venerdì 2 febbraio 2018

V DOMENICA T. O. anno B


Mc 1, 29-39
29E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. 35Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. 36Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. 37Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.


Gb 7,1-4.6-7

Giobbe parlò e disse: / «L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra / e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario? / Come lo schiavo sospira l’ombra / e come il mercenario aspetta il suo salario, / così a me sono toccati mesi d’illusione / e notti di affanno mi sono state assegnate. / Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”. / La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba. / I miei giorni scorrono più veloci d’una spola, / svaniscono senza un filo di speranza. / Ricòrdati che un soffio è la mia vita: / il mio occhio non rivedrà più il bene».

Sal 146

È bello cantare inni al nostro Dio, / è dolce innalzare la lode. / Il Signore ricostruisce Gerusalemme, / raduna i dispersi d’Israele. / Risana i cuori affranti / e fascia le loro ferite. / Egli conta il numero delle stelle / e chiama ciascuna per nome. // Grande è il Signore nostro, / grande nella sua potenza; / la sua sapienza non si può calcolare. / Il Signore sostiene i poveri, / ma abbassa fino a terra i malvagi.

1Cor9,16-19.22-23
Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.

 

C O M M E N T O

Siamo di fronte a letture liturgiche meravigliose e ad una pericope evangelica che, da sola, basterebbe a ritrarre la figura di Gesù aldilà di ogni forma d’arte. Il volto sembra illuminato dalla sua preghiera e dal suo agire, fatto di dono di sé a chi soffre nel corpo e nello spirito.

 

1. BREVE PREMESSA e ANALISI DEL TESTO

 

In continuità con i vv.21-28 letti la scorsa domenica, il brano di oggi descrive la conclusione di una giornata tipo di Gesù. Egli si trova a Cafarnao in giorno di Shabbàt, e, dopo aver partecipato alla liturgia sinagogale, continua a celebrarla in casa di Pietro, in un clima familiare.
Al tramonto del sole succede il riposo notturno; terminato il quale, continua il  ministero di Gesù, esteso a tutta la Galilea.
Le sequenze dell’annuncio non sono cronaca destinata a far sapere cosa abbia fatto, ma sono volte a proporre l’approccio al mistero della salvezza di Cristo in maniera tanto efficace da rivoluzionare la vita di chi ascolta.
vv. 29-31 Gesù, entrando nella casa di Pietro, guarisce la suocera di Pietro, a letto per la febbre. Nella tradizione ebraica la febbre poteva essere anche conseguenza e sintomo di una condizione di peccato (Dt 28,15-18). Ma l'episodio illustra la guarigione della donna come espressione della sua misericordia nel prendersi cura dello stato umano in condizione di precarietà, sia spirituale sia fisica. Nell’operare la guarigione a cui si è accennato è eloquente un particolare: Gesù prende per mano l’ammalata. In realtà il verbo usato è egeiro, io arreco sollievo (da), che è usato altrove per indicare la risurrezione di Gesù, mentre in questo caso pare voglia indicare che la guarigione comporta una nuova vita, un nuovo rapporto con Dio.
Il fatto che la donna, una volta guarita, si ponga subito al servizio, non solo di Gesù, ma anche dei suoi discepoli, significa il pieno coinvolgimento della donna nella realtà comunitaria in tutte le sue componenti, tanto che vengono superate le barriere della discriminazione sessuale (oggi definita ‘differenza di genere’).
vv. 32-34 Dopo la notte del sabato, Gesù guarisce molti malati e indemoniati, che vengono portati da Lui. Egli è completamente assimilato a coloro che vivono nelle peggiori condizioni: emarginazione, sofferenza fisica e non fisica, solitudine, abbandono... E sappiamo come in tali situazioni prende forma l’emarginazione, in seno alla quale guadagna spazio il demonio (figura che attecchisce soprattutto nell’immaginazione della gente comune non edotta).
Gesù scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Si può supporre che i demoni conoscessero, sì, la realtà della sua persona, ma secondo modalità che corrispondevano alle attese tipiche di un messianismo nazionalistico. Facendoli tacere, Gesù cerca quindi di impedire che la propaganda non richiesta dei suoi avversari getti sulla sua persona l’ombra di gravi malintesi (segreto messianico).
v.35  Al mattino presto si alzò quando ancora era buio, e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava.
Il tema della notte, del buio e delle tenebre attraversa un po' tutta la Scrittura, fin dai primi versetti, quando la luce appare come prima manifestazione della forza d'amore di Dio, che crea e che salva. Come alle tenebre segue la luce e alla notte il giorno, parallelamente per la Bibbia anche al buio segue la luce nuova della salvezza e dell'incontro con Dio.
Intanto Gesù si ritira a pregare da solo ed in un luogo deserto, in campagna o in montagna, dimorandovi  notti intere e pregando. La sua preghiera è lezione esemplare, prova evidente della sua umanità bisognosa di contatto col Trascendente, col Padre del cielo.
vv.36-37 Attraverso le ricerche dei suoi, Gesù viene trovato, ma Egli non pensa di trattenersi con loro. 
v.38 Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!
L’abbandono di Cafarnao non significa che Gesù si rifiuti di compiere quei segni che avevano suscitato tante speranze tra la gente. Egli vuole soltanto evitare che i miracoli, invece di essere compresi come segni del regno di Dio che viene, siano sfruttati semplicemente a scopi egoistici.
Egli tira per la sua strada, guardando sempre all’ulteriore bene a cui assolvere; e non per ‘voglia di fare’, come può capitare a tanti che attraverso il dono di sé vogliono realizzarsi. Il bene per essere davvero tale non dovrà ritornare indietro in termini di gratitudine o di gratificazione, ma servire da fondamento alla realizzazione di altro bene. La legge del dono si differenzia da ogni altra legge perché non è mai dovuto, bensì gratuito: nessun vincolo alla restituzione per chi lo dà, nessun dovere di ripagarlo per chi lo riceve…
Bella, a questo proposito, l’immagine del salmo proposto dalla liturgia: il Signore raduna i dispersi d’Israele. / Risana i cuori affranti / e fascia le loro ferite.
Quanto detto è in un certo senso commentato in un altro passo che la liturgia ci fa leggere nella prima lettera ai Corinzi di Paolo: Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone.
v.39 Il verbo annunciare si trova all’inizio e alla fine del testo. Il termine kêryx, che in origine indicava colui che, per incarico del principe o dello stato, proclama a voce alta, quindi rendeva nota con voce chiara e comprensibile una notizia a lui affidata. Da questo sostantivo è nato il verbo kērýssō, che indica l’attività dell’araldo. Attraverso questo verbo, mal tradotto con il termine predicando, il testo vuole evidenziare quanto sta a cuore a Gesù la la proclamazione (o annuncio) del regno di Dio, che sarà realizzato in pienezza nella sua resurrezione.

 

2. STRALCI DALLA PASTORA LIDIA MAGGI  

 

… (Oggi) ci troviamo nella medesima situazione dei primi cristiani, in un mondo in cui, con la distruzione del Tempio di Gerusalemme e con  e i primi sintomi di un Impero in fase decadente, le esperienze consolidate erano messe in questione… Ma allora, il fascino dell’evangelo, la prospettiva di una liberazione, in grado di affascinare donne e uomini, pubblicani e schiavi, era una potente spinta propulsiva a tentare la strada della ecclesia.
E duemila anni dopo? Per noi, la crisi da fronteggiare è anche il frutto avvelenato dell’operato delle chiese. Un soggetto comunitario può essere riconosciuto e preso in considerazione solo se si presenta credibile e in grado di aprire sentieri promettenti. Le chiese non possono sfilarsi dal naufragio, attribuendo le responsabilità all’imperizia di navigatori increduli.
Sento un po’ strette quelle analisi, pur puntuali e acute, di cui le chiese si fanno portavoce, senza che traspaia una seria autocritica. Come se il soggetto ecclesiale fosse stato del tutto marginale, in questi due millenni che hanno progetti minimali, dove ciò che conta è il dare forma a una casa abitabile.
I quattro racconti evangelici, mi sembra, funzionano così. Danno forma a quattro comunità, unite dalla medesima passione per l’evangelo, perseguita però seguendo ipotesi di lavoro differenti.
Hanno qualcosa da suggerire anche alla nostra cristianità stanca e delusa, che sembra aver mollato il colpo rispetto al sogno di Gesù? Possono parlarci anche in un contesto, in cui si va ognuno per sé?
Non saprei. Intendetemi bene: personalmente, credo nella Parola e nella sua potenza. Ma ciò non toglie che ci siano momenti storici in cui non resta che rilevare la sua inoperosità, a causa nostra, come ha dovuto constatare Giosia (2Re.22). Che - come suggerisce il Qohelet - ci sono diversi  tempi, opposte stagioni. E a chi crede non è risparmiata l’esperienza di vivere periodi in cui è rara la Parola. Anzi, di patirne l’assenza, senza che il vuoto venga colmato (Amos 8,11-12). La Parola, cioè, non va in automatico. E le chiese non possono nutrire la pretesa di averla a propria disposizione. Anche nei confronti della Parola attestata nelle Scritture è necessario uno stile differente, un approccio più cauto, consapevole degli abusi e delle pretese di questi due millenni.
Indossando la veste penitente di chi quella Parola l’ha già letta, sovente abusandone, e riconciliandoci con la precarietà fallibile della nostra storia, possiamo tentare lo sguardo mobile dello spettatore capace di scorgere il naufragio e, insieme, di riconoscere il cantiere, da cui potrà uscire una nuova nave, costruita con i relitti della precedente e con altro materiale (Matteo 13, 52: cose nuove e cose vecchie!).
Come si sottrae la sorte della Parola a questa deriva dell’insignificanza? E, di riflesso, come andrà ripensato quel ministero della Parola, il cui senso non sta nell’organizzare incontri e offrire bei sermoni, ma nella missione impossibile di lasciare irrompere e far risuonare una Parola altra, creatrice di una comunità alternativa alla logica mondana? Come può riacquisire autorevolezza la Parola, ora umiliata e offesa? Scartiamo l’ipotesi di lavoro che occorra ristabilire un’autorità indiscussa - ma non lo facciamo con supponenza, perché vi è ragionevolezza anche nel battere questo sentiero. Ipotesi che sembra guadagnare consenso nel disorientamento attuale e che non fa che riproporre la questione del potere e della forza necessaria per acquisirlo e mantenerlo. Ipotesi legittima e legittimata da una storia secolare, che ha battuto la strada della presa di potere al fine di realizzare quanto si proponeva. Ipotesi che, oggi, non necessariamente si tradurrebbe in prese di palazzi d’inverno, con relativa eliminazione del personale lì acquartierato. Si può agire a colpi di click e con strette di mano fatte con le persone giuste, influenti.
Gesù, però, non ha battuto questa strada. Alle autorità regnanti, ha contrapposto una sua autorevolezza, guadagnata sul campo, lungo le strade della Galilea, della Giudea e della Samaria, e non sedendo a corte, dettando legge e promulgando sanzioni.
Come possiamo, oggi, ritrovare un’autorevolezza simile, per quanto non uguale a quella del Cristo, la cui unicità non ci compete?
 
Interrompo qua la citazione, accettando, però, gli interrogativi che si aprono per tutti i credenti in Cristo.
Sostiamo per riflettere che Gesù, prima di ‘fare’ si nutre di preghiera.
meditiamo le parole del testo quanto mai incisive: Gesù, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava.
Abbiamo bisogno dei consigli dei mistici per IMPARARE A PREGARE.
Ecco alcune citazioni che possono aiutarci.

 

3. LA PREGHIERA DI GESU’ E DEI MISTICI

Ignazio di Loyola - Pregare è seguire Cristo che va tra gli uomini, quasi accompagnandolo.
Giovanni Crisostomo -  L’uomo che prega ha le mani sul timone della storia.
Bernardo di Chiaravalle - I tuoi desideri gridino a Dio. La preghiera è una pia tensione del cuore verso Dio.
Tertulliano  - La preghiera lava i peccati, respinge le tentazioni, spegne le persecuzioni, conforta i pusillanimi, incoraggia i generosi, guida i pellegrini, calma le tempeste, arresta i malfattori, sostenta i poveri, ammorbidisce il cuore dei ricchi, rialza i caduti, sostiene i deboli, sorregge i forti.
Maestro Eckhart - Perchè preghiamo?... Perchè Dio nasca nell’anima e l’anima rinasca in Dio… Un essere tutto intimo, tutto raccolto ed uno in Dio: questa è la Grazia, questo significa Iddio con te.
Teresa d’Avila - L’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente tratteni-mento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo d’essere amati…
La porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l’orazione. Se Dio vuole entrare in un’anima per prendervi le sue delizie e ricolmarla di beni, non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, pura e desiderosa di riceverlo.
Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando.
… Nel cominciare il cammino dell’orazione si deve prendere una risoluzione ferma e decisa di non fermarsi mai, né mai abbandonarla. Avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succedere, mormori chi vuole mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare, ma piuttosto di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presentano, si tenda sempre alla méta, ne vada il mondo intero.
Pensate di trovarvi innanzi a Gesù Cristo, conversate con Lui e cercate di innamorarvi di Lui, tenendolo sempre presente.

Etty Hillesum [dall’inferno di Auschwitz dove venne cremata viva con altri ebrei. Le sue parole vorrei inciderle nel mio cuore per non dimenticarle mai. Qui un semplice assaggio:]

Credo di essere arrivata pian piano a quella semplicità che ho sempre desiderato.

… Sento di essere tutt’uno con la vita.

… E dovunque si è esserci, esserci ‘cento per cento’. Il mio ‘fare’ consisterà nell’essere!... D’altra parte, so che devo aspettare con pazienza che le mie parole crescano. Ma devo anche aiutarle…

Non dico più ‘Sono così infelice’, ‘non so più che fare’, ‘questo non m’importa più niente’...

Trovo bella la vita e ricca di significato, e mi sento libera …  e continuo a lodare la creazione, malgrado tutto… C’è un’arte del dolore.

  Ad ogni nuovo  crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà.

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