venerdì 2 agosto 2013

XVIII domenica T.O.annoC

XVIII Domenica Tempo Ordinario anno C
Qo 1, 2; 2, 21-23
Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità. Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male. Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!
Col 3, 1-5, 9-11
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria. Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria. Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.
Lc 12,13-21
13 In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14 Ma egli rispose: O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi. 15 E disse loro: Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede. 16 Poi disse loro una parabola: La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17 Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18 Farò così – disse - : demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20 Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21 Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce presso Dio.
QUESTA DOMENICA
Il capitolo 12° del vangelo di Luca, è, come l’11° delle domeniche precedenti, piuttosto composito, ma l’elemento in cui si concentra  il brano che leggiamo oggi è lo stile di vita che debbono adottare i discepoli in mezzo al mondo, suggerito attraverso una parabola su ciò che è importante davanti a Dio.
La dimostrazione di questa tesi risulta nutrita di una sapienza popolare. Bisogna capire che Luca riflette la mentalità diffusa ai suoi tempi; ad esempio, negli stessi anni in cui egli scriveva il filosofo Seneca raccomandava all'amico Lucilio: "Mi domandi quale sia la giusta misura della ricchezza? Primo avere il necessario, secondo quanto basta. Abbandona ogni preoccupazione per la tua esistenza e te la renderai piacevole”. Come si può notare, si tratta di considerazioni di buon senso, di saggezza umana, sulla scia delle riflessioni del Qoèlet sulla debole consistenza delle cose umane; con una conclusione che accenna alla possibilità di procurarsi l’unica garanzia presso Dio, attraverso la  dilatazione della propria egoistica visione delle cose in direzione della condivisione con gli altri.
In tal modo il passo evangelico riproduce in tono minore la convinzione di Paolo (suo maestro), su cui si sta costruendo la comunità lucana e la sua predicazione: bisogna liberarsi dall’idolatria dei beni materiali sul modello tracciato da Gesù.
Ma bisogna leggere tutto Luca per andare oltre i limiti in cui si muove il brano proposto dalla liturgia. In questo egli ritrae un Gesù che possa convalidare il tragitto attraversato dalla comunità nascente, nel rispetto dei suoi passaggi di crescita. Le comuni considerazioni sapienziali che oggi leggiamo sono un punto di partenza, una tappa, per giungere alla nuova teologia della storia, che costituisce il progetto lucano fondamentale.    
Le tre letture
a) Il Qoelet si distingue dalla generica letteratura sapienziale, la quale, davanti alla prospettiva della morte, ricalca il concetto che è meglio godere il più possibile nel presente dei beni materiali in quanto segno di benedizione divina. Egli, invece, è convinto che tutto, nulla escluso, si sottrae alla vanità, e cioè alla inconsistenza di qualsiasi tentativo di sfuggire ad un destino di nullificazione di ogni progetto in positivo.
Qoelet (anche QoèletQoheletQohelethKoheletKoheles), ebraico קהלת), Ecclesiaste in greco e in latino, è un libro dell’A.T. scritto probabilmente tra il 250 e il 200 a.C.. L'autore si presenta all'interno del libro con tale pseudonimo ed indica un uomo che si identifica con Salomone (vissuto molti secoli prima) in quanto archetipo dei sapienti di Israele.  Parla in nome della propria esperienza personale ed usa spesso l’ironia (frequente nella filosofia ellenistica) perché è ironico il suo atteggiamento nei confronti della società del suo tempo o della ricerca affannosa della ricchezza. Di sapore ellenistico è anche la domanda sull'origine della sapienza, che rispecchia una visione disincantata e spesso scettica della realtà, mettendo in risalto lo squilibrato rapporto tra felicità e piacere materiale. Certamente il Qohelet rimane saldamente ancorato all’orizzonte biblico anche nel momento in cui  ne fa una critica amara: per questo lo si può definire una risposta ebraica a domande greche.
b) In Col 3, 1-5, 9-11 Paolo invita a disfarsi di tutte le cosenegative che tendono ad impadronirsi del cuore umano appesantito delle cose della terra. La sua è una precisa indicazione: per una liberazione da esse bisogna vivere in prospettiva delle cose di lassù, quando si realizzerà l'incontro definitivo con Dio sul modello di Cristo. In lui tutti, di qualsiasi provenienza e relativi costumi, sono chiamati a vivere già da questa terra la sua risurrezione.
c) Il brano di Luca attraverso scarne note esegetiche
13 Uno della folla gli disse: Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità.14 Ma egli rispose: O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi? 15 E disse loro: Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede.
Dato che i rabbini erano, non solo teologi e maestri, ma anche giuristi che potevano essere chiamati per risolvere questioni di diritto enunciate dalla Legge, un tale si rivolge a Gesù come a un rabbi per un problema di eredità. Gesù non vuole che lo si consideri un semplice rabbi. Invita piuttosto colui che lo interpella a riflettere sulla vera identità e missione del Profeta escatologico: esortare ad evitare la brama di possesso. Nel monito tenetevi lontani da ogni cupidigia è messa a fuoco la necessaria consapevolezza del senso e della destinazione della propria vita, in cui la cupidigia svolge un ruolo solamente negativo.
Non si può precisare se il termine vita  sia riferito alla vita eterna: il contesto si adatta ad entrambi i significati, ma, alla luce della parabola, è questa vita  che non viene assicurata dai beni posseduti; al contrario il v. 21 indica che l'autore non dimentica la vera vita che non passa.
16 Poi disse loro una parabola: La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante.
Il tema di colui che ha ricchezze e ne può godere è ampiamente presente nella letteratura sapienziale; ma, mentre in questa il godere dei beni è visto positivamente perché essi sono una benedizione di Dio, il richiamo al Qoèlet riproduce una nota di scetticismo e di pessimismo. Tuttavia il possidente di cui parla Luca non ha il problema di arricchirsi, bensì di come conservare le raccolte, il che, di per sé, non è espressione di cupidigia.
17 Egli ragionava tra sé: "Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti?
Luca utilizza ancora uno dei suoi espedienti letterari: comunica attraverso i pensieri del personaggio.
18 Farò così -disse-: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!
20 Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?"
Il proprietario sembra ripetere una litania costellata dell'aggettivo possessivo mio: il mio raccolto, i miei magazzini, i miei beni. Da uomo che ragiona tra sé e sé, non si confronta con l'unica misura capace di ri-dimensionarlo, la morte, e non sa guardare agli altri. Ecco perché Luca lo fa redarguire con il termine scemo. E’ impropria la traduzione del nemes ebraico nel greco afron, cioè stolto: uno che ragiona male (e a suo danno), non è un cattivo, ma uno sciocco (è da ricordare che l’evangelista aveva usato lo stesso termine in 11,40 in riferimento ai farisei).
21 Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio. Ecco la messa a fuoco di Luca: il ricco ha accumulato solo per sé; al contrario la sicurezza del credente poggia soprattutto su Dio e non sulle ricchezze materiali.
RIFLESSIONI
a) Pare che l’umanità si muova sempre tra i due poli della sicurezza voluta a qualsiasi costo e della consapevolezza di fronte alle incertezze esistenziali. Si tratta di due sfide di carattere opposto, destinate ad esiti opposti.
La storia ci fa assistere ad una interminabile sfilata di ego-centrati piccoli-piccoli e di megalomani di ogni risma: tutti con la pretesa di accaparrarsi del mondo e di ogni spazio in esso possibile. Le frustrazioni non hanno impedito la sempre nuova formazione di altri eserciti in cui si riproduce la stessa tipologia. A testimoniarlo c’è –un esempio tra tanti- un autore come Verga quando ne La roba presenta il protagonista che, sentendo prossima la morte, esce in cortile e si mette ad ammazzare a colpi di bastone le sue anatre e tacchini, strillando: Roba mia, vientene con me.
Invece la sfida dell’incertezza nutrita di attesa conta pochi ma fervidi spiriti, anch’essi di ogni tempo e luogo.  M. de Certeau racconta di alcuni monaci che, nei primi secoli di vita della Chiesa, stavano in piedi, nella posizione dell'attesa. Si ergevano lì all'aperto, dritti come alberi, con le mani alzate verso il cielo, rivolti verso il luogo dell'orizzonte da cui doveva venire il sole del mattino. Tutta la notte il loro corpo abitato dal desiderio attendeva il levare del giorno. E quando al mattino i primi raggi del sole raggiungevano la palma delle loro mani, essi potevano fermarsi e riposare. Il sole era giunto.
Contro la pretesa di captare il bene presente e di conservarlo per preservarsi dall’incertezza del domani, questi asceti del passato sono esemplari spesso isolati, fuori moda, ma capaci di intessere il filo rosso che attraversa la storia ed è motivo di speranza per tutti. Nel nostro tempo, quando la lezione dell'attesa sembra essere divenuta del tutto fuori moda, la sfida di questo limite estremo di senso dell’attesa è l'unica "misura" capace di ri-dimensionare la pretesa di onnipotenza umana.
b) C’è anche un equivoco nell’equivoco di ogni interpretazione. Come quando si riferisce della frase di un santo della tempra di Francesco di Assisi: egli, si racconta, l’avrebbe lasciata come testamento spirituale ai confratelli radunati attorno a lui, Fratelli, iniziamo a far del bene, perché finora non abbiamo fatto nulla. Qual è il suo significato? Quello della preminenza assoluta del bene-da-fare nella via indicata per seguire le orme di Cristo?
E’ terreno minato quello dei comuni significati ricavati dal discorso sui beni incorruttibili da preferire ai corruttibili. Confesso che mi sconvolge alquanto perfino la frase conclusiva attribuita da Luca a Gesù: avrebbe egli consigliato di arricchirsi presso Dio?
Allora non c’è da meravigliarsi se la filosofia della ricompensa sia sottesa in tutto l’impianto delle formulazioni della struttura ecclesiale, nello stile complessivo del suo modo di porsi (non esclusa la ‘Caritas’). Bisogna cercare approdo in un’altra spiaggia.
c) Nel terreno occupato dai mistici. non trova accesso la preminenza del bene-da-fare in vista dell’eternità. Anche questo è vanità, ci aiuta ad affermare il Qoelet.
Come è meschino per i mistici ciò!
Ricordo un episodio della mia vita. In un incontro, ad Ivrea presso la Zarri, con il comunista di ferro, Pietro Ingrao, gli ho sentito pronunziare queste parole che credo di riportare con esattezza:ho trascorso una vita a chiedere assieme ai poveri pane e lavoro; ma ora, nella mia età matura di vecchio, mi accorgo che NON BASTANO IL PANE E IL LAVORO per cambiare l’uomo e la società. Ci vuole prima ed anzitutto una visione dei valori alti, di carattere spirituale.
Quale mistico (o mistica, fa lo stesso) non ha aspirato a realizzare un rapporto di puro amore con Dio? Non è una novità un discorso di reciprocità nell’amore vero: potrei riportare citazioni da ciascuno/a di essi, appartenente sia all’ieri sia all’oggi.
Detto tra parentesi, i furori fanatici generalizzati per i ‘santi’ di turno’ – ultimo papa Francesco che, lo spero fervidamente, non si farà abboccare –  fanno da segnaletica della sete di spiritualità che c’è in tutti, ma che ha bisogno di purificazione.
E qui, per non ripetere parole inutili, mi limito ad una semplice citazione tra tante altre possibili. Quella di una mistica laica di origine ebraica, morta a ventisette anni ad Auschwitz, Etty Hillesum. Trascuro le frasi più affascinanti in cui parla della reciprocità di amore con Dio, e ne scelgo una nella quale esprime il suo disgusto per l’espressione Dio volge tutto in bene. Con realismo quasi ‘alla Qoelet’ afferma:
Trovo che che è un’espressione priva di coraggio. Le cose sono, dovunque, completamente buone e al tempo stesso completamente cattive. Così bilanciamo, dovunque e sempre. Io non ho mai la sensazione che devo volgere qualcosa in bene; tutto è sempre completamente un bene così com’è. Ogni situazione, per quanto penosa, è qualcosa di assoluto, e contiene in sé il bene come il male.

Mi astengo –asceticamente!- dal commentare.

Nessun commento: