sabato 28 gennaio 2017


IV DOMENICA T.O. anno A

 

Mt 5,1-12°

1 In quel tempo Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui isuoi discepoli. 2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

1 Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

2 Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

3 Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

4 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

5 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

6 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

7 Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

8 Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

[9 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.]

 

Commento

 

LINEE INTERPRETATIVE
- Il discorso  della montagna aperto dalle beatitudini non è una carta o un codice, ma l’orientamento indicativo per una comunità che fa di Gesù Cristo il solo interprete della Legge divina, in continuità con la Legge data a Mosè: nulla della Legge antica è contraddetto o svuotato, ma tutto è sottomesso all’interpretazione fornita Lui.
Siccome le molte iperboli fanno apparire tale discorso paradossale, c’è da chiedersi il perché esso sia divenuto la magna charta, la parola normativa per chi ascolta i suoi insegnamenti. E’ quello che cercheremo di dire.
- Matteo ha attinto da varie fonti, consistenti in brevi e isolate frasi e ne ha fatto un discorso unico di più ampio respiro. Gli studiosi della Bibbia lo chiamano discorso della montagna.
A differenza di Luca che inserisce il discorso delle Beatitudini nel contesto di un luogo pianeggiante, l'indicazione geografica della montagna acquista un valore simbolico con precisi riferimenti all’episodio dell'AT, in cui Mosè promulgò il decalogo dal monte Sion. La motivazione di Matteo è chiara. Rivolgendosi ad una comunità di giudei, sapeva che questa riconosceva Gesù quale il Messia atteso, a condizione che fosse nella linea della tradizione, cioè sulla scia di Mosè e del profeta Elia. Perciò egli presenta velatamente la figura di Gesù quale nuovo Mosè nell’atto di promulgare la legge nuova.
In quel tempo Mosè era riconosciuto come l’autore dei primi cinque libri della Bibbia, conosciuti con il termine Pentateuco. Per tale motivo Matteo divide la sua opera esattamente in 5 parti, ognuna delle quali termina con parole simili, spesso identiche a quelle con le quali terminava ciascuno dei libri di Mosè.
- Ma, pur nella fedeltà alla Legge Antica, Gesù, nel vangelo di Matteo, propone qualcosa di nuovo. Mentre l’Antica metteva in  risalto, nella relazione con Dio, ciò che l’essere umano ha il dovere di fare nei confronti di Lui, la Nuova fa guardare a ciò che Dio fa per gli uomini. Detto con altre parole, con Gesù finisce la categoria del merito. L’amore di Dio e i suoi doni non sono da meritare bensì da accogliere.
- Le beatitudini di Matteo sono 8 [le restanti sviluppano lo stesso concetto dell’ottava]. Il numero otto indica la vita indistruttibile (ed ecco perché nell’antichità il battisteri, cioè il luogo dove si amministrava il battesimo, aveva una forma ottagonale). La nuova Vita, chiamata anche eterna, nell’immaginario è collocata nell’aldilà, mentre Gesù si riferisce ad una vita che “non è fatta di tempo”.
- Il migliore Maestro che spiega questo alto concetto è lo stesso Gesù; ma anche i mistici ne parlano molto bene e per esperienza personale. Per essi la Vita eterna è vita che continua oltre la morte; una Vita da intendere, non come prolungamento indefinito dell’esperienza terrena, ma come partecipazione alla vita di Dio, l’Eterno, il Vivente, che si manifesta tale rimanendo fedele alla sua promessa.
- E la migliore testimonianza di questa Vita è avvalorata dalla Risurrezione di Cristo, il quale, non è un morto che si è rianimato, ma è Colui che ci guida perché possiamo compiere il suo stesso percorso.

 

LA PRIMA BEATITUDINE è PARADIGMA DELLE ALTRE

 

- Siccome le altre beatitudini riproducono lo schema della prima, facciamo di questa il paradigma, non solo dal punto di vista strutturale, ma anche da quello normativo e soprattutto da quello spirituale. Cioè, se si comprende in profondità e si traduce in vita il significato della prima, il resto procede di conseguenza.
Notiamo subito che nella prima beatitudine, il verbo è al presente: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Chi accoglie il messaggio di Gesù e lo traduce in pratica sentirà liberare dentro di sé la forza vitale d’amore il quale lo porta già su questa terra in una dimensione che è quella definitiva. (E’ da notare che solo nell’ultima beatitudine il verbo non rimanda al futuro: la consolazione non rimanda all’aldilà, ma è un messaggio immediato, perché è compito di tutta la comunità dei credenti porre fine alle afflizioni dell’oggi, come a tutte le limitazioni di cui parlano le Beatitudini.
- Ogni beatitudine inizia con Beati! (in greco makárioi, in ebraico ’ashré). Per otto volte risuona questo grido di Gesù, forte, ma tutt’altro che triste; anzi esso è il manifesto della gioia umana secondo il vangelo. Leggendolo o ascoltandolo alla luce della propria situazione, si scopre quale deve essere il nuovo atteggiamento da tenere verso Dio, verso se stessi e verso il fratello.
- L'originalità di Matteo consiste nell'aggiunta di una frase secondaria che specifica ogni beatitudine. Ad esempio, l'affermazione principale beati i poveri in spirito, è illustrata da una frase aggiunta perché di essi è il regno dei cieli. Un'altra differenza rispetto all'AT: le parole di Gesù annunciano una felicità che salva nel presente e senza limitazioni; cioè tutti possono accedere alla felicità, alla sola condizione di essere uniti a
- La prima beatitudine inizia con l’accenno alla posizione fisica di Gesù  e, messosi a sedere. Tale atteggiamento conferisce alla sua persona una nota di autorità. Lo circondano i discepoli e le folle: tale particolare intende mostrare che Gesù si rivolge a tutti, nessuno escluso.
Vanno notati elementi importanti: il discorso di Gesù non presenta atteggiamenti di vita impossibili; non tende a formare un gruppo di persone speciali; non mira a fondare un'etica dall'indirizzo soltanto interiore. Le sue esigenze sono propositive, concrete, impegnative e nello stesso temo radicali.
- Il termine beati (in greco makarioi) è un vero e proprio grido di felicità, diffusissimo nel mondo della bibbia. Nell'AT, per esempio, vengono definite persone felici coloro che vivono le indicazioni della Sapienza (Siracide 25,7-10). L'orante dei Salmi definisce felice chi teme, più precisamente chi ama, il Signore, esprimendolo nell'osservanza delle indicazioni contenute nella parola di Dio (Sal 1,1; 128,1).
L'originalità di Matteo consiste nell'aggiunta di una frase secondaria che specifica ogni beatitudine: ad esempio, l'affermazione principale beati i poveri in spirito è illustrata da una frase aggiunta perché di essi è il regno dei cieli. Per Gesù tutti possono accedere alla felicità, a condizione che si stia uniti a Lui.
 
INFINE QUALCHE CITAZIONE
 
Teresa d’Avila così commenta:: felici sono coloro che fanno esperienza del "Dio solo basta!", nel senso che sono ricchi di Dio.
Un grande autore spirituale del nostro tempo, Divo Barsotti, ha così descritto il senso vero di povertà: Finché l'uomo non svuota il suo cuore, Dio non può riempirlo di sé. Non appena e nella misura che di tutto vuoti il tuo cuore, il Signore lo riempie. La povertà è il vuoto non solo per quanto riguarda il futuro, ma anche per quanto riguarda il passato. Nessun rimpianto o ricordo, nessuna ansia o desiderio. Dio non è nel passato, Dio non è nel futuro: Egli è la presenza! Lascia a Dio il tuo passato, lascia a Dio il tuo futuro. La tua povertà è vivere nell'atto che vivi, la Presenza pura di Dio che è l'Eternità.
- Un breve commento sulla terza beatitudine perché la mitezza per molti ha una connotazione negativa, in quanto viene scambiata per debolezza o per quella imperturbabilità di chi sa controllare per calcolo la propria emotività. Invece nel salmo 37 i miti vengono ricordati come persone che godono di una grande pace e nello stesso tempo vengono contrapposte ai malvagi, agli empi, ai peccatori. Quindi l'AT presenta una ricchezza di significati che non permettono una definizione univoca. Nel NT è ancora Matteo a venirci incontro, nel cap.11, 29: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore. Un secondo è sempre in Matteo, cap.21,5, quando riporta l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, e cita la profezia di Zaccaria: Ecco il tuo servo viene a te mite. Davvero, quello di Matteo, potrebbe essere definito il vangelo della mitezza.
- Illuminante è la definizione dell'uomo mite offerta dal Cardinale Carlo Maria Martini: L'uomo mite secondo le beatitudini è colui che, malgrado l'ardore dei suoi sentimenti, rimane duttile e sciolto, non possessivo, internamente libero, sempre sommamente rispettoso del mistero della libertà, imitatore in questo, di Dio che opera tutto nel sommo rispetto per l'uomo, e muove l'uomo all'obbedienza e all'amore senza mai usargli violenza. La mitezza si oppone così a ogni forma di prepotenza materiale e morale, è vittoria della pace sulla guerra, del dialogo sulla sopraffazione.
- A questa sapiente interpretazione aggiungiamo quella di un altro illustre esegeta, Jacques Dupont: La mitezza di cui parla la beatitudine non è altro che quell'aspetto dell'umiltà che si manifesta nell'affabilità messa in atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova la sua illustrazione e il suo perfetto modello nella persona di Gesù, mite ed umile di cuore. Infondo tale mitezza ci appare come una forma di carità, paziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui.
 

giovedì 19 gennaio 2017

DOMENICA III T.O. anno A


DOMENICA III T.O. anno A

 

Mt 4, 12-23

12 Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13 lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14 perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: 15 Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, / sulla via del mare, oltre il Giordano, / Galilea delle genti! / 16 Il popolo che abitava nelle tenebre / vide una grande luce, / per quelli che abitavano in regione e ombra di morte / una luce è sorta. 17 Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. 18 Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 19 E disse loro: Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini. 20 Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21 Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22 Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. 23 Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel  popolo.

 

Commento

 

PREMESSA SU MATTEO

= Il vangelo secondo Matteo non è opera scritta da una sola persona, ma proviene dall'insieme di diverse tradizioni, dapprima orali e confluite nel corso di parecchi anni in un testo, la cui iniziale sistemazione sarebbe stata, secondo la tradizione, opera dell'apostolo Matteo-Levi. Il primo racconto che era scritto in aramaico, è andato perduto. L'attuale testo greco è invece opera di un giudeo-cristiano della seconda generazione (cioè della seconda metà del I° sec.), il quale parlava bene il greco ed aveva assimilato le tradizioni e i problemi della sua comunità. Questa si trovava quasi certamente in Siria, ad Antiochia. Egli utilizzò il vangelo di Marco, che è del 65-70 d.C., nonché una fonte di detti del Signore proveniente dal testo aramaico, e stese un racconto della vita di Gesù dando ampio spazio ai suoi discorsi. Quel che egli si proponeva era una catechesi post-battesimale destinata a neoconvertiti, la cui stesura definitiva si colloca tra l'80 e il 100 d.C.

= Due particolari di questo testo sono propri del modo in cui Matteo scrive il suo Vangelo e meritano attenzione. a) Il primo è il frequente riferimento all'Antico Testamento, cosa che non era certo un’invenzione di Matteo; infatti lo stesso Gesù viene presentato dai vangeli come un Maestro che insegna ai suoi discepoli. b) Il secondo consiste nel fatto che l’evangelista, per aiutarci a conoscere meglio Gesù, accanto alle citazioni dell'AT, impiega anche immagini simboliche, le quali riassumono ed unificano intere sezioni del vangelo e della vita di Gesù. E' come se attraverso queste immagini ci fosse dato un titolo sintetico, che aiuta a leggere il tema centrale di tutta una parte di Vangelo.

 

Il BRANO ODIERNO

= Dopo aver annunciato con le tentazioni nel deserto l’opera di salvezza sul Male e sulla morte, ora la memoria evangelica – concorde nei tre evangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca – proclama in modo semplice e diretto la dimensione universale della missione di Gesù, rivolta non solo a Israele ma a tutte le genti. Questa è la ragione del piccolo spostamento di residenza che Gesù compie: da Nazaret a Cafarnao, città posta al confine del territorio di Israele.

Ora che Giovanni è in carcere, consegnato, Gesù avrebbe potuto prendere il suo posto nella predicazione e nel battezzare ed essere lui come punto di riferimento per la fede e il cammino di conversione di tutto il popolo che prima accorreva attorno a Giovanni. Invece il trasferimento in Galilea indica la sua scelta di allontanarsi e scomparire, perché si adempisse così la profezia di Isaia, nella quale si parla di un mistero di umiliazione e di gloria. La versione molto libera della profezia di Isaia dilata l’attesa del Messia, Salvatore di tutta l’umanità, accomunata da quelle tenebre e da quell’ombra di morte che Israele ha ben conosciuto per la sua elezione e per la parola dei profeti, e quindi in attesa, quasi sempre inconsapevole, della salvezza.

= E’ molto interessante che il primo annuncio di Gesù sia letteralmente identico a quello che è scritto nel cap. terzo di Matteo, con la sola  differenza che, mentre il Battista invitava a volgersi verso l’evento salvifico reso presente in Gesù nel suo affacciarsi alla storia dell’umanità, Gesù annuncia la sua stessa persona come fonte di salvezza universale.

= Il nostro brano, che apre una lunga sezione nelle quale Gesù annuncia la venuta del Regno di Dio, ci propone l'immagine della luce che si accende nel buio e guida il popolo nel suo difficile cammino. Il brano di oggi ne contiene una, tratta dalla prima lettura del profeta Isaia: Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce… Ebbene, la predicazione del Nazareno ha inizio in un luogo povero e oscuro: Egli reca a coloro che abitavano ai margini della storia una parola di grande consolazione e speranza, che supera ampiamente le aspettative del tempo circa il regno di Dio.

= Fino ad ora ci sono diverse versioni sul compito che il Messia si sarebbe assunto: secondo alcuni avrebbe restaurato la dinastia di Davide sottomettendo le nazioni nemiche al popolo eletto; secondo altri, il dominio del male era così potente che il regno di Dio sarebbe giunto solo in un mondo futuro, trascendente rispetto al mondo presente; secondo altri avrebbe realizzato ciò che la Legge considerava possibile a chi obbediva alla legge.

= Il testo greco dice che il regno enghiken, cioè è vicino, viene; c'è e non c'è ad un tempo; è manifesto, ma è anche misterioso. Esso è infatti presente nella persona stessa di Gesù, ma richiede, da parte di chi l’avrebbe visto brillare nella storia, la conversione, cioè il cambiamento di mentalità, la disponibilità ad accogliere una logica diversa da quella mondana, la capacità di relativizzare tutto rispetto all'Assoluto.

= Subito dopo, il vangelo-catechesi di Matteo offre due concreti esempi di questa conversione. Mentre cammina sulle rive del lago di Galilea, il Maestro vede due coppie di fratelli intenti al lavoro di pescatori e dice loro: 19 Seguitemi, vi farò pescatori di uomini. 20 Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Il racconto è certamente schematico, non vuole presentare il fatto così come sarebbe avvenuto in concreto (probabilmente ci furono più incontri tra i pescatori e Gesù); si propone di tracciare una narrazione esemplare in cui risalti ciò che veramente conta: l'incontro con Gesù non ammette tentennamenti o mezze misure, lo stacco dalla vita precedente deve essere netto. Nel v.22 leggiamo un laconico Lo seguirono (senza esitazioni); al contrario della scuola dei rabbini, dove si imparava a interpretare la Legge, qui non è richiesto lo studio, ma la sequela, la condivisione della vita del Maestro, l'apprendimento dei contenuti del Regno così come Gesù li aveva espresso e realizzato. Certo, tutto il vangelo di Matteo sarà un'esplicitazione di tali contenuti, ma già il v.23 (l'ultimo del brano evangelico di questa domenica) presenta un sintetico sommario dell'attività di Gesù: predicava la buona novella e curava ogni sorta di malattie e di infermità del popolo. La prima manifestazione del Regno è dunque l'amore compassionevole con cui Gesù si china su chi soffre e lo libera dalla schiavitù della malattia.

 

RIFLESSIONI

Mi limito a ribadire il concetto più importante circa quella che è ripetutamente chiamata conversione

Non è un caso che Matteo stia facendo iniziare il ministero di Gesù nella città di Cafarnao. Secondo la profezia di Isaia, il Messia doveva cominciare la sua missione in un territorio avverso e in una situazione poco rassicurante, perché avrebbe incontrato un popolo refrattario e duro di cuore. Da ciò deriva il fatto che il primo messaggio di Gesù è un invito perentorio alla conversione: convertitevi. Con questo verbo così denso e impegnativo si vuole indicare la radicale trasformazione del senso della propria vita, il mutamento della forma mentis, cioè dei propri punti di vista e orientamenti personali. Matteo commenta tale comando-invito attraverso la pronta risposta dei pescatori, i quali l’hanno sicuramente sentito risuonare nel cuore e sono stati fiduciosi in Colui che li ha ‘chiamati’.

La conclusione del brano di oggi è una sintesi affascinante della vita di Gesù. Egli cammina verso e con noi, gen­te dalla vita ordinaria e mostra con ogni suo gesto che Dio è presente in chi manifesta con i fatti la propria fede. Non è quello che chiede anche a noi?

PERSONALE

Mentre medito ciò che scrivo, mi chiedo se non sia il caso di applicareanche a Maria, di cui si parla così poco, la stessa conclusione del brano odierno, dove si ritrae il fare ordinario della vita di Gesù. Chi meglio di lei, nel  silenzio della parola e nel nascondimento dei gesti, sintetizza meglio l’essenza del fare la verità?

Per personalizzare quanto sto affermando, mi affido ad una modesta poesiola scritta tanti anni fa:

 

ormai ti vedo

mamma sorella amica

tra tante e tanti

incontrati nel tempo fugace

 

ormai ti vedo accanto

all’umanità che attende

segretamente la salvezza

con il peso del dolore e la gioia

della fiducia

venerdì 13 gennaio 2017

II DOMENICA T.O. anno A


II DOMENICA T.O. anno A

 

Giovanni 1,29-34

In quel tempo, 29 Giovanni, il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30 Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31 Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». 32 Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33 Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34 E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

 

Commento



Inizia nel IV  vangelo la successione dei giorni: siamo al giorno dopo (dopo che Gesù aveva subito l'interrogatorio da parte dei sacerdoti e dei leviti mandati dai Giudei per processarlo).
L’obiettivo complessivo dell’evangelista  è far coincidere l’annuncio e il principio dell’opera di Gesù con il sesto giorno, quello della creazione dell’essere umano: l’opera di Gesù consisterà nel portarla a compimento.
L’assenza di uditorio indica che le parole di Giovanni Battista sono rivolte a tutta l’umanità. Egli ha un mandato divino: risvegliare negli uomini la pienezza di vita rinunciando alle tenebre attraverso il battesimo di purificazione in preparazione all’azione seguente del Messia. La sua testimonianza non nasce da una conoscenza concreta del Messia - Io non lo conoscevo - ; procede unicamente dalla rivelazione divina che gli indica il segno per riconoscerlo: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo.
- Sembra ci sia stato tra gli evangelisti un certo riserbo nel parlare del battesimo di Gesù. Tutti e quattro ne prendono atto e lo riportano (ed è molto raro che uno stesso episodio della vita di Gesù sia riportato da tutti e quattro). Le differenziazioni sono evidenti: Marco è parsimonioso di particolari, ma afferma col suo solito stile essenziale che Gesù fu battezzato nel Giordano da Giovanni Battista. Matteo riporta il piccolo ‘bisticcio’ tra Gesù e Giovanni che non voleva battezzarlo e poi descrive cosa sia successo mentre Gesù usciva dall'acqua. Luca inizia il suo brano con Gesù che era stato appena battezzato e poi era raccolto in preghiera. Giovanni non narra direttamente questo avvenimento, ma lo presuppone e trova l’occasione per affermare che Gesù è Figlio di Dio attraverso la testimonianza del Battista.

 

I SIMBOLI

Ci troviamo davanti ad un brano in cui a parlare sono soltanto i simboli. Accostiamoci perciò a questi per orientarci a capire il senso delle parole.

a) È possibile che Gesù sia detto Agnello di Dio e non Servo di Dio per porre simbolicamente la sua persona in rapporto con l’agnello pasquale la cui immolazione ricordava la liberazione del popolo dall’Egitto: questa per l’evangelista è stata portata a compimento precisamente mediante la morte di Gesù, con la quale si è attuata la liberazione definitiva dal peccato.
- Nella frase colui che toglie il peccato del mondo meritano attenzione due particolari: a)  il verbo togliere (in greco airo) significa eliminare (e non, come solitamente si crede, caricarselo addosso, farsene carico in espiazione; b) l’uso  della parola peccato, al singolare, evidenzia la sua universalità;.
- E’ facile notare nel testo giovanneo la contrapposizione, marcatamente espressa nel Prologo, tra bene e male, luce e tenebre, Vita e  morte. Essendo il desiderio di completezza (oggi diremmo ‘di positività), insito in ciascuno, questo peccato si oppone allo stesso istinto vitale, corrisponde a una ideologia di morte.

b) Nella colomba troviamo parecchi rimandi simbolici. Il più importante è ciò che leggiamo in Genesi, dove essa è immagine dello spirito di Dio, il quale nella creazione aleggiava sulle acque. Per l’evangelista in Gesù si realizza pienamente il progetto creatore: comunicare a tutti la condizione divina. E’ anche da ricordare che l’evangelista parla in termini spaziali secondo la cosmologia dell’epoca che separava la terra, dimora umana, dai cieli, dimora divina. Oggi, più che parlare di discesa dello Spirito sugli uomini bisognerebbe parlare di salita verso l’Alto (il divino) dal più profondo del cuore umano.

[Il simbolismo della colomba è presente anche in altre culture antiche con una pluralità di sfumature. La sua funzione preminente è quella di messaggero (già nell'antico Egitto i colombi erano utilizzati per spedire messaggi) oppure espressione di tenero amore a causa del tubare dei piccioni. Nelle culture pagane la colomba era animale sacro alla dea dell'amore, Afrodite in Grecia e le sue equivalenti siriane e romane].

Nella Genesi è una colomba a portare a Noè il rametto d'ulivo, mostrandogli così la fine del diluvio universale e l'inizio di una nuova era di pace. In un testo del profeta Osea Israele è paragonato a un'ingenua colomba e ne salmo 68 la colomba dalle ali argentee e dorate è simbolo del popolo di Israele. Anche il nome del profeta Giona è legato alle colombe: esso è in ebraico Yonàh, sostantivo sia maschile sia femminile. Nel Cantico dei cantici la colomba rappresenta l’amore appassionato di un innamorato, che così chiama la sua amata: O mia colomba […], fammi vedere il tuo viso, fammi udire la tua voce; aprimi, sorella mia, amica mia, mia colomba, mia perfetta.

c) Acqua e Spirito

Nel v. 33 il Battista narra la sua rivelazione: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. Il battesimo che il Battista offriva ai richiedenti era di immersione nell’acqua e quello che sarebbe stato segno nuovo in Gesù  era nello Spirito santo. Il verbo greco baptízein ha il significato di sommergere o impregnare. Mentre il battesimo di Giovanni sommergeva l’uomo nell’acqua del Giordano, come segno di morte a una condizione precedente e di rinascita a una nuova, il battesimo nello Spirito Santo non sarà un’immersione esterna nell’acqua, ma una penetrazione dello Spirito nell’uomo; quest’ultimo sarà la sorgente interiore che zampilla, dando vita definitiva. D’altra parte l’evangelista parla in termini spaziali secondo la cosmologia dell’epoca che separava la terra-dimora umana, dai cieli-dimora divina. Oggi, più che parlare di discesa dello Spirito sugli uomini bisognerebbe parlare di salita verso l’Alto (il divino) dal più profondo del cuore umano.
L’appellativo santo è nominato in relazione agli umani; significa una qualità dello Spirito, che rende ciascun essere umano capace d’amare come e in Gesù [e certamente dipenderà da ciascuno allargare la capacità d’accoglienza dello Spirito attraverso la pratica dell’amore].
Il Battista insiste sul verbo rimanere. L’esperienza dello Spirito è possibile a molti, ma solo colui sul quale lo Spirito rimane può comunicarlo ad altri. Gesù è il culmine dell’umanità e la sua missione consiste nel comunicare la vita divina secondo il progetto che ha Dio anche per tutta l’umanità.

venerdì 6 gennaio 2017

Battesimo di Gesù


BATTESIMO DI GESU’ anno A
 
Mt 3,13-17
In quel tempo, 13 Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. 14 Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?”. 15 Ma Gesù gli rispose: Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia. Allora egli lo lasciò fare. 16 Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 17 Ed ecco una voce dal cielo che diceva: Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento.
 
PREMESSA
- Con la celebrazione odierna si chiude il Tempo di Natale e inizia la vita pubblica di Gesù.
Sembra strano il contrasto tra la liturgia di sette giorni fa quando abbiamo trovato Gesù ancora Bambino adorato da persone importanti come i Magi, e la liturgia di oggi con Gesù ormai adulto e in compagnia di meno favolosi personaggi.
- La redazione del vangelo di Matteo corrisponde a quella di Marco, fatta eccezione per il dialogo tra Gesù e il Battista e qualche altro dettaglio minore. Precisamente in tale dialogo tra i due c’è il significato teologico dell’evento: Gesù si assoggetta al battesimo di Giovanni per compiere ogni giustizia (3,5), cioè per aderire al progetto di salvezza del Padre, il quale prevedeva la sua missione di solidarietà con il mondo peccatore, fino ad arrivare al sacrificio della sua vita.
- L'immersione nelle acque del Giordano per il battesimo che lo associa ai comuni mortali, prefigura il suo destino di sofferenza e di morte e la sua sepoltura.
 
ANALISI ESSENZIALE DEL TESTO
13 venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni stava amministrando un battesimo nella forma simile a quello delle varie ritualità pagane, visto che anche nel mondo extrabiblico le abluzioni erano segno esteriore di iniziazione e di ingresso in una nuova realtà e in una nuova dimensione di appartenenza.
L’espressione per farsi battezzare da lui,  è quanto mai problematica, visto che poco prima lo stesso Matteo aveva affermato la superiorità di Gesù (vedi Mt 3,1-12 nella II domenica Avvento). La notizia di questo battesimo era imbarazzante per la prima comunità cristiana che sosteneva la messianicità di Gesù. Il testo di Matteo è un tentativo di risposta a questo imbarazzo, pur lasciando aperte molte questioni sull’identità di Gesù.
14 Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?”. 15 Ma Gesù gli rispose: Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia. Allora egli lo lasciò fare.
I vv. 14-15 sono il contributo originale di Matteo rispetto agli altri evangelisti.
Al centro della sua attenzione non è il rapporto tra il battesimo di Gesù e quello di Giovanni o il battesimo cristiano, ma lo stile di vita da praticare da parte dei battezzati. In questo senso possiamo comprendere l'affermazione conviene che adempiamo ogni giustizia: il termine giustizia, sia nell’Antico sia nel NT è assiduo richiamo ed ammonimento a corrispondere alla fedeltà di Dio all'alleanza stipulata col suo popolo. Gesù si pone su questa linea ed invita alla fedeltà coloro che lo seguono; da ciò l’uso dell’esortativo alla prima persona plurale. 
L’'espressione egli lo lasciò si trova solo due volte nel vangelo di Matteo, qui e alla fine delle tentazioni nel deserto, quando si legge che il diavolo allora lo lasciò. La frase è completata da alcuni traduttori con l’inserimento dell’aggiunta fare per sottolineare che c’è una forma di efficacia connessa, non all’intraprendenza o all’agire, bensì al non agire, al lasciar fare, all’acconsentire al Signore.
Non è fuori luogo applicare la frase, che fa risaltare l’esperienza di filialità vissuta da Gesù al momento dell’immersione, al battesimo cristiano. Questo dovrà essere per gli adepti evento di spazio allo Spirito di Vita.
16 Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui.
L’acqua è simbolo di morte; quindi l'evangelista anticipa quella che sarà la risurrezione di Gesù. I cieli che si aprono rappresentano il farsi presente di Dio. Nell’articolo determinativo de lo Spirito di Dio è da notare l’articolo determinativo, c’è l’indicazione della totalità, della pienezza dell'amore di Dio. L’apparire della colomba è in riferimento al libro della Genesi nel racconto della creazione, dove si legge che “lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque”; e l’elaborazione comunitaria presto vedrà tale richiamo come segno della creazione definitiva. Altro riferimento lo si trova in un proverbio biblico, nel quale si richiama l'amore fedele della colomba al suo nido, che preferisce ad altri nidi più belli e più nuovi.
17 Ed ecco una voce dal cielo che diceva: Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento.
Dopo il segno dei cieli aperti e dello Spirito di Dio ecco la voce dal cielo: Dio si fa sentire più che vedere, cioè manifestarsi sensibilmente. La voce del Padre appare solo qui e nell'episodio della trasfigurazione (Mt 17,1-13, in particolare v. 5); al battesimo per confermare il Figlio nella sua scelta di servo; nella trasfigurazione per rivelare a noi la gloria di questo Figlio, perché lo ascoltiamo e diveniamo anche noi come lui.
La frase in lui ho posto il mio compiacimento è una citazione del profeta Isaia, che prevede l'attività del messia in corrispondenza alla volontà di Dio.
Notiamo a mo' di conclusione che questo testo di Matteo ha molti elementi in comune con il racconto che farà lui stesso della morte di Gesù sulla croce (cfr. Mt 27,51-54). Là Gesù si immergerà nella morte come qui nelle acque; là si squarcerà il velo del tempio come qui il cielo; là darà a tutti lo Spirito che qui riceve; là si rivolgerà al Padre che qui lo chiama; là sarà riconosciuto Figlio dal fratello più lontano come qui dal Padre.
 
PREGHIERA PERSONALE
= O Dio, so di non doverti pregare per chiedere, ma di dover innalzare l’inno di un riconoscente confido in Te, cantato mentre mi immergo nel tuo Oceano di grazia.
In esso ritrovo uno sterminato numero di deprivati del necessario materiale e di dimezzati della propria identità.
Grazie, o Dio che tutti e tutto rigeneri senza mai stancarti.

giovedì 5 gennaio 2017

EPIFANIA


La storia dei tre Re Magi è leggenda o finzione letteraria? E' prova di ingegno di fantasia o sono davvero esistiti? Quello che è certo è che attorno alle loro spoglie sono avvenuti saccheggi e furti, alle reliquie dei magi pare ci abbiano creduto in tanti a partire da Marco Polo per arrivare a federico Barbarossa e passando per Ludovico il Moro, Papa Alessandro VI, Filippo II di Spagna, Papa Pio IV, Gregorio XIII e Federico Borromeo.
 
Secondo quella che leggenda non è, ma memorie di viaggio, Marco Polo avrebbe trovato la tomba dei Re Magi nella città di Saba, a sud di Teheran nel 1270: “In Persia è la città ch’è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re ch’andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co’ capegli: l’uno ebbe nome Beltasar, l’altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli III re: niuno gliene seppe dire nulla, se non che erano III re soppelliti anticamente.” (Il Milione, cap. 30)
Forse Marco Polo avrà deciso di accrescere la sua fama attraverso invenzioni che sanno di leggenda? Non lo sappiamo. Ma quello che è certo è che non abbiamo tracce della tomba dei magi nella città di Saba, mentre abbiamo certezza di altre tombe attorno alle quali sarebbero passate le reliquie dei tre re. Se Marco Polo afferma di aver visto il corpo dei Magi ancora intatto, quasi 9 secoli prima, nella Basilica Romanica di Sant'Eustorgio esiste una tomba fatta costruire dal vescovo Eustorgio nell'anno del signore 344. L'obiettivo del vescovo era più che ambizioso: voleva essere seppellito assieme ai tre Magi. Per questo fine riuscì ad ottenere l'approvazione dell'Imperatore Costante e fece trasferire i corpi dei Magi dalla Terra Santa alla Basilica di Costantinopoli
Se i corpi dei Magi non si trovano più a Milano dove, il giorno dell'epifania viene esposta solo una spilla d'oro che si dice sia stata fatta con l'oro regalato al Signore, è solo perchè nel 1162 l'imperatore Federico Barbarossa si introdusse a Milano dove distrusse gran parte degli edifici pubblici compresa la chiesta di Sant'Eustorgio e si impossessò del corpo dei magi che però, nel 1164 furono trasferite dall'arcivescovo di Colonia, Rainaldo di dassel nella città tedesca. Da quel momento in poi, in tanti tentarono di recuperare di nuovo le spoglie dei Magi: Ludovico il Moro nel 1494,  Papa Alessandro VI,  Filippo II di Spagna,  Papa Pio IV,  Gregorio XIII,  Federico Borromeo riuscirono a far tornare le spoglie in Italia. Bisognò attendendere fino al 1904 quando, il cardinal ferrari, Arcivescovo di Milano, fece solennemente ricollocare alcuni frammenti ossei (due fibule, una tibia e una vertebra), offerti dall’Arcivescovo di Colonia Fischer, in Sant’Eustorgio. Era il 3 gennaio, tre giorni prima dell'Eifania. Un atto di riconciliazione se vogliamo, ma è tutto ciò che ci rimane dei magi.
Cosa dice la storia? Per capirla dobbiamo partire dal vangelo secondo Matteo, l'unico dei vangeli degli apostoli a parlare dei Magi assieme ad alcuni vangeli apocrifi. Nella storia narrata da Matteo si parla di "alcuni Magi", ma non si fa riferimento al numero, il numero tre appartiene a una simbologia sacra e sicuramente all'enumerazione dei doni che quelli erano esattamente tre: oro, inconso e mirra. che uno di loro fosse di pelle scura, un Moro, anche quella è pura leggenda o, almeno, nel vangelo secondo Matteo non c'è scritto.
Ecco quanto narrano i vangeli: «Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi (μάγοι magoi) giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei (βασιλεὺς τῶν Ιουδαίων basileus tōn ioudaiōn) che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella (ἀστέρα astera), e siamo venuti per adorarlo". All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele.”
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo". Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese. Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo". Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto »
 
CHI ERANO I MAGI? Come specificato su Focus.it che alla leggenda dei tre Magi dedica un approfondimento, i Magi erano i sacerdoti dei Medi, avi degli attuali Curdi: un popolo montanaro che nel VI secolo a. C. fu sottomesso dai Persiani. Sio tratta di un popolo dall'antica saggezza ricordata anche da Erodoto che scrive che i Magi sapevano interpretare gli astri e i sogni. Anche nella leggenda infatti, i magi erano tre uomini esperti di astronomia e interpretazione dei sogni. Ma non uomini dediti alle arti magiche, nè tantomeno dei Re.
 
Le altre notizie sui Magi, non essendo presenti nel Vangelo secondo Matteo, derivano indubbiamente dagli Apocrifi e, in particolare, nel Vangelo armeno, si legge che il viaggio dei Magi durò ben 9 mesi, cita anche i loro nomi oltre a enumerare il gran numero di doni che avrebbero portato con sé oltre a uno stuolo di 12 mila cavalieri: i doni, secondo quanto scritto in questo vangelo apocrifo, non sarebbero stati solo tre, ma sarebbero stati tanti e di gran pregio. Si va dalle piante medicinali come l'aloe, porpora, mussolina, nardo, cannella, cinnamomo, argento, zaffiri, perle, lino e libri esoterici.
Sempre secondo questo vangelo si legge che i tre Magi erano tre fratelli e sarebbero stati re di Arabi, Indi e Persiani e addirittura che, prima di cristo, sarebbe risorta un'altra persona di cui si narra nella Bibbia per l'occasione. Si tratta di Eva, moglie di Adamo. E' questa donna ad aver preceduto i tre re Magi alla mangiatoia dove riposava l'infante messia. Il Vangelo arabo-siriaco, racconta invece che i Magi tornarono in patria con un pannolino di Gesù, che tentarono poi di bruciare ritualmente sul fuoco sacro. Invano: le fiamme si spegnevano e il pannolino restava intatto.
In realtà in questo testo non c'è nulla di storico nè di scientifico. Si tratta solo di simbologie e del tentativo di estendere la fama della nascita di cristo anche ad altri popoli ecco perchè i tre Magi sarebbero stati arabi, persiani  e Indi. Il tentativo era portare la fama di questa storia fino alla lontana Asia.
 
LA PATRIA DEI MAGI - I 12 mila cavalieri però ricordano i  12 mila zoroastriani, adoratori del fuoco sacro che abitavano lo Yemen (attuale Iran) dove il mazdeismo aveva le sue radici. Sarebbe quella la patria dei Magi. Del resto, la stessa profezia dell'avvento di un messia deriva da Zoroastro: è stato questo profeta a dire che Saoshyant (il Messia mazdeista) sarebbe stato accolto con onori regali. Secondo gli atti degli Apostoli, altre probabili patrie dei Magi sarebbero Samaria e  Cipro. Ma l'ipotesi più pèrobabile è comunque quella che li collega allo Yemen, solo in quella terra infatti era possibile produrre tutti e tre i doni portati dai re magi al bambino della mangiatoia: si tratta dell'Arabia Felix, territorio ricco e progredito in grado di offrire davvero oro, incenso e mirra.
 
STELLE DIPINTE. È Adesso non resta che svelare il mistero della stella. In realtà la leggenda della stella con la coda che ricorda la scia di una cometa, nasce in età medievale e, precisamente, nel 1303 quando a Padova il pittore Giotto la dipinse, condizionato da un'enorme stella, la cometa Halley, che vide due anni prima e che associò naturalmente alle sacre scritture.
Matteo parla invece di una grande stella anomala, visibile in due tempi distinti: prima durante il viaggio dei Magi, poi durante il trasferimento a Betlemme. E Giacomo riferisce di “una stella grandissima, che brillava tra gli altri astri e li oscurava, tanto che le stelle non si vedevano più”. Lo Pseudo-Matteo conferma la versione di Giacono e parla di “un’enorme stella [...] la cui grandezza non si era mai vista dall’origine del mondo”.
 
MA DI CHE STELLA SI TRATTA?  DOPO NUMEROSE RICERCHE E STUDI SULLA STELLA Dunque a che astro alludeva
Dopo numerose ricerche e studi su questa stella possiamo affermare che, nell'anno zero, cioè l'anno di nascita di Gesù, non è avvenuto alcun fenomeno astronomico particolare che sia mai stato annotato in alcun libro. L'ipotesi più probabile sembra essere quella dell'astronomo tedesco Johannes Kepler  che, nel 1603 osservò una congiunzione fra pianeti, che abbinati sembravano un’enorme stella. L'astronomo, a seguito di questa scoperta, scrisse un libro che fu intitolato De anno natali Christi. sostenitore di questa teoria è Corrado Lamberti, direttore della rivista Le Stelle sostiene la tesi dell«è una congiunzione Giove-Saturno che ebbe luogo nel 7 a. C.: quell’anno i due pianeti si trovarono nel cielo uno vicino all’altro per ben tre volte. La tesi ha una certa credibilità, anche perché sono state trovate effemeridi babilonesi (cioè tavolette col calcolo dei movimenti degli astri, ndr) relative all’evento, segno che al fenomeno si accordò notevole importanza».