venerdì 30 giugno 2017


DOMENICA XIII T.O. anno A

 


In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 37Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. 40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

 

Commento

 

IL BRANO di MATTEO 

In questa seconda parte del discorso missionario (la prima parte l’abbiamo letto la scorsa domenica), Matteo mette a fuoco la formazione morale e spirituale dei discepoli che, dopo la  morte di Gesù, erano rimasti dubbiosi e spaventati, ma volevano ricostruire, sia il proprio essere e comportarsi da discepoli, sia la piccola comunità in formazione. Ma, ahimè, quanto sono paurosamente provocatori i pochi versetti che leggiamo oggi! Sono impressionanti per la durezza dei termini, per la [non vorremmo usare questo termine] pretesa di Gesù di convogliare su di sé le energie vitali e affettive di ogni discepolo: Egli non accetta compromessi né un amore a metà. La frequenza martellante (sette volte), quasi ossessiva, del pronome in prima persona me, sembra voglia comunicare, anche sul piano linguistico, la Sua esigenza di costituire il tutto nella vita dei suoi discepoli. Agostino di Ippona commenta: Egli solo ti basta e nient'altro senza di Lui ti può bastare.
Si tratta di vivere l'appartenenza a Lui, radicata nel Battesimo, nel modo raccomandato da Paolo nella seconda lettura proposta dalla liturgia: Siamo morti con Cristo...sepolti insieme con Lui nella morte. L'immersione nell'acqua (del battesimo) simboleggia il morire e essere sepolti con Cristo a tutta la realtà del peccato, da cui si è liberati radicalmente.
Ma, premettiamolo subito, in tutto il vangelo Gesù non aveva mai inteso favorire alcun fondamentalismo religioso; basti ricordare l’evento nell’orto del Getsemani, quando Pietro estrae fisicamente una spada per difendere Gesù e Lui si oppone decisamente.
La proposta di Gesù, presente solo nei tre sinottici e mai in Giovanni, appare in tutti i vangeli soltanto cinque volte, e viene espressa sempre per sciogliere l’equivoco di una sequela di Gesù all’insegna del trionfo.
Eppure una domanda sorge, però, spontanea alla lettura della pericope: è mai possibile che il Gesù mite e umile di cuore che invitava a porgere l’altra guancia, all’amore come legge fondamentale e primo Comandamento, esorti – per essere suoi discepoli – a odiare padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e persino noi stessi?
La spiegazione di tanta durezza nelle affermazioni sconcertanti attribuite a Gesù è da cercare nel sottofondo linguistico che talvolta affiora nel testo greco dei Vangeli. La lingua usata nella stesura è quella dominante nell’Impero Roman; ma in essa compare in filigrana la matrice della lingua originaria degli autori e, in particolare per le frasi di Gesù, l’originale aramaico con cui egli si esprimeva. Ebbene, in ebraico e aramaico non si ha il comparativo, ma si usano solo le forme assolute. Così, per dire amare meno si adotta l’estremo opposto all’amare, cioè l’odiare.
Quel che Gesù chiede ai Suoi è un impegno forte, il distacco senza il quale non è possibile perseguire un orientamento radicale verso di Lui e il regno di Dio. Per esprimere questa esigenza, Egli non esita a ricorrere al paradosso. E i discepoli impareranno che in quelle espressioni intense di stile orientale, c’è anche una verità che si attua con la testimonianza del martirio. E’ bene ricordare che questa corsia preferenziale per Dio era prevista anche nella tradizione rabbinica, la quale raccomandava di dare precedenza al rabbino sul padre.
Sembra che il verbo usato da Matteo (bale‹n= balein=gettare) indichi che Gesù non porge il suo Vangelo ‘con i guanti’, che, piuttosto, lo getti senza tanti convenevoli, come un sasso nello stagno o - come scrive Marco (4,26) – nello stesso modo in cui si getta a terra il seme.
Un’esegesi più approfondita chiarisce con efficacia il significato di questo passo evangelico, tra i meno compresi nella storia del Cristianesimo.
L’affermazione radicale di seguire senza mezzi termini Gesù che porta la croce, nella storia del cristianesimo ha finito per alimentare una spiritualità doloristica che nulla a che vedere con la chiamata alla gioia che contraddistingue la buona notizia, e che svilisce la portata delle parole di Cristo, riducendole a un banale richiamo a sopportare con rassegnazione le sventure della vita.
Il prendere la propria croce e perdere la propria vita, nell’autentica prospettiva di Cristo, hanno tutt’altro significato. Quello di smettere di considerare se stessi come misura delle cose e come artefici della propria vita; di mettersi completamente nelle mani di Dio e accettare pienamente la logica dell’amore,  anche quando la fedeltà a questo amore può – proprio come nel caso di Gesù – costare la vita.
Dunque, è da ribadirlo, prendere la Sua croce non significa accettare le tribolazioni accidentali della vita, ma prendere su di noi il Suo progetto di vita, calandolo nelle circostanze storiche, pubbliche e private. Significa non preoccuparsi di se stessi, non cercare se stessi, non mettere mai in bilancio ciò che torna utile a me e al mio gruppo di appartenenza. Siccome esistono delle predilezioni che costituiscono una necessità nella propria vita, prendere la croce di Cristo significa collocarle fuori dal quadro delle predilezioni codificate; prediligere la compagnia di quelli che contano meno, stare insieme a coloro che non hanno capacità di dare ampie consolazioni, che non ci rassomigliano.
Sta in questo atteggiamento la vera libertà umana.
Una riflessione ancora più approfondita porta a confrontare l’esigenza evangelica e quella della più raffinata concezione laica, di impronta psicologica. Commenta bene J.Ratzinger: L’autentico seguace di Gesù ripudia la mentalità dell’autosufficienza e accetta che la propria esistenza sia plasmata da Dio, in una sorta di creazione continua che dalla nascita prosegue sino alla morte. Il che rappresenta la quintessenza di quello che la Bibbia chiama peccato originale: da non intendere come evento storicamente avvenuto, ma come tentazione costitutiva dell’animo umano, sempre attratto dalla prospettiva di fare a meno di Dio e di agire, se ritenuto necessario, anche contro Dio.
Qui si evidenzia l’enorme distanza che separa lo spirito evangelico dal pensiero laico, il quale, proprio dell’autorealizzazione voluta e attuata con le proprie forze fa uno dei capisaldi più nobili della vita umana. E qui il dialogo fra le due istanze – la cristiana e la laica -  si fa difficile, se non impossibile, e non resta che il reciproco rispetto, nella diversità delle prospettive.
ALTRO PASSAGGIO: Gesù porta la spada della separazione fra il bene e il male, fra coloro che accolgono il suo messaggio e quelli che lo rigettano; ma porta anche la spada della determinazione. Rispondere alla chiamata di Cristo richiede un taglio, molto spesso doloroso, con l'ambiente, con la stessa famiglia.
La spada-divisione è implicita nelle esigenze della presenza di Gesù; lo stesso messaggio porta alla divisione: esige che nessuno e nulla sia al di sopra di Lui nella scala dei valori. Infatti quel che è da temere è un cristianesimo tanto inoffensivo da non creare più difficoltà a nessuno, oppure un cristianesimo che non feconda più nulla, perché è stato così snervato da non essere più capace di stupire, di creare poesia o anche di creare scandalo, o almeno provocazione e sfida nei riguardi del mondo.

Infine Gesù preannuncia ai discepoli in missione che potranno contare anche sull’accoglienza da parte di uomini e donne che vedranno in loro dei profeti, dei giusti, dei piccoli. Costoro avranno una ricompensa grazie al loro discernimento e alla loro capacità di accoglienza: nel giorno del giudizio, certamente, ma anche già qui e ora, cominciando a sperimentare il centuplo sulla terra.

E per noi, spaventati dall'impegno di dare la vita e di avere una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca… non perderà la sua ricompensa.

La croce e un bicchiere d'acqua!, il dare tutta la vita e il dare quasi niente! Sono i due estremi di uno stesso movimento. Un gesto che chiunque può compiere; però un gesto vivo, significato da un aggettivo dal sapore evangelico: fresca. L’acqua deve essere fresca: vale a dire procurata con cura, l'acqua migliore, quasi un'acqua affettuosa, con dentro l'eco del cuore. Stupenda pedagogia di Cristo! Non c'è nulla di troppo piccolo per il Vangelo, perché nulla vi è di autenticamente umano che non trovi eco in Dio. L’essere umano guarda le apparenze, Dio guarda il cuore.

Un’ultima prospettiva per il discepolo in Matteo: Gesù lo carica di un compito altissimo: fare discepoli tutti i popoli. Un compito dall’orizzonte infinito… Il discepolo deve, così, diventare maestro, che ripete il modello del maestro, l’inviato che diventa inviante.

La motivazione di questa visione non proviene da un ulteriore comando esterno al discepolo, ma da profondità viscerali: Quando qualcuno si convince della ricchezza della Parola di Dio, non può tenerla per se stesso, perché essa trabocca, esonda, vuol raggiungere gli altri e non per convertirli al proprio credo ma per sollecitare incontri fecondi, nonostante le culture diversissime.

Il cristianesimo sarà universale se esso, seduto accanto ad altre religioni di altre culture, imparerà da tutti, uscendo fuori (anzitutto mentalmente) da zone umane chiuse e protette.

 

Riflessione personale

Sì, il vangelo va letto attraverso l’esegesi di Autori-studiosi, ma – è mia convinzione - non si può restare aggrappati nemmeno alla più profonda interpretazione. Infatti siamo di fronte, non ad una dottrina, bensì alla Parola di Dio che traspare dietro le parole e si rivela alla mente  ed al cuore attraverso la preghiera, quale vero alimento della vita spirituale e rivelazione non fatta di parole.
Gli esegeti migliori sono quelli permeati interiormente della Parola di Dio, che sanno parlare senza nessuna delle parole inutili che sanno di ammaestramento. Essi, giunti attraverso tanto scavo al non detto, lasciano il lettore dentro lo scavo stesso, perché ora spetta a lui, incontrare la Verità.

 

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Esegeti consultati: A. Grün, R. Brown, J. Ratzinger, G. Ravasi, J. Beutler, J. Stott, J .Dupont, E. Bianchi, L. Manicardi, M.J. Castillo, ecc. 

 

Consigli al femminile:

M.Cerini, Dio Amore nell’esperienza e nel pensiero di Chiara Lubich.

Gabriella Zarri, Finzione e santità, Rosenberg& Sellier, Torino 1991

Elena Lowenthal, Eva e le altre

L’Autrice si lascia impregnare dalla Parola di Dio con lo sguardo del cuore, nella zona di confine tra il divino e l’umano. E  lo fa con naturalezza.
Una citazione dalla pagina 188: Nella Bibbia, il silenzio è la musica di una teofania minore [quale è quella femminile]. Dio parla a Mosè dentro un roveto che ardendo non può fare a meno di crepitare fastidiosamente, rimbomba nel tuono di un mare che s’apre conducendo i figli d’Israele fuori dalla schiavitù dell’Egitto, con voce stentorea rivolge ad Abramo i suoi mille, impossibili comandi. Urla per bocca di tanti profeti attanagliati dalla disperazione. Questa rivelazione che tace sottile è forse la cosa più sincera fra tutte quelle che Dio ha elargito all’uomo attraverso la Bibbia”.

venerdì 23 giugno 2017

DOMENICA XII T.O. anno A


DOMENICA XII T.O. anno A
 
Mt 10,26-33
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26 Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27 Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29 Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30 Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31 Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! 32 Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
 
Commento
APPROCCIO ALLA PERICOPE
- Siamo di fronte al secondo discorso di Gesù, che viene dopo quello delle Beatitudini ed è uno dei cinque riportati Da Matteo. E’ il cosiddetto discorso missionario, che riflette la situazione della sua comunità, perseguitata anche dal mondo giudaico, nel quale era inserita.
Pur nel momento delle persecuzioni, appaiono rappresentazioni dolcissime: i passeri che non sono dimenticati, in quanto non si trovano inutilmente nel concerto del creato; i capelli sono numerati dal Padre che è nei cieli, per indicare che tutta la persona umana è sotto il Suo sguardo di amore.  
- Nell’annunciare il vangelo alle genti, i discepoli di Gesù incontrano diffidenza, chiusura, ostilità e rifiuto. E, in tale situazione, la tentazione - pare voglia dire Matteo - è quella di mettere a tacere la speranza, di restare silenti e nascondere la propria identità, magari fino a fuggire.
- Il testo che leggiamo è preoccupante sul tema della paura. Questa è citata quattro volte in soli sette versetti. Gesù sta dicendo in forma sottintesa che il Regno di Dio non si annuncia impunemente.
- Una prima riflessione sul testo induce a considerazioni di ordine morale. Per esempio, può capitare che si diffonda, anziché la Parola di Dio, o assieme ad essa, una religiosità vaga, una pietà fatta di devozioni, lo spirito di sottomissione anziché la libertà spirituale, ecc.…
Nelle parole messe in bocca a Gesù c’è un avvertimento principale: il tempo della missione è un tempo di apocalisse, non nel senso catastrofico solitamente attribuito a questo termine, ma nel senso etimologico di ri-velazione, di alzata del velo. I discepoli debbono essere consapevoli che l’annuncio del Vangelo presto richiederà uno spirito forte nel proclamare in termini chiari quanto Gesù aveva detto nell’intimità tra i suoi. Invece bisognerà gridare sui tetti ciò che era stato detto all’orecchio: Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
Per realizzare questo imperativo non basta il coraggio che potremmo definire di tipo psicologico. C’è da tener conto del fatto che Gesù, quando era in vita, comunicava il senso della novità evangelica in forma semplice, addirittura elementare, e nello stesso tempo loro erano sostenuti dall’entusiasmo per il loro Maestro. Come potranno ora predicare il vangelo ad ebrei e a pagani, a gente di ogni tipo, per di più fuori della Palestina, in un contesto sociale a loro ignoto?
- Capire la posizione di disagio da affrontare da parte dei discepoli fa pensare pensare all’oggi, quando il mondo è più pagano di allora, e noi cristiani non abbiamo acquisito la convinzione che il vangelo va approfondito al di là delle suggestioni immediate: dietro la struttura letteraria c’è una storia da capire; c’è il percorso fatto da Gesù e la volontà di ripercorrerlo da parte dei discepoli; c’è soprattutto da inquadrarlo sempre nel significato salvifico della Sua persona e della Sua missione.
 
LE PERSECUZIONI
Dopo la persecuzione di Nerone e la tolleranza dei primi Flavi, le misure fiscali di Domiziano contro i Giudei avevano avuto l’effetto di isolare i Cristiani e di privarli della copertura del giudaismo. Cioè attraverso l’ebraismo dal quale proveniva Gesù, i cristiani furono tollerati, e in seguito, quando il cristianesimo cominciò a farsi strada da solo, fu perseguitato.
Le persecuzioni dei cristiani nell'Impero romano dapprincipio consistettero in fenomeni di aggressiva intolleranza popolare. Quando il cristianesimo cominciò ad attecchire e ad essere praticato, fu temuto come un crimine contro lo Stato, con la conseguente condanna. Molti proclamarono comunque la propria fede accettando la prigionia, le torture, le deportazioni ed anche la morte: i martiri furono diverse migliaia. Ma le comunità cristiane continuarono a crescere, trovando nuovo vigore nel culto dei martiri.
- Alla fine del I secolo, lo storico Plinio il Giovane mostra di sapere che la morte è la pena riservata alla semplice professione di Cristianesimo, e pertanto si limita a domandare all’accusato se fosse cristiano, e, in caso di risposta affermativa, era prevista la morte.
- L’imperatore Traiano agì in maniera mitigata. Egli afferma che i cristiani devono essere puniti, ma coloro che negano di essere cristiani e lo dimostrano supplicando i nostri dei, anche se sospetti per il passato, devono ottenere il perdono per il loro pentimento.
Importante reperto storico è la risposta dell'Imperatore Traiano a Plinio il Giovane (lettera 97 del Libro X dell'Epistularum): Mio caro Plinio, nell’istruttoria dei processi di coloro che ti sono stati denunciati come Cristiani, hai seguito la procedura alla quale dovevi attenerti. Non può essere stabilita infatti una regola generale che abbia, per così dire, un carattere rigido. Non li si deve ricercare; qualora vengano denunciati e riconosciuti colpevoli, li si deve punire, ma in modo tale che colui che avrà negato di essere cristiano e lo avrà dimostrato con i fatti, cioè rivolgendo suppliche ai nostri dei, quantunque abbia suscitato sospetti in passato, ottenga il perdono per il suo ravvedimento. Quanto ai libelli anonimi messi in circolazione, non devono godere di considerazione in alcun processo; infatti è prassi di pessimo esempio, indegna dei nostri tempi.
L’imperatore non vuole condannare, ma sente di non potere impedire le accuse. La sua è una sorta di compromesso tra due tendenze opposte, tolleranza e punizione.
- L’atteggiamento imperiale verso il Cristianesimo cambiò alquanto sotto Antonino Pio. E cambiò ancora con Marco Aurelio, e questa volta, entro certi limiti, anche sul piano del diritto: il Cristianesimo restava punibile con la morte, in quanto religio illicita, ma anche gli accusatori dei Cristiani dovevano essere condannati se intemperanti nelle accuse.
La tolleranza religiosa si stabilisce di fatto sotto i Severi, grazie anche al diffondersi del culto solare e del sincretismo.
Edward Gibbon, storico inglese del settecento, individua con acutezza i motivi in base ai quali la nascente chiesa cristiana avrebbe dovuto suscitare, nell'opinione pubblica e nelle istituzioni civili e politiche, sentimenti, se non proprio di ammirazione, almeno di tolleranza, anziché atteggiamenti persecutori. Tali atteggiamenti furono in parte dovuti ad una sorta di confusione che inizialmente regnava tra ebrei e cristiani. La differenza sostanziale tra essi, che consentiva ai primi di professare liberamente la propria fede, mentre trattava con severità, odio e disprezzo i secondi, era dovuta al fatto che gli ebrei erano considerati nazione, e i cristiani una setta.
 
RIPRENDIAMO IL TESTO DELLA PERICOPE
Matteo insiste sul coraggio della verità. Egli afferma: non dobbiamo aver paura di coloro che uccidono un corpo, destinato comunque a morire, ma di coloro che uccidono la speranza, la gioia, la vita, la libertà, in sintesi l'immagine di Dio in noi.
Non siamo soli in questa lotta. La colletta di introduzione alla messa recita così: O Dio, che affidi alla nostra debolezza l'annunzio profetico della tua parola, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché non ci vergogniamo mai della nostra fede, ma confessiamo con tutta franchezza il tuo nome davanti agli uomini, per essere riconosciuti da te nel giorno della tua venuta.
Nel mondo moderno la fede è stata a lungo nascosta nei tabernacoli. Mancava il coraggio di tradurla nella vita. Non è forse questo il dramma della nostra fede? Dio è stato cacciato dalla nostra economia, dalle nostre scelte, dalle nostre famiglie, dalla nostra cultura, quasi fosse una rinuncia alla piena umanità. Gridiamolo sul tetto questo Vangelo, facciamocene carico, entriamo nella compagnia di chi prende sul serio l'ansia di pienezza che teniamo nascosta nel cuore.
C’è da superare il pericolo del soggettivismo, contagiati come siamo da una società individualista. La coscienza morale non viene più considerata come un atto dell'intelligenza della persona, che sappia applicare la conoscenza universale del bene ad una determinata situazione, ed esprimere così un giudizio su ciò che si deve fare qui ed ora. La coscienza, vista individualmente, appare come privilegio di fissare, autonomamente, i criteri del bene e del male, e di agire conseguentemente a questo giudizio di valore.
La frase che esprime con durezza il bisogno di superare il soggettivismo è nella frase: abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Certamente la frase va capita in profondità. Non si decreta l’inferno eterno per chi nella vita pensa solo a se stesso. E’ espresso un concetto: la persona che muore abbracciata al suo nulla, non si sostiene da se stessa; e la Geènna è immagine della voragine in cui sprofonda chi si è fatto preda del suo io, quando è staccato da Dio.
Ma, creando l’essere umano a sua immagine e somiglianza, Dio ha delegato al singolo il potere di far perire nella Geènna il suo ormai inutile io senza Dio.
 
RIFLESSIONE
Non trovo migliore riflessione di quella di C. de Foucauld. Egli afferma: La paura è mancanza di fede. Tutto ciò che capita è per il bene di coloro che amano Dio. Ma dirò molto di più: non solo coloro che amano Dio, ma tutti gli uomini hanno in ogni momento della loro vita la grazia necessaria, sufficiente, per salvarsi, per fare il bene e, di conseguenza, per far tornare a vantaggio proprio e di coloro che amano tutti gli avvenimenti della propria esistenza. Tutto ciò che loro capita senza eccezione, diverrà il loro vero bene.
Mi piace il tornare dell’autore allo stesso concetto, dilatando la visione, pian piano, ma in un crescendo continuo: da se stesso a tutti gli altri.
Da parte mia [dico fino in fondo ciò che penso], non penso mai a cosa mi capiterà nell’aldilà. Mi basta impegnarmi nel qua, cercando di non restare incagliata, sia nelle presunte certezze, sia nelle incertezze. So che a sostenermi è l’Altro. La certezza della Verità non può essere affidata a me. A darmela è Lui, lo grande Sconosciuto che si nasconde dietro le persone e dietro le situazioni, e mi fa capire che Lui c’è sempre.

venerdì 16 giugno 2017


LA FESTA DEL CORPUS DOMINI

Gv 6, 51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: 51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. 52 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: Come può costui darci la sua carne da mangiare?. 53 Gesù disse loro: In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.

 

Commento



PREMESSA

La festività del Corpus Domini fu istituita da Urbano IV - bolla 8 settembre 1264 - e dichiarata obbligatoria per tutta la chiesa da Clemente V (1331).
Andando più lontano, troviamo le prime tracce di una dottrina della trasmutazione degli elementi della Cena del Signore, che affiorano timidamente in Giustino Martire, un filosofo greco di natali pagani vissuto nel 100-165; manca però il riferimento ad  una fonte evangelica.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               
È interessante considerare l’aspetto della pietà popolare nel medioevo per poter comprendere come lentamente si sia arrivati all’affermazione fissata nel dogma nel quale si afferma: Quando il prete pronuncia le parole della consacrazione della messa, si compie sull’altare un miracolo: il pane ed il vino mantengono il loro aspetto, le loro qualità esteriori, colore e gusto, ma la loro sostanza cambia nella sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo.
Il fatto che questa festa venga istituita a distanza di dodici secoli dalla Cena pasquale di Gesù con i Suoi, sta a dimostrare come la sua creazione e formazione sia dovuta ad un processo trasformativo venutosi a formare lentamente nei secoli.
 
IL BRANO DELLA PERICOPE ODIERNA
- Il brano del vangelo di oggi è tratto dal IV vangelo al capitolo sesto, che è dedicato al racconto della moltiplicazione dei pani.
La pericope è breve ma molto densa, come emerge dalle cinque parole che in essa ricorrono a più riprese: mangiare (8 volte), bere-bevanda (4 volte), carne (6 volte), sangue (4 volte), vita-vivere (9 volte).
- Riflettendo sulla dichiarazione di Gesù: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo, gli ascoltatori si trovano davanti, non a qualcosa di straordinario, ma all’umile realtà del pane che ognuno mangia quotidianamente per sostentarsi e che molti mendicano.
Questo pane (chiamato dai sinottici corpo) è qui indicato col termine carne: in senso biblico non è la sostanza fisica del corpo umano, ma è la totalità dell’essere, l’intera persona umana.
- La ripetizione dell’affermazione di Gesù, mangiare la carne, vuole richiamare l’immagine dell’agnello pasquale nella notte del’Esodo, quando Mosè comandò agli ebrei di mangiare la carne dell’agnello perché avrebbe dato loro la forza di iniziare il viaggio verso la liberazione e di aspergere il sangue sugli stipiti delle porte in modo da essere difesi dall’azione dell’angelo della morte. Ebbene, in analogia, Gesù si presenta come carne, alimento che dà la capacità di intraprendere il viaggio verso la piena libertà, e il cui sangue, anche se non libera dalla morte terrena, libera dalla morte definitiva. Gli esegeti notano che il verbo mangiare traduce male il verbo greco trogo, che significa (perfino dal suono della parola) masticare. Quindi, secondo loro, Gesù un linguaggio realistico e duro … (affronteremo la tematica nella maniera più semplice possibile).
 
DAL CORPO DI GESU’ ALL’EUCARISTIA
- La chiesa trae dalle parole evangeliche il motivo fondante dell’eucaristia (dal greco eukharistía = rendimento di grazie, sec. XVI).
- L’affermazione di Gesù sopra citata può riuscire enigmatica, tanto più che è rafforzata da altre simili, in un crescendo di perentorietà: la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
- Usando questo linguaggio, Gesù vuol rivelare che mangiare il pane eucaristico e bere al calice della benedizione è ricevere la realtà misteriosa, realizzata in Lui, di un’umanità trasfigurata nella resurrezione e dal soffio (alito) divino dello Spirito Santo.
- L’esperienza della presenza di Gesù nella Chiesa che celebra l’Eucaristia e la spiritualità che queste convinzioni hanno generato in tanti credenti, sono state, lungo la storia, fonte di forza interiore e di generosità oltre che che una convinzione basata sul mistero. E bisogna sottolineare che il mistero non si qualifica per via di un credo a cui aderire per ubbidienza, bensì come luce che illumina interiormente attraverso la preghiera.
 
DALL’EUCARISTIA ALLA MESSA
A partire dalla manifestazione di Gesù nel momento in cui parla ai suoi della propria identificazione nel pane e nel vino, l’eucaristia ha subito tali cambiamenti, che risulta semplicemente irriconoscibile. Infatti la cena che ricrea ed innamora (Giovanni della Croce), è divenuta una cerimonia religiosa, che si connette ben poco alla vita concreta. Infatti si è passati dalla cena fraterna dei primi cristiani, consumata insieme ogni ‘giorno del Signore’ per rafforzare la propria fede e il proprio amore nel ricordo della cena pasquale assieme a Gesù, ad un rituale sacro. Nel sec. VIII il rito si è quasi separato dai fedeli, in quanto celebrato in latino (proprio quando la gente aveva già iniziato a parlare le lingue moderne), e da un prete posto di spalle al popolo.
Per di più sull’eucaristia ha prevalso il miracolo della trasformazione del pane e del vino nel Corpo di Cristo.
 

IL CIBO NELLA BIBBIA, IN TUTTE LE CULTURE, NELLA VITA DI GESU’ –

- Zibaldone di citazioni da far leggere a chi vede, nel nutrimento sacro, un semplice  residuo di credenze primordiali -

- Nel suo Breviario tedesco Brecht ironizzava: Per chi sta in alto discorrere di mangiare è cosa bassa. Si capisce: loro hanno già mangiato!.

- Anche a livello alto si è consapevoli che il cavaliere nero dell’Apocalisse, il quale regge una bilancia per misurare le derrate alimentari, continua a correre per tante regioni del nostro pianeta ove, purtroppo, spesso convivono coloro che hanno più cibo che appetito e coloro che hanno più appetito che cibo. 
- È noto che la famosa frase assonante, Der Mensch ist was er isst, l’uomo è ciò che mangia, del filosofo ottocentesco Feuerbach, è considerata come un emblema del materialismo. In realtà potrebbe essere assunta con un’altra interpretazione: il cibo in tutte le culture è anche simbolo di comunione nella gioia: si pensi alle parabole nuziali di Gesù che comprendono un banchetto.
Guardando lontano, basterebbe leggere nel capitolo 18 della Genesi, la deliziosa scenetta narrativa di Abramo che accoglie i tre ospiti ignoti.
Anche il mangiare il pane del lutto corrisponde ad una nota locuzione biblica; e i pasti funebri sono tutt’oggi praticati in molte nazioni.
- Aveva ragione il magistrato francese Anthelme Brillat-Savarin quando osservava, nella sua celebre Fisiologia del gusto (1825), che gli animali si nutrono, l’uomo mangia, l’uomo di spirito pranza
- Se ci avviassimo sulla strada della simbologia religiosa del cibo, dovremmo allestire un intero orizzonte metaforico: c’è il banchetto pasquale esodico, quello liturgico dei sacrifici di comunione nel tempio con le carni immolate; c’è il banchetto messianico ed escatologico, segno di pienezza e di gioia; c’è quello sapienziale di stampo etico (cap. 9 dei Proverbi), per non parlare della morale raffigurata proprio in apertura alla Bibbia con l’immagine di un frutto buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile: quello dell’albero della conoscenza del bene e del male (Gen 3,6).
- I pranzi hanno un rilievo curioso all’interno della storia di Gesù. Egli, infatti, accetta spesso di sedere a mensa, senza badare molto alle persone che lo invitano: una volta è un fariseo ad averlo come ospite, altre volte è un pubblicano come Zaccheo o Matteo. Anzi, a un certo momento si mormorerà di lui: Costui riceve i peccatori e mangia con loro (Lc 15,2).
Inoltre Gesù ama usare il simbolo del banchetto, soprattutto nuziale, per parlare del Regno di Dio: si pensi alla parabola degli invitati a nozze (Mt 22) o a quella delle vergini stolte e prudenti (Mt 25). Si arriverà persino a dire che egli è un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori, in contrasto con l’ascetico Battista che non mangia pane e non beve vino (Lc 7).  Nella tradizione cristiana le due prime opere di misericordia corporale sono proprio il dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati.
- Ci sono due scene emblematiche al riguardo nella Bibbia. La prima è quella in cui Dio si premura di procurare – come un padre di famiglia – il cibo e l’acqua al suo popolo in marcia nel deserto (l’acqua che scaturisce dalla rupe, la manna e le quaglie). L’altra scena è quella di Gesù che imbandisce pane e pesci per la folla che lo sta seguendo, moltiplicando quel poco cibo che era a loro disposizione. 
- Un autore spirituale, il gesuita Charles Pierre, dichiarava: Il pane conserva quasi una maestà divina. Mangiarlo nell’ozio è da parassita; guadagnarlo laboriosamente è un dovere; rifiutarsi di dividerlo è da crudeli.
- ancora nella Bibbia col pane si rimanda al cibo in senso generale, tant’è vero che mangiare il pane è un’espressione che significa  semplicemente cibarsi.
- Nel Vicino Oriente non si può dare il pane agli animali; se si inciampa in un pane caduto per terra, lo si raccoglie e pulisce, e ancor oggi gli arabi non tagliano il pane col coltello per non 'ucciderlo', considerandolo quasi una creatura vivente. Il pane dei poveri era di orzo, essendo il frumento raro e pregiato. È noto, però, che il pane più comune era quello azzimo, cioè una specie di sfoglia non lievitata, di facile preparazione nel deserto e senza forno (bastava una lastra riscaldata di pietra o di metallo). 
- Il vero impegno religioso – ammoniva Isaia (25,7) – consiste nel dividere il pane con l’affamato; cosa che dovrebbe essere vera anche per noi cristiani.
Il digiuno non è una dieta o un gesto masochistico, bensì un atto penitenziale di distacco dal benessere per trasformarlo in carità per i miseri. Esemplari sono ancora le parole di Isaia: È questo il digiuno che io (il Signore) voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo. Non consiste forse (il vero digiuno) nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, i senzatetto, nel vestire uno che vedi nudo? (58, 6-7).
- Gesù ha dato un rilievo spirituale ulteriore al pane: l’eucaristia nel linguaggio neotestamentario era definita come la frazione del pane (Atti 2,42) perché con quel gesto si segnalava la comunione di tutti i fedeli con Cristo e tra loro.
- Nel rito tipicamente cristiano in cui il pane diventa il corpo di Cristo che si dona e comunica ai credenti, si ha un’altra presenza materiale trasfigurata: nel segno efficace del sangue di Cristo, ossia il vino. Questa bevanda aveva per la Bibbia anche un valore immediato e realistico, essendo espressione della festa e dell’allegria. Il Salmo 104, lo canta come ciò che allieta il cuore dell’uomo. L’era messianica è dipinta sotto immagini enologiche: Verranno giorni in cui dai monti stillerà il vino nuovo e colerà giù dalle colline; Preparerà il Signore degli eserciti un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati (Am 9,14 e Is 25, 6). Al riguardo evochiamo due passi molto brillanti. Il Siracide, sapiente del II secolo a.C., scrive: Non fare forte uso del vino perché ha mandato molti in rovina… Il vino è come la vita per gli uomini, purché tu lo beva con misura. Che vita è quella di chi non ha vino? Esso, infatti, fu creato per la gioia degli uomini. Allegria del cuore e gioia dell’anima è il vino bevuto a tempo e a misura. Amarezza dell’anima è il vino bevuto in quantità, con eccitazione e per sfida. L’ubriachezza accresce l’ira dello stupido a sua rovina…» (31, 25-30). Nei Proverbi, invece, si ha un ritratto vivace dell’ubriaco: Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nella coppa e scende piano piano; finirà col morderti come un serpente. I tuoi occhi vedranno cose strane e la tua mente dirà cose sconnesse. Ti parrà di giacere in alto mare o di dormire in cima all’albero maestro… (Pr 23, 29-35).

Una conclusione 

La religione cristiana non deve essere sostanziata di vaghe emozioni interiori che fanno decollare dalla realtà verso cieli mitici e misticheggianti. È una fede legata ai corpi, alla storia, all’esistenza.
Nel versante opposto una società sbrigativa e superficiale che ingurgita cibi a caso in un fast food, che ignora lo spreco alimentare, che si infastidisce quando si evoca lo spettro della fame nel mondo, che si oppone all’ospitalità, ha perso non solo la dimensione simbolica del cibo ma anche la spiritualità che in quel segno è celata. Ritornare alla civiltà e alla simbologia del cibo avrebbe un valore culturale e spirituale.
Forse non esagerava lo scrittore inglese Charles Lamb, vissuto tra il Sette e l’Ottocento, quando nei suoi Saggi di Elia scriveva: Detesto l’uomo che manda giù il suo cibo affettando di non sapere che cosa mangia. Dubito del suo gusto in cose più importanti.
= Incontrare Cristo attraverso il memoriale dell'Eucaristia, dovrebbe essere motivo per assaporare la sua  presenza dentro di noi.
 

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 Qualche pensiero personale

= Ricordo, quando, ben piccola, ignoravo tutto ciò che mi proponevano le maestre di catechismo e la famiglia. Invece amavo l’atmosfera raccolta durante la Messa e, nel momento della consacrazione, ponevo le mani davanti agli occhi per confidarmi con Gesù. Lui non mi diceva nulla, ma a me bastava sentirLo accanto. Mettevo a tacere ogni pensiero e desiderio, non chiedevo nulla, e Lui mi rispondeva sempre col silenzio: come stavamo bene insieme!
= Le vicissitudini delle varie fasi di vita, mi hanno distolto alquanto dal gusto della vita interiore.
Facendo un grande salto, accenno all’oggi: epoca del virtuale. Che differenza tra la evanescenza del virtuale e lo spessore della realtà!  Voglio monitorarmi per restare con i piedi a terra.
= Un altro salto verso la condizione sistemica della vecchiaia, con la ricchezza dei tesori cumulati e la perdita abissale di efficienza…
Ho riflettuto che oggi il mio vero cibo, la mia eucaristia, pur nell’impossibilità di viverla assieme agli altri a Messa, può essere vero rendimento di grazia. Come vorrei gridarlo a tutti!
Ma debbo prendere dal granaio del passato, per non divenire noiosa a me stessa e agli altri; e soprattutto debbo ricordarmi sempre che il dono di Dio va lavorato incessantemente perché diventi fruttuoso.

venerdì 9 giugno 2017

Solennità della Trinità anno A


Giovanni 3, 16-18

In quel tempo, disse Gesù a Nicodemo: 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.

 

Commento

 

PREMESSA
- Il testo evangelico scelto dalla chiesa per questa festa parla in modo manifesto solo del Padre e del Figlio, mentre lo Spirito è presente come amore di Dio.

- C’è una premessa che non dovrebbe essere necessaria, ma che di fatto è ineliminabile, date le deduzioni che sono state tratte dall’uso dei simboli, utilizzati come se fossero realtà. Invece i nomi Padre, Figlio, Spirito, Trinità e Unità di Dio, non indicano una realtà sostanziale; ma abbracciano tutta la gamma delle funzioni in seno a Dio e nel rapporto tra Dio e credente.

- Sono stati i primi Concili della Chiesa a definire: che il Figlio è uguale nella divinità al Padre, concilio di Nicea (325); che lo Spirito Santo è uguale al Padre e al Figlio, concilio di Costantinopoli 381.

In questi concili hanno avuto un’importante influenza gli imperatori Costantino I (Nicea) e Teodosio I (Costantinopoli). Il cosiddetto “cesaropapismo”, intromissione degli imperatori nella teologia, è stato più forte di quanto si possa pensare. Erano i tempi del crollo dell’Impero, e gli imperatori avevano bisogno di una religione forte e unita; cosa che trovarono nella Chiesa e nei suoi dogmi.

- Quel che il credente dovrebbe capire è che Dio si è rivelato come Padre attraverso il Figlio, il quale traccia la via della salvezza all’umanità; e come Spirito, che illumina  e guida a cogliere il significato della rivelazione in ogni tempo e situazione. Ma ben più dei concetti, è determinante l’esperienza umana di Lui, tradotta nelle convinzioni che guidano la vita di ciascuno. Invece, come è affermato in un testo coraggioso di papa Alessandro II, si fa della Trinità un’idea teologica da celebrare.

- La benedizione presente nella seconda lettura, 2 Cor, ci dimostra la presenza di Dio nella comunità dei cristiani di Corinto. Bella l’esortazione ad accogliere e a lasciar operare la grazia: Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo.

 

IL TESTO

Giovanni nei tre versetti della pericope di oggi ci introduce nel contesto del colloquio notturno (cf. Gv 3,1-21)) tra Gesù e Nicodemo, un “maestro di Israele”, che rappresenta la sapienza giudaica in dialogo con Gesù. Nicodemo, pur avendo fede in Gesù, fa fatica ad accogliere la novità della rivelazione portata dal rabbi “venuto da Dio”. Gesù risponde alle domande del suo interlocutore (ma l’ultima risposta, quella più lunga, sembra contenuta all’interno di una meditazione personale dell’autore del quarto vangelo. In ogni caso le parole di Gesù sono, non certo riportate tali e quali, bensì meditate, comprese e ridette nel tessuto di una comunità cristiana che le ha credute e vissute.

- v.16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

- amato, egàpesen, dice l’amore sommo, cioè quello del Padre verso il Figlio.

- il mondo, il kòsmos, che a volte nel quarto vangelo è letto sotto il segno del male, del dominio di Satana, principe di questo mondo, qui è letto come umanità, che Dio vide quale cosa molto buona (così recita la Genesi).

- la vita eterna è la vita indistruttibile, dono che non è da meritare, ma da accogliere con fede; dono fatto di condivisione divina con la nostra vita, le nostre lotte, la nostra sete di Vita totale.

- v.17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

L’idea di un giudizio è estranea al vangelo di Giovanni. Il Padre ha incaricando il Figlio di portare a Lui tutti senza condizioni. La sua è una proposta di vita da accettare nella libertà.

- v. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.

Data la libertà umana, ci può essere sia l’accoglienza sia il rifiuto umano al dono di Dio: ciascuno, accogliendo o rifiutando la proposta divina, o entra nella Vita oppure si allontana dalla sua sorgente.

Certamente le espressioni di Gesù sono molto dure, radicali; ma vanno decodificate e spiegate; soprattutto non vanno applicate alla moltitudine di uomini e donne che non hanno potuto incontrare Cristo nella storia, perché appartenenti ad altri tempi o ad altre culture. Costoro, se avranno vissuto la loro esistenza senza far male a nessuno, e nell’amore ai fratelli e alle sorelle, è come se avessero partecipato alla vita umana di Gesù.

A posto del salmo, nella liturgia troviamo il cantico dei tre giovani alla fornace, alla quale essi sono stati condannati dal re Nabucodonosor per essersi rifiutati di tributare culto divino alla sua statua. E’ una dossologia di rara bellezza:

Dn 3,52.56
A te la lode e la gloria nei secoli.
Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri.
Benedetto il tuo nome glorioso e santo.
Benedetto sei tu nel tuo tempio santo, glorioso.
Benedetto sei tu sul trono del tuo regno.
Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi
e siedi sui cherubini

 

RIFLESSIONI
- Quando ci si accosta alla dottrina della Trinità, si ha l’impressione di essere di fronte a un enigma inspiegabile. Ma la festa della Tri-unità di Dio dovrebbe, non tanto indurci a speculazioni su questo mistero, quanto a farne esperienza. Del resto, come afferma Rémi Brague, il dogma trinitario non è altro che lo sforzo ostinato di andare sino in fondo all’affermazione giovannea per cui ‘Dio è amore’ (1Gv 4,8).

- Spesso ci si immagina un Dio lontano, astratto, ridotto quasi a un sistema di idee contorte o semplicissime, ma inesplicabili; e perciò si dubita che Dio si interessi dell’umanità.

- Un prete amico della gente di strada afferma: Quando un tossicodipendente sceglie volontariamente di entrare in comunità, compie il primo passo verso Dio, verso la riconciliazione con la Vita. Forse non andrà otre, forse non entrerà mai in chiesa, ma è già in cammino verso il Padre che lo ama. Tuttavia per entrare in comunità, bisogna che qualcuno abbia iniziato ad aprire una casa per accogliere chi stava sulla strada.

 

PERSONALE

 

Comincio col narrarvi:

- Ermanno Olmi scriveva in un articolo de La Repubblica, il 4 marzo 2013 (prima dell'elezione di papa Francesco):

Cara Chiesa TI SCRIVO

Cara Chiesa, non so più a chi rivolgermi e anche tu non mi vieni in aiuto. Ci parli di Dio ma sai bene che nessun dio è mai venuto in soccorso dell' umanità. Nella lotta tra bene e male, l' uomo è sempre stato solo. Già nel racconto biblico si comincia con un delitto: «Che hai fatto Caino? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo dove sei nato...» dunque, dio ha udito benissimo il grido del fratello ucciso, ma non ha fatto nulla per trattenere la mano fratricida. E adesso? Cosa sta accadendo a tutti noi? Come abbiamo fatto a ridurci così? troppo spesso ho la sensazione di non sentirmi in relazione con gli altri. Anche con le persone che mi sono più vicine. Mi trovo in uno stato confusionale, come se ognuno parlasse per conto proprio annaspando nel nulla. Cara Chiesa di cristiani smarriti, ho deciso di scriverti non tanto per fede ma perché tu hai più di duemila anni di storia e forse puoi aiutarci a capire i nostri comportamenti. Abbiamo smarrito la via maestra della pacifica convivenza. Ovunque conflitti di religione, separazioni di razze. Chi crede in dio sa bene che il Creatore ha fatto l' uomo e la donna, ma non le razze. E che neppure ha dato di più ad alcuni per farli ricchi perché con il loro denaro umiliassero i poveri. Così ho deciso di scriverti. Perché in questo tempo bastardo anche tu mi deludi, e mi dispiace. Probabilmente sono mosso più dal sentimento che dalla ragione. Del resto, è il sentimento che presiede ogni ragionamento. Voglio credere, Chiesa di Cristo Gesù, che tu abbia i tuoi buoni motivi che io non posso conoscere né sarei in grado di capire: questioni istituzionali ...

UNA CONFESSIONE per essere vicina ai miei lettori

- Chissà quanti si ritrovano nella condizione morale e spirituale di Olmi!

Confesso che anch’io talvolta, nella mia lunga vita, ho attraversato momenti di smarrimento. Le mie incertezze riguardavano il concetto di una chiesa dallo scheletro fatto di dogmi; nello stesso tempo mi domandavo se, senza la rigidità dello scheletro, essa avrebbe potuto tramandare il messaggio evangelico.

- Insistente è stata sempre l’esigenza di una verità storica su Dio e Gesù, la quale non offendesse mai la ragione umana. Il dramma era nell’accorgermi che le ‘guide’ proponevano, in maniera diretta, o sottesa, sempre l’orizzonte dogmatico nella ristrettezza di un’interpretazione poco convincente.

- Dopo tanta sofferenza interiore, oggi, pur trovando risposte che cozzano contro una verità irrigidita nelle formule, attraverso la via mistica irrobustita da una equilibrata ascesi, e lo studio di un’esegesi approfondita, interrogo la storia di Gesù, de-falsificata da tante incrostazioni, e non faccio più fatica a CREDERE.

Credere è per me trovare la sicurezza in un CENTRO che è dentro di me, ma in comunicazione col vero CENTRO, il Dio-TUTTO, che misteriosamente mi si comunica nella preghiera, autentica ancora di salvezza.

- Una sola paura mi tenta ancora: la ristrettezza soffocante dell’impotenza umana di fronte al Male annidato ovunque.

Un ultimo esempio prossimo: il blue whale, che letteralmente significa balena blu, gioco dell’orrore che ha già ucciso 157 giovani in Russia, e tanti altri altrove. Ha regole ben precise; l’adolescente si affida ad un Curatore ed esegue, tramite internet, ordini che non specifico, ma che finiscono con la proposta di suicidio… e questo per gioco!!!… Viene da gridare: di chi la colpa? Altro che parlare di fede ad una società corrotta, che ha già distrutto il senso della famiglia; l’idea di rispetto verso genitori, gli anziani, i Maestri di vita; la corruzione nelle condotte sociali e politiche, ecc.

Mi risuona la voce di JHWH: se troverò… 10 giusti, …poi 5 giusti, …infine un solo giusto, salverò tutti.

Ebbene, oso pregare: Resisto, mio Dio e mio Tutto, perché credo in Te!