila un nuovo orizzonte: e la virtù dell’umiltà assume sfumature di non poco conto, soprattutto perché ‘addossate’ alla figura di Gesù. Egli avrebbe rivoluzionato i cardini del teocentrismo dell’A. T. facendosi maestro di umiltà, assumendo uno stile di vita castigato; liberando la condivisione agapica, propria dell’A.T., da aspetti cultuali e assumendo quelli dell’umile servizio.
- In ebraico il sostantivo che indica l’umiltà del servo di JHWH è anawah, da anah, in riferimento all’atteggiamento di colui che si piega in quanto persona di condizione inferiore. Ma solo i profeti (di cui Giovanni Battista è l’ultimo rappresentante nell’A.T.), pre-dicavano il cambiamento del cuore e della mente (ci riferiamo alla metanoia, evidenziata la domenica scorsa) attraverso il digiuno e la penitenza. Ora Luca presenta Gesù nell’atto di correggere tale interpretazione piegata unilateralmente ad una malintesa ascetica. Ciò è valido anche per l’oggi, perché il vero nemico da abbattere è l’egocentrismo, con la conseguente chiusura ai bisogni dell’altro.
- Le prime due letture, proposte dalla liturgia, commentano il concetto lucano di umiltà in forma esortativa e dal punto di vista pratico: nel Siracide si parla di umiltà quale attitudine ed atteggiamento umano graditi a Dio e che rendono amabile colui che la vive: umile è il saggio armato di modestia, da non confondere con mediocrità, disistima o artificiale schermaglia; è il piccolo dalle apparenze comuni, che però sa di contare su un Dio il quale non considera concorrente l’uomo, volendolo simile a Sé; nell'Epistola agli Ebrei, l'autore presenta la vita cristiana come comunione di santi, per cui i cristiani, i quali posseggono lo straordinario privilegio di essere accolti nella città di Dio, debbono prendere coscienza di tale realtà già nel presente, accedendo senza rimandi alla pienezza di vita.
Esegesi minima di Luca 14, 1.7-14
Dal momento che nel giudaismo l'autorità e la gerarchia delle persone avevano grande importanza, questo brano contesta un costume che si affida alla legge della competizione e uccide la fraternità.
A tal fine Luca adopera il genere letterario del simposio, molto usato negli scritti filosofici e sapienziali, nei quali era uso riunirsi attorno ad una tavola imbandita per affrontare diversi argomenti ed ascoltare la parola di un maestro. In tale cornice dissemina nel suo vangelo diversi insegnamenti di Gesù, più o meno legati al tema del banchetto. Non si può non tener presente che lui scrive anzitutto per la propria comunità, la quale si riunisce la domenica per la celebrazione del banchetto eucaristico. In questo ci sono giudeo-cristiani e pagano-cristiani, ugualmente protesi verso la prospettiva del Regno: a loro rivolge ammonimenti che li possano rendere degni del destino di partecipi al Banchetto imperituro del Regno di Dio.
Avvenne che 1 un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo
Questo primo versetto, assieme ai successivi, 2-6, pone di fronte ad uno scenario, ricorrente nei vangeli, che, pur nella sua indeterminatezza, è plausibile. E’ da ricordare che il pasto principale si faceva probabilmente verso mezzogiorno, dopo la celebrazione nella sinagoga, dove era uso invitare il rabbi di passaggio.
7 Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti
Gesù prende l'occasione per proporre la logica del Regno di Dio attraverso suggerimenti di buon galateo.
Non si hanno notizie certe su dove si trovassero i posti più ambiti nei banchetti palestinesi all'epoca di Gesù. Per quanto riguarda la gerarchia nell'assegnazione di tali posti, essa dipendeva dalla funzione socio-religiosa degli invitati e, a partire dal 300 d.C., dalla loro anzianità.
8 Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9 e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: ‘Cedigli il posto!’. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10 Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: ‘Amico, vieni più avanti!’. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali.
La parabola consiste di un saggio consiglio. Tuttavia l'antitesi primo-ultimo posto supera la logica di una regola profana; richiama piuttosto l'antitesi presente in certe affermazioni di Gesù sul rovesciamento di situazione che il Regno di Dio esige.
11 Poiché chiunque si innalza sarà abbassato, e chi si abbassa sarà innalzato (cf. 18,14)
Con la sentenza di questo versetto si fa esplicito il significato religioso della regola che si trova quasi alla lettera nell'Antico Testamento (Ez 21,31b; Gb 22,29) ed è ben conosciuta nella tradizione sapienziale del giudaismo. Luca reinterpreta il detto sapienziale in chiave escatologica e morale, sottolineando la vergogna o la gloria per chi sceglie il primo o l'ultimo posto. [Non stupisce che un insegnamento simile abbia avuto grande risonanza nella parenesi cristiana (Gc 4,10; 1Pt 5,6)].
12 Disse poi a colui che l’aveva invitato: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13 Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14 e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti.
Gesù si rivolge al padrone di casa, fariseo, con un invito che, se la scena fosse storica, avrebbe sbalordito. Eppure Luca in queste frasi riesce a situare la linea delle esigenze etiche che vuole far prevalere nella sua comunità.
13 Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi
A un gruppo di quattro sostantivi - amici, parenti, fratelli, vicini - viene opposto un altro gruppo di quattro sostantivi: poveri, storpi, zoppi, ciechi. Gli ultimi tre erano esclusi dal culto del tempio e quindi dalla comunità di Dio. Non a caso, proprio con essi Gesù entra in comunione di tavola e propone la vicinanza di Dio. Luca si muove su diversi livelli: per i credenti c’è l'appello a imitare il comportamento di Gesù che solidarizza con gli emarginati, mangiando con essi; per i ricchi un invito che si pone nella sua (di Luca) linea: il buon uso della ricchezza sta nell'aiutare i poveri e così prepararsi un tesoro in cielo.
14 e sarai beato, poiché non hanno da contraccambiarti, perché sarai contraccambiato nella risurrezione dei giusti
Invitando chi non può contraccambiare, il discepolo di Cristo si comporta come Dio nei confronti degli uomini. I pasti ai quali vengono invitati i poveri e gli emarginati fanno prevedere ed anticipare il grande banchetto escatologico.
APPROFONDIMENTO: l’ultimo posto cioè l’umiltà
L’umiltà è virtù difficilissima da vivere, sulla quale sarebbe meglio tacere; o tutt’al più sarebbe giusto parlare di umiliazione perché, solo accogliendo le umiliazioni che vengono da noi stessi, dagli altri e da Dio, si può scoprire la radicale povertà umana. Si è davvero umili se si assumono le umiliazioni, restando fermi nella fede.
I grandi maestri dicono che sarebbe meglio non darsi subito come obiettivo l'umiltà. Fissare questo obiettivo fin dall'inizio, significa scivolare pian pianino verso una sottile "sufficienza", mentre l'umiltà consiste essenzialmente nel volgere il proprio sguardo al di fuori di se stessi.
Le parole della Bibbia
Nella terminologia greca usata dai Vangeli sono due le beatitudini parallele (anche a causa dell’unico vocabolo ebraico soggiacente alla differenze): Beati i poveri in spirito e Beati gli umiliLe tre religioni monoteistiche li esaltano come i destinatari della terra promessa, ossia del regno di Dio nella sua pienezza.
Sussistono, però, tra gli studiosi delle differenziazioni interpretative. C’è chi vi vede in essi coloro che non sono violenti, non ricorrono alla forza, non scelgono il possesso e l’auto-affermazione; c’è chi intuisce il profilo dei mansueti, dei diseredati e degli espropriati; c’è chi pensa agli umili e agli inoffensivi fiduciosi nella volontà di Dio, interiormente forti e perciò pazienti, dolci, generosi.
Nella storia troviamo esemplari dell’umiltà tra chi vuole essere vero; esemplari che, senza etichette, lasciano una scia di bontà.
Ci limitiamo a pochi esempi. Due dal nome di Franceso ed una donna, alla quale non voglio apporre attributi magniloquenti, Teresa d’Avila. (E non cito Maria, la madre di Gesù, per non ingrossare il numero di chi ha piegato il suo saper conservare in cuore verso il dire e predire, e poi raccomandare ammonire rimproverare correggere, e chi più ne ha più ne metta).
a) Attorno alla figura di Francesco di Assisi troviamo un episodio in apparenza insignificante a lumeggiarne l'umiltà. Narra di un fraticello, finto devoto e falso umile che, invitato a confessarsi per due volte a settimana ad espiazione del proprio orgoglio, si rifiutò. Cacciato dall’Ordine, finì la vita “da malfattore come era in realtà [Jacopo da Varazze – Legenda aurea – ed. Einaudi 1995 pag. 817]. Un apologo nel quale si compendia il rigore di Francesco nel dare credito all’umiltà. E' segnata una giusta distanza dall’immagine che ci è stata trasmessa di lui, quale campione di melliflua bontà e tenerezza. Forse l’immagine rude dell’umiltà riproduce meglio la forza che emana dagli umili.
b) Attorno alla figura di papa Francesco, si sono sovrapposte costruzioni equivocabili. Si è fatto di lui un papa carismatico in virtù della spontaneità circonfusa di umiltà. Nel citare una sua semplice frase piace notare la sua paura: [da papa] è facile sentirsi un po’ principe. Forse è meglio ASPETTARE che il suo seme marcisca, come certamente egli desidera, nel terreno fecondo di un impossibile nascondimento. Ciò che è impossibile stando nella storia è possibile in una prospettiva di fede.
c) Di Teresa d’Avila, due velocissimi passaggi da Cammino di perfezione, ed. Città Nuova. Nel primo invita le monache ad essere concretamente orgogliose del titolo di ‘spose di un gran Re’: prendetelo in parola, per cui, siccome è vostro sposo, vi tratti da spose (p. 174). E ancora: Dio non bada a tante minuzie, come credete voi (p.258). Nel secondo mette alla prova lo stesso Dio: lasciamo stare il fatto che di per sé il nostro dono è nullo, di fronte al molto che dovremmo a un così eccelso Re; certo però che tu, Signor mio, non ci lasci più nulla, perché noi diamo tutto quel che possiamo se lo diamo con piglio reciso (p. 199).
Ecco, forse, la quintessenza dell’umiltà: la capacità di donarsi per come si è.



venerdì 23 agosto 2013

XXI domenica T.O.annoC

Domenica 25 Agosto 2013 XXI Domenica T.O. Anno C
Isaia 66, 18b-21
Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle genti di Tarsis, Put, Lud, Mesech, Ros, Tubal e di Grecia, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni. Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari al mio santo monte di Gerusalemme, dice il Signore, come i figli di Israele portano l'offerta su vasi puri nel tempio del Signore. , dice il Signore.
Ebrei 12, 5-7.11-13 
E avete già dimenticato l'esortazione a voi rivolta come a figli: Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire. 
Luca 13, 22-30
22 Passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». 23 Rispose: Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno.  24 Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. 25 Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete.  26 Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze.  27 Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità!  28 Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori.  29 Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30 Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi.
UN PREAMBOLO
Il criterio per comprendere un brano biblico è sempre quello della lettura delle singole espressioni a livello esegetico. Infatti non c’è lettura meno adeguata di quella letteralistica: bisogna tener presente chi scrive, per chi, in quali condizioni storiche; altrimenti si legge una favola.
Chi ci segue dovrebbe avere acquisito un concetto: il vangelo che leggiamo è tradotto dal greco. A tale traduzione bisognerebbe risalire per conoscere l’autore assieme alle diverse forme redazionali in cui è nascosto il vangelo che porta il suo nome; infatti in esso sono confluite più mani.
Ma per i lettori dei nostri tempi c’è un’ulteriore difficoltà per cogliere il senso autentico del testo, il quale deriva direttamente dalle prime traduzioni fatte in latino. E tradurre comporta sempre un tradire. Un solo esempio tra tanti possibili. Quando leggiamo il v.27 con le sue parole di condanna per gli operatori di iniquità, ci troviamo di fronte al termine latino iniquitas che richiama il concetto di equità, non coincidente con quello di giustizia; ma questo termine latino, perduto il punto di partenza –la versione greca- ha acquisito significati diversi da quelli desumibili dal testo greco, ed infatti per noi ormai iniquità è sinonimo di cruda delinquenza. Riavvicinarsi alla versione greca originaria aiuta a trovare significati più pertinenti al concetto che l’evangelista voleva esprimere.
Questo preambolo può scoraggiare chi vorrebbe cogliere immediatamente la Parola di Dio per mancanza di cultura esegetica. Ma gli stessi esegeti consultabili dai volenterosi spesso sono scoraggianti: si attardano, quasi incagliano, in un modo di esprimersi omiletico e parenetico. Perché lo fanno? Hanno influenza anche in loro le definizioni ecclesiastiche o correnti interpretative unilaterali?
E’ necessario preoccuparsi del ‘comune’ ascoltatore della Parola, a cui essa giunge interpretata.
STRINGATA SINTESI dei temi-chiave del testo
La porta stretta
Si oppone alla via larga, simbolo della vita senza fede che porta alla ‘perdizione’, o, detto in termini laici, alla chiusura entro i limiti temporalistici. Passare attraverso tale porta significa tante cose, soprattutto evitare un comodo e pigro adeguamento ai parametri umani, i quali imprigionano mente e cuore, chiudendoli all’accesso al mistero di Dio.
Lo sforzo di entrare = metanoia
Il brano di Luca ha un’esortazione fondamentale, nella quale si condensa il nucleo del messaggio posto in bocca a Gesù. Nel v. 23 ci troviamo di fronte ad un verbo -sforzatevi- che in greco si riferisce all’agonizzare di Gesù nel Getsemani, e quindi si ispira al termine metanoia usato ben 164 volte da Paolo. Il vero senso del termine non rimarca tanto caratteri ascetici; significa piuttosto conversione, capovolgimento nella mentalità, in vista di imboccare la via dell’integrazione personale nella realizzazione del disegno di Dio per l’umanità.
L’entrata aperta a tutti
Per Luca i veri eredi del Regno di Dio sono i popoli pagani che la mentalità apocalittica facilmente condannava, mentre gli Israeliti, presenti nella comunità, rischiavano di rimanerne esclusi. Come indicato in Is 66,21 -prima lettura- YHWH è disposto a scegliere tra essi un nuovo popolo, fino a farne il vero popolo di Dio.
POCHI RITAGLI ESEGETICI
22a Passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme.
Da quando gli è stato proibito l’insegnamento nella sinagoga, Gesù continua a insegnare per città e villaggi (cfr. v. 26) nel suo cammino verso Gerusalemme. In questo versetto la città viene chiamata eccezionalmente con il nome profano ellenistico di Ierosolyma, forse perché colpevole di non aver accolto il Signore. E Luca, qui, non ha alcun interesse a sottolineare il carattere sacrale della città; vuole ricordare la direzione del cammino di Gesù in termini puramente geografici.
22b Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?»
Il problema della salvezza ha attanagliato e attanaglia generazioni di uomini. A vario titolo ogni religione si offre come via di salvezza perché l'uomo vorrebbe non-morire e salvarsi. Né il pessimismo (nessuno potrà salvarsi), né il buonismo (alla fine Dio salverà tutti), sono il paradigma che Dio stesso ha comunicato ai suoi profeti nel rivelarsi. Egli si fa presente nel cuore e nella bocca dei suoi profeti, tra i quali Luca pone, in maniera preminente, Gesù, col suo messaggio universalistico.
23a Sforzatevi di entrare per la porta stretta
L'immagine della porta stretta è ricca di suggestioni anche per noi moderni. Ai tempi di Gesù era molto familiare: vigeva il costume chiudere le porte della città e anche quelle dei grandi palazzi. E rimaneva aperta solo una porticina: non si poteva sfuggire; se volevi entrare dovevi passare per quella, in un certo senso venivi misurato da quella piccola porta; dovevi essere riconosciuto nell'attraversamento di quella porta.
23b perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno
Di primo acchito sembra che Gesù condivida la visione pessimistica dell'interlocutore sul piccolo numero dei salvati. In realtà egli constata che i fedeli al suo annuncio rimangono un ‘piccolo gregge’; non specula sul numero finale dei salvati o meno.
I vv seguenti
accorpano tante frasi e relative parabole che troviamo disseminate nei vangeli. Sovrabbonda il linguaggio apocalittico, che forse Gesù avrebbe adottato, ma in cui si aprono spiragli per cogliere la novità del messaggio di Gesù: la chiamata di tutti. Tanto che la vera condanna divina risulta rivolta proprio a chi si sente rassicurato dalla pratica della ‘comunione’ all’interno di un gruppo privilegiato (vv. 25 e 26).
v.29 E verranno da Oriente e da Occidente, e da Settentrione e da Mezzogiorno (Sal 107, 3), e si porranno a mensa nel regno di Dio
Questo versetto (giustapposto al v. 28), richiama alla mente diversi temi vetero-testamentari: l'affermazione della regalità universale di JHWH, il motivo del ritorno degli Israeliti dalla dispersione, e in questo caso il tema del pellegrinaggio dei popoli pagani a Gerusalemme, sul monte Sion, al quale si aggiunge la metafora del banchetto escatologico.
30 Ed ecco, ci sono ultimi che saranno primi, e ci sono primi che saranno ultimi.
E’ una sorta di proverbio, una sentenza vagante che poteva trovare altre collocazioni. La prospettiva originale di questa sentenza è escatologica, anche se l'evangelista vede il verificarsi di queste parole già nel tempo della Chiesa: nel futuro giudizio divino, alcuni che ora sono ultimi diventeranno primi, e viceversa. Riappare il rovesciamento di situazione previsto per la fine dei tempi e iniziato, secondo Luca, con la venuta del Messia.
A me vien da pensare all’espressione di Giovanni XXIII: non è l’umanità che deve convertirsi al cristianesimo, ma è il cristianesimo che si deve convertire all’umanità.
Trovo indispensabile un commento. L’umanità a cui convertirsi non è da intendere secondo il principio di piegare la fede agli schemi di una malintesa modernità fatta di soli valori etici senza Dio (la stessa accoglienza degli ultimi ed ogni criterio di organizzazione umana secondo giustizia). La fede nell’essere umano non equivale alla negazione della fede nel trascendente. Anche il grande dissacratore Nietzsche era convinto che la morte di Dio fosse la morte dell’uomo. 
ti ho cercato
ho faticato a sfondare
la porta stretta del mio io
fino a che non ho tradotto
il mio travaglio in preghiera

mio Dio mia Verità

martedì 13 agosto 2013

Assunzione di Maria

15 agosto ASSUNZIONE DI MARIA
Apocalisse
11, 19° Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto e una tempesta di grandine;
12, 1-6a Nel cielo poi apparve un segno  grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il dolore del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo. Un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi: la sua coda trascinava già un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio;
12, 10a Allora udì una gran voce nel cielo che diceva: “ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo…”.
1Corinzi 15,20-27a
Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa.
Luca 1, 39-56
39 In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42 ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43 A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44 Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45 E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. 46 Allora Maria disse: “L' anima mia magnifica il Signore, 47 e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, 48 perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. 49 Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente, e Santo è il suo nome; 50 di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. 51 Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52 ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53 ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. 54 Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55 come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre”. 56 Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
PREMESSA
Il 15 agosto, nella celebrazione cattolica dell’Assunzione di Maria al cielo, si legge una delle pagine più celebri dell’Apocalisse, il capitolo 12, che comincia così: Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. L’intero capitolo è dominato anche dall’immagine dell’enorme drago rosso con sette teste e dieci corna e alle teste sette diademi. Il tutto è intarsiato di allusioni a testi dell'AT.
L’affresco della Donna vestita di sole costituisce una pagina di grande valenza simbolica. Ma bisogna tenere in conto che Giovanni (a cui è stata attribuita l’Apocalisse) vedeva prefigurata in tale Donna innanzitutto la Chiesa. E anche Luca scrive il Magnificat, che forse aveva trovato e successivamente inserito nel testo del Vangelo, ponendo Maria come segno, assieme a Cristo, delle contraddizioni dei tempi della chiesa.
Tutte e tre le pagine bibliche della solennità sono ritmate da una serie di antitesi; infatti nell’agone dell’esistenza umana, si oppongono i due campi  (sempre in riferimento alla chiesa di quei tempi).
Paolo nella finale della sua lettera indirizzata ai cristiani di Corinto, ritrae una grandiosa lotta tra la morte e la vita: da un lato c’è Adamo, l’uomo peccatore, avvinghiato alla morte, al male e al limite; dall’altro lato c’è il Cristo, l’Adamo perfetto, in cui trionfa la vita. Egli, infatti, supera l’ultimo conflitto in cui il Nemico per eccellenza, la Morte interiore e fisica, muore, e si leva l’orizzonte della risurrezione-assunzione in Dio.
Nel Magnificat, divenuto il cantico dei primi cristiani e dei cristiani di tute le epoche della storia, si apre invece il contrasto tra potenti e poveri o ultimi, tra i quali si pone Maria. Lei che ha seguito il Cristo in una morte aperta alla gloria della resurrezione [di questo parliamo nella seguente, molto parziale, analisi del brano di Luca].
L’ORIZZONTE DEL BRANO DI LUCA
a) Il testo non è letteralmente uscito dalla bocca di Maria. E’ costruito come inno liturgico. L’orizzonte è quello dei cosiddetti anawim. Questi, nell’AT, erano i cosiddetti poveri del Signore e costituivano una corrente mistica, confluita poi nel cristianesimo. Anaw vuol dire curvarsi riconoscendo la grandezza dell’altro; il che è un fatto non puramente materiale (infatti si può essere superbi anche se oppressi).
Nei versi 46-50 c’è il festoso riconoscimento della grandezza che Maria vede realizzarsi in seno al suo corpo. E’ per questo che il Magnificat è un cantico teologico: Maria diventa il simbolo del terreno sul quale Dio celebra e riversa le sue vittorie. Lutero vedeva in questo cantico il compendio della figura di Maria come pistèusasa, credente, madre di tutti i credenti; e il suo cantico come quello dei poveri autentici (cioè non bramosi della ricchezza).
In questo senso è possibile commentare il Magnificat con le parole di Francesco di Assisi, indirizzate al vicario Pietro Cattani, quando questi era in difficoltà perché non aveva più soldi e mezzi per i poveri: Che cosa devi fare, Pietro, per soccorrere i poveri? Te lo dirò io. Spoglia l’altare della vergine e vendine le suppellettili… A lei sarà più gradito che venga osservato il Vangelo del suo Figlio, spogliando l’altare.
E’ questo – osserva Ravasi che seguo passo passo – lo spirito del Magnificat e l’anima della liturgia, che non ha bisogno di santuari grondanti di chili di oro e di perle, ma del santuario incarnato nei poveri.
b) Il brano appartiene ai racconti dell'infanzia di Gesù. Non è una dimostrazione di come sono successi i fatti, ma una rilettura di essi alla luce del grande avvenimento morte-risurrezione di Gesù, in funzione di illuminare il cammino di fede delle prime comunità cristiane. Quindi si tratta di una lettura teologica.
La scena mostra l'incontro delle due mamme attraversate dal dono della fecondità. Le parole di Elisabetta a Maria (vv. 42b-45) evocano quelle delle donne liberatrici dell'Antico Testamento, Jael e Giuditta. Anche Abramo, padre dei credenti, è benedetto (cfr. Gn 12,2-3). Nella Bibbia le persone benedicono (danno la benedizione o dicono-bene) quando scoprono la presenza di Dio che salva. Elisabetta, accogliendo Maria esclama: Come posso meritare che la madre del mio Signore venga a visitarmi?. In questa frase c’è il ricordo del sacro terrore di Davide nell'accogliere l'Arca, 2Sam 6,9: ‘Come verrà l'Arca di Javé per restare nella mia casa?’.
Sulla base di questo parallelismo, la mariologia tradizionale vede in Maria l'Arca della Nuova Alleanza.
c) I vangeli apocrifi parlano della tomba vuota di Maria, come era apparsa vuota la tomba di Gesù. E sullo sfondo campeggia la donna vestita di sole dell’Apocalisse, di cui sarebbe rimasto, secondo l’immagine del poeta Rainer Maria Rilke, il sudario in cui fu avvolto il corpo di Maria, reso più chiaro del bagliore del sole.
Nel 1950 il Papa Pio XII proclamava il dogma dell'Assunta, pur senza alcun preciso riferimento biblico, ma grazie alla tradizione orientale che aveva conservato la credenza della morte di Maria quale dormitio (dormizione) o transitus. Nel corso del Medioevo e dei secoli successivi la celebrazione dell'Assunta si diffondeva grazie ad un vasto consenso popolare. E un gesuita, Filoramo, raccolse tutti gli argomenti utili a sostenere l'assunzione di Maria in un documento in cui ebbero un ruolo decisivo il senso religioso dei fedeli e il factum Ecclesiae (dato di fatto).
Vale la pena fermarsi un momento sul termine assunta o presa, che non significa un movimento locale verso l'alto, ma solo che Maria è stata presa: c’è come un reimpiego del termine ebraico biblico halak, usato per significare la fine misteriosa di Enoch (cfr. Gen.5,24) e quella di Elia (2 Re 2, 3-10), che Dio aveva 'presi' con sé. 
E nell’attualità? L'assunzione della Vergine garantisce la dignità e il destino finale del corpo umano. Come dice la Lumen Gentium n. 68, Maria Assunta "è segno di sicura speranza che anche noi giungeremo alla gloria trasfigurante della resurrezione di Cristo".
ESEGESI ESSENZIALE DEL MAGNIFICAT
Luca mette in bocca a Maria i grandi temi della teologia liberatrice (1,47-50) che Dio ha realizzato in Israele e che si propone di estendere a tutta l’umanità oppressa. Nella prima strofa del cantico Maria proclama il cambiamento personale che ha sperimentato su di sé e che diventa la salvezza realizzata da Dio in Israele.
Le grandi tappe della liberazione di Israele sono compendiate nelle grandi cose che Dio aveva già fatto nell’uscita dall’Egitto (Dt 10,21: primo esodo). Nella seconda strofa (1,51-53) si contempla profeticamente il futuro dell’umanità diseredata. Dio è già intervenuto (ha spiegato è un aoristo profetico) per difendere gli interessi dei poveri, sconvolgendo i piani dei ricchi e dei potenti. L’azione liberatrice consisterà nella sovversione dell’ordine sociale: esalta gli umili e rovescia gli oppressori; sazia gli affamati e non ascolta i ricchi. Infine, nella terza strofa (1,54-55), Maria si pone come esempio concreto di salvezza, il cui destinatario sarà un giorno non lontano l’intera umanità.
Nella seconda parte troviamo una serie di espressioni ispirate all’AT, in particolare ai Salmi, che ricordano non poco il Discorso della Montagna di Gesù e vanno lette sotto il profilo salvifico. La salvezza dipende da Dio ed è imperscrutabile; ma l’essere umano può porsi nelle condizioni spirituali e morali di meritare la misericordia celeste: ai credenti che rispondono a tale requisito della fede si riferisce il Magnificat quando parla di quelli che lo temono. I potenti e i governanti che regnano in terra non rispondono al disegno divino quando esercitano il potere con abuso e tracotanza e perciò verrà saranno rovesciati dai loro troni. Al contrari, Dio donerà la vita eterna a chi sarà fedele.
Ma non è questa minaccia che è sostanza del Magnificat, bensì l'invito divino a rendersi partecipi del Regno di Dio sulla terra. Con significativa espressione Bruno Forte parla di Dio come Eterno Amante, in cui si compendiano tutti i motivi della speranza di Vita per l’umanità.

Nell’estate della vita
denso fogliame impallidisce
frutti saturi di vita s'afflosciano
pronti a insozzarsi nel sepolcro
della terra ad intessere
segreti di vita nuova
oh mistero!

venerdì 9 agosto 2013

XIX Domenica T.O. annoC

11 agosto 2013 XIX Domenica T.O. anno C
Sap 18, 6-9
La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio,  sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà. Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te. I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri.
Eb 11, 1-2.8-19
Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città. Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo. 
Lc 12, 32-48
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 32 Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. 33 Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34 Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. 35 Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36 siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37 Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38 E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39 Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40 Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. 41 Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42 Il Signore rispose:Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43 Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44 Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45 Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46 il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. 47 Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48 quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.
Le tre letture
Ciascuna delle prime due letture illustra il tema fondamentale del testo di Luca, e cioè la Fede che richiede Fedeltà e Vigilanza, nel contrasto tra buio della ragione e luce della Verità (così come canta la preghiera di Taizé, La ténébre n'est point ténébre devant toi: la nuit comme le jour est lumière).
Il tutto da riassumere nella parabola di un Dio che sorprende.
a) Il Libro della Sapienza, scritto in lingua greca nella seconda metà del  I secolo a.C., ultimo dell’Antico Testamento, è un testo contenuto nella Bibbia cristiana, ma non accolto nella Bibbia ebraica e nella tradizione protestante. La precedente tradizione cristiana lo aveva attribuito, per espediente letterario, al re Salomone; in verità l’autore è un semplice saggio  israelita, pieno di fede nel Dio dei padri.
b) La Lettera agli Ebrei, scritta in greco intorno al 70, ma il cui titolo è successivo, ci è stata trasmessa in seno all'epistolario paolino, anche se ci sono seri motivi per non attribuirla a Paolo, date le differenze stilistiche e contenutistiche con le sue lettere. L'autore è una persona di vasta cultura giudaico-ellenistica; dimostra una profonda conoscenza dell'Antico Testamento e probabilmente si rivolge a una comunità di Ebrei ellenistici cristiani. Oggi, però, si ritiene che la lettera sia indirizzata a cristiani pervenuti già da tempo alla fede, con lo scopo di rinsaldarne la vocazione. - Nella chiesa antica l'inserimento della Lettera agli Ebrei nel canone del Nuovo Testamento incontrò alcune resistenze, comunque, fu accettata e apprezzata da parecchi Padri della Chiesa. Molti suoi versetti furono utilizzati nelle controversie cristologiche. - E’ inclusa nel canone della Bibbia protestante e Lutero stesso ne esaltò la cristologia. – Gesù è presentato come il vero sacerdote (cioè l’Investito di autorità da Dio). - L'intento dell'autore sembra essere quello di dare una nuova interpretazione del vero significato della legge mosaica e di dimostrarne il carattere simbolico e transitorio, sottolineando, al tempo stesso, l'importanza della nuova alleanza rispetto all'antica. Viene in tal modo fornita una visione dottrinaria del significato messianico del sacrificio di Cristo e dell'unicità ed universalità del suo sacerdozio. - Il concilio vaticano II ha fatto scoprire nel testo un equilibrio di valutazione non sufficientemente notato in precedenza. La lettera, infatti, si guarda bene dall'affermare l'esistenza di due religioni contrapposte.
Nel brano di Lettera che oggi leggiamo si parla di Fede, fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede, col richiamo ad Esodo e ad Abramo, figura gigantesca di fedeltà nel buio totale di ogni ragione, il quale è luce per chi aderisce, vigilante, al mistero di Dio.
Inquadramento esegetico del testo di Luca
Ci troviamo di fronte ad uno’ tra i brani più compositi, cioè derivati da varie fonti; e non mancano inserzioni redazionali: a volte nello stesso versetto si intrecciano più componenti.
Il contenuto è in continuità col brano della domenica scorsa, in particolare circa il rapporto tra potere e servizio.
Luca scrive quando nella comunità cristiana incombe il senso di attesa del ritorno del Cristo in quella che era chiamata  Parusia: si riteneva che essa dovesse avverarsi presto, forse durante l’arco della propria esistenza. Egli vuole esortare  i suoi a passare dall’attesa ad una responsabile vigilanza, nonché alla fiducia che scaturisce dalla fede in un Dio il quale non agisce da padrone, bensì da servo.
Lo sguardo e le parole di Gesù, che nel brano di domenica scorsa erano rivolti alla folla con un severo ammonimento sulla cupidigia, ora si indirizzano direttamente ai discepoli. Il cerchio intorno ad essi si stringe: cambiano i destinatari delle sue parole e anche il registro e l'intensità. L'invito precedente ad abbandonarsi ad un Padre provvidente che ben conosce le necessità dei suoi figli, nel brano di oggi si fa esortazione al coraggio fiducioso: Non temere, piccolo gregge…
Le immagini della cintura ai fianchi e del vegliare la notte in attesa di qualcuno rispecchiano, oltre che il senso della paura dell’inatteso, l’intervento rassicurante di Dio stesso, come sempre è avvenuto attraverso i profeti. Le successive parabole, accorpate in un’una sola, commentano l’atteggiamento umano nell’attesa e permettono di riflettere sull’agire di Dio nei riguardi di chi agisce (o non agisce) nella direzione da lui voluta.
La metafora del gregge, ricorrente nell'A.T. per qualificare il popolo eletto, include quella protettiva e illuminante di Dio Pastore. Luca, usando il qualificativo piccolo, non allude esclusivamente al gruppo dei discepoli di Gesù, ma al suo essere abbozzo del popolo escatologico esteso a tutta l’umanità. Ciò risulta più chiaro subito dopo, quando si specifica che il piccolo gregge non deve avere paura: il Padre, nella sua bontà gratuita, l'ha fatto destinatario del bene salvifico per eccellenza, il Regno; la stessa piccolezza del gregge è giusta condizione per non avere timore: se non si ha nulla da perdere, tutto è da ricevere in dono.
L'attesa e le lampade evocano la notte, tempo di riposo, incontro, preghiera; ma anche arco teso d'insonnia, velo di paura, silenzio sospeso. La veglia è lunga; eppure non è tempo vuoto.
Al v.42, nell’utilizzo del titolo Kyrios  per parlare del padrone, l'evangelista allude ad un Gesù investito di autorità come capo della Chiesa, che verrà al momento della Parusia; e, utilizzando anziché il termine servo, quello di amministratore -nome con il quale venivano designati i responsabili nelle comunità paoline-, ha presenti le funzioni ideali richieste per un responsabile di comunità, e cioè la fedeltà e la prudenza.
Con l’espressione del v. 48b -Dio chiederà molto a colui cui ha dato molto- si rende evidente l’intento di spronare la comunità [dell’evangelista] a sfruttare carismi e funzioni per il bene di quell’intera Chiesa che le coeve comunità cristiane nascenti volevano realizzare.
Nello sfondo c’è sempre la storia della salvezza nella quale si realizzerà la grande promessa indirizzata verso la piena comunione con Dio. Promessa che la liturgia odierna evoca nella prima lettura con il richiamo ai nostri padri, e nella seconda che fa di Abramo il prototipo dei credenti, sempre pellegrini in cammino verso la vera patria. Tale cammino è contrassegnato dall'attesa, ma anche dalla resistenza delle ragazze che sono dipinte nell’atto di vegliare con le lampade accese. Ma si profila anche uno sfondo in cui non mancano i delusi, ancora non pronti ad accogliere il messia come sposo dell'umanità.
Nella storia universale e personale
a) Citazioni sull’Attesa vigilante e gioiosa
Il salmo 32 che oggi la liturgia offre alla lettura, così recita: Ecco, l'occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame. Così, l'anima nostra attende il Signore, egli è nostro aiuto e nostro scudo...
In Lucrezio una frase recita così: un non so che d'amaro sorge dall'intimo stesso di ogni piacere e ci angoscia già nel mezzo delle nostre delizie.
Agostino d’Ippona afferma: Nel suo pellegrinaggio la Chiesa (ma sarebbe bene parlare dicristiani) prosegue tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio.
Tenzin Gyatso, grande spirito religioso che conosciamo come il XIV Dalai Lama, interrogandosi sul senso della vita, si chiede cosa sia felicità e così esclama: Dal profondo del nostro essere desideriamo, in tutta semplicità, la gioia. Non so che cosa l'universo e le sue innumerevoli galassie, le sue stelle e i suoi pianeti potrebbero esprimere di più importante di questo desiderio. E' evidente che noi che viviamo su questa terra siamo posti di fronte al dovere di costruire, per noi stessi, un'esistenza felice; perciò è importante scoprire che cosa determina il grado più elevato di felicità.
b) La risposta divina all’Attesa 
La risposta autentica e incisiva all’Attesa nasce dal silenzio, ossia dalla riflessione e dall’interiorità, e -per il fedele- dalla preghiera e dalla meditazione: solo allora si fa strada la parola sapiente e sensata, nella quale è Dio stesso a rivelarsi tacitamente.
Il Dio dell’Horeb -1Re 19,12- si svela a Elia, non nelle folgori, nel vento tempestoso e nel terremoto bensì in una qol demamah daqqah, in una voce di silenzio sottile.
Anche la sapienza greca pitagorica ammoniva che il sapiente non rompe il silenzio se non per dire qualcosa di più importante del silenzio.
Nietzsche osservava che è difficile vivere con gli uomini perché è assai difficile farli stare in silenzio.
c) e nella testimonianza incarnata nell’attesa 
Lutero si esprimeva così: Non legendo vel studendo, sed patendo immo et moriendo fit theologus. La profezia si innesta nel collaudo martiriale (= fatto di testimonianza).
Teresa di Lisieux, sospirava in punto di morte, in un presentimento di gioia: l’attendo!
Simone Weil vedeva nell’attesa la quintessenza dell’umano; e Attesa di Dio è il titolo della sua opera mistica più bella.
Riflessioni 
a) Fino a che i cristiani continueremo a vedere la ‘sequela Christi’ incarnata in categorie e simboli africani, asiatici eccetera, resteremo chiusi allo spazio dello Spirito, destinato a tutta l’umanità. Abbiamo il dovere di chiederci, come in At 11,17, chi siamo noi per  porre impedimento a Dio? Un seme di verità si nasconde nel cuore di tutti (e le suggestioni più belle le ricaviamo da persone qualsiasi…).
b) Mi associo a tutti gli appartenenti alla linea profetico-mistica mondiale, e cerco di rompere il guscio che imprigiona il mio io, tentato, ma non rassegnato all’indolenza del cedimento. E prego quasi da inconsapevole, perché il grido di invocazione mi fa scoprire in compagnia di un tu che spezza ogni solitudine:
nuda attesa
affronterei a lampada spenta
per interminabili anni
per accenderla al tuo incontro
*
non m’accorgo che tu già mi precedi
e non servirà una mia lampada
se sei già pronto ad investirla

della tua luce


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