giovedì 12 dicembre 2013

DOMENICA III DI AVVENTO

DOMENICA III DI AVVENTO
Fil 4,4.5 (antifona d’ingresso)
Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino.
Is35,16.8-10
Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

Gc11,7-10
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

MT 11,2-11
2 In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: 3 “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. 4 Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5 I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6 E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!7 Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8 Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9 Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10 Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. 11 In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.

QUADRO D’INSIEME SULLE LETTURE
Questa terza domenica di Avvento è posta a metà delle domeniche antecedenti il Natale [a titolo informativo ricordo che la liturgia invita ad usare il paramento rosaceo il quale, diversamente dal viola usato nelle altre domeniche, vuole colorare il tempo dell’avvento di speranza gioiosa].
Nell’attesa del Natale, le letture propongono sentimenti di gioia. Questa è conseguente alla pazienza dell’attesa e alla fiducia nell’esaudimento delle promesse di Dio.
a) Il gaudete è tratto dalla lettera paolina ai Filippesi, come anticipo alla gioia natalizia.
b) Il brano tratto da Isaia risale a sette secoli prima di Cristo, quando il popolo della Giudea deportato a Babilonia, dopo anni di schiavitù aveva perso ogni speranza di liberazione e si era abituato alla sua condizione. Del resto, Gerusalemme era stata completamente distrutta e il glorioso Tempio era stato ridotto ad un cumulo di rovine. A Babilonia era nata la liturgia sinagogale, ove non si facevano sacrifici, ma si ascoltava e si commentava la Parola di Dio. [C’è da precisare che il giudaismo ebbe origine proprio in questa situazione. Esso consisteva di un importante movimento di pensiero - cultura, religione, studio della Scrittura sacra - che esprimeva a suo modo il principio dell'incarnazione della Parola di Dio nella società del tempo. Si riscrisse addirittura la Bibbia: il cosiddetto codice sacerdotale risale a quegli anni].
Il profeta, volendo infondere coraggio agli oppressi –ciechi, zoppi, sordomuti- parlava di gioia attraverso l’ immagine del risveglio della natura, così come la si contemplava nella cordigliera verde e feconda del Libano, i cui cedri mitologici offrirono il legno per costruire il tempio di Dio in Gerusalemme.
c) Giacomo riporta parole realizzate in Gesù, mandato a portare ai poveri la Buona Notizia della salvezza. Ricorda alla sua comunità che la salvezza giunge a chi ha saputo vivere l’attesa. Come il contadino attende con pazienza il fruttificare del suo terreno e delle sue piantagioni, e nel frattempo è tenuto a bonificare, vangare, zappare il terreno, così anche chi è avvinto dalla nuova dimensione del Regno è tenuto ad esercitare la stessa pazienza e costanza nell'attesa. Il Regno di Dio apporterà i suoi benefici di gioia, di benessere e di pace duratura, quando si verificherà un rinnovamento radicale nelle coscienze.
d) Nel vangelo di Matteo ricompaiono i segni della vittoria maturata dalla prova, dei quali aveva parlato Isaia: i ciechi vedono, i muti parlano, i lebbrosi sono guariti… La citazione funge da risposta per rassicurare Giovanni sull’identità messianica di Gesù, il quale, rivolgendosi alle folle, addita nello stesso Giovanni il suo precursore.
ANALISI DEL TESTO LUCANO
2 Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli:
3 "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?".
Sappiamo già da Mt 4,12 che Giovanni è stato incarcerato; da lì viene a conoscenza, presumibilmente attraverso i suoi discepoli, di quanto compie Gesù. Evidentemente l'idea che egli si era fatta del Messia non trovava pieno riscontro nell'operare di Gesù, tanto da inviare dei discepoli per chiedergli: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?". Questa domanda trasmette due dati importanti. 1) l'attesa del Messia, molto forte nel I secolo, aveva diverse espressioni: alcuni si aspettavano un liberatore politico e militare, altri un restauratore religioso, altri un giudice giusto che avrebbe chiuso la storia e inaugurato un'era nuova; 2) il messianismo di Gesù presentava aspetti nuovi, nonostante che gli evangelisti nei loro testi si sforzassero di presentare Gesù di Nazareth come colui che compie la promesse di Dio. Giovanni (il nome  significa “il Signore fa grazia”) continua ad attendere il Veniente. E proprio tale attesa lo relega nel deserto e nella prigione, mentre si tramuta in speranza per le folle che andavano a lui nel deserto e per i discepoli che andavano a trovarlo in prigione.
4 Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete:
Gesù non risponde direttamente alla domanda di Giovanni, ma rimanda alle sue opere:
5 i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo.
Matteo si riannoda a quanto aveva narrato nei capitoli precedenti, tutti in riferimento implicito a testi del profeta Isaia, in cui le guarigioni erano il segno dell'avvento dell'era messianica. L'effettiva concretezza dei prodigi dimostra che il Regno di Dio è presente attraverso le opere di Gesù, non perché prodigiose, bensì  perché rivelative della misericordia di Dio.
6 E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!.
Questa beatitudine riassume in certo modo quelle del capitolo 5 e 6, in cui effettivamente i familiari di Gesù e i farisei saranno scandalizzati dall’atteggiamento di Gesù. Del resto anche Giovanni sembra scandalizzato o quanto meno dubbioso davanti alla sua predicazione e alle sue opere.
7 Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?
Gesù si rivolge ora ai presenti con domande su Giovanni, in cui è facile veder riprodotta la sensazione che avevano ricavata quanti, recatisi da lui, avevano osservato il suo comportamento ed erano rimasti colpiti della sua eccezionalità. L'immagine della canna fa riferimento sia alle rive del Giordano dove il Precursore battezzava, sia alle monete fatte coniare da Erode su cui essa compariva; inoltre una canna sbattuta dal vento è immagine di una persona capace di cambiare bandiera, passando sempre dalla parte del vincitore, cosa del tutto contraria al modo di essere di Giovanni.
8 Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re!
Si attua in modo indiretto anche un confronto tra Giovanni ed Erode e la sua corte, per mostrare il contrasto tra la figura austera e coerente del primo e il lusso vuoto ed opportunista del secondo.
9 Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta.
10 Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via.
Per la terza volta Gesù chiede ai suoi interlocutori cosa siano andati ( o meglio riusciti) a vedere. La sua insistenza è tesa a dimostrare quale è il ruolo di Giovanni il Battista. Matteo rafforza l'idea, già presentata al capitolo terzo, dell'identificazione di Giovanni con Elia, colui che prepara l'avvento del Regno di Dio, cioè del Messia.
11 In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Introdotta dalla formula classica in verità io vi dico, l'affermazione di Gesù acquista un forte rilievo e segna un netto passaggio tra un prima, il tempo dei profeti e delle promesse, ed un dopo, il tempo del compimento. Giovanni appartiene al primo tempo della storia: egli ha raggiunto il vertice tra tutti i profeti che hanno predetto la venuta del Messia e per questo ha voluto spendere la sua vita nella continua mortificazione corporale e nell'indigenza; ora che il Messia è venuto, Giovanni si pone nella schiera dei senza-potere, come il più piccolo tra di loro.
L’ATTESA DI SALVEZZA NELL’OGGI
La vera attesa del Natale non è quella della salvezza eterna, a meno che non la facciamo coincidere con la vita vissuta accanto a chi ha bisogno. Non è questa la quintessenza di ciò che si racconta nelle letture di oggi?
Mi affido ad alcune testimonianze.
a) Oscar Romero, in un’omelia del 11 dicembre 1977, commentava così:
Gesù, rispondendo agli emissari del Battista, offre il criterio della sufficienza e dell'autenticità dell'oggetto della nostra speranza come esseri umani: li dove si fa il bene, li dove si libera l'essere umano dalle sue oppressioni, ossia, li dove "i ciechi vedono e gli storpi camminano", e dove "ai poveri è annunciata la Buona Notizia, lì sta "colui che dobbiamo aspettare", colui che è oggetto certo della nostra speranza come esseri umani. In tempi di crisi, di transizione e di nuova alba, la domanda del Battista è comune: perché non risolverla dialogando?
b) P.Curtaz racconta un simpatico aneddoto:
Un giorno Giulia ricevette un fresco mazzo di fiori in ufficio. Stupita, visto che non ricorreva nessun anniversario in quel giorno, cominciò a chiedersi chi gliel'avesse mandato. Ripercorse mentalmente tutte le persone che le volevano bene, o a cui aveva fatto un favore; nulla. Tutto il giorno scrutò volto per volto, senza trovare una ragione sufficiente per un gesto del genere. A sera, a casa, squillò il telefono. Era Carla, sua amica d'infanzia. Disse: "I fiori te li ho mandati io, dopo averti visto così depressa ieri. Senza biglietto, così che tu passassi la giornata a pensare a quante persone ti vogliono bene e avrebbero potuto mandarteli".
c) Anch’io avevo capito che l’attesa fiduciosa produce una gioia più intensa dell’appagamento immediato, e m esercitavo a fare ‘fioretti’, sicura di trovare il vero godimento da preferire a quello immediato; e nel mio intimo mi dissociavo da quello che mi insegnavano nelle lezioni di catechismo  sulla vita eterna, fatta di paradiso, inferno e purgatorio [il copione dell’insegnamento sbagliato purtroppo si perpetua ancora]. La dissociazione era operazione che si consumava e seppelliva dentro di me, perché avevo la sensazione che nessuno mi avrebbe capito. Ma –cosa strana- rileggo la mia esperienza di bambina (purtroppo) precoce attraverso la lettera scritta da un uomo, che si dichiara uomo ombra, a Papa Francesco; vive in isolamento, ma avevo potuto scrivergli attraverso persone che si prodigano attorno a chi vive la stessa condanna. Ora egli, sempre tramite tali persone, mi ricambia, facendomi giungere in allegato ad una mail, la sua lettera a papa Francesco. L’ergastolano è
Carmelo Musumeci:
Papa Francesco, scusa, sono di nuovo io, ti ho già scritto una volta. E lo rifaccio ancora. So che in questi ultimi tempi, da quando hai abolito l’ergastolo in Vaticano, ti stanno scrivendo molti ergastolani per chiederti di fare qualcosa anche per loro. Io invece questa volta se scrivo di nuovo è per raccontarti un episodio della mia infanzia.
Papa Francesco, una volta in collegio un prete mi raccontò la storia di un bambino che parlava  con Gesù. Si chiamava Marcellino. Era un trovatello. E i frati si erano presi cura di lui. Un giorno Marcellino aveva trovato  nel solaio del convento un grande crocefisso con un Gesù inchiodato. Lui iniziò a parlargli. E Gesù a rispondergli. Marcellino iniziò pure a portargli un po’ di pane e vino. E per questo in seguito i frati chiamarono il bambino “Marcellino pane e vino”. La storia finiva bene. Bene per modo di dire, a seconda dei punti di vista: Marcellino si era gravemente ammalato. Ed era morto. E Gesù se l’era portato in cielo.
Papa Francesco, anch’io volevo che la mia storia finisse bene. E dopo un paio di giorni che avevo sentito questo racconto ero andato in chiesa di nascosto per parlare con Gesù. Lui stava inchiodato in un grosso crocefisso di legno con la testa inclinata  da un lato. Gli parlai guardandolo negli occhi. Gli domandai cosa dovevo fare nella vita. Se c’era differenza fra morire e vivere. E poi piansi davanti a lui per essere nato diverso dagli altri bambini. Piansi per i sogni che avevo diversi  dagli altri bambini. Piansi per essere nato grande. Piansi per essere nato senza amore intorno a me. Piansi perché immaginavo che un giorno sarei diventato quello che non avrei voluto. Piansi per la vita che non avrei mai avuto. Piansi perché non riuscivo a smettere di piangere.
Papa Francesco,  quel giorno chiesi a Dio se faceva morire anche a me. E se mi portava in cielo con lui,  come aveva fatto con Marcellino. Una volta montai persino su una sedia per arrivare fino a lui per baciargli la fronte. E per dirgli in un orecchio: “Ti voglio bene”. Un’altra volta cercai di togliergli la corona di spine che aveva in testa. Un giorno piansi per tanto tempo, ma se il cuore di Dio è duro, quello di Gesù lo fu ancora  di più, perché continuò a non rispondermi.
E un altro giorno vidi persino che Gesù abbassava gli occhi per non guardarmi.
Papa Francesco, devi sapere che Gesù non mi rispose mai. Non mi parlò il primo giorno. E neppure tutti gli altri giorni che lo andai a trovare di nascosto. Neppure quando, per arruffianarmelo, gli portai un po’ di pane e un po’ di vino che avevo rubato dalla dispensa dei preti. Si potrebbe dire che il primo furto l’ho fatto per Gesù. E per ringraziamento lui non si degnò mai di scendere neppure un attimo da quella croce. Non mosse mai un muscolo. Neppure quella volta quando lo abbracciai. Quando gli baciai i piedi inchiodati nella croce. E quando lo pregai di farmi morire come aveva fatto con Marcellino pane e vino. Già a quell’età non vedevo nessuna differenza fra vivere e morire.
Papa Francesco, a quel tempo qualche preghiera l’avevo imparata, ma le stelle per me non hanno mai brillato. E non c’è stato nulla da fare. Nonostante le mie preghiere Gesù non mi rispose mai. E mentre quel fortunato di Marcellino pane e vino se lo era portato in Cielo, a me aveva lasciato in questo disgraziato di mondo.
Papa Francesco, ti ho raccontato questo episodio della mia infanzia perché nella mia prima lettera ti avevo scritto che gli uomini ombra del carcere di Padova ti aspettavano, io per primo.
Tu però non sei venuto, non ancora. Lo so che hai tante cose da fare, devi vedere tante persone e non puoi sprecare il tuo tempo per un migliaio e poco più di ergastolani ostativi,  né morti né vivi.
Io lo sapevo che non saresti potuto venire, non so se neppure Papa Francesco potrebbe osare tanto da andare a trovare gli ultimi dannati della terra, ma il bambino dell’episodio che ti ho raccontato, che è ancora dentro di me, crede ancora ai miracoli.

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