venerdì 16 giugno 2017


LA FESTA DEL CORPUS DOMINI

Gv 6, 51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: 51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. 52 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: Come può costui darci la sua carne da mangiare?. 53 Gesù disse loro: In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.

 

Commento



PREMESSA

La festività del Corpus Domini fu istituita da Urbano IV - bolla 8 settembre 1264 - e dichiarata obbligatoria per tutta la chiesa da Clemente V (1331).
Andando più lontano, troviamo le prime tracce di una dottrina della trasmutazione degli elementi della Cena del Signore, che affiorano timidamente in Giustino Martire, un filosofo greco di natali pagani vissuto nel 100-165; manca però il riferimento ad  una fonte evangelica.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               
È interessante considerare l’aspetto della pietà popolare nel medioevo per poter comprendere come lentamente si sia arrivati all’affermazione fissata nel dogma nel quale si afferma: Quando il prete pronuncia le parole della consacrazione della messa, si compie sull’altare un miracolo: il pane ed il vino mantengono il loro aspetto, le loro qualità esteriori, colore e gusto, ma la loro sostanza cambia nella sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo.
Il fatto che questa festa venga istituita a distanza di dodici secoli dalla Cena pasquale di Gesù con i Suoi, sta a dimostrare come la sua creazione e formazione sia dovuta ad un processo trasformativo venutosi a formare lentamente nei secoli.
 
IL BRANO DELLA PERICOPE ODIERNA
- Il brano del vangelo di oggi è tratto dal IV vangelo al capitolo sesto, che è dedicato al racconto della moltiplicazione dei pani.
La pericope è breve ma molto densa, come emerge dalle cinque parole che in essa ricorrono a più riprese: mangiare (8 volte), bere-bevanda (4 volte), carne (6 volte), sangue (4 volte), vita-vivere (9 volte).
- Riflettendo sulla dichiarazione di Gesù: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo, gli ascoltatori si trovano davanti, non a qualcosa di straordinario, ma all’umile realtà del pane che ognuno mangia quotidianamente per sostentarsi e che molti mendicano.
Questo pane (chiamato dai sinottici corpo) è qui indicato col termine carne: in senso biblico non è la sostanza fisica del corpo umano, ma è la totalità dell’essere, l’intera persona umana.
- La ripetizione dell’affermazione di Gesù, mangiare la carne, vuole richiamare l’immagine dell’agnello pasquale nella notte del’Esodo, quando Mosè comandò agli ebrei di mangiare la carne dell’agnello perché avrebbe dato loro la forza di iniziare il viaggio verso la liberazione e di aspergere il sangue sugli stipiti delle porte in modo da essere difesi dall’azione dell’angelo della morte. Ebbene, in analogia, Gesù si presenta come carne, alimento che dà la capacità di intraprendere il viaggio verso la piena libertà, e il cui sangue, anche se non libera dalla morte terrena, libera dalla morte definitiva. Gli esegeti notano che il verbo mangiare traduce male il verbo greco trogo, che significa (perfino dal suono della parola) masticare. Quindi, secondo loro, Gesù un linguaggio realistico e duro … (affronteremo la tematica nella maniera più semplice possibile).
 
DAL CORPO DI GESU’ ALL’EUCARISTIA
- La chiesa trae dalle parole evangeliche il motivo fondante dell’eucaristia (dal greco eukharistía = rendimento di grazie, sec. XVI).
- L’affermazione di Gesù sopra citata può riuscire enigmatica, tanto più che è rafforzata da altre simili, in un crescendo di perentorietà: la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
- Usando questo linguaggio, Gesù vuol rivelare che mangiare il pane eucaristico e bere al calice della benedizione è ricevere la realtà misteriosa, realizzata in Lui, di un’umanità trasfigurata nella resurrezione e dal soffio (alito) divino dello Spirito Santo.
- L’esperienza della presenza di Gesù nella Chiesa che celebra l’Eucaristia e la spiritualità che queste convinzioni hanno generato in tanti credenti, sono state, lungo la storia, fonte di forza interiore e di generosità oltre che che una convinzione basata sul mistero. E bisogna sottolineare che il mistero non si qualifica per via di un credo a cui aderire per ubbidienza, bensì come luce che illumina interiormente attraverso la preghiera.
 
DALL’EUCARISTIA ALLA MESSA
A partire dalla manifestazione di Gesù nel momento in cui parla ai suoi della propria identificazione nel pane e nel vino, l’eucaristia ha subito tali cambiamenti, che risulta semplicemente irriconoscibile. Infatti la cena che ricrea ed innamora (Giovanni della Croce), è divenuta una cerimonia religiosa, che si connette ben poco alla vita concreta. Infatti si è passati dalla cena fraterna dei primi cristiani, consumata insieme ogni ‘giorno del Signore’ per rafforzare la propria fede e il proprio amore nel ricordo della cena pasquale assieme a Gesù, ad un rituale sacro. Nel sec. VIII il rito si è quasi separato dai fedeli, in quanto celebrato in latino (proprio quando la gente aveva già iniziato a parlare le lingue moderne), e da un prete posto di spalle al popolo.
Per di più sull’eucaristia ha prevalso il miracolo della trasformazione del pane e del vino nel Corpo di Cristo.
 

IL CIBO NELLA BIBBIA, IN TUTTE LE CULTURE, NELLA VITA DI GESU’ –

- Zibaldone di citazioni da far leggere a chi vede, nel nutrimento sacro, un semplice  residuo di credenze primordiali -

- Nel suo Breviario tedesco Brecht ironizzava: Per chi sta in alto discorrere di mangiare è cosa bassa. Si capisce: loro hanno già mangiato!.

- Anche a livello alto si è consapevoli che il cavaliere nero dell’Apocalisse, il quale regge una bilancia per misurare le derrate alimentari, continua a correre per tante regioni del nostro pianeta ove, purtroppo, spesso convivono coloro che hanno più cibo che appetito e coloro che hanno più appetito che cibo. 
- È noto che la famosa frase assonante, Der Mensch ist was er isst, l’uomo è ciò che mangia, del filosofo ottocentesco Feuerbach, è considerata come un emblema del materialismo. In realtà potrebbe essere assunta con un’altra interpretazione: il cibo in tutte le culture è anche simbolo di comunione nella gioia: si pensi alle parabole nuziali di Gesù che comprendono un banchetto.
Guardando lontano, basterebbe leggere nel capitolo 18 della Genesi, la deliziosa scenetta narrativa di Abramo che accoglie i tre ospiti ignoti.
Anche il mangiare il pane del lutto corrisponde ad una nota locuzione biblica; e i pasti funebri sono tutt’oggi praticati in molte nazioni.
- Aveva ragione il magistrato francese Anthelme Brillat-Savarin quando osservava, nella sua celebre Fisiologia del gusto (1825), che gli animali si nutrono, l’uomo mangia, l’uomo di spirito pranza
- Se ci avviassimo sulla strada della simbologia religiosa del cibo, dovremmo allestire un intero orizzonte metaforico: c’è il banchetto pasquale esodico, quello liturgico dei sacrifici di comunione nel tempio con le carni immolate; c’è il banchetto messianico ed escatologico, segno di pienezza e di gioia; c’è quello sapienziale di stampo etico (cap. 9 dei Proverbi), per non parlare della morale raffigurata proprio in apertura alla Bibbia con l’immagine di un frutto buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile: quello dell’albero della conoscenza del bene e del male (Gen 3,6).
- I pranzi hanno un rilievo curioso all’interno della storia di Gesù. Egli, infatti, accetta spesso di sedere a mensa, senza badare molto alle persone che lo invitano: una volta è un fariseo ad averlo come ospite, altre volte è un pubblicano come Zaccheo o Matteo. Anzi, a un certo momento si mormorerà di lui: Costui riceve i peccatori e mangia con loro (Lc 15,2).
Inoltre Gesù ama usare il simbolo del banchetto, soprattutto nuziale, per parlare del Regno di Dio: si pensi alla parabola degli invitati a nozze (Mt 22) o a quella delle vergini stolte e prudenti (Mt 25). Si arriverà persino a dire che egli è un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori, in contrasto con l’ascetico Battista che non mangia pane e non beve vino (Lc 7).  Nella tradizione cristiana le due prime opere di misericordia corporale sono proprio il dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati.
- Ci sono due scene emblematiche al riguardo nella Bibbia. La prima è quella in cui Dio si premura di procurare – come un padre di famiglia – il cibo e l’acqua al suo popolo in marcia nel deserto (l’acqua che scaturisce dalla rupe, la manna e le quaglie). L’altra scena è quella di Gesù che imbandisce pane e pesci per la folla che lo sta seguendo, moltiplicando quel poco cibo che era a loro disposizione. 
- Un autore spirituale, il gesuita Charles Pierre, dichiarava: Il pane conserva quasi una maestà divina. Mangiarlo nell’ozio è da parassita; guadagnarlo laboriosamente è un dovere; rifiutarsi di dividerlo è da crudeli.
- ancora nella Bibbia col pane si rimanda al cibo in senso generale, tant’è vero che mangiare il pane è un’espressione che significa  semplicemente cibarsi.
- Nel Vicino Oriente non si può dare il pane agli animali; se si inciampa in un pane caduto per terra, lo si raccoglie e pulisce, e ancor oggi gli arabi non tagliano il pane col coltello per non 'ucciderlo', considerandolo quasi una creatura vivente. Il pane dei poveri era di orzo, essendo il frumento raro e pregiato. È noto, però, che il pane più comune era quello azzimo, cioè una specie di sfoglia non lievitata, di facile preparazione nel deserto e senza forno (bastava una lastra riscaldata di pietra o di metallo). 
- Il vero impegno religioso – ammoniva Isaia (25,7) – consiste nel dividere il pane con l’affamato; cosa che dovrebbe essere vera anche per noi cristiani.
Il digiuno non è una dieta o un gesto masochistico, bensì un atto penitenziale di distacco dal benessere per trasformarlo in carità per i miseri. Esemplari sono ancora le parole di Isaia: È questo il digiuno che io (il Signore) voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo. Non consiste forse (il vero digiuno) nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, i senzatetto, nel vestire uno che vedi nudo? (58, 6-7).
- Gesù ha dato un rilievo spirituale ulteriore al pane: l’eucaristia nel linguaggio neotestamentario era definita come la frazione del pane (Atti 2,42) perché con quel gesto si segnalava la comunione di tutti i fedeli con Cristo e tra loro.
- Nel rito tipicamente cristiano in cui il pane diventa il corpo di Cristo che si dona e comunica ai credenti, si ha un’altra presenza materiale trasfigurata: nel segno efficace del sangue di Cristo, ossia il vino. Questa bevanda aveva per la Bibbia anche un valore immediato e realistico, essendo espressione della festa e dell’allegria. Il Salmo 104, lo canta come ciò che allieta il cuore dell’uomo. L’era messianica è dipinta sotto immagini enologiche: Verranno giorni in cui dai monti stillerà il vino nuovo e colerà giù dalle colline; Preparerà il Signore degli eserciti un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati (Am 9,14 e Is 25, 6). Al riguardo evochiamo due passi molto brillanti. Il Siracide, sapiente del II secolo a.C., scrive: Non fare forte uso del vino perché ha mandato molti in rovina… Il vino è come la vita per gli uomini, purché tu lo beva con misura. Che vita è quella di chi non ha vino? Esso, infatti, fu creato per la gioia degli uomini. Allegria del cuore e gioia dell’anima è il vino bevuto a tempo e a misura. Amarezza dell’anima è il vino bevuto in quantità, con eccitazione e per sfida. L’ubriachezza accresce l’ira dello stupido a sua rovina…» (31, 25-30). Nei Proverbi, invece, si ha un ritratto vivace dell’ubriaco: Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nella coppa e scende piano piano; finirà col morderti come un serpente. I tuoi occhi vedranno cose strane e la tua mente dirà cose sconnesse. Ti parrà di giacere in alto mare o di dormire in cima all’albero maestro… (Pr 23, 29-35).

Una conclusione 

La religione cristiana non deve essere sostanziata di vaghe emozioni interiori che fanno decollare dalla realtà verso cieli mitici e misticheggianti. È una fede legata ai corpi, alla storia, all’esistenza.
Nel versante opposto una società sbrigativa e superficiale che ingurgita cibi a caso in un fast food, che ignora lo spreco alimentare, che si infastidisce quando si evoca lo spettro della fame nel mondo, che si oppone all’ospitalità, ha perso non solo la dimensione simbolica del cibo ma anche la spiritualità che in quel segno è celata. Ritornare alla civiltà e alla simbologia del cibo avrebbe un valore culturale e spirituale.
Forse non esagerava lo scrittore inglese Charles Lamb, vissuto tra il Sette e l’Ottocento, quando nei suoi Saggi di Elia scriveva: Detesto l’uomo che manda giù il suo cibo affettando di non sapere che cosa mangia. Dubito del suo gusto in cose più importanti.
= Incontrare Cristo attraverso il memoriale dell'Eucaristia, dovrebbe essere motivo per assaporare la sua  presenza dentro di noi.
 

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 Qualche pensiero personale

= Ricordo, quando, ben piccola, ignoravo tutto ciò che mi proponevano le maestre di catechismo e la famiglia. Invece amavo l’atmosfera raccolta durante la Messa e, nel momento della consacrazione, ponevo le mani davanti agli occhi per confidarmi con Gesù. Lui non mi diceva nulla, ma a me bastava sentirLo accanto. Mettevo a tacere ogni pensiero e desiderio, non chiedevo nulla, e Lui mi rispondeva sempre col silenzio: come stavamo bene insieme!
= Le vicissitudini delle varie fasi di vita, mi hanno distolto alquanto dal gusto della vita interiore.
Facendo un grande salto, accenno all’oggi: epoca del virtuale. Che differenza tra la evanescenza del virtuale e lo spessore della realtà!  Voglio monitorarmi per restare con i piedi a terra.
= Un altro salto verso la condizione sistemica della vecchiaia, con la ricchezza dei tesori cumulati e la perdita abissale di efficienza…
Ho riflettuto che oggi il mio vero cibo, la mia eucaristia, pur nell’impossibilità di viverla assieme agli altri a Messa, può essere vero rendimento di grazia. Come vorrei gridarlo a tutti!
Ma debbo prendere dal granaio del passato, per non divenire noiosa a me stessa e agli altri; e soprattutto debbo ricordarmi sempre che il dono di Dio va lavorato incessantemente perché diventi fruttuoso.

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