venerdì 30 agosto 2013

Domenica XXII T.O. annoC


DOMENICA XXII T.O. anno C
Sir 3, 19-21.30-31
Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato. Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male. Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio.
Eb 12, 18-19.22-24
Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.
Luca 14,1.7-14
Avvenne che 1 un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. 2 Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. 3 Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: È lecito o no guarire di sabato?. 4 Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. 5 Poi disse loro: Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?. 6 E non potevano rispondere nulla a queste parole. 7 Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8 Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9 e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: ‘Cedigli il posto!’. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10 Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: ‘Amico, vieni più avanti!’. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11 Perché chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.12 Disse poi a colui che l’aveva invitato: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13 Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14 e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti.
LE LETTURE ODIERNE: l’agire umile
Nelle proto-comunità cristiane Gesù è raffigurato come colui che apre il corso di un nuovo modo di vivere il rapporto con Dio e il prossimo, e ciò propone ai suoi seguaci; in effetti il testo di Luca che oggi leggiamo ha una portata cristologica.
Nell’A.T. è prevalente un'immagine teocentrica dell'essere umano: questi, riconoscendosi dipendente da Dio, non ha nulla di cui vantarsi, ma sa che non gli mancherà mai la protezione divina. Il salmo 8.4,5 recita così: Che cos'è l'uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura? Eppure tu l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio, e l'hai coronato di gloria e d’onore.
Attraverso questa immagine l’osservanza religiosa sfocia nella condivisione agapica con JHWH, il Dio che vuole gli esseri umani partecipi della sua pienezza di Vita.
Tale idea-base è sostanzialmente recepita nel N.T., ma ora essa si innesta nella visione antropocentrica del mondo greco, dato che i testi antichi, di cui si nutriva la religiosità ebraica, sono stati tradotti in greco, e qualcosa è stata smarrita nel senso originario delle parole. La dipendenza amorosa da Dio si carica di toni ascetici, che riflettono una condizione di inferiorità: c’è da superare un senso di vergogna per la propria indegnità mediante il pensiero e l'azione che contrastino la natura, la quale è essenzialmente hybris, cioè arroganza.
Da qui, nel versante cristiano, si profila un nuovo orizzonte: e la virtù dell’umiltà assume sfumature di non poco conto, soprattutto perché ‘addossate’ alla figura di Gesù. Egli avrebbe rivoluzionato i cardini del teocentrismo dell’A. T. facendosi maestro di umiltà, assumendo uno stile di vita castigato; liberando la condivisione agapica, propria dell’A.T., da aspetti cultuali e assumendo quelli dell’umile servizio.
- In ebraico il sostantivo che indica l’umiltà del servo di JHWH è anawah, da anah, in riferimento all’atteggiamento di colui che si piega in quanto persona di condizione inferiore. Ma solo i profeti (di cui Giovanni Battista è l’ultimo rappresentante nell’A.T.), pre-dicavano il cambiamento del cuore e della mente (ci riferiamo alla metanoia, evidenziata la domenica scorsa) attraverso il digiuno e la penitenza. Ora Luca presenta Gesù nell’atto di correggere tale interpretazione piegata unilateralmente ad una malintesa ascetica. Ciò è valido anche per l’oggi, perché il vero nemico da abbattere è l’egocentrismo, con la conseguente chiusura ai bisogni dell’altro.
- Le prime due letture, proposte dalla liturgia, commentano il concetto lucano di umiltà in forma esortativa e dal punto di vista pratico: nel Siracide si parla di umiltà quale attitudine ed atteggiamento umano graditi a Dio e che rendono amabile colui che la vive: umile è il saggio armato di modestia, da non confondere con mediocrità, disistima o artificiale schermaglia; è il piccolo dalle apparenze comuni, che però sa di contare su un Dio il quale non considera concorrente l’uomo, volendolo simile a Sé; nell'Epistola agli Ebrei, l'autore presenta la vita cristiana come comunione di santi, per cui i cristiani, i quali posseggono lo straordinario privilegio di essere accolti nella città di Dio, debbono prendere coscienza di tale realtà già nel presente, accedendo senza rimandi alla pienezza di vita.
Esegesi minima di Luca 14, 1.7-14
Dal momento che nel giudaismo l'autorità e la gerarchia delle persone avevano grande importanza, questo brano contesta un costume che si affida alla legge della competizione e uccide la fraternità.
A tal fine Luca adopera il genere letterario del simposio, molto usato negli scritti filosofici e sapienziali, nei quali era uso riunirsi attorno ad una tavola imbandita per affrontare diversi argomenti ed ascoltare la parola di un maestro. In tale cornice dissemina nel suo vangelo diversi insegnamenti di Gesù, più o meno legati al tema del banchetto. Non si può non tener presente che lui scrive anzitutto per la propria comunità, la quale si riunisce la domenica per la celebrazione del banchetto eucaristico. In questo ci sono giudeo-cristiani e pagano-cristiani, ugualmente protesi verso la prospettiva del Regno: a loro rivolge ammonimenti che li possano rendere degni del destino di partecipi al Banchetto imperituro del Regno di Dio.
Avvenne che 1 un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo
Questo primo versetto, assieme ai successivi, 2-6, pone di fronte ad uno scenario, ricorrente nei vangeli, che, pur nella sua indeterminatezza, è plausibile. E’ da ricordare che il pasto principale si faceva probabilmente verso mezzogiorno, dopo la celebrazione nella sinagoga, dove era uso invitare il rabbi di passaggio.
7 Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti
Gesù prende l'occasione per proporre la logica del Regno di Dio attraverso suggerimenti di buon galateo.
Non si hanno notizie certe su dove si trovassero i posti più ambiti nei banchetti palestinesi all'epoca di Gesù. Per quanto riguarda la gerarchia nell'assegnazione di tali posti, essa dipendeva dalla funzione socio-religiosa degli invitati e, a partire dal 300 d.C., dalla loro anzianità.
8 Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9 e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: ‘Cedigli il posto!’. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10 Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: ‘Amico, vieni più avanti!’. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali.
La parabola consiste di un saggio consiglio. Tuttavia l'antitesi primo-ultimo posto supera la logica di una regola profana; richiama piuttosto l'antitesi presente in certe affermazioni di Gesù sul rovesciamento di situazione che il Regno di Dio esige.
11 Poiché chiunque si innalza sarà abbassato, e chi si abbassa sarà innalzato (cf. 18,14)
Con la sentenza di questo versetto si fa esplicito il significato religioso della regola che si trova quasi alla lettera nell'Antico Testamento (Ez 21,31b; Gb 22,29) ed è ben conosciuta nella tradizione sapienziale del giudaismo. Luca reinterpreta il detto sapienziale in chiave escatologica e morale, sottolineando la vergogna o la gloria per chi sceglie il primo o l'ultimo posto. [Non stupisce che un insegnamento simile abbia avuto grande risonanza nella parenesi cristiana (Gc 4,10; 1Pt 5,6)].
12 Disse poi a colui che l’aveva invitato: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13 Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14 e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti.
Gesù si rivolge al padrone di casa, fariseo, con un invito che, se la scena fosse storica, avrebbe sbalordito. Eppure Luca in queste frasi riesce a situare la linea delle esigenze etiche che vuole far prevalere nella sua comunità.
13 Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi
A un gruppo di quattro sostantivi - amici, parenti, fratelli, vicini - viene opposto un altro gruppo di quattro sostantivi: poveri, storpi, zoppi, ciechi. Gli ultimi tre erano esclusi dal culto del tempio e quindi dalla comunità di Dio. Non a caso, proprio con essi Gesù entra in comunione di tavola e propone la vicinanza di Dio. Luca si muove su diversi livelli: per i credenti c’è l'appello a imitare il comportamento di Gesù che solidarizza con gli emarginati, mangiando con essi; per i ricchi un invito che si pone nella sua (di Luca) linea: il buon uso della ricchezza sta nell'aiutare i poveri e così prepararsi un tesoro in cielo.
14 e sarai beato, poiché non hanno da contraccambiarti, perché sarai contraccambiato nella risurrezione dei giusti
Invitando chi non può contraccambiare, il discepolo di Cristo si comporta come Dio nei confronti degli uomini. I pasti ai quali vengono invitati i poveri e gli emarginati fanno prevedere ed anticipare il grande banchetto escatologico.
APPROFONDIMENTO: l’ultimo posto cioè l’umiltà
L’umiltà è virtù difficilissima da vivere, sulla quale sarebbe meglio tacere; o tutt’al più sarebbe giusto parlare di umiliazione perché, solo accogliendo le umiliazioni che vengono da noi stessi, dagli altri e da Dio, si può scoprire la radicale povertà umana. Si è davvero umili se si assumono le umiliazioni, restando fermi nella fede.
I grandi maestri dicono che sarebbe meglio non darsi subito come obiettivo l'umiltà. Fissare questo obiettivo fin dall'inizio, significa scivolare pian pianino verso una sottile "sufficienza", mentre l'umiltà consiste essenzialmente nel volgere il proprio sguardo al di fuori di se stessi.
Le parole della Bibbia
Nella terminologia greca usata dai Vangeli sono due le beatitudini parallele (anche a causa dell’unico vocabolo ebraico soggiacente alla differenze): Beati i poveri in spirito e Beati gli umiliLe tre religioni monoteistiche li esaltano come i destinatari della terra promessa, ossia del regno di Dio nella sua pienezza.
Sussistono, però, tra gli studiosi delle differenziazioni interpretative. C’è chi vi vede in essi coloro che non sono violenti, non ricorrono alla forza, non scelgono il possesso e l’auto-affermazione; c’è chi intuisce il profilo dei mansueti, dei diseredati e degli espropriati; c’è chi pensa agli umili e agli inoffensivi fiduciosi nella volontà di Dio, interiormente forti e perciò pazienti, dolci, generosi.
Nella storia troviamo esemplari dell’umiltà tra chi vuole essere vero; esemplari che, senza etichette, lasciano una scia di bontà.
Ci limitiamo a pochi esempi. Due dal nome di Franceso ed una donna, alla quale non voglio apporre attributi magniloquenti, Teresa d’Avila. (E non cito Maria, la madre di Gesù, per non ingrossare il numero di chi ha piegato il suo saper conservare in cuore verso il dire e predire, e poi raccomandare ammonire rimproverare correggere, e chi più ne ha più ne metta).
a) Attorno alla figura di Francesco di Assisi troviamo un episodio in apparenza insignificante a lumeggiarne l'umiltà. Narra di un fraticello, finto devoto e falso umile che, invitato a confessarsi per due volte a settimana ad espiazione del proprio orgoglio, si rifiutò. Cacciato dall’Ordine, finì la vita “da malfattore come era in realtà [Jacopo da Varazze – Legenda aurea – ed. Einaudi 1995 pag. 817]. Un apologo nel quale si compendia il rigore di Francesco nel dare credito all’umiltà. E' segnata una giusta distanza dall’immagine che ci è stata trasmessa di lui, quale campione di melliflua bontà e tenerezza. Forse l’immagine rude dell’umiltà riproduce meglio la forza che emana dagli umili.
b) Attorno alla figura di papa Francesco, si sono sovrapposte costruzioni equivocabili. Si è fatto di lui un papa carismatico in virtù della spontaneità circonfusa di umiltà. Nel citare una sua semplice frase piace notare la sua paura: [da papa] è facile sentirsi un po’ principe. Forse è meglio ASPETTARE che il suo seme marcisca, come certamente egli desidera, nel terreno fecondo di un impossibile nascondimento. Ciò che è impossibile stando nella storia è possibile in una prospettiva di fede.
c) Di Teresa d’Avila, due velocissimi passaggi da Cammino di perfezione, ed. Città Nuova. Nel primo invita le monache ad essere concretamente orgogliose del titolo di ‘spose di un gran Re’: prendetelo in parola, per cui, siccome è vostro sposo, vi tratti da spose (p. 174). E ancora: Dio non bada a tante minuzie, come credete voi (p.258). Nel secondo mette alla prova lo stesso Dio: lasciamo stare il fatto che di per sé il nostro dono è nullo, di fronte al molto che dovremmo a un così eccelso Re; certo però che tu, Signor mio, non ci lasci più nulla, perché noi diamo tutto quel che possiamo se lo diamo con piglio reciso (p. 199).
Ecco, forse, la quintessenza dell’umiltà: la capacità di donarsi per come si è.



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