venerdì 20 dicembre 2013

L'annuncio a Giuseppe

IV DOMENICA DI AVVENTO
Is7,10-14
In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».
Rm1,1-7
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!
Mt1,18-24
18 Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20 Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. 21 Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. 22 Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: 23 a lui sarà dato il nome di Emmanuele»”, che significa “Dio con noi”. 24 Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
L'ANNUNCIO A GIUSEPPE
Breve preambolo
Tutti e quattro gli evangelisti hanno la preoccupazione costante di gettare un ponte tra i due Testamenti, in modo da inserire la figura di Gesù nella continuità col passato e nella realizzazione della sua missione, fino alla crocifissione e risurrezione.
In questo primo periodo dell’anno liturgico l’attenzione è tutta mirata all’infanzia di Gesù, della quale riferiscono soltanto Matteo e Luca, nonché gli apocrifi, ma non Marco né Giovanni. Matteo descrive l’annuncio rivolto a Giuseppe, a differenza di Luca che si occupa di quello rivolto a Maria.
La prima lettura
Acaz, re di Giuda dal 732 al 715 circa, aveva subito la minaccia, da parte dei re di Siria, di rovesciamento dal trono: avrebbero sostituito al suo figlio nascituro un tale chiamato Tabeel, che simpatizzava con la loro causa. L’oracolo di Dio (e cioè lo stesso Isaia) lo rassicura con un segno della sua (di Dio) protezione, ma Acaz avanza la scusa di non voler tentare il Signore. Furioso, Isaia lo accusa non solo di mettere a dura prova la pazienza dei suoi sudditi, ma anche quella di Dio; e, sebbene il re non lo volesse, Isaia gli dà un segno: una vergine avrebbe presto partorito un figlio e, prima ancora che il piccolo fosse stato svezzato, la Siria e Israele sarebbero stati sconfitti. Il bambino chiamato Emmanuele sarebbe stato un segno, sia della fine della minaccia presente, sia della fine della futura devastazione di Giuda.
Isaia 7,14, parlando della vergine, usa il vocabolo generico almah che significava donna abilitata al matrimonio. Secondo la prassi sociale e la morale antica d'Israele, la donna da matrimonio doveva essere vergine fisiologicamente, ma il profeta non vuole mettere l'accento su questo dato; non per nulla il nome del nascituro sarebbe stato Emmanuele, che in ebraico significa Dio-con-noi.
I primi cristiani interpretarono la profezia in riferimento alla venuta di Gesù come Messia, e questo è rimasto un punto di controversia tra cristiani ed ebrei. La polemica sarebbe passata anche nei rapporti tra cristianesimo e paganesimo.
La seconda Lettura 
Paolo è in procinto di presentarsi alla comunità di Roma, e deve in qualche modo accreditare la sua persona, sempre soggetta a giudizi contrastanti in ogni luogo dove si è recato. Si presenta dunque come "servo di Cristo Gesù", titolo biblico, che riunisce umiltà e fierezza, poiché Paolo è consapevole di non essere nulla e di dovere tutto al Salvatore, ma nello stesso tempo manifesta la fierezza per la propria missione. A questo punto inserisce una breve presentazione del vangelo, nella forma di una antichissima professione di fede in Gesù, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti”. Egli, secondo la carne, è erede delle promesse davidiche, in continuità con la storia di salvezza avviata con Abramo; secondo lo Spirito, supera enormemente quelle stesse promesse, ed è portatore di una realtà assolutamente nuova: la risurrezione dai morti, lo spirito di santificazione (cioè la giustificazione presso Dio), il suo essere attualmente "Figlio di Dio con potenza": nel senso che propone la salvezza in modo nuovo [certamente non era in grado di alludere al Figlio di Dio in senso metafisico, come faranno i concili cristiani in seguito].
Parlando di “obbedienza alla fede da parte di tutte le genti", Paolo accenna ai ‘suoi’ temi: l'estensione della redenzione di Cristo a tutti i popoli e la sua configurazione come "obbedienza alla fede". In questo si mostra non solo depositario di una tradizione, ma anche suo geniale attualizzatore.
Il brano di Matteo
Nella galleria di personaggi che preparano al Natale, Matteo pone in primo piano la figura di Giuseppe. offrendo il suo punto di vista su tutta la vicenda della nascita di Gesù. Se sovrapponiamo i vangeli di Luca, il quale presenta l’annuncio a Maria anziché a Giuseppe, e di Matteo, scopriamo, non una contraddizione, bensì una dilatazione: l'annuncio è rivolto alla coppia, al giusto e alla promessa sposa, quindi vergine. 
ANALISI DEL TESTO
18 Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Dopo aver aperto il suo vangelo con la solenne genealogia di Gesù, o meglio di Giuseppe, figlio (cioè discendente) di Davide (Mt 1,1-17), l'evangelista deve spiegare in che modo Gesù sia anche il Figlio di Dio. Lo fa in questa pericope, spiegando che il suo modo di essere generato è in relazione ai due, Maria e Giuseppe, coinvolti nell’avvenimento in due modi diversi: Maria è detta promessa sposa di Giuseppe (il fidanzamento ebraico costituiva un vero e proprio vincolo giuridico, anche se poteva precedere di uno o due anni il matrimonio e quindi la coabitazione; la sua violazione era considerata adulterio); la maternità di Maria è opera dello Spirito Santo, ossia di Dio (l'evangelista molto probabilmente pensa ad un intervento vicino a quanto è descritto in Gn 1,1-2).
La fede della chiesa primitiva nella verginità di Maria fu causa del sorgere di testi giudaici, secondo cui Gesù era un figlio illegittimo di Maria; una eco di queste accuse è forse anche in Gv 8,41, dove i giudei rinfacciano a Gesù: "noi non siamo figli di prostituzione". 
19 Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Il testo mette in evidenza che Giuseppe si trova in una situazione difficile: la sua giustizia è quella del pio israelita che vuole seguire la Legge del Signore; nello stesso tempo a lui sta a cuore proteggere Maria, non esponendola ad un procedimento giudiziario che la disonorerebbe in pubblico. La decisione di non ricorrere al ripudio pubblico è segno, sì, della sua docilità all’annuncio, ma forse  anche del suo amore incondizionato per Maria.
 20 Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 
Mentre però stava considerando queste cose: l’indugio di Giuseppe mostra la serietà con cui egli elabora il suo dramma interiore; dramma che, probabilmente, non era dissimile da quello che si consumava in Maria, la quale serbava tutte queste cose (relative alla nascita di Gesù) meditandole nel suo cuore (Lc 2,19).
Nell’ecco: si ripete lo schema classico dell’AT, dove  l'annuncio della nascita di un figlio, destinato ad una eccezionale funzione in ordine alla salvezza, era aperto così;
gli apparve in sogno: nell'AT il sogno era il modo attraverso il quale Dio parlava ai patriarchi e interveniva per far conoscere i suoi piani di salvezza;
un angelo del Signore: sia il termine greco, angelos, sia quello ebraico, la'k, significavano messaggero.
Giuseppe, figlio di Davide: il ruolo di Giuseppe, nel piano divino, è quello di assicurare legalmente l'appartenenza del figlio di Maria alla casa di Davide.
21 ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati.
Maria sarà la madre naturale di questo bambino, e sarà Giuseppe ad imporgli il nome al momento della circoncisione.
Il nome Gesù è una forma greca del nome ebraico Yeshua, abbreviazione di Joshua che significa 'Dio aiuta', ma anche 'Dio salva', con riferimento alla radice ebraica ys, che vuol dire salvare; infatti a lui sarà affidata una missione: salverà il suo popolo dai suoi peccati  (questa idea verrà ripresa nel racconto degli Atti -2,21; 4,12).
22 Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio”:
Siamo di fronte alla prima citazione di adempimento (cfr. Is 7,14 e Is 8,8.10). Matteo forse si serve di antologie compilate dai primi cristiani in cui si elencavano citazioni bibliche che ben si accordavano con ciò che essi credevano di Gesù Cristo. Il termine vergine, in greco parthenos, traduce quello ebraico alma, che significa giovane donna. 
23 a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi.
24 Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
In Giuseppe abbiamo l'esempio dell'uomo di fede che ascolta e mette in pratica la Parola di Dio. Egli prende con sé Maria, la sua sposa promessa, e insieme a lei la missione di dare carne al Dio che si rivela.
Ritagli da
Comunità Kairos - L’ubbidienza di Giuseppe è silenziosa: né qui né altrove dirà mai una parola. E’ l’uomo del silenzio, dell’ascolto e del fare: “prende con sé” Maria (v.24), e con lei tutto il piano di salvezza.
P. Curtaz - Non sappiamo molto di Giuseppe. Presumiamo che fosse un bravo e onesto ragazzo del paese, nulla di più. Ma Matteo sottolinea che è l’unico a sapere di non essere il padre naturale. Osiamo immaginare la sua notte insonne di maschio ferito? Giuseppe è il patrono silenzioso di chi aveva dei progetti ed ha accettato che la vita glieli sconvolgesse. Dio ha bisogno di uomini così, di credenti così.
E. Ronchi - Giuseppe sca­va spazio nel suo cuore e accoglie quel bambino non suo. Ogni giorno Dio  pone anche accanto a noi persone come angeli, an­nunciatori dell'infinito, e talvolta persone che hanno biso­gno di noi.
A. Casati - Emmanuele è un nome che ha fatto anche cattiva strada: i nazisti lo usarono come slogan: "Dio con noi", traduzione di Emmanuele. Lo gridarono e lo pretesero, mentre colpivano e sterminavano milioni di persone. Sterminare è già sacrilegio, ma dire poi che si ha Dio dalla propria parte è sacrilegio ancor più paradossale. Questo nome è il segno della vicinanza di Dio; attraverso Gesù possiamo dire: "Dio è con noi". Accanto a quel nome possiamo mettere i nomi nostri e quelli degli altri.
Mia suggestione - Se leggo questo brano e gli altri due proposti dalla liturgia cercando di interrogarmi profondamente, debbo prescindere da ogni lavoro esegetico, anche se esso mi aiuta a mettere a nudo il significato veridico dell’episodio e delle frasi riportate. Ma in me non ha risonanza profonda nessun tipo di veridicità. Lo ha invece la possibilità di rintracciare (con l’aiuto della preghiera) la mano di Dio attraverso ogni fatto del quotidiano e ogni contatto con l’altro, concretamente vicino o lontano, fosse pure mai visto o sperduto oltre i confini della terra, reietto e condannato per sempre (!) dalla giustizia umana. Questa umanità ha bisogno di un amore incarnato, come in Gesù.

giovedì 12 dicembre 2013

DOMENICA III DI AVVENTO

DOMENICA III DI AVVENTO
Fil 4,4.5 (antifona d’ingresso)
Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino.
Is35,16.8-10
Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

Gc11,7-10
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

MT 11,2-11
2 In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: 3 “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. 4 Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5 I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6 E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!7 Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8 Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9 Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10 Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. 11 In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.

QUADRO D’INSIEME SULLE LETTURE
Questa terza domenica di Avvento è posta a metà delle domeniche antecedenti il Natale [a titolo informativo ricordo che la liturgia invita ad usare il paramento rosaceo il quale, diversamente dal viola usato nelle altre domeniche, vuole colorare il tempo dell’avvento di speranza gioiosa].
Nell’attesa del Natale, le letture propongono sentimenti di gioia. Questa è conseguente alla pazienza dell’attesa e alla fiducia nell’esaudimento delle promesse di Dio.
a) Il gaudete è tratto dalla lettera paolina ai Filippesi, come anticipo alla gioia natalizia.
b) Il brano tratto da Isaia risale a sette secoli prima di Cristo, quando il popolo della Giudea deportato a Babilonia, dopo anni di schiavitù aveva perso ogni speranza di liberazione e si era abituato alla sua condizione. Del resto, Gerusalemme era stata completamente distrutta e il glorioso Tempio era stato ridotto ad un cumulo di rovine. A Babilonia era nata la liturgia sinagogale, ove non si facevano sacrifici, ma si ascoltava e si commentava la Parola di Dio. [C’è da precisare che il giudaismo ebbe origine proprio in questa situazione. Esso consisteva di un importante movimento di pensiero - cultura, religione, studio della Scrittura sacra - che esprimeva a suo modo il principio dell'incarnazione della Parola di Dio nella società del tempo. Si riscrisse addirittura la Bibbia: il cosiddetto codice sacerdotale risale a quegli anni].
Il profeta, volendo infondere coraggio agli oppressi –ciechi, zoppi, sordomuti- parlava di gioia attraverso l’ immagine del risveglio della natura, così come la si contemplava nella cordigliera verde e feconda del Libano, i cui cedri mitologici offrirono il legno per costruire il tempio di Dio in Gerusalemme.
c) Giacomo riporta parole realizzate in Gesù, mandato a portare ai poveri la Buona Notizia della salvezza. Ricorda alla sua comunità che la salvezza giunge a chi ha saputo vivere l’attesa. Come il contadino attende con pazienza il fruttificare del suo terreno e delle sue piantagioni, e nel frattempo è tenuto a bonificare, vangare, zappare il terreno, così anche chi è avvinto dalla nuova dimensione del Regno è tenuto ad esercitare la stessa pazienza e costanza nell'attesa. Il Regno di Dio apporterà i suoi benefici di gioia, di benessere e di pace duratura, quando si verificherà un rinnovamento radicale nelle coscienze.
d) Nel vangelo di Matteo ricompaiono i segni della vittoria maturata dalla prova, dei quali aveva parlato Isaia: i ciechi vedono, i muti parlano, i lebbrosi sono guariti… La citazione funge da risposta per rassicurare Giovanni sull’identità messianica di Gesù, il quale, rivolgendosi alle folle, addita nello stesso Giovanni il suo precursore.
ANALISI DEL TESTO LUCANO
2 Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli:
3 "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?".
Sappiamo già da Mt 4,12 che Giovanni è stato incarcerato; da lì viene a conoscenza, presumibilmente attraverso i suoi discepoli, di quanto compie Gesù. Evidentemente l'idea che egli si era fatta del Messia non trovava pieno riscontro nell'operare di Gesù, tanto da inviare dei discepoli per chiedergli: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?". Questa domanda trasmette due dati importanti. 1) l'attesa del Messia, molto forte nel I secolo, aveva diverse espressioni: alcuni si aspettavano un liberatore politico e militare, altri un restauratore religioso, altri un giudice giusto che avrebbe chiuso la storia e inaugurato un'era nuova; 2) il messianismo di Gesù presentava aspetti nuovi, nonostante che gli evangelisti nei loro testi si sforzassero di presentare Gesù di Nazareth come colui che compie la promesse di Dio. Giovanni (il nome  significa “il Signore fa grazia”) continua ad attendere il Veniente. E proprio tale attesa lo relega nel deserto e nella prigione, mentre si tramuta in speranza per le folle che andavano a lui nel deserto e per i discepoli che andavano a trovarlo in prigione.
4 Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete:
Gesù non risponde direttamente alla domanda di Giovanni, ma rimanda alle sue opere:
5 i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo.
Matteo si riannoda a quanto aveva narrato nei capitoli precedenti, tutti in riferimento implicito a testi del profeta Isaia, in cui le guarigioni erano il segno dell'avvento dell'era messianica. L'effettiva concretezza dei prodigi dimostra che il Regno di Dio è presente attraverso le opere di Gesù, non perché prodigiose, bensì  perché rivelative della misericordia di Dio.
6 E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!.
Questa beatitudine riassume in certo modo quelle del capitolo 5 e 6, in cui effettivamente i familiari di Gesù e i farisei saranno scandalizzati dall’atteggiamento di Gesù. Del resto anche Giovanni sembra scandalizzato o quanto meno dubbioso davanti alla sua predicazione e alle sue opere.
7 Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?
Gesù si rivolge ora ai presenti con domande su Giovanni, in cui è facile veder riprodotta la sensazione che avevano ricavata quanti, recatisi da lui, avevano osservato il suo comportamento ed erano rimasti colpiti della sua eccezionalità. L'immagine della canna fa riferimento sia alle rive del Giordano dove il Precursore battezzava, sia alle monete fatte coniare da Erode su cui essa compariva; inoltre una canna sbattuta dal vento è immagine di una persona capace di cambiare bandiera, passando sempre dalla parte del vincitore, cosa del tutto contraria al modo di essere di Giovanni.
8 Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re!
Si attua in modo indiretto anche un confronto tra Giovanni ed Erode e la sua corte, per mostrare il contrasto tra la figura austera e coerente del primo e il lusso vuoto ed opportunista del secondo.
9 Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta.
10 Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via.
Per la terza volta Gesù chiede ai suoi interlocutori cosa siano andati ( o meglio riusciti) a vedere. La sua insistenza è tesa a dimostrare quale è il ruolo di Giovanni il Battista. Matteo rafforza l'idea, già presentata al capitolo terzo, dell'identificazione di Giovanni con Elia, colui che prepara l'avvento del Regno di Dio, cioè del Messia.
11 In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Introdotta dalla formula classica in verità io vi dico, l'affermazione di Gesù acquista un forte rilievo e segna un netto passaggio tra un prima, il tempo dei profeti e delle promesse, ed un dopo, il tempo del compimento. Giovanni appartiene al primo tempo della storia: egli ha raggiunto il vertice tra tutti i profeti che hanno predetto la venuta del Messia e per questo ha voluto spendere la sua vita nella continua mortificazione corporale e nell'indigenza; ora che il Messia è venuto, Giovanni si pone nella schiera dei senza-potere, come il più piccolo tra di loro.
L’ATTESA DI SALVEZZA NELL’OGGI
La vera attesa del Natale non è quella della salvezza eterna, a meno che non la facciamo coincidere con la vita vissuta accanto a chi ha bisogno. Non è questa la quintessenza di ciò che si racconta nelle letture di oggi?
Mi affido ad alcune testimonianze.
a) Oscar Romero, in un’omelia del 11 dicembre 1977, commentava così:
Gesù, rispondendo agli emissari del Battista, offre il criterio della sufficienza e dell'autenticità dell'oggetto della nostra speranza come esseri umani: li dove si fa il bene, li dove si libera l'essere umano dalle sue oppressioni, ossia, li dove "i ciechi vedono e gli storpi camminano", e dove "ai poveri è annunciata la Buona Notizia, lì sta "colui che dobbiamo aspettare", colui che è oggetto certo della nostra speranza come esseri umani. In tempi di crisi, di transizione e di nuova alba, la domanda del Battista è comune: perché non risolverla dialogando?
b) P.Curtaz racconta un simpatico aneddoto:
Un giorno Giulia ricevette un fresco mazzo di fiori in ufficio. Stupita, visto che non ricorreva nessun anniversario in quel giorno, cominciò a chiedersi chi gliel'avesse mandato. Ripercorse mentalmente tutte le persone che le volevano bene, o a cui aveva fatto un favore; nulla. Tutto il giorno scrutò volto per volto, senza trovare una ragione sufficiente per un gesto del genere. A sera, a casa, squillò il telefono. Era Carla, sua amica d'infanzia. Disse: "I fiori te li ho mandati io, dopo averti visto così depressa ieri. Senza biglietto, così che tu passassi la giornata a pensare a quante persone ti vogliono bene e avrebbero potuto mandarteli".
c) Anch’io avevo capito che l’attesa fiduciosa produce una gioia più intensa dell’appagamento immediato, e m esercitavo a fare ‘fioretti’, sicura di trovare il vero godimento da preferire a quello immediato; e nel mio intimo mi dissociavo da quello che mi insegnavano nelle lezioni di catechismo  sulla vita eterna, fatta di paradiso, inferno e purgatorio [il copione dell’insegnamento sbagliato purtroppo si perpetua ancora]. La dissociazione era operazione che si consumava e seppelliva dentro di me, perché avevo la sensazione che nessuno mi avrebbe capito. Ma –cosa strana- rileggo la mia esperienza di bambina (purtroppo) precoce attraverso la lettera scritta da un uomo, che si dichiara uomo ombra, a Papa Francesco; vive in isolamento, ma avevo potuto scrivergli attraverso persone che si prodigano attorno a chi vive la stessa condanna. Ora egli, sempre tramite tali persone, mi ricambia, facendomi giungere in allegato ad una mail, la sua lettera a papa Francesco. L’ergastolano è
Carmelo Musumeci:
Papa Francesco, scusa, sono di nuovo io, ti ho già scritto una volta. E lo rifaccio ancora. So che in questi ultimi tempi, da quando hai abolito l’ergastolo in Vaticano, ti stanno scrivendo molti ergastolani per chiederti di fare qualcosa anche per loro. Io invece questa volta se scrivo di nuovo è per raccontarti un episodio della mia infanzia.
Papa Francesco, una volta in collegio un prete mi raccontò la storia di un bambino che parlava  con Gesù. Si chiamava Marcellino. Era un trovatello. E i frati si erano presi cura di lui. Un giorno Marcellino aveva trovato  nel solaio del convento un grande crocefisso con un Gesù inchiodato. Lui iniziò a parlargli. E Gesù a rispondergli. Marcellino iniziò pure a portargli un po’ di pane e vino. E per questo in seguito i frati chiamarono il bambino “Marcellino pane e vino”. La storia finiva bene. Bene per modo di dire, a seconda dei punti di vista: Marcellino si era gravemente ammalato. Ed era morto. E Gesù se l’era portato in cielo.
Papa Francesco, anch’io volevo che la mia storia finisse bene. E dopo un paio di giorni che avevo sentito questo racconto ero andato in chiesa di nascosto per parlare con Gesù. Lui stava inchiodato in un grosso crocefisso di legno con la testa inclinata  da un lato. Gli parlai guardandolo negli occhi. Gli domandai cosa dovevo fare nella vita. Se c’era differenza fra morire e vivere. E poi piansi davanti a lui per essere nato diverso dagli altri bambini. Piansi per i sogni che avevo diversi  dagli altri bambini. Piansi per essere nato grande. Piansi per essere nato senza amore intorno a me. Piansi perché immaginavo che un giorno sarei diventato quello che non avrei voluto. Piansi per la vita che non avrei mai avuto. Piansi perché non riuscivo a smettere di piangere.
Papa Francesco,  quel giorno chiesi a Dio se faceva morire anche a me. E se mi portava in cielo con lui,  come aveva fatto con Marcellino. Una volta montai persino su una sedia per arrivare fino a lui per baciargli la fronte. E per dirgli in un orecchio: “Ti voglio bene”. Un’altra volta cercai di togliergli la corona di spine che aveva in testa. Un giorno piansi per tanto tempo, ma se il cuore di Dio è duro, quello di Gesù lo fu ancora  di più, perché continuò a non rispondermi.
E un altro giorno vidi persino che Gesù abbassava gli occhi per non guardarmi.
Papa Francesco, devi sapere che Gesù non mi rispose mai. Non mi parlò il primo giorno. E neppure tutti gli altri giorni che lo andai a trovare di nascosto. Neppure quando, per arruffianarmelo, gli portai un po’ di pane e un po’ di vino che avevo rubato dalla dispensa dei preti. Si potrebbe dire che il primo furto l’ho fatto per Gesù. E per ringraziamento lui non si degnò mai di scendere neppure un attimo da quella croce. Non mosse mai un muscolo. Neppure quella volta quando lo abbracciai. Quando gli baciai i piedi inchiodati nella croce. E quando lo pregai di farmi morire come aveva fatto con Marcellino pane e vino. Già a quell’età non vedevo nessuna differenza fra vivere e morire.
Papa Francesco, a quel tempo qualche preghiera l’avevo imparata, ma le stelle per me non hanno mai brillato. E non c’è stato nulla da fare. Nonostante le mie preghiere Gesù non mi rispose mai. E mentre quel fortunato di Marcellino pane e vino se lo era portato in Cielo, a me aveva lasciato in questo disgraziato di mondo.
Papa Francesco, ti ho raccontato questo episodio della mia infanzia perché nella mia prima lettera ti avevo scritto che gli uomini ombra del carcere di Padova ti aspettavano, io per primo.
Tu però non sei venuto, non ancora. Lo so che hai tante cose da fare, devi vedere tante persone e non puoi sprecare il tuo tempo per un migliaio e poco più di ergastolani ostativi,  né morti né vivi.
Io lo sapevo che non saresti potuto venire, non so se neppure Papa Francesco potrebbe osare tanto da andare a trovare gli ultimi dannati della terra, ma il bambino dell’episodio che ti ho raccontato, che è ancora dentro di me, crede ancora ai miracoli.

venerdì 6 dicembre 2013

Solennità dell'Immacolata Concezione


IMMACOLATA CONCEZIONE
Genesi 3, 9-15.20
15 Io porrò inimicizia tra te  la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno. 16 alla donna disse: Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà. 17 All’uomo disse: Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cu ti avevo comandato: non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti  giorni della tua vita. 18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. 19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere sei e in polvere tornerai. 20 L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu madre di tutti i viventi.
[Romani 15, 4-9
4 Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. 5 E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni vero gli altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo Gesù, 6 perché con un solo animo e una voce sola rendiamo gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. 7 Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. 8 Dico infatti che Cristo si è fatto servitore dei circoncisi in favore della veracità di Dio, per compiere le promesse dei padri; 9 le nazioni pagane invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: “Per questo ti celebrerò tra le nazioni pagane, e canterò inni al tuo nome”.]
Ef 1,3-6,11-12
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
Luca 1, 26-38
In quel tempo, al sesto mese, 26 L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te. 29 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30 L’angelo le disse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine. 34 Allora Maria disse all'angelo: Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?. 35 Le rispose l'angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36 Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37 nulla è impossibile a Dio. 38 Allora Maria disse: Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola. E l'angelo si allontanò da lei. 
LE PRIME DUE LETTURE
La prima racconta un episodio leggendario ma di forte impatto nell’immaginario umano, tanto da produrre l’impalcatura attraverso la quale si sono costruite le culture sociali e religiose di vari popoli. In quanto tale, l’episodio si connette a miti biblici ed extra-biblici, tutti con lo stesso quid: Adamo subisce la condanna severa per non aver accettato il limite di non mangiare i frutti dell’albero proibito. La sua colpa si è aggravata dopo la condanna perché Dio lo aveva punito soprattutto per la sua mancanza di fiducia nel perdono di Do, e lui si era abbandonato al sospetto, alla fuga dal suo sguardo, alla conseguente paurosa solitudine. Scovato, fa il gioco dello scaricabarile con Eva, la quale a sua volta ritorce incertezze e tentativi di fuga verso il serpente, animale che diventa strisciante: immagine che richiama la soggezione di chi sta prono davanti a chi lo domina.
La lettura del brano di Genesi prepara il terreno per vedere in Maria il prototipo di un nuovo comportamento nei riguardi dei limiti umani e della possibilità di superarli attraverso la diminuzione (che non è disprezzo) di sé. Alla luce di tale ideale, i limiti terreni possono trasformarsi in potenzialità in grado di ristabilire una sorta di parità con lo stesso Dio, o, detto con i mistici, di gioco di amore tra Dio ed essere umano.
La seconda, pertinente alla tematica di cui sopra, non viene letta per dare spazio alla lettera agli Efesini, assegnata dalla liturgia alla seconda domenica di avvento. Eppure è proprio la lettera ai Romani che mette a fuoco la tematica riguardante la prima colpa e la redenzione messianica. Su tale piattaforma si può innestare, nell'intenzione dei curatori della liturgia odierna, il discorso sul compimento delle promesse contenute nelle Scritture ebraiche attraverso Maria, quale cooperatrice prima, prototipo della redenzione universale.
ANALISI DEL TESTO DI LUCA
rielaborazione sintetica di studi esegetici

26 L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret.
Ogni civiltà ha coordinate geografiche e storiche con le quali si definisce un ambito circoscritto di umanità e si persegue un’avventura comune. Luca se ne serve per definire l’ambito di umanità in cui si colloca la storia di Gesù. Egli, dopo aver indicato nei precedenti brani del suo vangelo le coordinate storiche - Erode, Zaccaria, Elisabetta, Giovanni Battista - e le coordinate geografiche - la Giudea e la Galilea -, può narrare l’evento che gli sta a cuore; e lo colloca a Nazaret, luogo mai menzionato nell’AT e non legato ad alcuna promessa messianica, e perciò appositamente citato in funzione di segnare la discontinuità con il passato. Il messaggero (o angelo) è lo stesso di cui si fa menzione nelle apparizioni dell’AT, ma ora il messaggio non è più rivolto a rappresentanti dell’istituzione religiosa, bensì a una ragazza del popolo.
27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Il termine vergine (gr. parthénos) significa colei che nel passato non ha avuto relazioni sessuali. Ciò corrisponde agli usi del tempo, quando la promessa sposa non aveva relazioni con lo sposo fino a che non entrava nella sua casa, cioè dopo circa un anno  dal  matrimonio promesso.
E’ facile supporre che Maria, fanciulla del suo tempo, non fosse cosciente di una missione affidata a lei, e perciò avesse tutte le intenzioni di vivere il suo matrimonio con Giuseppe in modo normale, anche perché la verginità consacrata era sconosciuta nella società ebraica del tempo; anzi il non avere una discendenza era segno di maledizione da parte di Dio. E' dunque spiegabile il suo turbamento: non capirsce il senso, o meglio il come, della realizzazione del contenuto del messaggio.
E’ da notare che il messaggio angelico non è rivolto ad una figura maschile, come era avvenuto, anche se non sempre, nel passato. Ciò va detto, non per le gioia delle femministe odierne, ma perché anche nella Bibbia, come in ogni cultura religiosa, il ruolo della donna, pur non assente, è facilmente travisato a seconda del contesto culturale. 
Sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe: come detto, nell’AT le genealogie sono indicate solamente per gli uomini e Luca si sottomette a questa usanza, non senza aver accennato al casato di Elisabetta, e avere aggiunto che il futuro sposo di Maria discendeva da Davide, in modo da porre le carte di giustificazione della messianicità di Gesù: verginità della madre e discendenza davidica.
Di nome Maria. Al nome di Maria sono stati attribuiti almeno sette significati. Probabil­mente è lo stesso di quello della sorella di Mosè, che si chiamava Miriam. Da questo nome deriva Mariam, dalla radice Mar, che significa signora, abbreviazione di Mariame o Mariamme, nomi comuni al tempo degli Asmodei due secoli prima di Cristo.
28 Entrando da lei, disse: rallegrati,: il Signore è con te.
Il rallegrati traduce il saluto greco, colorato di gioia per l’avverarsi degli oracoli profetici.
Piena di grazia: in ebraico normal­mente ci si salutava con Shalom (Pace). Luca invece usa il termine greco Kecharitoméne, che significa piena di grazia; la traduzione in italiano esigerebbe la perifrasi Gioisci, piena del favore di Dio.
Il Signore è con te richiama la promessa di assistenza da parte del Signore, come nei racconti di vocazione dell’AT.
29  A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo.
Ogni vocazione ad un compito profetico è avvolta del fascino del numinoso. Nell’AT le parole del messaggero divino destavano turbamento nel vocato: per un giu­deo era fuori dell’ordinario che l'angelo, il quale sta di fronte al trono di Dio, potesse essere inviato ad un essere umano. Maria avrà udito tante volte nella sinagoga proclamare e interpretare il significato di quelle parole; ma ora quelle parole sono rivolte a lei, ed il suo turbamento assume un aspetto ancor più fuori dell’ordinario: si starebbe per verificare nella storia del popolo ebraico, una vocazione messianica, che passa attraverso parole rivolte ed una donna-ragazza, che portava in grembo il futuro Messia. La versione evangelica di Luca tende ad evidenziare una teologia messianica inedita, frutto del ripensamento comunitario; così facendo, presta il fianco alla possibilità degli sviluppi teologici e dottrinali successivi.
30 L’angelo le disse: non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
La formula è quella d’uso nei racconti di vocazione. È interessante sapere che questa piccola frase nella Bibbia è ripetuta ben 365 volte, come i giorni dell’anno. È come dire: ogni giorno Dio ti rassicura; se Dio è con noi (è il senso del nome Emmanuele) chi sarà contro di noi?
31 Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
L’ecco ha una connotazione temporale molto intensa: indica quasi una contemporaneità all’annuncio, che è propria della dinamica di Dio: quando Egli parla allo stesso tempo fa, compie, opera. Ma in questo caso, come vuole evidenziare Luca, non prima di aver avuto il libero consenso della sua creatura.
32  Sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre
Sarà grande, lo si dice anche del Battista (1,15). Con Figlio dell’Altissimo non viene espressa la figliolanza divina (proclamata nei dogmi del cattolicesimo); nell’AT l’appellativo è rivolto a tutti coloro che sono in un rapporto di speciale intimità con Dio.
Gli darà il trono di Davide: secondo una tradizione largamente testimoniata, il Messia dovrà provenire dalla Casa di Davide.
33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine.
Non è secondaria la sottolineatura del non avrà fine: sembra voler scollegare il regno inaugurato con Gesù dalla trasmissione ereditaria fondata sul sangue (e ciò è specificato nel versetto successivo).
34 Come avverrà questo? Non conosco uomo.
Maria, a differenza di Zaccaria che chiede un segno, chiede semplicemente un chiarimento. Poiché suppone che l’annuncio dell’Angelo dovrebbe avverarsi in quello stesso istante, come avvenne per la madre di Sansone, non riesce a capire come ciò possa  conciliarsi col suo stato presente di verginità. Alcuni studiosi propendono per la tesi che Maria avesse fatto in cuor suo un  proposito di verginità come se avesse inteso dire: “non voglio conoscere uomo; ma dal punto di vista storico è attendibile ritenere che Maria e Giuseppe si fossero fidanzati allo scopo di vi­vere un matrimonio del tutto normale con l'intenzione di avere figli.
35 le rispose l’angelo: lo spirito santo scenderà su di te e la potenza dell’altissimo ti coprirà con la sua ombra.
Autore di questo concepimento è la potenza dell’altissimo. Sia il testo ebraico che la ver­sione greca dei LXX permettono di tradurre ‘lo spirito di Dio’. L’AT parlava di dinamismo, forza, ispirazione profetica, soffio di Dio; qui si parla di ombra, che richiama la presenza di Jahwè nella nube, sopra la tenda dell’Alleanza (Es.40,35), e nello stesso tempo traduce il concetto di potenza gene­ratrice, come nella mitologia greca, passando attraverso la persuasione proto-cristiana circa l’eccezionalità
36 Vedi,  anche Elisabetta, tua parente, nella sua  vecchiaia ha concepito un figlio e questo è il 6° mese per lei, che tutti dicevano sterile: 
Il segno non richiesto viene donato a tutti i chiamati biblici, da Isacco e Sansone nell’AT, al Battista nel NT.
37 nulla è impossibile a Dio.
Il segno per Luca diventa specifico, nel caso di Maria, in virtù della sua personale risposta, fatta di fiducia assoluta nell’azione di Dio.
38 Allora Maria disse: eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto. E l’angelo si allontanò da lei.
Rassegnazione o gioia in quest’eccomi?
Certamente, come abbiamo ripetuto, i sentimenti descritti  sono da inquadrare nella prospettiva della riflessione cristiana post-pasquale sul Gesù storico: una prospettiva cristologica, e non mariologica.
La formula serva del Signore, di tradizione biblica, è stata caricata, a partire da Luca, ma oltre di lui,  di una sottolineatura che evidenzia l’umiltà di Maria, in quanto docile nell’accettare il compito a lei assegnato. E nell’umiltà professata si annida facilmente l’esaltazione: se ne faranno campioni i travisatori dello stesso concetto di umiltà.
Eppure Luca sa chiudere lo scenario con una frase lapidaria, che riproduce il senso di solitudine di Maria: la solitudine della fede autentica perché nuda, senza le tante inutili parole umane.
CONSIDERAZIONI
Mi chiedo quale contributo possa apportare all’umanità l’operazione teologico-dottrinale che fa di Maria il prototipo di salvezza universale assieme a Cristo, attraverso l'ottica esegetica di una verginità materiale e di una illibatezza in radice, a partire dal concepimento.
Stralcio di un esegeta, esemplare di non-molti altri, E.Ronchi
[Maria] non è piena di grazia perché ha detto "sì" a Dio, ma perché Dio ha detto "sì" a lei, prima ancora della sua risposta. E lo dice a ciascuno di noi: ognuno pieno di grazia, tutti amati come siamo, per quello che siamo; buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre, piccoli o grandi ognuno riempito di cielo. La prima parola di Maria non è un sì, ma una domanda: come è possibile? Sta davanti a Dio con tutta la sua dignità umana, con la sua maturità di donna, con il suo bisogno di capire. Usa l'intelligenza e poi pronuncia il suo sì, che allora ha la potenza di un sì libero e creativo. Eccomi, come hanno detto profeti e patriarchi, sono la serva del Signore. Serva è parola che non ha niente di passivo: serva del re è la prima dopo il re, colei che collabora, che crea insieme con il creatore.
Anch’io vedo Maria in maniera non dissimile e perciò mi rivolgo a lei con questa striminzita poesiola:
ormai ti vedo
mamma sorella compagna
tra tante e tanti
incontrati nel tempo fugace

ormai ti vedo accanto
all’umanità che attende
segretamente la salvezza
 con il peso del dolore e la gioia
della fiducia