domenica 18 febbraio 2018

MERCOLEDì delle CENERI


Mercoledì delle CENERI

Marco 8,14-21

In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo. Allora Gesù li ammoniva dicendo: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!”. E quelli dicevano fra loro: “Non abbiamo pane”. Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: “Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?” Gli dissero: “Dodici”. “E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?” Gli dissero: “Sette”. E disse loro: “Non capite ancora?”

 

COMMENTO

Il vangelo che la liturgia propone per il Mercoledì delle ceneri parla del malinteso tra Gesù ed i discepoli. Essi non capivano le parole di Gesù; pensavano che lui parlasse così perché avevano dimenticato di comprare il pane: Gesù dice una cosa e loro ne capiscono un’altra. Questo ‘scontro’ era il risultato dell’influsso insidioso del lievito dei farisei nella testa e nella vita dei discepoli. Allora Gesù pone una serie di domande rapide, senza aspettare una risposta; domande dure che evocano cose molto serie e rivelano una totale incomprensione da parte loro. Anche se sembra incredibile, i discepoli giunsero al punto in cui non c’era differenza tra loro ed i nemici di Gesù. La domanda Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? evoca non solo la gente senza fede, criticata da Isaia, ma anche gli adoratori dei falsi dèi, di cui il salmo 115 dice: hanno occhi e non vedono, udito e non sentono.
Ma da parte dei discepoli non c’era malizia. Ad essi non interessava difendere il sistema dei farisei e degli erodiani contro Gesù. La causa dello scontro aveva a che fare con la speranza messianica. Tra i giudei c’era un’enorme varietà di aspettative messianiche, a seconda delle diverse interpretazioni delle profezie: c’era chi aspettava un Messia Re, chi un Messia Santo o Sacerdote, chi un Messia Guerriero sovversivo, chi un Messia Dottore o Giudice, chi un Messia Profeta (il titolo Messia poteva significare cose assai diverse a seconda della persona o  della posizione sociale). C’era un’enorme confusione di idee!
Solamente accettando il Messia come il Servo Sofferente di Isaia, si farà strada la capacità di aprire gli occhi e di capire il Mistero di Dio in Gesù.
Con il Mercoledì delle Ceneri inizia la Quaresima, periodo che precede la Pasqua. E’ giorno di digiuno e d astinenza dalle carni; astensione che la Chiesa richiedeva per tutti i venerdì dell’anno, ma che negli ultimi decenni è stata ridotta ai soli venerdì di Quaresima. Un altro giorno di digiuno e di astinenza è previsto per il Venerdì Santo.
Il digiuno è importante per tutte le religioni: in particolare, i musulmani celebrano il mese di Ramadan, gli ebrei il kippur; e forse bisogna aggiungere un eccetera guardando ad altre religioni.
La teologia biblica rivela un duplice significato dell'uso delle ceneri. Queste sono segno: a) della debole e fragile condizione dell'uomo, b) del pentimento e della decisione di intraprendere un rinnovato cammino verso Dio.
Particolarmente noto è il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona, come abbiamo letto qualche settimana fa. Anche Giuditta invita tutto il popolo a fare penitenza affinché Dio intervenga a liberarlo: Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore (Gdt 4,11).
Durante la ‘Veglia pasquale’ precedente il Mercoledì si adempie il battesimo dei neofiti e si inaugura il tempo di Quaresima.
Lo spirito comunitario di preghiera, di sincerità cristiana e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle teste, segno di umile sottomissione alla Parola di Dio.
Al di là del senso che queste usanze hanno avuto nella storia delle religioni, il cristiano le adotta in continuità con le pratiche espiatorie dell’Antico Testamento, come simbolo austero del cammino spirituale da fare lungo tutta la Quaresima, e come mezzo per riconoscere che il corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale, in un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del Cristo nonché della sua Risurrezione.
L'astinenza dal cibo ha un significato antropologico forte, ma va accompagnata da sobrietà ed austerità spirituale in modo da liberare la mente e il cuore da ciò che li schiavizza. Infatti oggi abbiamo moltissime esigenze, siamo ipertrofici nei consumi; ci crediamo liberi mentre siamo schiavi di molte abitudini. Dobbiamo digiunare soprattutto astenendoci dal peccato, dai vizi, dalle troppe parole e immagini vane che affollano sensi, fantasia, ideali umani, giungendo ad intrappolare il cammino di conversione.
Una delle pratiche di penitenza è l’esercizio della misericordia verso il bisognoso, guardandolo negli occhi, come ha detto Papa Francesco. Passare senza incrociare lo sguardo e buttare là uno spicciolo provoca solo un senso di imbarazzo e di avvilimento, mentre rendersi conto dei bisogni e dare ciò che serve (beni, tempo, affetto, amicizia) crea calore e da vita. Quanto più se quello che diamo è frutto del nostro digiuno!
Le prime letture della liturgia invitano a meditare proprio sulle opere umane, che, per quanto copiose e grandiose, sono destinate, prima o poi, a crollare.
Bisogna far sì che la tendenza a vivere e centrati troppo sul presente lascia spazio al guardare oltre. Il mondo di oggi ha bisogno di quella sobrietà che è libertà di condividere; e di conseguenza  permette di esercitare il ministero della gioia.
La cenere non ha la vitalità dell'acqua o la fecondità della terra; non ha la bellezza delle pietre preziose ne' la fragranza di un profumo. E’ vero, concima bene, ma ci sono altre cose che concimano bene e il paragone non è poi così edificante! E’ giusto pensare che si riceve sulla fronte qualcosa che non serve a nulla, perché è bene fare i conti con la propria incapacità e fare un bagno di umiltà. Ma è anche vero che non siamo destinati ad essere pura polvere, perché su questa polvere del suolo, Dio ha emanato il soffio che è spirito di vita. E’ da baciare con gratitudine la terra perché, prima di noi, l'ha baciata e l'ha amata Dio.

UNA CONSIDERAZIONE PERSONALE

Non pochi si assoggettano a diete ferree per motivi di salute e/o di estetica. Perché non digiunare per fare del bene spirituale a noi stessi e destinare il ricavato dei nostri digiuni a coloro che sono costretti a digiunare perché hanno ben poco da mettere sotto i denti?
Sono queste le contraddizioni del mondo di oggi e di sempre, che dobbiamo superare con una condotta di vita solidale e aperta ai bisogni degli altri.

Una Quaresima che si limiti al solo aspetto spirituale, sarà un tempo propizio, ma monco nella sua essenza, che è di apertura alla solidarietà, resa concreta dal donare ai bisognosi ciò che si ha, poco o molto secondo le proprie possibilità. La Quaresima è vera se non è solo un periodo liturgico (a cui ben pochi pensano), ma è il tempo di un maggior impegno a guardarsi dentro per sondare a che cosa è orientata la propria vita.
E lo scopriremo se la revisione interiore sarà vera e fertile, quindi non auto-centrata: bisogna guardarsi dentro con l’aiuto soprannaturale, frutto di assidua preghiera.
C’è un solo segreto in cui bisogna entrare sempre con l’aiuto della preghiera. Attorno a noi ci sono gli altri: i benestanti più poveri dei poveri perché arrotolati su se stessi, privi (più o meno) della luce trascendente, cioè della luce che è oltre un orizzonte da conquistare.
E’ indispensabile la pratica ascetica che opera lo sgombero della cenere non utilizzata per rendere fertile il nostro operare. Le opere e le devozioni possono essere vuote del senso di Dio. La quaresima dovrebbe insegnarci questo lavoro di fertilizzazione di ciò che si è e che si fa.

I DOMENICA di QUARESIMA anno B

Gen 9.8-15
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra». Dio disse: Questo è il segno dell’alleanza che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne,
e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne».
Sal 24
Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà. / Fammi conoscere, Signore, le tue vie, / insegnami i tuoi sentieri. / Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, / perché sei tu il Dio della mia salvezza. / Ricòrdati, Signore, della tua misericordia /  e del tuo amore, che è da sempre. / Ricòrdati di me nella tua misericordia, / per la tua bontà, Signore. / Buono e retto è il Signore, / indica ai peccatori la via giusta; / guida i poveri secondo giustizia, / insegna ai poveri la sua via.
1Pt 3,18-22
Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio;messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua. Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi;non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.
Mc1,12-15

12. In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto.
13 e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. 14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15 e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo.


C O M M E N T O



1.BREVE PREMESSA

A distanza di duemila anni, nelle nostre chiese si annunzia l’inizio alla Quaresima [in realtà per i frequentanti l’inizio è già avvenuto nel Mercoledì delle Ceneri], che è soprattutto un periodo di riflessione sui misteri della redenzione, al cui centro sono l’insegnamento e la persona di Gesù Cristo e la sua passione e morte.  
In questa  prima domenica di Quaresima si narra il preludio all’inizio del ministero pubblico di Gesù.
Marco accenna ai quaranta giorni passati da Gesù nel deserto, nell’austerità e nella tentazione di Satana, col solo conforto degli angeli.
Tornato in Galilea, Gesù proclama il vangelo, cominciando da quello che era stato il punto centrale dell’insegnamento di Giovanni Battista: Convertitevi e credete al vangelo.
Proclamando il vangelo, Gesù dà consistenza alla storia umana, nella quale Lui è presente nel tempo, che si dischiude alla speranza del FUTURO eterno [cosa non facile da capire: ne darò spiegazione qualora me se ne faccia richiesta].

 

2. ANALISI TESTUALE

12 E subito lo Spirito sospinse Gesù nel deserto.

Marco, con un chiaro riferimento al testo della domenica precedente in cui aveva narrato il battesimo conferito da Giovanni Battista a Gesù, afferma che lo Spirito lo sospinge, ekballei: questo verbo indica un’azione violenta ed è lo stesso verbo, usato per descrivere l’azione con cui Gesù scaccia i demoni. Forse l’evangelista lo usa per indicare l’intervento improvviso e inatteso di Dio, che interrompe bruscamente il susseguirsi normale degli avvenimenti e imprime un nuovo corso alla storia.
Sotto l’azione dello Spirito Gesù si reca nel deserto. Sebbene vi sia stato sospinto dallo Spirito, la prova non viene direttamente da Dio, come per il popolo in Deuteronomio, ma da Satana. Per non offuscare l’immagine di Dio, i giudei di quel tempo si erano abituati ad attribuire la tentazione ad un non meglio precisato avversario, satàn, che era considerato un’entità diabolica. Questa maggiore sensibilità teologica appare anche nella rilettura sapienziale della vicenda di Adamo, dove il serpente non è più un semplice animale, ma è identificato con il diavolo (cfr. Sap2,24).

13 e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.

Il deserto è luogo carico di significati e ricordi nella storia di Israele; è, di volta in volta, luogo di prova, di intimità con Dio, di tradimento, di pericolo (bestie feroci)…
Il deserto a cui allude il testo si trova nella regione desolata che si estende tra la zona montagnosa della Giudea e il mar Morto (deserto di Giuda).
I quaranta giorni sono un periodo di tempo simbolico, che richiama i quarant’anni trascorsi dal popolo di Israele nel deserto, dove esso fu messo alla prova da Dio, o i quaranta giorni trascorsi da Mosè sul Sinai, o quelli impiegati da Elia per raggiungere l’Oreb.
Le bestie selvatiche che si trovano nel deserto sono simbolo delle potenze diaboliche, con cui il popolo eletto si è confrontato più volte nell’AT, e che nei testi di Isaia e di Osea appaiono talvolta rappacificate. La presenza di Gesù in mezzo ad esse indica l’attuazione di quanto i profeti avevano preannunziato: la lotta che Egli dovrà ingaggiare contro le prove nel corso di tutto il suo ministero pubblico avrà per esito la riconciliazione, parziale nel tempo, completa alla fine de tempi.
Mentre stava con le fiere, gli angeli lo servivano: questo è un segno inequivocabile della vicinanza di Dio, presente attraverso i suoi messaggeri. Diversamente da Israele, che nel deserto aveva mormorato e si era ribellato contro Dio, e da Adamo che aveva mangiato il frutto dell’albero proibito, Gesù non cedette mai alle lusinghe del tentatore.

14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio.

Invece di recarsi in Giudea, zona densamente abitata da giudei, dove avevano sede le principali istituzioni giudaiche, Gesù torna in Galilea, sua terra d’origine. Probabilmente Marco si rifà ad Isaia che la chiama Galilea delle genti, Galilaia tôn êthnôn, appellativo dovuto al carattere misto della sua popolazione.
Il termine predicare, da keryssô, con cui è indicata l’attività di Gesù in Galilea, è un richiamo alla proclamazione pubblica che nell’AT era fatta da un araldo, mentre per i cristiani significa annunziare la salvezza.
Il termine vangelo, euanghelion, appartiene anch’esso al linguaggio della prima comunità cristiana: specifica che la buona novella ha origine da Dio, in quanto è Lui ad investire il Cristo del compito di lanciarla all’umanità.

15 e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo.
Marco, per bocca di Gesù, si esprime con un linguaggio ispirato all’apocalittica giudaica.
Il tempo qui è espresso col termine greco kairos, che significa periodo propizio a far sì che il regno di Dio (oggetto della predicazione), ormai vicino, enghiken, possa realizzare la sovranità divina in questo mondo. E qui ancora una volta si parla di pienezza, pur sapendo che essa sarà raggiunta alla fine dei tempi.
Al tempo di Gesù li tema della regalità di JHWH era molto sentito nel giudaismo: nella sua esperienza primordiale, Israele attribuiva il titolo di re al Dio che lo aveva liberato dalla schiavitù d’Egitto; In tale contesto la regalità di Dio assumeva una dimensione di potenza.
L’aspetto più interessante è nel fatto che il periodo trascorso in esilio aveva conferito a questa esperienza un aspetto di universalismo e una forte dimensione escatologica: JHWH è re di tutta l’umanità, pur non avendo ancora rivelato pienamente la sua sovranità. Anche uiqui possiamo cogliere in sottofondo un riferimento al testo di Isaia (52,7), il quale parla del messaggero di pace che annuncia la buona novella.

 

3. NOTE ESPLICATIVE ED UTILI

- Credere nel vangelo è un tema caratteristico del vangelo di Marco, lungo il corso del quale evidenzierà sempre che la fede implica un rapporto personale e di fiducia con Gesù, e che l’annunzio non va soltanto ascoltato al fine di raggiungere la compiutezza, ma va implorato con la preghiera e reso efficace attraverso l’esercizio della penitenza e quindi con la conversione.   
- Joachim Gnilka sintetizza in maniera luminosa: Come la pienezza del tempo sta al regno di Dio, così la conversione sta al credere. Detto in maniera più semplice, il regno di Dio è espressione priva di senso se i tempi non sono maturi, e i tempi sono maturi se preceduti dalla conversone dei cuori. Infatti è il superamento della tentazione che abilita Gesù a farsi araldo del vangelo.
- L’annunzio della salvezza riguarda una realtà da attuarsi, non in un altro mondo, ma all’interno della storia umana.
- Il regno di Dio implica il capovolgimento degli pseudo-valori che distolgono dalla speranza in un mondo nuovo, in cui l’amore si sostituisca alla violenza e alla discriminazione.
- Parlando di vicinanza del regno di Dio, e non di presenza ormai realizzata, Gesù fa comprendere che questo mondo nuovo rappresenta un’utopia mai pienamente realizzata nel tempo, ma verso la quale l’umanità dovrà tendere per essere salvata dal rischio di sprofondare in crisi su crisi senza fine.
- Attribuendo a Dio l’instaurazione del suo regno, Gesù non elimina l’impegno umano, ma lo sostiene e lo illumina, mostrando come il risultato sia ormai certo; ed e proprio questa SPERANZA CERTA  che corrisponde alle attese del cuore umano.

 

Dal salmo di questa domenica: Fammi conoscere, Signore, le tue vie, / insegnami i tuoi sentieri. / Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi.

venerdì 2 febbraio 2018

IV DOMENICA T. O. anno B


Mc1,21-28

21 Poi entrarono in Capernaum, e subito, in giorno di sabato, egli entrò nella sinagoga e insegnava. 22 E la gente si stupiva della sua dottrina perché egli li ammaestrava come uno che ha autorità e non come gli scribi. 23 Ora nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito immondo, il quale si mise a gridare, 24 dicendo: Che vi è fra noi e te, Gesù Nazareno? Sei tu venuto per distruggerci? Io so chi tu sei: Il Santo di Dio. 25 Ma Gesù lo sgridò, dicendo: Taci! ed esci da costui!. 26 E lo spirito immondo, straziandolo e mandando un gran grido, uscì da lui. 27 E tutti furono sbalorditi, tanto che si domandavano fra loro dicendo: Che è mai questo? Quale nuova dottrina è mai questa? Egli comanda con autorità persino agli spiriti immondi, ed essi gli ubbidiscono. 28 E la sua fama si diffuse subito per tutta la regione intorno alla Galilea.

 

C o m m e n t o

 

1. L’INDEMONIATO DI CAFARNAO

Comincio con una messa a punto sul temine diavolo.

Questo nome deriva dal tardo latino diabolus, che traduce il termine greco diàbolos, (da dia=attraverso e ballo=caccio, getto; significa colui che divide), che è stato a sua volto tradotto dall’ebraico Satan, usato a partire dal III secolo d.C.

Il termine demònio deriva da una traslitterazione del greco daimónios; indicava un’entità neutra appartenente agli dèi, la qale poteva essere, sia benevola sia malevole; solo col cristianesimo assunse esclusivamente un significato negativo. Lo troviamo nella Bibbia Vulgata (= diffusa tra il popolo), edizione dei Settanta curata da Girolamo tra la fine del 4° e l’inizio del 5° secolo. Il termine fu definitivamente consacrato dal concilio di Trento nel 1546.

Il primo racconto di Marco che leggiamo nella pericope di questa domenica coinvolge la figura-persona di un demonio (il parallelo c’è solo in Luca). Al centro c’è Cristo con la forza della sua parola, che sollecita la professione di fede fatta dal demonio: Io so chi tu sei: Il Santo di Dio. Nel mondo ebraico il ‘Santo di Dio’ è Colui che è separato da…’. La separatezza di Gesù non si manifesta in una sorta di alterità, diversità, distanza, quanto, al contrario, nella compromissione con  l’umanità.

La replica di Gesù è tipica di Marco: Taci! Questo imperativo epifanico rivela l’autorevolezza di Gesù. Su esso si stende il velo del segreto messianico (all’inizio della vita pubblica, nessuno doveva sapere che Gesù fosse il Cristo, il Messia atteso).

A partire dal momento in cui i capi religiosi si erano resi conto che era apparso un Profeta autentico, a differenza di chi (gli scribi) imponeva al popolo carichi e norme, Gesù si rese conto del conflitto che stava per esplodere nella sinagoga di Cafarnao; ma non fece nulla per evitarlo. Egli sapeva che  il suo compito era quello di liberare le coscienze da ogni giogo, non escluso quello che causa maggiore sottomissione, e cioè una religione basata soltanto su regole ed adempimenti imposti in nome della Legge; basti dire che il Talmud, il libro sacro degli ebrei, nel quale si affermava la superiorità delle decisioni e delle parole degli scribi rispetto a quelle della Torah. A ragione in seguito Gesù denuncerà, rivolgendosi proprio a loro: Come potete dire ‘noi siamo saggi perché abbiamo la legge del Signore’? A menzogna l’ha ridotta lo stilo menzognero degli scribi.

Certamente l’episodio narrato da Marco è di grande importanza perché mette a fuoco la gravità (benefica) del grande trapasso culturale e spirituale, suscitato dall’agire e dire di Gesù; e risulta evidente che una rivoluzione simile trova il diavolo tremendamente sorpreso. Da qui la sua protesta contro Gesù: Sei tu venuto per distruggerci?

La versione CEI esprime così la paura esplosa in Sinagoga. E tutti furono sbalorditi. Ma i tutti di cui si parla non avevano timore; il loro era (gradito) sbalordimento.

Certamente la gente sentiva nel messaggio di Gesù un’eco nuova che raggiungeva il loro cuore, mentre si manifestava come rovina per il diavolo, il quale veniva atterrito dall’azione liberatrice di Gesù col suo comandare con autorità persino agli spiriti immondi. [L’aggettivo immondo è uno dei tanti attributi con i quali la fantasia ha costruito l’immagine del Maligno: immondo o impuro sono termini che alludono ad una depravazione sessuale attribuita ad un essere incorporeo, per colorarlo maggiormente di negatività!]

2. L’INSEGNAMENTO DI GESU’ E NOI

Se vogliamo trarre un insegnamento forte dal vangelo che leggiamo, dobbiamo entrare da attori nello strano dialogo scritto da Marco.

Figuriamoci allora, rivolta a noi la domanda che risuona tra gli ascoltatori: Che è mai questo? Quale nuova dottrina è mai questa?

Sono domande che sintetizzano come rischia di diventare la fede, se non si prendono le distanze dal diavolo.

Esaminiamo se anche noi non ragioniamo come gli altri: Cosa c'entra Gesù con l'economia, con la politica, con il lavoro, con gli affetti, e via dicendo? Un tipo di ragionamento, questo, che è in bocca, non agli atei convinti, ma ai credenti deboli; a quelli che vogliono sentirsi a posto solo con le osservanze religiose e/o con la pace da mantenere nella famiglia, nei luoghi frequentati per adempiere i propri ‘doveri’, ecc.. E per loro tutto finisce qui.

L’indemoniato non rappresenta soltanto i cattivi, ma più facilmente quelli che frequentano la chiesa (in quel caso la sinagoga), recitano preghiere, praticano devozioni, ecc.; ma stanno lontani dai profeti che potrebbero introdurre insegnamenti come quelli del nuovo Profeta.

Sei venuto a rovinarci? Ecco la ragione di tanta lontananza: molti, forse,  erano convinti che egli (il Profeta) si proponesse come uno che la sapeva più lunga rispetto ai soliti maestri della sinagoga. Erano convinti che correre appresso ad uno come Gesù fosse pericoloso.

Presumere di sé tiene lontani dalla verità: si preferisce il solito quieto vivere all’ascolto vigile di verità da approfondire con mente purificata dai luoghi comuni.

Argutamente sant'Agostino commenta questo passo evangelico con raffinato umorismo: non vantarti della fede, non ti distingui ancora dai demoni.

Intanto il v.28 conclude plaudendo alla novità predicata da Cristo: E la sua fama si diffuse subito per tutta la regione intorno alla Galilea.

 

3. CRISTO LIBERATORE E L’OSTACOLO IMPENSATO

Concordando con G. Ravasi, cominciamo con l’affermare che noi, anziché credere nel diavolo come causa del male, sappiamo di poter riporre la speranza di salvezza in Cristo liberatore.

In che cosa consiste questa salvezza che Gesù promette a chi lo vuol seguire?

Già la domenica scorsa ci ha sorpreso l'immediatezza della risposta dei discepoli alla Chiamata.

Se ci chiediamo seriamente da che cosa sia stata provocata, forse sapremo darci una risposta: dall’aver visto su quel Volto, in quello sguardo, la possibilità di una risposta rispondente alle nostre più profonde aspirazioni.

Riassumendo un pensiero del padre Molinié, possiamo dire che, se oggi ci sono ancora dei cristiani, è perché quanto è accaduto ai Chiamati dipende dall’aver incrociato lo Sguardo di Gesù che scava nelle profondità della  coscienza.

Quali difficoltà si oppongono?

Azzardiamo una risposta: il timore che prima ricadremo nella nostra routine perché ci troveremo di fronte ad un qualche ostacolo imprevisto.

E di fatto non è raro che dopo aver interrogato la razionalità, dopo aver cercato di far vibrare le corde della sensibilità nell’incontro con Cristo, Dio possa sfuggire ancora dal nostro orizzonte.

Il cercatore di verità ha paura di dover lottare ancora per ritrovare un Dio che non sempre risponde ai nostri richiami e che fa silenzio.

Eppure come a Giobbe il silenzio può far capire che non serve a nulla ragionare di fronte all’enorme e terribile problema del male. Bisognerebbe piuttosto farsi alleati di Dio contro il male…

Ed è questo il messaggio religioso del poema attribuito a Giobbe: l'essere umano deve persistere nella fede anche quando non capisce e il suo spirito non ne è appagato.

4. BREVE APPROFONDIMENTO attraverso il poema di Giobbe

Kierkegaard nella sua Ripresa così scrive: Se io non avessi Giobbe!... Non posso spiegarvi minutamente e sottilmente quale significato e quanti significati abbia per me. Io non lo leggo con gli occhi come si legge un altro libro, me lo metto per così dire sul cuore e in uno stato di ‘clairvoyance’ interpreto i singoli passi nella maniera più diversa. Come il bambino che mette il libro sotto il cuscino per essere certo di non avere dimenticato la lezione quando al mattino si sveglia, così la notte mi porto a letto il libro di Giobbe. Ogni sua parola è cibo, vestimento e balsamo per la mia povera anima. Ora svegliandomi dal mio letargo la sua parola mi desta a una novella inquietudine, ora placa la sterile furia che è in me, ora mette fine a quel che di atroce vi è nei muti spasimi della passione.

Sottoponiamo ora a Giobbe la nostre perplessità:

Quando Dio tace o si fa assente interiormente, come assumere da soli il peso del male e del dolore, soprattutto se lo vediamo iscritto sulla pelle degli innocenti?

Ed ha ragione Giobbe a giustificare il dolore anche se assurdo ed esasperante?

Egli capisce le domande che a suo modo gli rivolge una moglie alquanto impertinente. E le risponde umilmente: Ecco, sono ben meschino: che ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò; ho parlato due volte, ma non continuerò.

Il poema rivela, attraverso il silenzio (questa volta) di Giobbe, di essere stato folgorato da una illuminazione: Dio ha pensieri e disegni che non sono i nostri, perché è trascendente. A noi spetta adorare il mistero.

5. RIFLESSIONE PERSONALE

Cito dal salmo di oggi:

Se ascoltaste oggi la sua voce! / Non indurite il cuore come a Merìba, / come nel giorno di Massa nel deserto, / dove mi tentarono i vostri padri: / mi misero alla prova / pur avendo visto le mie opere.

Di fronte ad un Dio che ci tenta (prova), anche l’essere umano mette a prova Dio. Oggi più che mai. Ne sono inorridita e ho paura.

Proprio ieri ho visto le due scimmiette in cui si è operato il ‘miracolo’ della clonazione!!!! Che vanto! Si auspica che presto si realizzi lo stesso prodigio nel corpo umano.

Non intraprendo l’inutile fatica di elencare le astrusità con le quali l’essere umano si colloca a posto di Dio per fare meglio di Lui. il ragionamento è sempre lo stesso. La vita, se è modificata da noi, è migliore fin dal concepimento; anzi prima del concepimento, si possono allungare le mani nel corpo della donna perché concepisca attraverso strumenti idonei. E ancora prima, si può operare tutto facendo a meno di genitori che non riescono, poveracci, a produrre in maniera naturale.

Chiudo tacendo di altri ‘prodigi’ e non mi piace fare la predica.

Davvero Dio è messo alla prova

Io sono inerme come Dio, perché sono dalla sua parte e non voglio indurire oltre il mio cuore.

V DOMENICA T. O. anno B


Mc 1, 29-39
29E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. 35Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. 36Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. 37Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.


Gb 7,1-4.6-7

Giobbe parlò e disse: / «L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra / e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario? / Come lo schiavo sospira l’ombra / e come il mercenario aspetta il suo salario, / così a me sono toccati mesi d’illusione / e notti di affanno mi sono state assegnate. / Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”. / La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba. / I miei giorni scorrono più veloci d’una spola, / svaniscono senza un filo di speranza. / Ricòrdati che un soffio è la mia vita: / il mio occhio non rivedrà più il bene».

Sal 146

È bello cantare inni al nostro Dio, / è dolce innalzare la lode. / Il Signore ricostruisce Gerusalemme, / raduna i dispersi d’Israele. / Risana i cuori affranti / e fascia le loro ferite. / Egli conta il numero delle stelle / e chiama ciascuna per nome. // Grande è il Signore nostro, / grande nella sua potenza; / la sua sapienza non si può calcolare. / Il Signore sostiene i poveri, / ma abbassa fino a terra i malvagi.

1Cor9,16-19.22-23
Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.

 

C O M M E N T O

Siamo di fronte a letture liturgiche meravigliose e ad una pericope evangelica che, da sola, basterebbe a ritrarre la figura di Gesù aldilà di ogni forma d’arte. Il volto sembra illuminato dalla sua preghiera e dal suo agire, fatto di dono di sé a chi soffre nel corpo e nello spirito.

 

1. BREVE PREMESSA e ANALISI DEL TESTO

 

In continuità con i vv.21-28 letti la scorsa domenica, il brano di oggi descrive la conclusione di una giornata tipo di Gesù. Egli si trova a Cafarnao in giorno di Shabbàt, e, dopo aver partecipato alla liturgia sinagogale, continua a celebrarla in casa di Pietro, in un clima familiare.
Al tramonto del sole succede il riposo notturno; terminato il quale, continua il  ministero di Gesù, esteso a tutta la Galilea.
Le sequenze dell’annuncio non sono cronaca destinata a far sapere cosa abbia fatto, ma sono volte a proporre l’approccio al mistero della salvezza di Cristo in maniera tanto efficace da rivoluzionare la vita di chi ascolta.
vv. 29-31 Gesù, entrando nella casa di Pietro, guarisce la suocera di Pietro, a letto per la febbre. Nella tradizione ebraica la febbre poteva essere anche conseguenza e sintomo di una condizione di peccato (Dt 28,15-18). Ma l'episodio illustra la guarigione della donna come espressione della sua misericordia nel prendersi cura dello stato umano in condizione di precarietà, sia spirituale sia fisica. Nell’operare la guarigione a cui si è accennato è eloquente un particolare: Gesù prende per mano l’ammalata. In realtà il verbo usato è egeiro, io arreco sollievo (da), che è usato altrove per indicare la risurrezione di Gesù, mentre in questo caso pare voglia indicare che la guarigione comporta una nuova vita, un nuovo rapporto con Dio.
Il fatto che la donna, una volta guarita, si ponga subito al servizio, non solo di Gesù, ma anche dei suoi discepoli, significa il pieno coinvolgimento della donna nella realtà comunitaria in tutte le sue componenti, tanto che vengono superate le barriere della discriminazione sessuale (oggi definita ‘differenza di genere’).
vv. 32-34 Dopo la notte del sabato, Gesù guarisce molti malati e indemoniati, che vengono portati da Lui. Egli è completamente assimilato a coloro che vivono nelle peggiori condizioni: emarginazione, sofferenza fisica e non fisica, solitudine, abbandono... E sappiamo come in tali situazioni prende forma l’emarginazione, in seno alla quale guadagna spazio il demonio (figura che attecchisce soprattutto nell’immaginazione della gente comune non edotta).
Gesù scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Si può supporre che i demoni conoscessero, sì, la realtà della sua persona, ma secondo modalità che corrispondevano alle attese tipiche di un messianismo nazionalistico. Facendoli tacere, Gesù cerca quindi di impedire che la propaganda non richiesta dei suoi avversari getti sulla sua persona l’ombra di gravi malintesi (segreto messianico).
v.35  Al mattino presto si alzò quando ancora era buio, e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava.
Il tema della notte, del buio e delle tenebre attraversa un po' tutta la Scrittura, fin dai primi versetti, quando la luce appare come prima manifestazione della forza d'amore di Dio, che crea e che salva. Come alle tenebre segue la luce e alla notte il giorno, parallelamente per la Bibbia anche al buio segue la luce nuova della salvezza e dell'incontro con Dio.
Intanto Gesù si ritira a pregare da solo ed in un luogo deserto, in campagna o in montagna, dimorandovi  notti intere e pregando. La sua preghiera è lezione esemplare, prova evidente della sua umanità bisognosa di contatto col Trascendente, col Padre del cielo.
vv.36-37 Attraverso le ricerche dei suoi, Gesù viene trovato, ma Egli non pensa di trattenersi con loro. 
v.38 Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!
L’abbandono di Cafarnao non significa che Gesù si rifiuti di compiere quei segni che avevano suscitato tante speranze tra la gente. Egli vuole soltanto evitare che i miracoli, invece di essere compresi come segni del regno di Dio che viene, siano sfruttati semplicemente a scopi egoistici.
Egli tira per la sua strada, guardando sempre all’ulteriore bene a cui assolvere; e non per ‘voglia di fare’, come può capitare a tanti che attraverso il dono di sé vogliono realizzarsi. Il bene per essere davvero tale non dovrà ritornare indietro in termini di gratitudine o di gratificazione, ma servire da fondamento alla realizzazione di altro bene. La legge del dono si differenzia da ogni altra legge perché non è mai dovuto, bensì gratuito: nessun vincolo alla restituzione per chi lo dà, nessun dovere di ripagarlo per chi lo riceve…
Bella, a questo proposito, l’immagine del salmo proposto dalla liturgia: il Signore raduna i dispersi d’Israele. / Risana i cuori affranti / e fascia le loro ferite.
Quanto detto è in un certo senso commentato in un altro passo che la liturgia ci fa leggere nella prima lettera ai Corinzi di Paolo: Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone.
v.39 Il verbo annunciare si trova all’inizio e alla fine del testo. Il termine kêryx, che in origine indicava colui che, per incarico del principe o dello stato, proclama a voce alta, quindi rendeva nota con voce chiara e comprensibile una notizia a lui affidata. Da questo sostantivo è nato il verbo kērýssō, che indica l’attività dell’araldo. Attraverso questo verbo, mal tradotto con il termine predicando, il testo vuole evidenziare quanto sta a cuore a Gesù la la proclamazione (o annuncio) del regno di Dio, che sarà realizzato in pienezza nella sua resurrezione.

 

2. STRALCI DALLA PASTORA LIDIA MAGGI  

 

… (Oggi) ci troviamo nella medesima situazione dei primi cristiani, in un mondo in cui, con la distruzione del Tempio di Gerusalemme e con  e i primi sintomi di un Impero in fase decadente, le esperienze consolidate erano messe in questione… Ma allora, il fascino dell’evangelo, la prospettiva di una liberazione, in grado di affascinare donne e uomini, pubblicani e schiavi, era una potente spinta propulsiva a tentare la strada della ecclesia.
E duemila anni dopo? Per noi, la crisi da fronteggiare è anche il frutto avvelenato dell’operato delle chiese. Un soggetto comunitario può essere riconosciuto e preso in considerazione solo se si presenta credibile e in grado di aprire sentieri promettenti. Le chiese non possono sfilarsi dal naufragio, attribuendo le responsabilità all’imperizia di navigatori increduli.
Sento un po’ strette quelle analisi, pur puntuali e acute, di cui le chiese si fanno portavoce, senza che traspaia una seria autocritica. Come se il soggetto ecclesiale fosse stato del tutto marginale, in questi due millenni che hanno progetti minimali, dove ciò che conta è il dare forma a una casa abitabile.
I quattro racconti evangelici, mi sembra, funzionano così. Danno forma a quattro comunità, unite dalla medesima passione per l’evangelo, perseguita però seguendo ipotesi di lavoro differenti.
Hanno qualcosa da suggerire anche alla nostra cristianità stanca e delusa, che sembra aver mollato il colpo rispetto al sogno di Gesù? Possono parlarci anche in un contesto, in cui si va ognuno per sé?
Non saprei. Intendetemi bene: personalmente, credo nella Parola e nella sua potenza. Ma ciò non toglie che ci siano momenti storici in cui non resta che rilevare la sua inoperosità, a causa nostra, come ha dovuto constatare Giosia (2Re.22). Che - come suggerisce il Qohelet - ci sono diversi  tempi, opposte stagioni. E a chi crede non è risparmiata l’esperienza di vivere periodi in cui è rara la Parola. Anzi, di patirne l’assenza, senza che il vuoto venga colmato (Amos 8,11-12). La Parola, cioè, non va in automatico. E le chiese non possono nutrire la pretesa di averla a propria disposizione. Anche nei confronti della Parola attestata nelle Scritture è necessario uno stile differente, un approccio più cauto, consapevole degli abusi e delle pretese di questi due millenni.
Indossando la veste penitente di chi quella Parola l’ha già letta, sovente abusandone, e riconciliandoci con la precarietà fallibile della nostra storia, possiamo tentare lo sguardo mobile dello spettatore capace di scorgere il naufragio e, insieme, di riconoscere il cantiere, da cui potrà uscire una nuova nave, costruita con i relitti della precedente e con altro materiale (Matteo 13, 52: cose nuove e cose vecchie!).
Come si sottrae la sorte della Parola a questa deriva dell’insignificanza? E, di riflesso, come andrà ripensato quel ministero della Parola, il cui senso non sta nell’organizzare incontri e offrire bei sermoni, ma nella missione impossibile di lasciare irrompere e far risuonare una Parola altra, creatrice di una comunità alternativa alla logica mondana? Come può riacquisire autorevolezza la Parola, ora umiliata e offesa? Scartiamo l’ipotesi di lavoro che occorra ristabilire un’autorità indiscussa - ma non lo facciamo con supponenza, perché vi è ragionevolezza anche nel battere questo sentiero. Ipotesi che sembra guadagnare consenso nel disorientamento attuale e che non fa che riproporre la questione del potere e della forza necessaria per acquisirlo e mantenerlo. Ipotesi legittima e legittimata da una storia secolare, che ha battuto la strada della presa di potere al fine di realizzare quanto si proponeva. Ipotesi che, oggi, non necessariamente si tradurrebbe in prese di palazzi d’inverno, con relativa eliminazione del personale lì acquartierato. Si può agire a colpi di click e con strette di mano fatte con le persone giuste, influenti.
Gesù, però, non ha battuto questa strada. Alle autorità regnanti, ha contrapposto una sua autorevolezza, guadagnata sul campo, lungo le strade della Galilea, della Giudea e della Samaria, e non sedendo a corte, dettando legge e promulgando sanzioni.
Come possiamo, oggi, ritrovare un’autorevolezza simile, per quanto non uguale a quella del Cristo, la cui unicità non ci compete?
 
Interrompo qua la citazione, accettando, però, gli interrogativi che si aprono per tutti i credenti in Cristo.
Sostiamo per riflettere che Gesù, prima di ‘fare’ si nutre di preghiera.
meditiamo le parole del testo quanto mai incisive: Gesù, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava.
Abbiamo bisogno dei consigli dei mistici per IMPARARE A PREGARE.
Ecco alcune citazioni che possono aiutarci.

 

3. LA PREGHIERA DI GESU’ E DEI MISTICI

Ignazio di Loyola - Pregare è seguire Cristo che va tra gli uomini, quasi accompagnandolo.
Giovanni Crisostomo -  L’uomo che prega ha le mani sul timone della storia.
Bernardo di Chiaravalle - I tuoi desideri gridino a Dio. La preghiera è una pia tensione del cuore verso Dio.
Tertulliano  - La preghiera lava i peccati, respinge le tentazioni, spegne le persecuzioni, conforta i pusillanimi, incoraggia i generosi, guida i pellegrini, calma le tempeste, arresta i malfattori, sostenta i poveri, ammorbidisce il cuore dei ricchi, rialza i caduti, sostiene i deboli, sorregge i forti.
Maestro Eckhart - Perchè preghiamo?... Perchè Dio nasca nell’anima e l’anima rinasca in Dio… Un essere tutto intimo, tutto raccolto ed uno in Dio: questa è la Grazia, questo significa Iddio con te.
Teresa d’Avila - L’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente tratteni-mento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo d’essere amati…
La porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l’orazione. Se Dio vuole entrare in un’anima per prendervi le sue delizie e ricolmarla di beni, non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, pura e desiderosa di riceverlo.
Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando.
… Nel cominciare il cammino dell’orazione si deve prendere una risoluzione ferma e decisa di non fermarsi mai, né mai abbandonarla. Avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succedere, mormori chi vuole mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare, ma piuttosto di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presentano, si tenda sempre alla méta, ne vada il mondo intero.
Pensate di trovarvi innanzi a Gesù Cristo, conversate con Lui e cercate di innamorarvi di Lui, tenendolo sempre presente.

Etty Hillesum [dall’inferno di Auschwitz dove venne cremata viva con altri ebrei. Le sue parole vorrei inciderle nel mio cuore per non dimenticarle mai. Qui un semplice assaggio:]

Credo di essere arrivata pian piano a quella semplicità che ho sempre desiderato.

… Sento di essere tutt’uno con la vita.

… E dovunque si è esserci, esserci ‘cento per cento’. Il mio ‘fare’ consisterà nell’essere!... D’altra parte, so che devo aspettare con pazienza che le mie parole crescano. Ma devo anche aiutarle…

Non dico più ‘Sono così infelice’, ‘non so più che fare’, ‘questo non m’importa più niente’...

Trovo bella la vita e ricca di significato, e mi sento libera …  e continuo a lodare la creazione, malgrado tutto… C’è un’arte del dolore.

  Ad ogni nuovo  crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà.