giovedì 31 ottobre 2013

Ognissanti e domenica XXXI T.O. anno C

Letture della festività di Tutti i Santi
e della XXXI domenica T.O. anno C
Ap7,2-4.9-14
Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: 148 mila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele. Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».
1Gv3,1-3
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

Mt5,1-12
1 In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli.
2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3 -1) Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
4 -2)  Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
5 -3) Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
6 -4) Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
7 -5) Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
8 -6) Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
9 -7) Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
10 -8) Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
11 -9 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
12 -10 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Domenica XXXI T.O. anno C
Lc 19,1-10
[In quel tempo, Gesù] entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua. Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!”. Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.
PREMESSA
Nelle domeniche passate la liturgia ribadiva l'importanza della preghiera, e quale debba essere il giusto modo di pregare per entrare in una relazione profonda con Dio Padre. In questa domenica è presentato Zaccheo, personaggio negativo per professione e avidità, ma che "cercava di vedere chi fosse Gesù" (v.3). Luca non dice altro, ma dal seguito del racconto si capisce che questo suo desiderio non era solo curiosità verso l'ormai famoso rabbi itinerante di Nazareth: si coglie in lui una sottile inquietudine, probabilmente un'insoddisfazione, o la speranza che l'incontro con il Maestro porti qualcosa di nuovo nella sua vita. Determinato in questa ricerca, sfida il ridicolo e l'ironia della gente arrampicandosi come un ragazzetto su un albero, visto che non c'era altro modo per vedere Gesù al suo passaggio, anche per la bassa statura. E a questo punto Luca delinea magistralmente l'incontro che risulta emblematico: anche Gesù cercava Zaccheo, tanto da voler essere suo ospite, nonostante fosse ‘impuro’ in quanto pubblicano; e lui gli dichiara con ferma risoluzione (questo è il significato dell'alzatosi) di pagare di persona, a moneta suonante (cosa, facile a dirsi, non a farsi); ed ecco perché l’incontro con Gesù è efficace.
Ma questa Parola della domenica è preceduta da quella riguardante la festività di ‘Tutti i santi’.
Zaccheo può essere commentato attraverso un po’ di attenzione sul fatto che nella festività di due giorni prima, si parla di Santi [con la maiuscola o non). Vi sembrerà un assurdo o una forzatura, ma Zaccheo può essere annoverato tra essi, una volta messi d’accordo che i santi sono le persone più normali, di quella difficile normalità che permette di essere pienamente umani.
Chi sono i santi
Nelle letture bibliche si premette che essi sono beati; e segue l’elenco.
Il termine greco makàrios, felice, beato, ricorre 50 volte nel NT. E’ concentrato soprattutto nei Vangeli di Matteo (13 volte) e di Luca (15 volte). Nell'ambiente greco (Pindaro-Aristofane) è associato a eudàimón, felice, e riferito alla condizione di chi sta bene. Nel testo apocrifo, Enoch 58,2, conservato nella traduzione etiopica, di carattere apocalittico, si legge: Beati siete voi giusti ed eletti, perché gloriosa sarà la vostra sorte. E nel vangelo di Tommaso 54 (la famosa fonte Q: Gesù disse: Beati i poveri, perché vostro è il regno dei cieli.
Come orientarci?
E concetto ambiguo quello che allude alla santità.
La santità è solo di Dio, l’Altro, così trascendente e lontano che l’essere umano non può pensare di partecipare alla sua vita. La santità cristiana, se di questa vogliamo parlare, non è frutto di sforzo umano per raggiungere Dio. Zaccheo può aiutarci a trovare l’orientamento per cogliere il nesso tra l’insegnamento di Gesù sulla preghiera e l’ottenimento del dono di Dio attraverso di essa: col suo sguardo ammiccante rivolto a Gesù, egli si fa subissare dalla ‘grazia’; accettando l’auto-invito di Gesù, si rende vicino a lui, gusta il divino che trabocca in lui. La frase ‘scese in fretta e lo accolse pieno di gioia’ è sintomatica: a ragione si parla di beatitudine per significare ciò che spetta agli amici di Gesù.
Forse le beatitudini sono mal-capite. Non costituiscono il certificato della santità riservato a cristiani DOC; sono i segnali indicativi per chi ha sete del Dio unico, cioè per tutti, e perciò si apre alla comunione universale.
Matteo, nel costruire le beatitudini, compie un grande capolavoro letterario e lo conduce con grande impegno; sa di dover dimostrare che i comandamenti sono per un singolo popolo, Israele, mentre le beatitudini sono per tutta l’umanità. Rivolgendosi ad una comunità di giudei che hanno riconosciuto ed hanno accettato in Gesù il Messia atteso, a condizione che sia nella linea della tradizione, cioè sulla scia di Mosè e del profeta Elia, l’evangelista compie un’abile opera didattica e letteraria per far comprendere, sulla falsariga della vita e degli avvenimenti di Mosè, che Gesù è superiore. Per esempio, in quel tempo si credeva che Mosè fosse l’autore dei primi cinque libri della Bibbia, il Pentateuco; allora Matteo compone la sua opera dividendola esattamente in 5 parti, ognuna delle quali termina con parole identiche a quelle con le quali terminava uno dei libri di Mosè, e divide  il suo vangelo in 5 parti; il momento importante nella vita di Mosè è quando sale su un monte, il Sinai, e da lì Dio promulga l’alleanza con il popolo, e anche Gesù in questo vangelo sale su un monte e da lì annuncia la nuova alleanza; Mosè non riuscì ad entrare nella terra promessa, ma morì sul monte Nebo, e Gesù -soltanto nel vangelo di Matteo- compie la sua azione conclusiva su un monte. La differenza qui è marcata: mentre Mosè ha avuto bisogno di un successore, Gesù non ha bisogno di un successore: “ecco io sono con voi per sempre”.
E’ anche importante il numero delle beatitudini: in Matteo sono 8, cifra che simboleggiava la resurrezione di Cristo, e quindi la vita indistruttibile; Gesù è risuscitato il primo giorno dopo la settimana, cioè il giorno ottavo: allora il numero otto nel cristianesimo primitivo ebbe la figura della resurrezione (e nell’antichità i battisteri avevano forma ottagonale). Le beatitudini sono di 72 parole, perché la cifra indicava tutto l’universo conosciuto, e cioè il mondo pagano [oggi, si direbbe TUTTI].
Le beatitudini sono il più grande atto di speranza, anche perché la parola chiave è felicità. Solo che il senso di questa parola non equivale a godimento, bensì a pienezza di vita. Un solo esempio [tratto da una mia esperienza attraverso il racconto di una mia sorella suora]: una sua consorella ‘qualsiasi’, non candidabile all’aureola (!), pochi istanti prima di morire disse: ora capisco perché sono vissuta: per questo momento. Era il momento in cu tempo ed eterno erano tutt’uno, il momento della pienezza della vita.
Mi permetto di aggiungere un particolare che a prima vista può sembrare banale. La parola Halloween deriva dai culti pagani. A noi è giunta come Hallows'Even (=ogni sera): il che, tradotto attraverso la tradizione cattolica, alludeva ad ogni santo del calendario. Cosa interessa ciò a noi moderni? Fatto sta che il giorno onomastico, ormai dilatato oltre la sfera dei santi aureolati, equivale a Ognissanti. Siamo impastati di cattolicesimo tanto che esso esoda dallo stesso mondo cattolico, è pervasivo. Mi auguro che possiamo piegare tale pervasività verso l’invenzione di un onomastico su misura dell’umano nella sua totalità, della comunione universale. 
Analisi del testo di Matteo
essenziale, attinta dagli esperti (come tutto quanto qui trascrivo rielaborato)
1 In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli.
2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
Gesù con l'atteggiamento del maestro (seduto, con i suoi discepoli attorno) insegna dopo essere salito sul monte, luogo teologico in cui avviene la manifestazione di Dio. Il richiamo è al Sinai e alla consegna delle tavole della legge. La frase di Matteo -si mise a parlare e insegnava- è di tipo sapienziale, adottata per porre le basi di ascolto per un insegnamento importante.
3 -1) Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
La proclamazione delle beatitudini non è una serie di formule augurali, prospettiva del futuro che giungerà al momento del compimento; piuttosto è una affermazione, una costatazione di fatto, la proclamazione della situazione presente. Il tema inaugurale è quello dei poveri in spirito, secondo il concetto biblico di povertà: gli anawim infatti sono coloro che, curvi e umili, pregano Dio con insistenza e fiducia appoggiandosi all'amore di Dio, e attendono da lui aiuto senza confidare in nessuna forza umana; ed a loro Gesù promette il suo regno, presente nella sua persona e nella sua opera. Parlando di regno dei cieli, si usa il tempo presente; Infatti la beatitudine dell’appartenenza al Regno è già in atto, un fatto compiuto. La sottolineatura –poveri in spirito- è solo di Matteo, e allude ad un atteggiamento spirituale, più che alla povertà sostanziale (non sappiamo quanto questo aspetto sia condivisibile, perché potrebbe essere di comodo).
La formula “regno dei cieli” è usata perché l’evangelista non vuole urtare la suscettibilità dei giudei della comunità, secondo la tradizione di evitare l’uso del termine Dio.
4 -2)  Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
La categoria di coloro che piangono è affine a quella dei poveri: richiama Is 61,1-2 (cfr. anche Is 66,10s); infatti con Gesù si avvera la promessa profetica secondo cui Dio avrebbe consolato il suo popolo e tolto ogni motivo di dolore e affanno.
5 -3) Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Anche i miti sono una categoria simile a quella dei poveri (nel greco della LXX i due termini si assomigliano anche foneticamente). In passato, non comprendendo questa beatitudine, la terra era stata trasfigurata nell’aldilà, con la mania del paradiso, e i miti erano i sottomessi, gli obbedienti soprattutto all’autorità ecclesiastica. Si ripeteva lo schema dell’AT: quando il popolo era entrato nella terra di Canaan, la terra fu divisa secondo le tribù e ogni tribù la divise secondo i clan, in modo che ogni famiglia avesse un pezzo di terra. Dopo la divisione era successo che nel giro di 2 o 3 generazioni i più prepotenti si impossessarono della terra dei meno capaci. Il risultato fu che gran parte della terra fu posseduta da pochissime famiglie e la gran parte della gente era costretta ad andare a lavorare come bracciante nella terra che era stata di loro proprietà. Allora questi miti non rappresentano una qualità morale dell’individuo, ma una situazione sociale disperata; è la stessa differenza che c’è tra l’umile e l’umiliato.
6 -4) Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Chiude il primo gruppo la fame e sete della giustizia. Matteo offre di questa beatitudine una lettura più spirituale rispetto a Luca, poiché la giustizia si identifica con la volontà di Dio, e l'atteggiamento suggerito è quello del povero che attende il compimento delle promesse di Dio e nutre piena fiducia e disponibilità al volere di Dio; la giustizia di cui si parla è escatologica, anche se le sue applicazioni sono concrete. La posizione di Matteo ebbe fortuna nella chiesa cattolica (capire il perché è facile, ma forse non è altrettanto accettabile…)
7 -5) Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Il secondo blocco di beatitudini si apre con il tema della misericordia, caratteristica specifica di Dio (Es 34,6; Dt 5,9s; Ger 32,18); rispetto alle prime quattro beatitudini, quelle che seguono indicano atteggiamenti più operativi. Anche se non c’è riscontro in Luca, siamo di fronte all'autentico insegnamento di Gesù, rielaborato da Matteo o da una tradizione a cui egli ha attinto.
8 -6) Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Il cuore nella bibbia indica il centro della persona, l'intimo della coscienza, da dove nasce la vita religiosa autentica; la beatitudine rimanda all'invito dei profeti (cfr. Am 4,1-5; Is 1,10-17) alla purezza interiore e sottintende la condanna della doppiezza e dell'ipocrisia, così spesso contestata ai farisei (cfr. 6,1-18; 15,2; 23,25). Anche i salmi presentano la purezza del cuore come elemento fondamentale nel rapporto con Dio (51,10 e 24,3). La promessa di vedere Dio si riferisce alla comunione con Lui, possibile in pienezza nel suo regno, dove il credente potrà, e può in anticipo, gustare la sua presenza.
9 -7) Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
La parola pace, nella derivazione dall’ebraico shalòm, significa tutto quello che concorre alla piena felicità degli uomini. Il termine felicità è associato a Dio e a coloro che danno continuità alla sua creazione. Quando Paolo, maestro di Luca, parla di figli di Dio, vuol dimostrare che gli esseri umani sono chiamati a collaborare con Lui per favorire la vita degli oppressi. Ne consegue che lavorare per la pace è farsi collaboratori di Dio e suoi imitatori (quindi suoi figli).
10 -8) Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
L'ultima beatitudine rimanda alla situazione della comunità cristiana degli anni 80, quando i giudei convertiti al cristianesimo erano emarginati e scomunicati dalla società di fede giudaica; condividevano così la sorte di Gesù, ma per questa loro solidarietà con Cristo si rendevano già partecipi della consolazione e della gloria del regno dei cieli.
11 -9 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
 12  -10 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
I due versetti conclusivi non sono che un'applicazione dell'ottava beatitudine ai discepoli presenti nella comunità di Matteo, con la precisazione per causa mia (ossia di Cristo). Pare grave che il verbo perseguitare –dièkw- indichi la persecuzione in nome di Dio: nella stessa comunità cristiana c’era una parte che si era degradata ad una istituzione immobile regolata dalle leggi.

IN CHIUSURA
La confessione di una non-battezzata, Etty HIillesum, nel lager di Auschwitz:
In fondo, quelle a Dio sono le uniche lettere d'amore che si devono scrivere. *  Si deve essere capaci di vivere senza libri e senza niente. Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera. * Dio dev'essere disseppellito dai cuori devastati dagli uomini, così come egli dev'essere dissotterrato dalla nostra anima dove giace coperto di pietra e di sabbia. * La mia vita è diventata un dialogo ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande dialogo. A volte, quando me ne sto in un angolino del campo, i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti verso il tuo cielo, il mio volto si inonda di lacrime che sgorgano da un'emozione profonda e da gratitudine. Anche di sera quando, coricata sul mio letto, mi raccolgo in te, mio Dio, lacrime di gratitudine mi inondano il volto: e questa è la mia preghiera.

E l’apologo di un maestro indù. Egli un giorno mostrò ai discepoli un foglio di carta con un puntino nero nel mezzo. Che cosa vedete?, chiese. Ed essi: Un punto nero. Lui: Come? Nessuno di voi è stato capace di vedere il grande spazio bianco tutt'attorno?

venerdì 25 ottobre 2013

XXX domenica T.O. anno C

XXX domenica T.O. anno C
Siracide 35, 15b-17.20-22a
Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell’oppresso. Non trascura la supplica dell’orfano, né la vedova, quando si sfoga nel lamento. Chi la soccorre è accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi. La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.
2Timoteo 4, 6-8.16-18
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli.
Luca 18, 9-14
In quel tempo, 9 Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. 10 Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo". 13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14 Io vi dico:questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato.
Premessa
 Questo lavoro ricompone con fedeltà sostanziale
gli interventi esegetici dei competenti.
Siccome in un blog offerto alla lettura di non-pochi
è impossibile citare, data la loro molteplicità,
tutti gli autori studiati mi limito a ringraziarli.
A loro il merito delle singole affermazioni; a me il duro lavoro di tentarne una sintesi personale
INTRODUZIONE [l’aiuto basilare attraverso A. Casati]
Una parabola risaputa, quasi scontata, come quasi scontato è porsi dalla parte del pubblicano. Ma forse un autentico confronto col contesto della parabola lucana che oggi leggiamo può capovolgere ciò che pare scontato.
Gesù viene presentato come colui che si propone di smontare la presunzione di coloro i quali si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri, tanto che a questa presunzione corrispondeva un atteggiamento che innerva, più che la loro preghiera, la loro vita.
Le parole attribuite al fariseo non sono false perché è osservante vero, anzi esuberante, della Legge (fa più dello strettamente comandato); ma il suo cuore nei confronti di Dio è ben rappresentato dalla postura fisica, in piedi, in modo che tutti lo vedano, e rivolto a se stesso (prega tra sé e sé).
Per comprendere il senso originario della parabola e trarne un insegnamento valido oltre i tempi di Gesù, bisogna seguire l’invito di Luca ed entrare nell’intimità dei personaggi, dove si gioca la verità dell’essere umano. Fare diversamente sarebbe come affidare un discorso sulla legalità ad un mafioso, o la stesura di un trattato di psichiatria a un pazzo.
Premesso che Luca è l’unico a stilare la parabola, è da tenere in massimo conto la sua teologia, che è quella paolina sullaGIUSTIFICAZIONE: Dio giustifica i peccatori sulla giusta base della Legge, come nell’AT; ma la Legge è stata adempiuta,soddisfatta, da Gesù Cristo, il quale con la sua morte ha fatto divenire sua la carne dei peccatori, perdonandoli e immedesimandoli nella sua persona.
Come sempre quando si leggono i vangeli, urge cogliere - attraverso singole frasi, parole, gesti, ascolto diretto ed informato – la portata universale della Parola di Dio, anche se dispersa nella pluralità di parole umane.
Se è vero che Gesù forse ha rivolto la parabola in modo speciale ai farisei, i quali criticavano la sua frequentazione con peccatori e pubblicani, egli è colui che porta all’umanità il messaggio di amore di un Dio misericordioso verso tutti, nessuno escluso (nemmeno il fariseo): sferzare il comportamento dei farisei poteva servire a scuoterli, o almeno a non concedere che esso influisse nella formazione dei suoi seguaci.
E’ illuminante anche la prospettiva del Siracide 3,5: chiunqueinvocherà il nome del Signore sarà salvato: soltanto la preghiera impetra la salvezza [come amava ripetere Alfonso Maria de' Liguori, chi prega si salva]. Ed è parimenti illuminante la prospettiva di Paolo, col suo parlare appassionato e commovente del Dio vicino nelle prove, che libera dalla bocca del leone (le forze del male) e salva, quindi trasporta nel suo regno, e cioè la Vita piena in Lui. Allora la preghiera salva tanto quanto si fa corrispondere ad essa la resistenza alle forze negative del male (ogni tentazione).
ANALISI  TESTUALE
9 Gesù disse ancora questa parabola per alcuni, che erano persuasi in se stessi di essere giusti e disprezzavano gli altri.
Con questo versetto Luca, secondo una sua abitudine, costruisce l'introduzione sulla base del contenuto della parabola. Nell'atteggiamento del fariseo ritrae un giudizio morale negativo su di lui, alludendo a chiunque si comporta allo stesso modo (a partire dagli appartenenti alla sua comunità cristiana). 
10 Due uomini salirono al tempio per pregare, l'uno fariseo e l'altro pubblicano. 
La parabola del fariseo e del pubblicano è l’unica ad essere ambientata nel tempio, luogo del culto: dunque ambedue consideravano la preghiera, non come fatto privatistico, bensì visibile a tutti (comunitario). Il che amplifica l’insegnamento sulla preghiera quale emergeva dal vangelo della settimana scorsa: la preghiera non è soltanto espressione del bisogno umano (il quale si può soddisfare in solitudine), ma è atto di comunione concreta con gli altri. 
11 Il fariseo, stando (ritto), pregava fra sé (dicendo) questo: "Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, o anche come questo pubblicano; 12 digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo".
Il fariseo elenca le sue prestazioni di osservante della Legge anche in ciò che essa non prescrive: un digiuno volontario (regolato per i giorni di lunedì e di giovedì in espiazione per i peccati del popolo) e il pagamento della decima che era richiesta al contadino su frumento, olio e vino, e sul primogenito del bestiame. Ciò gli fa meritare l’epiteto di pio, o devoto; e Luca, in realtà, lo considera tale, anche se sottolinea la sua caduta nel formalismo.
13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Il pubblicano, l'esattore delle tasse, è spaesato, confuso nel luogo del culto, tanto che se ne sta in fondo, quasi timoroso di disturbare, di essere un estraneo; non sa assumere il contegno normale di chi prega, magari elencando le sue colpe; sa che da queste non può venire fuori: come potrebbe abbandonare il suo mestiere e restituire al 120 per cento tutto ciò che ha disonestamente acquisito? Ebbene, anche Luca classifica il pubblicano come peccatore; ma apre ad un’opinione diversa su di lui e da ogni peccatore. [Mi permetto di accennare ad un pericolo interpretativo, oggi particolarmente incombente: molti, forse i più, confidano nel Dio misericordioso in maniera impropria, abusiva, socialmente pericolosa, facendo un ragionamento di questo tipo: ‘la chiesa è luogo di perdono, tutti siamo peccatori, ma Dio salva tutti; non conta il modo come io vivo…’; un modo, questo, che può scardinare la stessa morale e la stessa etica].
14 Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”.
Con il solenne io vi dico, Gesù è presentato come colui che afferma di conoscere e di proclamare il giudizio di Dio, opposto a quello umano. La frase conclusiva è un detto  che risale alla tradizione sapienziale (di ampio spettro), oltre che biblica e giudaica; in Luca ha un significato particolare, da cogliere tra le righe: l’umiltà non merita la giustificazione grazie all’umiltà; Dio non si merita neppure con l’umiltà (L. Manicardi), ma con l’apertura a Chi è più grande del peccato.
PREGHIERA UMILE o SVUOTATA?
In ambito cristiano si è soliti compendiare il senso della parabola nella contrapposizione tra umiltà e superbia. L’umiltà fa la parte del leone. Ma, come detto nell’introduzione, bisogna saper leggere nell’insegnamento che proviene dalla parabola: la preghiera vera è solo PREGHIERA A MANI VUOTE ed aperte [rileggi commento all’ultimo versetto del vangelo].
A dimostrare ciò sarebbe inutile selezionare citazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento, o altre attinte al di fuori del mondo biblico e cristiano [vi confesso che ne avevo preparate con cura tante e belle, soprattutto quelle dei mistici; ma alla fine mi ritrovo interiormente sconfitta, tanto mi sembrano superflue o ridondanti o esaltanti. Meglio una riflessione povera e sofferta attraverso l’esperienza personale.
Non c’è chi non abbia stima per l’umiltà; tanto che anche il superbo si ricopre di orpelli eufemistici nel parlare, nel mostrarsi, forse anche nel voler essere umile. La cosa più terribile è rivestirsi di tali orpelli anche davanti a Dio nella stessa preghiera.
Come sfuggire alla morsa che attanaglia l’essere umano, debole sempre ed in ogni modo e smanioso di coprire la sua debolezza con qualsiasi mezzo? C’è nella preghiera il talismano del mezzo giusto? o anch’essa è insidiata anche nel più fervido cercatore di verità?
Poveramente [uso anch’io l’eufemismo!] cerco di sfuggire a tale morsa ricorrendo ad un mio mezzo, non lo propongo, semplicemente lo affido a chi legge perché trovi il suo:

Prego implorando lo spirito di preghiera; ma anche rielaborando le suggestioni che mi provengono dalla mia famiglia, dal catechismo sbagliato che mi hanno insegnato, da tutte le esperienze negative di ieri e di oggi. Le uniche frasi fulminanti ormai mi provengono dalle persone non-erudite con le quali ho la fortuna di essere a contatto. Tra queste una donna mi confidava a telefono le sue ambasce di donna fallita come moglie e come madre; ma concludeva: STASERA ANDRO’ ALL’ADORAZIONE EUCARISTICA E LI’ MI SVUOTERO’.

venerdì 18 ottobre 2013

XXIX T.O.anno C

XXIX DOMENICA T.O. anno C
Es 17,8-13
In quei giorni, Amalek venne a combattere contro Israele a Refidim. Mosè disse a Giosuè: “Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalek. Domani io starò ritto sulla cima del colle con in mano il bastone di Dio”. Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalek mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. Poiché Mosè sentiva pesare le mani dalla stanchezza, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l'altro dall'altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse Amalek e il suo popolo.
2 Tm 3,14 - 4,2
Carissimo, rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l'hai appreso e che fin dall'infanzia conosci le Sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura infatti é ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.
Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.
Luca 18, 1-8
In quel tempo, 1 Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di
pregare sempre, senza stancarsi mai: 2 In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3 In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4 Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5 dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”. 6 E il Signore soggiunse: Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7 E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8 Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?
ANALISI TESTUALE
v.1 Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 
Questo primo versetto è un'introduzione redazionale volta a facilitare la comprensione della parabola. Al centro è collocata la vedova con la sua preghiera incessante dettata dalle sue necessità, in contrapposizione al giudice avvolto nell’oscuro silenzio dell’indifferenza.
E’ mirabile come in una frase di poche parole risulti evidente ciò che è essenziale nella preghiera. Questa non è facile riposo o quiete dello spirito. Luca, usando il verbo all’imperfetto, vuole indicare la ripetizione dell'atto di resistenza nei riguardi dello stesso Dio; così come indicano, sia Paolo in 2Tim: insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta…, sia Esodo, 17,10: quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere era più forte Amalek (le braccia mantenute alzate stanno a significare la resistenza fino al termine della vita).
v.2 In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno.
v.3 In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: "Fammi giustizia contro il mio avversario. 
I due personaggi sono tipica raffigurazione del modo lucano di rappresentare le due principali contrapposte categorie presenti nel mondo religioso giudaico. Non si tratta, però, di una critica sociale, bensì di un’occasione per invitare alla preghiera.  
v.4 Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: "Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno,
v.5 dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi". 
Il tempo non è precisato, facendo supporre che si tratti di un periodo piuttosto lungo; al contrario  del prontamente del v. 8, riferito all’intervento divino. 
v.6 E il Signore soggiunse: Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto.
v.7 E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 
Gesù è designato Signore per mettere in rilievo il peso della sua autorità di Risorto. Non sono posti in parallelo il giudice e Dio, ma i loro relativi comportamenti.
Il termine eletti ricorre solo in Luca, ma lo si ritrova nei testi apocalittici e in Is 65,9.15 per indicare i credenti. Emerge a questo punto la prospettiva escatologica: le prove che la comunità sta vivendo non debbono scoraggiare la fede e la preghiera perché l'intervento di Dio è sicuro. Ovviamente Luca non invita a pregare ininterrottamente a parole, ma attraverso l’atteggiamento esistenziale.
Li farà forse aspettare a lungo?: l’uso del verbo greco makrothymein, aspettare a lungo, presenta una difficoltà interpretativa: Dio aspetta pazientemente per dare tempo a chi opprime gli eletti di convertirsi? oppure ascolta con pazienza il loro grido? Si può pensare che Luca abbia voluto fare riferimento alla Parusia, pensata ancora imminente dalla comunità cristiana al tempo in cui egli scriveva.
v.8 Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? 
Con l'apertura solenne: vi dico Luca vuole reagire alla mentalità della sua comunità, la quale, aspettando come imminente il ritorno glorioso del Signore, poteva propendere per il disimpegno nel quotidiano. Ma la domanda non è indice di pessimismo; è esortazione alla vigilanza e alla perseveranza (temi prettamente escatologici).
FLORILEGIO (succinta  illustrazione  del senso da dare alla preghiera)
a) Nei Salmi
Composti in varie epoche dell’AT e del NT, evocano elementi derivati dallo Shemà Israel (ascolta Israele), canto della liturgia ebraica, dalle 18 Benedizioni, dal Padre Nostro, come anche dai riti sacrificali di diverso tipo, di olocausto, di ringraziamento, di espiazione…. Costituiscono un microcosmo simbolico, in cui la preghiera si fa specchio del mondo umano nei suoi archetipi profondi; sono poesia appassionata, grido che attraversa ogni tempo e ogni angolo della terra, poiché non c’è persona umana la cui storia non sia segnata dal limite e dalla morte.
b) Nel mondo cristiano e in quello laico
Menandro (commediografo del mondo greco, ma che supera la concezione illuministica dell'essere umano) -342-291 a.C.ca.-: La divinità non è insensibile alla giusta preghiera .
Agostino d’Ippona: -300-400- Abbiamo bisogno della preghiera come i pesci dell’acqua.
Meister Eckhart -‘200-‘300-: Bisogna pregare con tanto fervore così da tener avvinte tutte le membra e le facoltà umane; orecchi, occhi, bocca, cuore e ogni senso e non cessare finché non si sente di voler essere uno con Colui che è presente e che preghiamo, con Dio.
Concilio di Trento -‘500-: La prima cosa da insegnare è la preghiera, la necessità della preghiera.
Alfonso Maria de Liquori -‘700-: La preghiera mai abbastanza la si inculca, mai abbastanza la si suggerisce, mai abbastanza se ne fa peso (riporta una sua esperienza: vedendo un uomo che stava a lungo in chiesa gli chiese il perché, e quell’uomo rispose: io guardo Lui e Lui guarda me).
Novalis [pseudonimo] -‘800-: Il pregare è nella religione ciò che è il pensiero nella filosofia; il senso religioso prega come l'organo del pensiero pensa.
Søren Kierkegaard –‘800-: Giustamente gli antichi dicevano che pregare è respirare. Qui si vede quanto sia sciocco voler parlare di un perché. Perché io respiro? Perché altrimenti muoio. Così con la preghiera.
Ludwig Wittgenstein -‘800-‘900-: Pregare è pensare al senso della vita.
Teresa del B. G. –‘800-‘900- Nell’intimo, non per mezzo dei libri, perché non capisco quello che leggo … ho trovato una parola alla fine dell’orazione …  Voglio farti leggere nel libro della vita.
Martin Heidegger -‘900-: Pensare è ringraziare.
Abraham J. Heschel -‘900-: Pregare è la grande ricompensa dell'essere uomini.
Cesare Pavese  -‘900-: La massima sventura è la solitudine, tant'è vero che il supremo conforto, la religione, consiste nel trovare una compagnia che non falla, Dio. La preghiera è uno sfogo come con un amico. 
Albert Vanhoye –‘900-: Dio ci fa un po’ aspettare, perché la preghiera perseverante rafforzi la nostra relazione con lui.
Walter Kasper -‘900-: Dimmi come preghi e ti dirò che fede hai.
H.Camara -‘900-: Due mani giunte ottengono molto di più di due pugni chiusi.
Yves Congar -teologo del Vaticano II-: Con la preghiera riceviamo l'ossigeno per respirare. Coi sacramenti ci nutriamo. Ma, prima del nutrimento, c'è la respirazione e la respirazione è la preghiera.
Teresa di Calcutta: Se non pregassi non farei niente.
Papa Fancesco (nella stessa scia di papa Giovanni): Una chiesa chiusa fa odore di muffa.
c) Nell’umanità
L’apertura universalistica di Luca sposta lo sguardo verso una visione più ampia di quella stricto sensu biblica.
Ho grande timore (ma sono in ottima compagnia) che il cosiddetto universalismo cristiano, e perfino biblico, sia imprigionato in confini ideologici, i quali portano a fare dei distinguo tra umanità intesa in senso antropologico (cioè umanità come razza umana) e umanità protesa verso la cosiddetta salvezza eterna). Ma il grido di preghiera che si innalza da ogni angolo della terra a Dio, non può essere identificato soltanto attraverso la visione biblico-cristiana o quella definita come occidentale. L’umanità che invoca Dio è UNA, animale e spirituale e ciò va detto in ordine, non a razionalismo esasperato, quanto a ricerca appassionata, propria dell’umano, sgombro per quanto è possibile da visioni di parte. Ciò è collaudato dal fatto che non si può negare l’esistenza di popoli, di ieri e di oggi, di diversa cultura, i quali non possono essere considerati inferiori quanto a valori e a conoscenze dello spirito solo perché esistiti in un certo tempo o in un certo luogo. 
BREVE CONCLUSIONE
Anzitutto una esemplificazione: nel continente americano ancora oggi è viva la tradizione di antiche arti sciamaniche e magiche dei pellirosse. I mistici tibetani sono convinti di poter ‘caricare’ con energia un qualsiasi oggetto e di poter produrre attraverso di esso ulteriori effetti. E di fatto tra di loro avvengono quelli che chiamiamo miracoli, apparizioni e via dicendo.
Il fiorire di varie forme di spiritualità ‘orientale’ di impronta religiosa in seno alla società laica, la dice lunga del bisogno di evadere dagli orizzonti nei quali è chiuso il cosiddetto mondo occidentale. La chiesa cattolica condanna o critica tale evasione, mentre spesso incoraggia una fede supportata dalle varie madonne che appaiono, dai Padre Pio miracolosi [con tutto il rispetto per la realtà del vissuto delle loro persone].
Tornando  alla lettura del brano lucano di oggi, il concetto-chiave che definisce la preghiera attraverso la vedova che prega per bisogno, aiuta a dipanare la matassa. La sua è la scommessa di cui parla Pascal: SI PUÒ SCOMMETTERE SUL DIO CHE NON SA RESISTERE ALLE INSISTENZE DI UNA PREGHIERA INNESTATA NEL CUORE DELLE NECESSITÀ UMANE.


venerdì 11 ottobre 2013

XXVIII domenica T.O.anno C

13 ottobre 2013 XXVIII DOMENICA T.O. anno C
2Re 5, 14-17
In quei giorni, Naamàn [il comandante dell’esercito del re di Aram] scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola di Elisèo, uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato [dalla sua lebbra]. Tornò con tutto il seguito da [Elisèo,] l’uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele. Adesso accetta un dono dal tuo servo». Quello disse: «Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò». L’altro insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò.  Allora Naamàn disse: «Se è no, sia permesso almeno al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore».
2Timoteo 2, 8-13
Figlio mio, ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide, come io annuncio nel mio vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore. Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso. 
Luca 17, 11-19
11 Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13 e dissero ad alta voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. 14 Appena li vide, Gesù disse loro: Andate a presentarvi ai sacerdoti. E mentre essi andavano, furono purificati. 15 Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16 e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17 Gesù osservò: Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18 Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero? 19 E gli disse: Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!
BREVE ANALISI TESTUALE
v.11 Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
Luca colloca il racconto in un luogo in cui era possibile la presenza di giudei e samaritani. È strano che lui, conoscitore dei luoghi di cui parla e in cui vive, citi prima la Samaria e poi la Galilea; è suo intento porre in primo piano la Samaria come in primo piano è il samaritano, unico a tornare indietro, a glorificare Dio a gran voce e a dare piena adesione a Gesù. È solo l’anticipo di ciò che Luca dirà abbondantemente, a proposito della Samaria, nel prosieguo della sua opera, negli Atti (cfr. At 8,4ss), dove esalterà la Samaria per come accoglierà il Vangelo e l’azione degli Apostoli, rappresentati da Filippo.
v.12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza
Il villaggio (quasi sempre al singolare), nel linguaggio figurato degli evangelisti, è la roccaforte dell’ideologia nazionalista e fanatica di Israele.
v.13 e dissero ad alta voce: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!"
Risulta chiara la volontà di identificare nei lebbrosi i discepoli.
I lebbrosi hanno un comportamento anomalo: invece di gridare, come da statuto, Impuro! Impuro!, gridano, rivolgendosi a Gesù maestro, abbi pietà di noi! 
v.14 Appena li vide, Gesù disse loro: Andate a presentarvi ai sacerdoti. E mentre essi andavano, furono purificati.
E’ da notare che i “dieci uomini lebbrosi” saranno purificati dopo l’uscita dal villaggio. Gesù non li tocca, né li libera direttamente dal giogo dell’impurità, che li ha colpiti perché condividono la mentalità dominante nel villaggio, e perciò ne sono liberati quando lo lasciano. Luca vuole fare risaltare certamente l’abbandono fiducioso di quei lebbrosi; ma soprattutto sottolinea il fatto che a compiere il miracolo è l'obbedienza all'insegnamento di Gesù.
v.15 Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce. 
Il verbo guarire, in greco iasthai, è proprio di Luca e la precisazione che il samaritano vede di essere guarito, indica la sua apertura alla fede. Le espressioni di lode e di gioia ,molto frequenti in Luca, indicano l'arrivo dei tempi messianici.
16 e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Il samaritano nel villaggio era prostrato, perché per qualche tempo aveva creduto solo nella validità di quella Legge; Gesù lo invita a uscire e a fare anche lui il suo esodo personale; era infermo, con il cuore diviso tra l’adesione a Gesù e l’adesione al suo passato nazionalista; la sua scelta definitiva di Gesù ora lo ha salvato definitivamente.
v.17 Ma Gesù osservò: Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? v.18 Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero.
Ad una comunità composta prevalentemente da persone provenienti dal paganesimo il fatto che il samaritano sia chiamato straniero dice molto. Luca vede l'apertura della salvezza anche a coloro che non fanno parte del popolo d'Israele.
v.19 E gli disse: Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato! 
In questo versetto finale è utilizzata un'espressione ricorrente nella bocca di Gesù, a sottolineare che la fede implica  un rapporto con lui tale da coinvolgere tutte le dimensioni della vita, sia materiale sia spirituale.
PUNTUALIZZAZIONI
Il samaritano ringrazia
Il messaggio delle letture di questa domenica non è un semplice insegnamento sul dovere morale della riconoscenza umana.
Non è la prima volta che un Samaritano fa la parte del leone in un episodio evangelico. Il testo di 2Re mostra la difficoltà, soprattutto per un uomo importante, ricco e potente come Naaman, di riconoscersi debitore: coprire di denaro e preziosi chi lo ha beneficato significherebbe sdebitarsi, far divenire l’altro grato nei suoi confronti, e così non perdere la propria grandezza e la propria immagine di uomo che non deve nulla a nessuno. La gratitudine è difficile e richiede la messa a morte del proprio narcisismo per entrare nel novero di coloro che si sanno graziati. La stessa difficoltà del ringraziamento emerge anche dal vangelo: di dieci lebbrosi guariti, uno solo torna indietro per ringraziare Gesù: è colui che ha saputo vedersi (nel senso etimologico di guardare indietro: respicere) guarito (cf. Lc 17,15); solo così ha potuto giungere alla riconoscenza, e quindi al ringraziamento.
Il miracolo
Nell'esperienza temporale, in cui tutto declina verso la morte, il miracolo spezza l’orientamento normale delle cose; ma qui il miracolo non riguarda la guarigione materiale: è l'atto che opera la trasformazione nella vita integrale, cioè spirituale.
Dalla guarigione alla fede
C'è la fede dei nove che guarisce ma non salva, e c'è la fede del samaritano che ritorna a ringraziare. La fede dei nove si muove entro l'arco rigido delle cose prescritte; è la religione del "io ti do, tu mi dai", basata su norme fredde che spengono il cuore; la fede del samaritano è senza calcoli, spontanea, meglio: scaturisce ‘da dentro’.
Naaman il Siro, di cui parla la prima lettura, miracolato anche lui dalla lebbra, agisce da grande generale, abituato a invadere le terre, tanto che vuole caricare su due muli un po' di quella terra del miracolo, e così, anche lontano da essa, non perderne il contatto. Al contrario il samaritano rende grazie a Dio, non tanto perché il suo desiderio di guarire è stato soddisfatto, ma perché capisce che Dio è presente e attivo in Gesù in ordine alla salute totale: la guarigione dalla lebbra è solo il segno della vera guarigione, che sfocia nella fede.
La fede è contemplazione gioiosa e gratuita dell’amore salvatore di Dio; solo in un secondo tempo include la riconoscenza. Vero santo, si potrebbe dire semplificando, non è chi è perfetto in sobrietà, purezza e giustizia, ma chi accetta tutto come segno della bontà di Dio. Ma c’è di più: la fede cresce nella convivenza che rispetta l’altro, rende possibile il dialogo con tutti.
La fede che ringrazia nella storia
Seleziono alcune testimonianze lasciate nella storia, iniziando dalla più laica:
Trilussa (pseudonimo di Carlo Alberto Salustri), poeta italiano dell’ottocento, noto per le sue composizioni in dialetto romanesco, ha lasciato questa divertente descrizione del grazie egoistico, volto ad accalappiarsi del dono nell'atto di farlo: Mentre magnavo un pollo, er Cane e er Gatto pareva ch'aspettassero la mossa dell'ossa che cascaveno ner piatto. E io, da bon padrone, facevo la porzione, a ognuno la metà: un po' per uno, senza particolarità. Appena er piatto mio restò pulito er Gatto se squajò. Dico: -E che fai?-  Eh, -dice- me ne vado, capirai, ho visto ch'hai finito.- Er Cane invece me sartava al collo riconoscente come li cristiani e me leccava come un francobbollo. -Oh! Bravo!- dissi- Armeno tu rimani!- Lui me rispose: -Si, perché domani magnerai certamente un antro pollo!
Una sentenza talmudica (il Talmud è uno dei testi sacri dell’ebraismo),  recita così: noi meritiamo il Paradiso tanto quanto siamo riusciti a gustare le bellezze ed i doni della creazione.
Meister Eckhart, grande mistico tedesco del 1300, scrive: Se nella tua preghiera riesci a pronunciare una sola parola -grazie-, sarebbe già abbastanza. Un uomo senza Dio non potrà mai essere un giusto, anche se rispetta la morale orizzontale della coscienza.
Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature si effonde nella lode, preghiera permeata di una visione positiva della natura: nel creato vede riflessa l'immagine del Creatore; e da ciò deriva il senso di fratellanza fra l'uomo e tutto il creato, che molto si distanzia dal contemptus mundi (disprezzo per il mondo terreno) segnato dal peccato e dalla sofferenza, tipico di altre tendenze religiose medioevali (p.es. Jacopone da Todi).
Abraham Hesche, teologo austriaco del ‘900, osserva: l’ebraico biblico non ha nessuna parola per indicare il dubbio, mentre ha moltissime parole per indicare la lode, il canto, la gioia, la benedizione, la meraviglia davanti alla bellezza del creato. Da questa meraviglia nasce la gratitudine, che è il sentimento fontale da cui scaturisce il senso della vita umana. Allora tutto ciò che esalta la bellezza della creazione diventa una lode di Dio.
S. Wishinsky, primate di Polonia nei difficili anni del comunismo, padre spirituale di Giovanni Paolo II, ha scritto in una lettera di compleanno: Ti ringrazio o Dio, perché mi hai abbracciato attraverso le braccia di mia madre. Ecco la preghiera di un autentico uomo biblico, che ha concretizzato Dio nelle presone che s amano.
Madre Teresa di Calcutta, avvicinandosi ai sofferenti, si dichiarava consapevole di non cancellare le loro sofferenze e di non saper dare una risposta al problema del male: ALL’UOMO CHE SOFFRE, DIO NON DONA UN RAGIONAMENTO CHE SPIEGHI TUTTO, MA OFFRE LA SUA RISPOSTA NELLA FORMA DI UNA PRESENZA TRASCENDENTE CHE ILLUMINA IL CAMMINO IN QUESTA TERRA.
D.M.Turoldo, religioso e poeta mistico del secolo scorso, così si esprime: io vorrei dare una cosa al mio Signore, ma non so che cosa. Allora corro da lui, mi stringo a lui come un bambino alla madre, come l'amato all'amata, quando ciascuno mette la propria vita, i sogni e il futuro, nella mani dell'altro. La fede è un entrare in contatto con la madre di tutte le parole religiose: grazie. Voglio fare come quello straniero: domani inizierò la mia giornata tornando a Dio con il cuore, non recitando preghiere, ma donandogli una cosa, una parola: grazie. E lo stesso farò poi con quelli di casa. Lo farò in silenzio e con un sorriso
Papa Francesco insiste nel rimarcare che la fede non risponde ai criteri della mera uguaglianza: è esperienza della paternità di Dio, comprensione della dignità umana, unica in ciascuna persona. Egli non ci offre le novità che per proprio comodo non-pochi si aspettano da lui: si pone sulla linea di coloro che hanno colto l’essenza della fede, soprattutto quando essa è sottoposta alla prova della sofferenza e dell'emarginazione.
Una nota personalissima
Tra il caos delle notizie dl attualità, una mi ha colpito particolarmente: sarebbe stata trovata, e premiata con un Nobel, la particella di Dio.
Ho cercato di capire il significato della frase, immaginando si trattasse di un segno della mano di Dio che regge la materia dell’universo; ma sono rimasta delusa e sconcertata.
Ed ecco far capolino in me il bisogno di sottoporre al vaglio della concretezza le suggestioni che mi provengono sia dalla Parola di Dio sia dalle notizie. 
Delusione e sconcerto mi hanno fatto rientrare in me stessa, e lì, nel mio intimo, ho ritrovato la presenza temporale (quindi una semplice particella!) di Dio, sulla scia degli illuminati di ogni epoca (e soprattutto di Gesù). 
Allora non ho potuto fare a meno di formulare senza parole la mia preghiera: Grazie o Dio, per il Mistero che sei. Ti supplico, assorbimi in esso.