domenica 18 febbraio 2018

MERCOLEDì delle CENERI


Mercoledì delle CENERI

Marco 8,14-21

In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo. Allora Gesù li ammoniva dicendo: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!”. E quelli dicevano fra loro: “Non abbiamo pane”. Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: “Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?” Gli dissero: “Dodici”. “E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?” Gli dissero: “Sette”. E disse loro: “Non capite ancora?”

 

COMMENTO

Il vangelo che la liturgia propone per il Mercoledì delle ceneri parla del malinteso tra Gesù ed i discepoli. Essi non capivano le parole di Gesù; pensavano che lui parlasse così perché avevano dimenticato di comprare il pane: Gesù dice una cosa e loro ne capiscono un’altra. Questo ‘scontro’ era il risultato dell’influsso insidioso del lievito dei farisei nella testa e nella vita dei discepoli. Allora Gesù pone una serie di domande rapide, senza aspettare una risposta; domande dure che evocano cose molto serie e rivelano una totale incomprensione da parte loro. Anche se sembra incredibile, i discepoli giunsero al punto in cui non c’era differenza tra loro ed i nemici di Gesù. La domanda Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? evoca non solo la gente senza fede, criticata da Isaia, ma anche gli adoratori dei falsi dèi, di cui il salmo 115 dice: hanno occhi e non vedono, udito e non sentono.
Ma da parte dei discepoli non c’era malizia. Ad essi non interessava difendere il sistema dei farisei e degli erodiani contro Gesù. La causa dello scontro aveva a che fare con la speranza messianica. Tra i giudei c’era un’enorme varietà di aspettative messianiche, a seconda delle diverse interpretazioni delle profezie: c’era chi aspettava un Messia Re, chi un Messia Santo o Sacerdote, chi un Messia Guerriero sovversivo, chi un Messia Dottore o Giudice, chi un Messia Profeta (il titolo Messia poteva significare cose assai diverse a seconda della persona o  della posizione sociale). C’era un’enorme confusione di idee!
Solamente accettando il Messia come il Servo Sofferente di Isaia, si farà strada la capacità di aprire gli occhi e di capire il Mistero di Dio in Gesù.
Con il Mercoledì delle Ceneri inizia la Quaresima, periodo che precede la Pasqua. E’ giorno di digiuno e d astinenza dalle carni; astensione che la Chiesa richiedeva per tutti i venerdì dell’anno, ma che negli ultimi decenni è stata ridotta ai soli venerdì di Quaresima. Un altro giorno di digiuno e di astinenza è previsto per il Venerdì Santo.
Il digiuno è importante per tutte le religioni: in particolare, i musulmani celebrano il mese di Ramadan, gli ebrei il kippur; e forse bisogna aggiungere un eccetera guardando ad altre religioni.
La teologia biblica rivela un duplice significato dell'uso delle ceneri. Queste sono segno: a) della debole e fragile condizione dell'uomo, b) del pentimento e della decisione di intraprendere un rinnovato cammino verso Dio.
Particolarmente noto è il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona, come abbiamo letto qualche settimana fa. Anche Giuditta invita tutto il popolo a fare penitenza affinché Dio intervenga a liberarlo: Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore (Gdt 4,11).
Durante la ‘Veglia pasquale’ precedente il Mercoledì si adempie il battesimo dei neofiti e si inaugura il tempo di Quaresima.
Lo spirito comunitario di preghiera, di sincerità cristiana e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle teste, segno di umile sottomissione alla Parola di Dio.
Al di là del senso che queste usanze hanno avuto nella storia delle religioni, il cristiano le adotta in continuità con le pratiche espiatorie dell’Antico Testamento, come simbolo austero del cammino spirituale da fare lungo tutta la Quaresima, e come mezzo per riconoscere che il corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale, in un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del Cristo nonché della sua Risurrezione.
L'astinenza dal cibo ha un significato antropologico forte, ma va accompagnata da sobrietà ed austerità spirituale in modo da liberare la mente e il cuore da ciò che li schiavizza. Infatti oggi abbiamo moltissime esigenze, siamo ipertrofici nei consumi; ci crediamo liberi mentre siamo schiavi di molte abitudini. Dobbiamo digiunare soprattutto astenendoci dal peccato, dai vizi, dalle troppe parole e immagini vane che affollano sensi, fantasia, ideali umani, giungendo ad intrappolare il cammino di conversione.
Una delle pratiche di penitenza è l’esercizio della misericordia verso il bisognoso, guardandolo negli occhi, come ha detto Papa Francesco. Passare senza incrociare lo sguardo e buttare là uno spicciolo provoca solo un senso di imbarazzo e di avvilimento, mentre rendersi conto dei bisogni e dare ciò che serve (beni, tempo, affetto, amicizia) crea calore e da vita. Quanto più se quello che diamo è frutto del nostro digiuno!
Le prime letture della liturgia invitano a meditare proprio sulle opere umane, che, per quanto copiose e grandiose, sono destinate, prima o poi, a crollare.
Bisogna far sì che la tendenza a vivere e centrati troppo sul presente lascia spazio al guardare oltre. Il mondo di oggi ha bisogno di quella sobrietà che è libertà di condividere; e di conseguenza  permette di esercitare il ministero della gioia.
La cenere non ha la vitalità dell'acqua o la fecondità della terra; non ha la bellezza delle pietre preziose ne' la fragranza di un profumo. E’ vero, concima bene, ma ci sono altre cose che concimano bene e il paragone non è poi così edificante! E’ giusto pensare che si riceve sulla fronte qualcosa che non serve a nulla, perché è bene fare i conti con la propria incapacità e fare un bagno di umiltà. Ma è anche vero che non siamo destinati ad essere pura polvere, perché su questa polvere del suolo, Dio ha emanato il soffio che è spirito di vita. E’ da baciare con gratitudine la terra perché, prima di noi, l'ha baciata e l'ha amata Dio.

UNA CONSIDERAZIONE PERSONALE

Non pochi si assoggettano a diete ferree per motivi di salute e/o di estetica. Perché non digiunare per fare del bene spirituale a noi stessi e destinare il ricavato dei nostri digiuni a coloro che sono costretti a digiunare perché hanno ben poco da mettere sotto i denti?
Sono queste le contraddizioni del mondo di oggi e di sempre, che dobbiamo superare con una condotta di vita solidale e aperta ai bisogni degli altri.

Una Quaresima che si limiti al solo aspetto spirituale, sarà un tempo propizio, ma monco nella sua essenza, che è di apertura alla solidarietà, resa concreta dal donare ai bisognosi ciò che si ha, poco o molto secondo le proprie possibilità. La Quaresima è vera se non è solo un periodo liturgico (a cui ben pochi pensano), ma è il tempo di un maggior impegno a guardarsi dentro per sondare a che cosa è orientata la propria vita.
E lo scopriremo se la revisione interiore sarà vera e fertile, quindi non auto-centrata: bisogna guardarsi dentro con l’aiuto soprannaturale, frutto di assidua preghiera.
C’è un solo segreto in cui bisogna entrare sempre con l’aiuto della preghiera. Attorno a noi ci sono gli altri: i benestanti più poveri dei poveri perché arrotolati su se stessi, privi (più o meno) della luce trascendente, cioè della luce che è oltre un orizzonte da conquistare.
E’ indispensabile la pratica ascetica che opera lo sgombero della cenere non utilizzata per rendere fertile il nostro operare. Le opere e le devozioni possono essere vuote del senso di Dio. La quaresima dovrebbe insegnarci questo lavoro di fertilizzazione di ciò che si è e che si fa.

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