venerdì 26 giugno 2015

DOMENICA XIII T.O. anno B


I testi
Sap 1,13-15; 2,23-24
Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non c'è veleno di morte,
né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è immortale.
      Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità,
      lo ha fatto immagine della propria natura.
      Ma per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
      Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
      della sua santità celebrate il ricordo,
      perché la sua collera dura un istante,
      la sua bontà per tutta la vita.
      Alla sera ospite è il pianto
      e al mattino la gioia.
 Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest'opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».
Mc 5,21-43
21 Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. 22 Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 23 e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». 24 Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. 25 Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia 26 e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, 27 udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28 «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». 29 E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. 30 Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». 31 I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». 32 Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33 E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34 Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».
35 Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». 37 E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. 39 Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40 Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. 41 Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». 42 Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43 Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
Non avendo potuto commentare col mio solito metodo di ricerca, mi affido soprattutto all’aiuto offerto da L. Manicardi.
 
- La volontà di Dio è la vita degli esseri umani. Il contrasto tra vita e morte, presente nelle due letture, chiede di accedere alla fede per ottenere liberazione, salvezza, pienezza di vita.
- Nel vangelo l’incrociarsi dei due personaggi (la donna affetta da emorragia e Giairo) mostra le diverse maniere con cui l’essere umano, nel suo bisogno, si rivolge al Signore. Unico per tutti è il bisogno di vita, diverso il linguaggio che ciascuno esprime. Giairo, uomo con funzione sociale e religiosa importante, supplica, parla molto, ma ha anche il coraggio e l’umiltà di inginocchiarsi, di gettarsi a terra davanti a Gesù (Mc 5,22-23). L’emorroissa parla invece con il corpo, con il tatto, non dice parola alcuna, se non interiormente, tra sé e sé, per dotare di intenzionalità il suo toccare (Mc 5,27-28). Ognuno, nel proprio bisogno, va a Dio con il proprio linguaggio, cioè con tutto se stesso, con la verità di se stesso. Supplicare non è solo proferire parole che chiedono aiuto, ma è atto di tutta la persona che si raggomitola all’ombra del Signore, si rifugia in lui cercando relazione e salvezza.
Anche nel salmo la lirica (di cui leggiamo poche strofe) è articolata su una sequenza di polarismi, tra i quali il più aspro è quello tra vita e morte. L’autore si rivolge a Dio chiedendo di conservarlo in vita, perché la morte non gli consentirebbe di continuare la sua missione. Salvato dalle morte, conclude  con una preghiera di ringraziamento: Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
- A Giairo, che ha ormai appreso la notizia della morte della figlia e ricevuto l’invito a non disturbare più il Maestro, Gesù dice di continuare ad avere fede (Mc 5,36); alla donna che ha toccato il suo mantello, Gesù proclama: La tua fede ti ha salvata (Mc 5,34). L’impotenza umana diviene luogo di dispiegamento della potenza divina. Giairo chiedeva la guarigione della figlia e deve scontrarsi con la sua morte; la donna chiedeva di essere salvata e Gesù attribuisce la salvezza alla sua fede.
- Siamo di fronte al misterioso potere dell’impotenza riconosciuta e assunta nella fede. La fede non si limita a invocare vita e scampo dalla morte, ma è essa stessa traversata da una dinamica di morte e di vita. La fede cristiana è rischio mortale e possibilità impensata di vita. È l’atto con cui il credente partecipa al movimento pasquale della morte e della resurrezione di Cristo. Ponendo la propria fede nella fede di Gesù, il credente assume l’impotenza e la disperazione della sua situazione e, aprendosi alla potenza dell’amore di Dio, spera contro ogni speranza. Il testo suggerisce la particolarità della comunicazione che la donna stabilisce con Gesù. Un contatto non verbale, tattile, ma carico di intenzione, che Gesù sente diverso dal contatto anonimo della folla che lo pressa. Contemporaneamente Gesù sente una forza uscire da lui e la donna sente nel suo corpo la guarigione avvenuta. Lei conobbe grazie al suo corpo … Egli conobbe in se stesso (Mc 5,29.30): da parte della donna un’intelligenza corporea, da parte di Gesù una percezione interiore. Il coraggio della donna che, nonostante la sua condizione di “impura”, osa toccare Gesù viene letto da Gesù nella verità della sua intenzione profonda: la sete di guarigione e di vita. Il pudore stesso della donna che, colpita da emorragia intima, non domanda e non implora, ma si limita a toccare il mantello di Gesù, diviene linguaggio ascoltato da Gesù che,attinge alla fonte della Vita, guarisce colei che era colpita proprio nella sorgente della Vita. Del resto, il toccare è sempre reciproco: mentre tocco, sono toccato da ciò che tocco.
- Gesù opera due azioni di guarigione, ma conduce anche a pienezza di relazione sia la donna che Giairo. Chiedendo Chi mi ha toccato il mantello?, Gesù porta la donna a vincere il timore che la teneva nel nascondimento e a passare dal gesto alla parola fino a dirsi davanti a lui, anzi, fino a dirgli tutta la verità (Mc 5,33). Nel caso di Giairo, che lo supplicava molto (Mc 5,23), e della sua casa in cui molta gente urlava e faceva trambusto, Gesù fa compiere un cammino che dalla parola e dal rumore va al silenzio. Solo nel silenzio si può discernere la verità della situazione: la bambina non è morta, ma dorme (Mc 5,39). L’occhio della fede vede nel silenzio.
 
Brevissima riflessione personale: mi chiedo spesso perché abbiamo il tabù della morte, preferendo perfino i mali della vecchiaia. L’insegnamento di Gesù è tutta una lezione, non di rassegnazione alla morte, bensì di apertura alla Vita vera, cioè che va oltre il tempo. la via è spianata dalla virtù teologale della Speranza, da coltivare e da implorare con la preghiera.

 

DOMENICA XIII T.O. anno B



I testi

 
Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non c'è veleno di morte,
né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è immortale.
      Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità,
      lo ha fatto immagine della propria natura.
      Ma per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
      Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
      della sua santità celebrate il ricordo,
      perché la sua collera dura un istante,
      la sua bontà per tutta la vita.
      Alla sera ospite è il pianto
      e al mattino la gioia.
 Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest'opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».
Mc 5,21-43
21 Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. 22 Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 23 e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». 24 Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. 25 Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia 26 e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, 27 udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28 «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». 29 E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. 30 Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». 31 I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». 32 Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33 E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34 Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».
35 Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». 37 E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. 39 Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40 Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. 41 Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». 42 Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43 Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
 
Non avendo potuto commentare col mio solito metodo di ricerca, mi affido soprattutto all’aiuto offerto da L. Manicardi.
 
- La volontà di Dio è la vita degli esseri umani. Il contrasto tra vita e morte, presente nelle due letture, chiede di accedere alla fede per ottenere liberazione, salvezza, pienezza di vita.
- Nel vangelo l’incrociarsi dei due personaggi (la donna affetta da emorragia e Giairo) mostra le diverse maniere con cui l’essere umano, nel suo bisogno, si rivolge al Signore. Unico per tutti è il bisogno di vita, diverso il linguaggio che ciascuno esprime. Giairo, uomo con funzione sociale e religiosa importante, supplica, parla molto, ma ha anche il coraggio e l’umiltà di inginocchiarsi, di gettarsi a terra davanti a Gesù (Mc 5,22-23). L’emorroissa parla invece con il corpo, con il tatto, non dice parola alcuna, se non interiormente, tra sé e sé, per dotare di intenzionalità il suo toccare (Mc 5,27-28). Ognuno, nel proprio bisogno, va a Dio con il proprio linguaggio, cioè con tutto se stesso, con la verità di se stesso. Supplicare non è solo proferire parole che chiedono aiuto, ma è atto di tutta la persona che si raggomitola all’ombra del Signore, si rifugia in lui cercando relazione e salvezza.
Anche nel salmo la lirica (di cui leggiamo poche strofe) è articolata su una sequenza di polarismi, tra i quali il più aspro è quello tra vita e morte. L’autore si rivolge a Dio chiedendo di conservarlo in vita, perché la morte non gli consentirebbe di continuare la sua missione. Salvato dalle morte, conclude  con una preghiera di ringraziamento: Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
- A Giairo, che ha ormai appreso la notizia della morte della figlia e ricevuto l’invito a non disturbare più il Maestro, Gesù dice di continuare ad avere fede (Mc 5,36); alla donna che ha toccato il suo mantello, Gesù proclama: La tua fede ti ha salvata (Mc 5,34). L’impotenza umana diviene luogo di dispiegamento della potenza divina. Giairo chiedeva la guarigione della figlia e deve scontrarsi con la sua morte; la donna chiedeva di essere salvata e Gesù attribuisce la salvezza alla sua fede.
- Siamo di fronte al misterioso potere dell’impotenza riconosciuta e assunta nella fede. La fede non si limita a invocare vita e scampo dalla morte, ma è essa stessa traversata da una dinamica di morte e di vita. La fede cristiana è rischio mortale e possibilità impensata di vita. È l’atto con cui il credente partecipa al movimento pasquale della morte e della resurrezione di Cristo. Ponendo la propria fede nella fede di Gesù, il credente assume l’impotenza e la disperazione della sua situazione e, aprendosi alla potenza dell’amore di Dio, spera contro ogni speranza. Il testo suggerisce la particolarità della comunicazione che la donna stabilisce con Gesù. Un contatto non verbale, tattile, ma carico di intenzione, che Gesù sente diverso dal contatto anonimo della folla che lo pressa. Contemporaneamente Gesù sente una forza uscire da lui e la donna sente nel suo corpo la guarigione avvenuta. Lei conobbe grazie al suo corpo … Egli conobbe in se stesso (Mc 5,29.30): da parte della donna un’intelligenza corporea, da parte di Gesù una percezione interiore. Il coraggio della donna che, nonostante la sua condizione di “impura”, osa toccare Gesù viene letto da Gesù nella verità della sua intenzione profonda: la sete di guarigione e di vita. Il pudore stesso della donna che, colpita da emorragia intima, non domanda e non implora, ma si limita a toccare il mantello di Gesù, diviene linguaggio ascoltato da Gesù che,attinge alla fonte della Vita, guarisce colei che era colpita proprio nella sorgente della Vita. Del resto, il toccare è sempre reciproco: mentre tocco, sono toccato da ciò che tocco.
- Gesù opera due azioni di guarigione, ma conduce anche a pienezza di relazione sia la donna che Giairo. Chiedendo Chi mi ha toccato il mantello?, Gesù porta la donna a vincere il timore che la teneva nel nascondimento e a passare dal gesto alla parola fino a dirsi davanti a lui, anzi, fino a dirgli tutta la verità (Mc 5,33). Nel caso di Giairo, che lo supplicava molto (Mc 5,23), e della sua casa in cui molta gente urlava e faceva trambusto, Gesù fa compiere un cammino che dalla parola e dal rumore va al silenzio. Solo nel silenzio si può discernere la verità della situazione: la bambina non è morta, ma dorme (Mc 5,39). L’occhio della fede vede nel silenzio.
Brevissima riflessione personale: mi chiedo spesso perché abbiamo il tabù della morte, preferendo perfino i mali della vecchiaia. L’insegnamento di Gesù è tutta una lezione, non di rassegnazione alla morte, bensì di apertura alla Vita vera, cioè che va oltre il tempo. la via è spianata dalla virtù teologale della Speranza, da coltivare e da implorare con la preghiera.
 

 
 

mercoledì 17 giugno 2015

DOMENICA XII T.O. anno B


I testi
Gb 38, 1. 8-11
Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine: Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando erompeva uscendo dal seno materno, quando lo circondavo di nubi per veste e per fasce di caligine folta? Poi gli ho fissato un limite e gli ho messo chiavistello e porte e ho detto: «Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde».
Sal.106
Coloro che solcavano il mare sulle navi
e commerciavano sulle grandi acque,
videro le opere del Signore,
i suoi prodigi nel mare profondo.
      Egli parlò e fece levare un vento burrascoso
      che sollevò i suoi flutti.
      Salivano fino al cielo, scendevano negli abissi;
      la loro anima languiva nell'affanno.
Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
Ridusse la tempesta alla calma,
tacquero i flutti del mare.
      Si rallegrarono nel vedere la bonaccia
      ed egli li condusse al porto sospirato.
      Ringrazino il Signore per la sua misericordia
      e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
2 Cor 5, 14-17
Fratelli, l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.
Mc 4, 35-41
35 In quel giorno, verso sera, disse Gesù ai suoi discepoli: Passiamo all'altra riva. 36 E, lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. 37 Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. 38 Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che moriamo?». 39 Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: Taci, calmati!. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. 40 Poi disse loro: Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?. 41 E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?.
Uno sguardo ai testi
Prima lettura – il mare nell’AT è un elemento simbolico e reale allo stesso tempo. Secondo il linguaggio che caratterizza molti testi, la sua immagine rappresenta una potenza misteriosa che evoca l’operare divino nel creato.
Nel breve brano che leggiamo Dio interpella Giobbe per renderlo consapevole e persuaderlo a vivere sulla soglia del Mistero, riconoscendosi limitato: Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde.
Salmo – Di questo salmo la liturgia propone alla lettura i vv. 23-32.
Uno studioso, O. Loretz, ha ipotizzato che si tratti di un antico canto di marinai fenici salvati da Baal durante una tempesta; può darsi, però, che l’autore del salmo sia un israelita. Questi dipinge con grande intensità una scena la quale riproduce i riflessi del terrore psico-fisico dei passeggeri della nave: secondo la visione cosmologica orientale, essi erano sospesi sul baratro del caos e degli inferi, finché, al loro grido di supplica, subentrò Dio, il quale ricondusse la tempesta alla calma, e perciò tacquero i flutti del mare.
Seconda lettura- Paolo si presenta come apostolo che, spinto dall’amore di Cristo, svolge l’opera di evangelizzazione tra i fratelli, affinché riconoscano nella morte di Lui il paradigma di vita del credente, da non impostare secondo la carne. Questa espressione va interpretata in riferimento, non alla libidine, bensì ad ogni comportamento contrario alla vita di grazia, cioè nello Spirito. Una nuova creazione, ormai ha trasformata l'antica, e il discepolo è chiamato ad essere uno in Cristo.
Vangelo - Nel suo vangelo Marco raccoglie diversi episodi che rivelano il modo in cui Gesù è presente nella comunità. Nel brano di oggi descrive Gesù che vince il mare, simbolo del caos: in Lui agisce una forza creatrice.
Analisi del Vangelo
35 In quel giorno, verso sera, disse Gesù ai suoi discepoli: Passiamo all'altra riva.
Marco presenta Gesù alla fine di un giorno pesante; infatti la folla si assiepava sempre attorno a lui e, per sottrarsi ad essa, istruiva con parabole i suoi discepoli in una barca. A sera la sua proposta: Passiamo all'altra riva. Alcuni esegeti notano che l'altra riva, la sponda orientale, era abitata da pagani, e che ai discepoli ripugnava l’idea del Regno di Dio esteso anche ad essi; ma Gesù vuole che tale pregiudizio sia superato.
36 E, lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui.
I discepoli non ne vogliono sapere di condividere Gesù con gli altri: lo tengono quasi come prigioniero.
37 Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena.
Il lago di Galilea è circondato da montagne e a volte il vento produce tempeste repentine. Se i discepoli, pescatori sperimentati, pensavano che la barca potesse affondare, vuol dire che la situazione era pericolosa.
L’evangelista si rifà anche alla storia di Giona che resiste all’incarico divino e perciò provoca una grande tempesta. Il Signore aveva detto a Giona “Vai in terra pagana a predicare la conversione”; ma Giona aveva fatto un calcolo: “se vado in terra pagana e predico la conversione, poi il Signore li perdona”, e allora aveva preso la direzione opposta perché non ne voleva sapere di portare l’amore di Dio ai pagani; e così, per punizione si era scatenata una grande tempesta
38 Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che moriamo?».
Il sonno profondo non è solo segno di grande stanchezza; è anche espressione della fiducia tranquilla che Gesù ha nel Padre. Non così i discepoli, timorosi di morire.
39 Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: Taci, calmati!. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia.
L’intervento da parte di Gesù è simile a quelli che aveva operato negli esorcismi: si rivolge con autorità al vento come a Satana: sgridò,  disse al mare.
40 Poi disse loro: Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?.
Gesù non apprezza la richiesta di aiuto che i discepoli gli hanno fatto; perciò li richiama. Il contrario della paura non è il coraggio, ma la fede.
41 E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?.
I discepoli non sanno cosa rispondere. Gesù sembra loro un estraneo, malgrado il lungo tempo trascorso insieme, tanto da dire: Chi è dunque costui?. Con questa domanda in testa, le comunità continuavano la lettura. Forse come anche noi oggi….
Riflessioni
Mi pare a proposito il testo di Jovanotti in “Fango”:

Difendimi dalle forze contrarie,
la notte, nel sonno, quando non sono cosciente,
quando il mio percorso, si fa incerto,
E non abbandonarmi mai...
Non mi abbandonare mai!
Riportami nelle zone più alte
in uno dei tuoi regni di quiete:
E' tempo di lasciare questo ciclo di vite.
E non abbandonarmi mai...
Non mi abbandonare mai!
Perché, le gioie del più profondo affetto
o dei più lievi aneliti del cuore
sono solo l'ombra della luce,
Ricordami, come sono infelice
lontano dalle tue leggi;
come non sprecare il tempo che mi rimane.
E non abbandonarmi mai...
Non mi abbandonare mai!
Perché, la pace che ho sentito in certi monasteri,
o la vibrante intesa di tutti i sensi in festa,
sono solo l'ombra della luce.

Siamo di fronte ad una vera e propria preghiera di affidamento.
Nel testo è possibile intravedere la voglia di tornare a vivere, di acquisire quella tranquillità che solo Dio può donare, con la consapevolezza che le situazioni più autentiche, più gioiose che possiamo vivere, sono solo l'ombra della luce.
È bello leggere nelle righe della canzone il cammino di ognuno di noi tra difficoltà, paure, cadute, buio, stanchezza della vita, MA con la voglia di farcela con l’aiuto divino.

venerdì 12 giugno 2015

DOMENICA XI del T.O. - anno B


I testi
 
Così dice il Signore Dio: Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d’Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà. Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò.
Sal 91
È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore
la tua fedeltà lungo la notte.
      Il giusto fiorirà come palma,
      crescerà come cedro del Libano;
      piantati nella casa del Signore,
      fioriranno negli atri del nostro Dio.
Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità.
2Cor 5,6-10
Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.
26 In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28 Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29 e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura. 30 Diceva: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra. 33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
 
Uno sguardo ai testi
 
Prima lettura – Ezechiele, nello svolgere la sua missione profetica durante l'esilio babilonese, rincuora Israele che vacilla nella fede. Parlando al ‘resto’ fedele, lo simboleggia in un ramoscello spuntato dal vecchio cedro insterilito. Il cedro rappresenta la discendenza di Davide, da cui Dio prende personalmente un ramoscello per piantarlo sul monte di Gerusalemme: raffigura in esso il Messia, discendente di Davide, in cui troveranno riparo e potranno prosperare tutti coloro che riconosceranno incondizionatamente la sovranità del Signore. Gli alberi della foresta, stupiti dell’accaduto, sperimenteranno che Egli ha il potere di  innalzare l’albero basso e il potere di abbattere quello alto, e che non c’è nessun altro Onnipotente al di fuori di Lui [espressioni che si ritroveranno nel Magnificat].
Salmo - L’uso sinagogale ha destinato questo salmo al tramonto del sole del venerdì, in preparazione al sabato. Il salmista, probabilmente un levita, riflette sulla grandezza delle opere di Dio: la liberazione dall'Egitto, l'alleanza del Sinai, la conquista della Terra Promessa, la costruzione del tempio. Attorno alla figura centrale dell’Altissimo delinea un mondo armonico e pacificato. L’immagine della palma e quella del cedro sono come lo stemma dei giusti radicati nella frequentazione del  tempio, e che grazie a ciò nella vecchiaia daranno ancora frutti.
Seconda lettura - Alcuni greci entrati a far parte della comunità cristiana traevano coraggio di fronte alla morte in forza della persuasione di possedere un'anima immortale. Paolo, invece, di fronte alla morte professa di essere sereno, anzi di rallegrarsene, perché la dipartita da questo mondo non significa per lui altro che andare ad abitare presso il Signore, come chi, dopo l’esilio, può finalmente tornarsene a casa con i suoi cari. Per il cristiano questo mondo è la città dove vive temporaneamente con impegno, ma non è veramente casa sua.
Vangelo - Gesù espone due aspetti del suo messaggio sotto forma di parabole: la prima, del seme, di carattere individuale, rappresenta la genesi del Regno di Dio nell’interiorità umana; la seconda, del granello di senape, di  carattere universale, rappresenta la sua (del Regno) espansione senza confini. E’ da notare che Gesù sta polemizzando con la descrizione grandiosa fatta dal profeta Ezechiele sul Regno (prima lettura).
Analisi del vangelo
26 In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno;
L’inizio consiste sempre di una formula spiegata con la frase successiva. In questa è posto al centro il regno di Dio. Gesù, nel ricorre ad un paragone -come un uomo…-, specifica che le realtà del Regno non appartengono solo all’aldilà, ma si proiettano sulla vita terrena.
La figurazione della parabola è tratta dall’opera della semina, dalla quale il contadino si attende tutto. Gesù è molto sensibile alla vita dei campi, la osserva e ne parla con simpatia evidente, come un fine osservatore e anche, come è dato di vedere analizzando i testi, con elevato senso poetico.
27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa.
Lo schema di questo versetto sottolinea l’azione abituale e distaccata del seminatore, che è alquanto irrealistica poiché la normale prassi contadina, rispecchiata in Matteo nella parabola del seminatore e in quelle della zizzania e del grano, comporta che i campi coltivati vengano tenuti d’occhio e curati. Ma Marco, indugiando a narrare che il comportamento del contadino non è preoccupato, vuole stimolare la comunità a contare sull’attesa fiduciosa nel Dio della Vita, anziché sul merito delle proprie opere.
Nell’affermare che il seme germoglia e cresce, Marco usa due verbi che ripetono lo stesso concetto, come quando, nello stesso brano, parla del dormire e dello svegliarsi, quasi a voler creare un senso del passare del tempo senza alcuna fretta.
28 Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga;
Le quattro fasi della crescita (compresa la maturazione, di cui si parla nel v. seguente) sono un altro esempio della ripetizione di parole, usata per creare lo stesso senso.
29 e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura.
Il verbo greco apostellei, che normalmente significa inviare, qui viene tradotto con manda (cioè mette mano a) la falce, poiché il versetto è una citazione adattata in un contesto missionario, data l’urgenza escatologica che vigeva nelle prime comunità cristiane.
30 Diceva: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?
Questo linguaggio è tipico anche delle parabole rabbiniche più tardive ed è usato nel senso ebraico generico di illustrazione o anche di indovinello.
31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno;
La pianta della senape, i cui semi sono usati per il loro aroma, lungo le sponde del mare di Galilea può raggiungere l’altezza di circa tre metri. Nei trattati di Plinio è una pianta resistente che cresce rapidamente e tende ad invadere il giardino. Qui, con l’immagine della crescita intensa, si allude al Regno, destinato a resistere ed a svilupparsi sempre più.
32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra.
Date le dimensioni effettive della pianta della senape, si coglie una esagerazione parabolica, quasi ironica, ma che qui rimarca la prosperità a cui è destinato il Regno quando è predicato senza ambizioni, e che forse vuole evidenziare il contrasto con la concezione propria dell’AT, quando i grandi alberi qualche volta erano presi a simbolo del potere nazionale; questa tesi è confermata dal detto -gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra- usato nel celebrare la persona e il potere di  Nabucodonosor.
33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere.
Gesù lavora pazientemente con la folla e continua a esporre il messaggio con altre parabole. Il gruppo dei discepoli che non abbandona l’ideologia del giudaismo, continua a non capire, ma che Gesù non abbandona, e perciò non si stanca di spiegare a ciascuno il significato. L’espressione come potevano intendere non significa affatto che le parabole siano per i semplici o i bambini. Esse sono dense e complesse; anche se offerte attraverso immagini immediate, rimandano sempre al Disegno divino sull’umanità, e mostrano come bisogna attuarlo.
34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Nei versetti che precedono questo brano (e che oggi non leggiamo), non si parlava di spiegazione, ma ricorreva la frase rivolta agli Apostoli: a voi è dato il mistero. Ma qui i destinatari non sono più i Dodici, bensì i suoi discepoli, cioè i seguaci, in modo che potessero interpretare insegnamenti ed eventi enigmatici. [Bisogna tenere presente che Marco scrive in riferimento alla sua comunità, alla quale si proponeva di dare spiegazioni riguardanti la condotta morale onesta, i divorzi, il pericolo della ricchezza etc.].
 
Qualche riflessione
 
- Trovo pregnante di verità la frase di Paolo nella seconda lettura: camminiamo infatti nella fede e non nella visione.
- Forse oggi, proprio quando le suggestioni dei credenti si intensificano attorno alle apparizioni e ai fenomeni straordinari, c’è quanto meno da esitare: la tv, per ricordare il mezzo più diffuso, ne è infestata.
- Chi ricorda la parabola del seme? che tutto è nato da quel misterioso [non misterico e non miracolistico] seme evangelico, piccolo e umile, eppure pieno di vitalità? Abbiamo bisogno di centrare la fede in Dio, senza lasciarci distrarre dalle suggestioni che colpiscono la fantasia e stuzzicano la curiosità per il sensazionale. Non è bene alimentare devozioni e credenze che distraggono e non fanno guardare dentro, e attorno: là dove molti aspettano di incontrare qualcuno che sappia investire in amore con spirito di (non millantato) servizio.
- Precise e forti sono le parole di papa Francesco: Alla fede non servono veggenti.
- Mi permetto di commentare: questa umanità non ha bisogno di fedi, ma di fede, al singolare. Che è capacità di vedere l’invisibile all’interno del visibile-concreto-normale quotidiano… E’ questa fede il piccolo seme evangelico, che potrebbe espandersi, sottraendo spazio al Male.