venerdì 29 marzo 2013

Morte-risurrezione di Gesù


Alcune note esegetiche da studiare con amore - Teniamo presente che nel mondo semitico scrittore ed autore sono due realtà distinte:  l’autore, in questo caso Giovanni, risale a radici lontane, mentre il redattore del testo è successivo. E ciò non sottrae nulla alla fede, la quale è fedeltà a ciò che Dio rivela attraverso parole umane.
a) Passione e morte di Gesù in Giovanni - capp.18-19
Cap.18
v.1 “Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cedron, dove c’era un giardino” – Il riferimento è al secondo libro di Samuele, dove si parla della fuga di David verso la tragica meta del deserto di Giuda.
vv.4-5 “Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: Chi cercate?. Gli risposero: Gesù il Nazareno. Disse loro Gesù: Io sono” - La risposta, così tradotta dal greco, aggiunge al livello storico un significato che non c’è nell’originale greco. Traduce il riferimento delle prime comunità cristiane alla prima creazione per esprimere che il concetto di risurrezione di Cristo è inizio di una nuova creazione.
v.11 “Gesù allora disse a Pietro: Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” – L’episodio, riportato soltanto da Giovanni, si riferisce a Malco, un poliziotto del tempio; il nome significa suo servo, cioè servo del sommo sacerdote. Ma l’evangelista scivola subito verso la teologia contenuta nella parola calice: una teologia in positivo, come nel salmo 23, che fa del del calice un segno supremo di ospitalità.
Cap. 19
v.1-3 “Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: Salve, re dei giudei. E gli davano schiaffi” – La scena riproduce la regalità di Gesù travestita di aspetto burlesco. Da essa traluce la rivelazione del Cristo paziente in quanto re liberatore dal male; vuole stimolare uno sguardo verso di lui sofferente: sguardo, non di commiserazione pietistica, bensì di compartecipazione.
vv.30 “E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: tutto è compiuto.  E, chinato il capo, spirò” – A differenza dei sinottici, per Giovanni Gesù pronuncia una sola parola teléstai, nella quale è contenuta la chiave della sua teologia: il segno della gloria di Gesù è nel compimento del disegno del Padre su di lui, e, come tale, consegnato all’umanità.
Il verbo usato per dire “esalò lo spirito, è, in greco, paredoken, cioè donò se stesso, il principio di vita a cui attingeva. Nella sua morte temporale c’è la rigenerazione umana, il passaggio definitivo dalla precarietà temporale a quella trascendente.
b) La risurrezione in Giovanni
Cap 20, 1-9
1 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!". 3 Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4 Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5 Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7 e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9 Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.10 I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa.
1) Il momento della risurrezione
1 “Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio” - L’espressione primo giorno richiama il racconto della creazione: “… E fu sera e fu mattina: primo giorno” (Gen 1,5). La settimana ebraica terminava con il Sabato. Questo unico giorno che viene dopo la settimana è l’ottavo, che nel cristianesimo assunse il valore simbolico di Giorno in cui il creatore dona all’essere umano una vita nuova indistruttibile (per questo i battisteri, luoghi dove i catecumeni decidevano pubblicamente di cambiare vita aderendo a Gesù, erano di forma ottagonale). Il buio simboleggia le tenebre, che si oppongono alla luce della verità; infatti la Maria che va al sepolcro ha ancora una concezione della morte come fine di tutto e perciò cerca Gesù in questo posto. Ed è chiara, nel Vangelo, l’allusione al Cantico dei Cantici dove la sposa va in cerca dello sposo: “Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato” (Ct 3,1); “e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro” - La pietra all’ingresso del sepolcro era suggello di morte sicuramente avvenuta. L’articolo determinativo davanti a pietra significa che il lettore a cui si rivolgeva il vangelo, era a conoscenza dell’uso di questa pietra. Giovanni ne aveva parlato a proposito della risurrezione di Lazzaro in riferimento all’ordine di Gesù di togliere la pietra da sopra il sepolcro (11,38-39.41).
2) Le tracce della risurrezione
Nell’ORA SUPREMA della Fine, Gesù inizia il nuovo corso della sua missione sulla terra, cambiando forma, facendosi cercare attraverso tracce della sua scomparsa. La chiesa delle origini aveva capito che non bastava usare la parola risurrezione per illustrare il mistero pasquale. D’altra parte tutti e quattro i vangeli, anziché descriverlo (come nell’unico caso della risurrezione fisica di Lazzaro), guarderanno, più che alla pasqua, all’ascensione come segno di ingresso nella gloria; e solo il Vangelo di Pietro [scritto verso il 150 d.C.], apocrifo, descrive in maniera fantastica la risurrezione, così come verrà poi presentata iconograficamente dall’ XI sec. in poi.
Inseguendo le tracce del risorto, le troviamo in:
v.6 “Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là” – Del Gesù fisico resta il vuoto, l’assenza, che implorano la ricerca appassionata di ciò che si ha la sensazione di aver perduto.
Eppure il tratto del vangelo di pasqua che leggiamo questa domenica termina con frasi illuminanti.
8 “Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette” – Quindi la fede ha fondamento sul vedere oltre la fisicità. E Giovanni, alla chiusura de capitolo [di cui la liturgia riporta solo una parte] torna ad insistere sull’espressione “perché crediate”. Stranamente i discepoli non vanno dagli altri ad annunciare quanto hanno sperimentato. Per testimoniare la risurrezione non basta vedere un sepolcro vuoto e sapere che Gesù è vivo; è necessario sperimentarlo presente, come avverrà per Maria di Magdala che incontrerà Gesù e poi, solo lei, ne annuncerà la resurrezione.
9 “Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti” - L'accoglienza della Scrittura, non è nel suo significato letterale, bensì nella capacità di tradurla nella vita. Non bastano un sepolcro vuoto né le parole che traducono la ripercussione che il fatto ha avuto negli astanti; bisogna scoprire il segreto della risurrezione nella propria vita, come sostanza della fede. Comprendere la Scrittura è entrare nella dinamica del Gesù crocifisso, il cui destino non è di morte ma di VITA.
Preghiera
Grazie, gesù, per aver riaperto la pista per ritrovare il senso della vita nella condivisione con l’esperienza di croce-risurrezione, propria di un’umanità che si dibatte nella ricerca di felicità e non sa scavarla dentro la stessa sofferenza.
Ripercorrendo tale pista con te, troveremo la forza di “tornare a casa” (v.10), cioè alla dimora temporanea, illuminata di vita perenne.
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venerdì 22 marzo 2013

Verso la pasqua cristiana - prima parte


PREMESSA

C’è tanto contenuto evangelico in questi giorni prima di Pasqua che non si possono non fare delle scelte. E la più opportuna è quella di mettere in chiaro a quale fonte attingiamo leggendo i vangeli, da dove essi provengono. L’esame (sia pure sommario) dei termini testuali può essere un modo per rintracciare tale origine.
La pasqua
La pasqua era, ed è tuttora per il popolo ebraico, celebrazione dell’Esodo da una terra d schiavitù verso la terra promessa.
Quando il kerigma ( = ricordo vivo dell’esperienza diretta dei seguaci di Gesù) ha preso forma nella ricostruzione operata in seno alle prime comunità cristiane, che diedero alla pasqua un significato tutto incentrato sulla morte e risurrezione del Maestro, ritenendo che in lui si erano adempiute definitivamente le profezie messianiche.
Le molte perplessità dei contemporanei di Gesù circa l’aspetto di un messia non trionfatore cominciarono ben presto a dividere coloro che accettarono il suo annichilimento da coloro che lo rifiutarono. D’altra parte su tale duplice aspetto anche la tradizione ebraica aveva aveva visto la divisione tra il filone mistico-profetico  e quello istituzionale.
I redattori dei vangeli sostengono di riportare fatti e parole di Gesù che potessero giustificare il salto dalla pasqua ebraica a quella cristiana, e perciò vedono definirsi il suo compito messianico durante i riti della pasqua ebraica celebrati per l’ultima volta con i suoi. Essi (i redattori) si basano sul racconto dell’esperienza vissuta assieme a Gesù dai diretti seguaci; la filtrano attraverso l’ottica della chiesa nascente, che aveva l’urgenza di dare un fondamento saldo al suo stesso costituirsi-chiesa, e perciò ritengono di poter parlare di novità pasquale definitiva, consumata attraverso la sua passione e morte.
A noi oggi interessa riconoscere l’esistenza e la portata di tali vari filtri attraverso i quali ci giunge la narrazione evangelica. E ciò, non con l’intento di riscrivere una storia del cristianesimo purificata da ogni filtro, ma di trovare, in seno alle stesse stratificazioni sovrapposte al kerigma, quel seme di verità che resiste ad ogni de-formazione storica.
La percezione del messaggio evangelico come cosa del tutto inedita nella storia, non aiuta a capire il vero senso dei termini usati nei testi evangelici. Mettere alla luce i sensi nascosti dentro le parole può essere d’aiuto per evitare le approssimazioni esegetiche sulle quali è comodo riposare pigramente; per riscoprire il Gesù autentico, che ha fatto della sua vita e della sua fine una via maestra verso la Verità di Dio nella ed oltre la storia.
A partire dalle “palme”
Inizia l’ora suprema di Gesù, nella quale passione e morte sono tutt'uno con la risurrezione. Per dimostrare questo assunto percorriamo attraverso i vangeli – sia pure sommariamente - le tappe finali del compimento messianico.
Punto di partenza è l’episodio dell’ultimo ingresso a Gerusalemme [qui solo un velocissimo sguardo al vangelo delle Palme].
Luca 19, 28-40]
Sia nella folla, sia nelle autorità, sia nei discepoli di Gesù, si acuisce il contrasto tra le aspettative messianiche e la loro realizzazione in Gesù. Egli dà subito un segno della sua vera missione facendo ingresso in Gerusalemme con la semplicità del re che viene a servire il suo popolo. 1) Non manca chi stende i mantelli sulla strada che lui percorre (come nell’incoronazione di Ieu in 2Re 9,11-33). 2) Anziché la mula regale lo trasporta un puledro. ll termine pólos usato nel testo significa “cucciolo di mammifero”: l’uso di un mezzo da contadino simboleggia un messianismo povero. 3) I quattro vangeli convergono nel riportare l’inno della folla: v.38 “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!” L’acclamazione del popolo richiama la situazione pericolosa e disperata già presente in Sal 118, 514: da essa si apre uno spiraglio di rinnovata speranza. 4) Vengono gettati mantelli sull’asinello e sul terreno del percorso (come si usava nell’investitura regale). In fondo c’è la percezione che sotto le forme umili di questo messia di pace si riveli una grandezza di segno opposto a quello dei potenti istituzionali. 5) Nel vangelo di Giovanni, 12,12-15, si narra che la popolazione abbia usato solo rami di palma, a detta di molti commentari simbolo di trionfo. Ma sembra che alle palme fossero subentrati rami di ulivo a causa della scarsità di piante di palma. 6) Torniamo a Luca v.40 “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre” . E’ come dire: anche le forze del male mi riconosceranno; infatti le pietre sono un elemento prediletto da tale evangelista in riferimento agli antivalori, incarnati nel tentatore per eccellenza, come in precedenti occasioni.
vv.21-30 il boccone: nel contesto di un pranzo beduino, il capo-famiglia permetteva all’ospite gradito di intingere il boccone (la lattuga amara) nella marmellata posta al centro della tavola; la ripetizione di tale gesto da parte di Gesù permette a Giovanni di mettere in evidenza la sua benevolenza (divina) verso chi stava per tradirlo.
b) I DISCORSI DI GESU’ capp.14-17 (rivestiti della voce di Giovanni e della sua chiesa)
vv.20 ss. “Non prego solo per questi [i discepoli] ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me. Perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me”. Si disegna un progetto di unificazione fondato sulla manifestazione dell’amore unificante del Padre verso Gesù. Unificazione che abbraccia tutti, fino a dilatarsi al mondo intero.
preghiera
Gesù, rivelaci ancor oggi il vero volto di dio, nascosto dietro le illusorie verità con le quali la superbia umana vuole soppiantare la tua’: unica, perenne, trascendente, vivificatrice.


venerdì 15 marzo 2013

V domenica di quaresima


L’adultera e il perdono divino
17 marzo 2013 V DOMENICA DI QUARESIMA Anno C
Isaia 43, 16-21; Filippesi 3, 8-14
Gv 8-11
In quel tempo, 1 Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2 Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3 Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4 gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. 6 Dicevano questo per metterlo alla prova e per aver motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7 Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli la pietra contro di lei”. 8 E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9 Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10 Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. 11 Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanche io ti condanno, va' e d’ora in poi non peccare più”.
L’approccio qui proposto
L’episodio del Vangelo di oggi è affascinante nella sua espressione narrativa e nel suo senso.
Per chi desidera approssimarsi ad una conoscenza alquanto approfondita è buon metodo di studio la ricerca di un inquadramento circa la sua origine e il suo farsi messaggio divino perenne. Una chiave la offre la centralità del tema: la novità cristiana di fronte al momento di rottura con la tradizione giudaica, congelata nel formalismo della Legge.
Le altre letture proposte dalla liturgia odierna offrono l’occasione per scoprire che tale novità era già presente nella Scrittura Antica, mentre Paolo si fa portavoce di speranza perché essa sia rivissuta nel presente e consegnata al futuro.
Una prima importante deduzione: la vera novità della Parola di Dio è nel suo distinguersi dalle labili novità temporali, nel suo permeare la storia di un carattere oltre la stessa. Le personalità profetiche si sono fatte carico di annunziarla, e Gesù, in continuità con questa linea, ha il coraggio di trasmetterla quando i magnati del suo tempo cercavano un pretesto per metterlo in imbarazzo, ponendolo di fronte alla necessità di esprimere una pericolosa interpretazione della Legge, contro la vigente mentalità legalistica e maschilista.
La sfida continua tutt’oggi e ci va spirito profetico per accettarla.
Le letture odierne 
Lo sguardo amorevole di Dio che oltrepassa la Legge si rivela nel sublime passo di Is 43,16-21: Così dice il Signore, / che aprì una strada nel mare / e un sentiero in mezzo ad acque possenti, / che fece uscire carri e cavalli, / esercito ed eroi a un tempo; / essi giacciono morti: mai più si rialzeranno; / si spensero come un lucignolo, sono estinti: / Non ricordate più le cose passate, / non pensate più alle cose antiche! / Ecco, io faccio una cosa nuova: / proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? / Aprirò anche nel deserto una strada, / immetterò fiumi nella steppa. / Mi glorificheranno le bestie selvatiche, / sciacalli e struzzi, / perché avrò fornito acqua al deserto, / fiumi alla steppa, / per dissetare il mio popolo, / il mio eletto. / Il popolo che io ho plasmato per me / celebrerà le mie lodi.
Non c’è da commentare, ma da meditare.
Nel Sal 125 si evoca la gioia di ritrovare i benefici di cui Dio si è largitore verso il suo popolo: Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia. Allora si diceva tra le genti: “Il Signore ha fatto grandi cose per loro”. Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia. Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb. Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni.
Paolo in Fil 3,8-14 evidenzia un senso della novità evangelica che, nella sostanza, va oltre il vangelo stesso: tutto ormai io ormai reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dei morti. Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.
Paolo, nel protendersi in avanti, verso ciò che verrà dopo, sa di dover passare attraverso le sofferenze di Gesù, pegno di risurrezione. Risurrezione che nemmeno Cristo ha preteso di immobilizzare nella propria, personale; tant’è che Egli propone la conformità alle sue sofferenze quale pegno di risurrezione per coloro che vogliono raggiungere la stessa meta. [Ma di questo parleremo nella prossima pasqua].
L’episodio evangelico e i gesti di gesu’
La particolarità di questa pagina comincia dal fatto che essa è collocata nel Vangelo di Giovanni, pur essendone estranea. Le comunità cristiane hanno avuto difficoltà ad accettare il brano dell’adultera nel proprio vangelo. Solo nel III sec. questi undici versetti trovarono ospitalità in un Vangelo che non era quello originario (alcuni autori sulla scorta di antichi codici collocano la pericope in Marco e in Luca) e dovettero attendere altri duecento anni prima di venire inseriti nella lettura liturgica. Attualmente l’episodio si trova nel Vangelo di Giovanni, ma lo stile, la grammatica, i termini usati escluderebbero che sia stato composto dall’autore del Vangelo di Giovanni e il brano in questione attualmente viene, da alcuni autori, attribuito a Luca, dove in 21,38 potrebbe trovare un suo contesto naturale.
Non siamo di fronte ad una parabola, ma ad un episodio che i successivi redattori del kerigma non dimenticarono, tanto era forte la pregnanza del suo ricordo.
I singoli gesti di Gesù sono rivelatori dell’atteggiamento del Padre che è nei cieli verso gli errori umani. Gesù non se ne appropria, lo rivela e lo consegna alla storia.
v. 5 Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa”. La donna doveva essere una bambina di 12-13 anni in quanto sposata ufficialmente ma ancora non convivente col marito. Eppure lo scandalo suscitato dal suo adulterio è tale che l’episodio fu censurato (guai a divulgare l’immagine di un Cristo Gesù indulgente verso l’adulterio!), e solo nel III secolo trovò posto nel vangelo, sulla scorta di antichi codici che l’avevano collocato in Marco ed in Luca; finché fu posizionato in Giovanni, anche se lo stile, la grammatica e l’uso dei termini testimoniano che ne fu redattore Luca. E la paura dello scandalo contagiò anche la chiesa che fino al basso medioevo non lo introdusse nella liturgia.
v.7 "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". La pietra, non una pietra, era il masso mortale che si scagliava contro l’adultera. Erano pronti a farlo gli scribi, i farisei, in particolare i presbiteri destinati a comporre il sinedrio: costituivano, prima della ‘difesa’ di Gesù, un gruppo compatto, dal momento che si trattava di esprimere una condanna in nome della Legge.
v.8 E chinatosi di nuovo, scriveva per terra": E' emozionante pensare che l'unica scrittura che Gesù abbia lasciato nella storia sia stata affidata alla sabbia! Il gesto compiuto da Gesù è altamente simbolico: i nomi di coloro che non guardano all’errante con l’occhio di Dio si dissolvono nella morte, perciò nella polvere, in quanto lontani dalla vita di Dio (così come aveva denunciato Geremia 17,13: "Hanno abbandonato la fonte d'acqua viva e saranno scritti nella terra"). Un’altra suggestione: a somiglianza di quello di Dio dinanzi a Mosè sul Sinai, il dito di Gesù incideva le tavole della nuova legge nel cuore dell'uomo, anziché sulle tavole di pietra; la religione po’ essere trasformata attraverso una legge che si traduca in parole di vita.
v.9 se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani”. Il gruppo, compatto nell’accusa, ora se la squaglia in ordine sparso; “lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo”. Torna la compagna di Gesù nei momenti di incomprensione: la solitudine. Ma questa volta c’è anche la presenza di un’altra solitudine: quella della ragazza chiamata donna, così come era stata chiamata Maria, come vogliamo essere chiamate (considerate) tutte le donne, senza altra pretesa che il riconoscimento della propria dignità umana.  
Preghiera
Gesù,
hai rivelato il volto di Dio, colmo di benevolenza al di là di ogni miopia: in esso abbiamo bisogno di specchiarci.
Hai donato e continui a donare la gioia della novità perenne di Dio dentro le precarie novità temporali.
Grazie
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Postilla finale
Il commento al vangelo consegnato ai cardinali (fratelli) da papa Francesco il giorno successivo alla sua nomina a vescovo di Roma, sembra additare nel percorso di Gesù il nostro. Il monito che esso si debba concludere nella croce, indica l’orientamento  da dare alla sequela, in vista della risurrezione dilatata a tutti.

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venerdì 8 marzo 2013

La parabola del Padre benevolente


10 marzo 2013 IV DOMENICA DI QUARESIMA Anno C
Giosuè 5, 9a.10-12; 2Corinzi 10, 5-17-21
Luca 15, 1-3.11-32
1 In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: ‘Costui accoglie i peccatori e mangia con loro’. 3 Ed egli disse loro questa parabola: 11 “Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13 Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17 Allora ritornò in sé e disse: ‘Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e davanti a te; 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati’. 20 Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato contro il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio’. 22 Ma il padre disse ai servi: ‘Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23 Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’. E cominciarono a far festa. 25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27 Quello gli rispose: ‘Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo’. 28 Egli si indignò e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29 Ma egli rispose a suo padre: ‘Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso’. 31 Gli rispose il padre: ‘Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’”.
la parabola di oggi
La parabola di oggi non si discosta dal tema presente nel brano della domenica precedente: L’AMORE INCONDIZIONATO DEL DIO BENEVOLENTE. L’impronta creativa del redattore conferisce al testo un colore quanto mai suggestivo, che certamente invita a farne tesoro per la propria vita; ma non è questo di cui qui parleremo [bisogna fare delle scelte di campo].
Il contesto in cui è inserita è ritagliato sull’ottica offerta dalle chiese proto-cristane, a cui il redattore attinge. Tale ottica merita rispetto, ma l’idea biblica del Padre benevolente non è unica nella storia.
Attraverso un criterio esegetico dilatato a tutto l’orizzonte culturale e religioso ci si accorge che tale idea è universale: infatti la storia umana, pur seguendo cammini mai univoci, è contrassegnata da un quid inequivocabile, che si pone oltre la storia.
La rinunzia ad analizzare la parabola attraverso i soliti parametri è, più che una rinunzia, una preziosa possibilità di ascolto della Parola fuori dalle prigionie che incatenano le parole umane nel significato che esse hanno assunto nei vari tempi e luoghi. Tale pista apre un varco privilegiato all’ascolto della vera Parola, nascosta dietro le parole umane.
Il termine benevolenza divina nella Bibbia
Tutta la storia della salvezza biblica non fa che dimostrare che la benevolenza divina prevale sempre sull’infedeltà umana. E’ espressa in un linguaggio che induce a risalire dal linguaggio biblico ai molteplici linguaggi risalenti alle relative culture.
Per testimoniare il confluire nel linguaggio biblico di altri linguaggi, a partire da quelli primordiali, esemplifichiamo attraverso due termini:  rehamîm e hesed. Il primo allude al gioco divino-umano che si consuma al di dentro del cuore umano attraverso i legami generazionali; il secondo all’esperienza del trionfo della fedeltà divina.
Risalire ai linguaggi extra-bibici [sulla traccia indicata dal “Nuovo dizionario di teologia biblica, Cinisello Balsamo”], può essere di aiuto a liberarsi dai soliti schemi attraverso i quali è letto comunemente il vangelo. E tale liberazione può indurre a quella delle coscienze di coloro che non intendono consegnarsi alla pigrizia di un ascolto manipolato (anche se in buona fede).
I linguaggi extra-biblici
[C’è da premettere che i riferimenti qui offerti non possono che essere sommari]
LE RELIGIONI NATURALI risalgono a tempi in cui gli uomini avevano una coscienza mitologica, profondamente diversa dall’attuale, di tipo intellettuale; tempi che sopravvivono ancor oggi in alcune zone geografiche. Dalla coscienza primitiva derivano tradizioni, che fanno capo ad esseri fantasiosi come quelli delle fiabe, di entità mitiche legate alla stirpe, di tutto quel mondo incantato legato ad una percezione della realtà nutrita di immaginazione. E’ vero che come fenomeno sociale la coscienza primitiva si può considerare sparita a partire dal 500 a.C., in concomitanza con la crescente diffusione della scrittura e della lettura a scapito della tradizione orale. Ma gli schemi fantagmatici legati a percezioni pre-intellettuali, persistono nell’inconscio anche nella nuova cultura e ciò sarebbe un bene se funzionassero in modo utile, in ordine all’alimentazione della capacità creativa; ma spesso il funzionamento è deviante, come testimoniano i fanatismi di oggi (è raccapricciante osservare le folle fanatizzate attorno a personaggi talvolta discutibili). C’è da augurarsi un recupero positivo del materiale atavico depositato nella parte sinistra del cervello. Altrimenti anche la fede diverrebbe preda di una razionalità troppo lucida per essere concreta e vitale. 
LA RELIGIONE DI ZARATUSTRA, la cui forma originaria risale a prima del diluvio, circa 3500 anni prima di Cristo, è presente ancor oggi presso i Parsi e nel loro testo sacro, lo Zend Avesta. Ricercatori di questa religione in India hanno rivelato che essa fosse più antica di quanto ritenevano i ricercatori occidentali. Le lotte cosmiche tra il buio e le tenebre, che costituiscono il binomio sul quale l’essere umano si dibatte, cercando di trovare il filo di Arianna per uscire dalla lacerazione senza via di uscita, cedettero il passo a forme di cultura razionalistica, quando confluirono nelle dottrine gnostiche e in quella ispirata all’idea di un Dio personale, chiamato Ahura Mazda (posto al di sopra delle forze contrapposte del bene e del male).
Naturalmente anche in questa religione alcuni aspetti della profondità spirituale degli inizi è andata smarrita, come avviene in tutte le altre religioni; ma ci auguriamo che il nucleo di verità non sia del tutto perduto.
GLI INSEGNAMENTI DEL BUDDA hanno fondamento nel desiderio umano di comprendere il senso esteriore ed interiore attraverso la meditazione (ecc.), che dovrebbe sfociare poi nella condizione del nirvana. Budda stesso premetteva alla narrazione delle sue esperienze più elevate, questa frase: “dopo aver completamente eliminato sia il percepire che il non percepire, l’annullamento della percezione e del sentire…”. Il significato di questa premessa può servire da metodo per un’esperienza di Dio in grado di passare da ciò che non si manifesta esteriormente a ciò che si fa presente interiormente. Tra i buddisti stessi c’è la convinzione che nel Buddismo non ci sia un dio (ma Budda non ha mai sostenuto tale assunto), bensì una via che introduce al Tutto-Verità, a prescindere dal ricorso a capacità terrene di tipo psichico e mentale.
L’EMBLEMA ILDEGARDA - Nel 1098, anno che precede la conquista di Gerusalemme da parte dei primi crociati, nacque nella regione dell'Assia Renana, nei pressi di Magonza, Ildegarda, decima e ultima figlia del nobile Ildelberto di Bermersheim e di sua moglie Matilda (il nome Ildegarda significa protettrice delle battaglie). La sua natura di visionaria comparve molto presto, e fu indirizzata dai genitori alla clausura presso un monastero benedettino, dove lei ebbe modo di attingere alle arti liberali che facevano parte del patrimonio culturale dei monaci di quel tempo. Giunta all'adolescenza, pronunciò i voti dell'ordine benedettino e lentamente maturò l'idea di fondare lei stessa un nuovo convento, dato che le vicende del tempo le fecero constatare la sua distanza dalla mentalità del tempo, influenzata pesantemente dalle più alte cariche istituzionali, religiose e laiche.
Per entrare nel punto nevralgico del senso da lei dato alla sua chiamata all’interiorità, ecco una breve citazione tratta dalla sua predica, tenuta il giorno di Pentecoste a Treviri: "Io povera creatura, a cui mancano salute, vigore, forza e istruzione, ho udito nella luce misteriosa del vero volto le seguenti parole per il clero di Treviri: i doctores e magistri non vogliono più dar fiato alla tromba della giustizia, perciò e scomparsa in loro l'aurora delle opere buone: se non espiate i vostri peccati, dai nemici verrà alla città un castigo di fuoco". Ciò dimostra la sua decisione e durezza contro ogni tipo di corruzione intellettuale e morale dei ‘grandi’; la pagò attraverso dure prove, che la facevano sospirare: "Vorrei essere liberata e stare vicino a Cristo".
Finché la morte non le permise di intonare, per un ultimo desiderio, i suoi canti nuziali (la produzione musicale permea la sua vastissima cultura). L'affettuosa tenerezza di cui la circondarono le monache del convento, sue compagne di viaggio, è un invito, per noi del tempo presente, a preservare le tracce storiche da lei lasciate dalla retorica delle esaltazioni, le quali costituiscono un’insidia alla verità della sua testimonianza. Ildegarda non è nemmeno da ringraziare per tutte le manifestazioni del suo genio femminile…. (vedi Giovanni Paolo II in Mulieris dignitatem); è anzi da liberare dall’aureola che lei certamente avrebbe rifiutata in vita. La sua presenza nella storia è da collocare tra quelle che introducono Parole di vita in mezzo alle righe storte (per dirla con M. Teresa di Calcutta, ahimè, anche lei aureolata dall’istituzione!) dei linguaggi umani.
breve preghiera
GRAZIE, O PADRE CHE SEI NEI CIELI, PER AVER PARLATO A TUTTI I PROFETI CHE CI AIUTANO NELLA RICERCA DELLA TUA BENEVOLENZA PERENNE ED ESEMPLARE NELLA STORIA. GRAZIE, IN PARTICOLARE, PER IL GESÙ DI NAZARETH CHE HAI FATTO TUO MESSIA E NOSTRA VIA ALLA VERITA’.

venerdì 1 marzo 2013

III Domenica di Quaresima


La pazienza esigente di dio
3 marzo 2013 III DOMENICA DI QUARESIMA T.O. Anno C
Esodo 3, 1-8a.13-15; 1Corinzi 10, 1-6.10-12
Luca 13, 1-9
1 In quello stesso tempo, si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2 Prendendo la parola, Gesù disse loro: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3 No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4 O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5 No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. 6 Diceva anche questa parabola: “Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7 Allora disse al vignaiolo: ‘Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?’. 8 Ma quello gli rispose: ‘Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9 Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai’ ”.
GESU’ IL CRISTO
Il racconto evangelico di oggi, dopo quello delle tentazioni e quello della trasfigurazione, presenta un Gesù, già consapevole dell’investitura messianica, nell’atto di commentare un accaduto, in risposta al quesito posto da chi voleva metterlo in imbarazzo. Si determina un interessante contraddittorio, in cui si apre il ventaglio dei temi più sofferti e più dibattuti in tutti i tempi e luoghi.
Dato l’approssimarsi della realizzazione del suo compito messianico, Gesù, poco prima della sua passione, morte e risurrezione, compie un atto di consegna ai suoi del nucleo fondamentale dell’Annuncio predicato e consumato nella vita, perché lo trasmettano alle nuove generazioni, in continuità con analoghi gesti presenti nell’Antica Alleanza.
Il passo evangelico
La prima lettura che offre la liturgia odierna prepara l’ascoltatore della Parola a riconoscere l’investitura messianica di Gesù attraverso l’analoga investitura di Mosè, condotta nello scenario suggestivo di un roveto ardente che non si consuma, mentre Dio si rivela testimoniando il suo ESSERE PRESENTE nella storia, pur nell’assenza tangibile. L’Essere è raffigurato della fiamma che non brucia l’oggetto che investe, e cioè il popolo immerso nelle sofferenze, raffigurato dal roveto.
Il Vangelo racconta di alcuni che riferiscono a Gesù un ben noto, atroce episodio di cronaca: l’eccidio ordinato da Pilato per sterminare un gruppo di ribelli galilei. Si vorrebbe che Gesù prendesse una posizione di condanna nei riguardi dell’iniquità del potere e della sua violenza; ma Egli non cade in questa trappola, anzi ne fa l’occasione per introdurre i suoi nella logica divina, ben diversa da quella umana.
Contro la lettura del male che attraversa la storia di sempre e che pretende da Dio la punizione dei cattivi, la narrazione evangelica riprende la linea profetica vetero-testamentaria, volta ad evidenziare la vera alternativa proposta da Dio. Non si tratta di trasferire l’asse del giudizio sui fatti da una visione tolemaica della storia del male a quella eliocentrica di un Dio garante della giustizia. La soluzione all’enigma del binomio - eterna pazienza divina e libera scelta umana - non è nel nel sovrapporre l’eterno alla temporalità, schiacciandola, ma nella loro coniugazione: la pazienza divina non può transigere con un uso irresponsabile della libertà; detto in altri termini, Dio gioca il suo ruolo nel binomio eterno-tempo, ma non in maniera conciliante, bensì attraverso un forte richiamo al coinvolgimento umano.
oggi come ieri
L’essere umano così ansioso di libertà, si accanisce contro il Dio che lo chiama in causa. Preferisce restare nell’orizzonte ristretto di una libertà senza impegno nella quale la stessa naufraga. E perciò resta impigliato nelle alternative, espresse in forma lapidaria del filosofo greco Epicuro:  “Se Dio vuol togliere il male e non può, allora è impotente. Se può e non vuole, allora è ostile nei nostri confronti. Se vuole e può, perché allora esiste il male e non viene eliminato da lui?”. Chi è rinunciatario, non chiamando in causa se stesso, si dibatte nell’ambiguità di ogni soluzione, pretendendo una risposta definitiva che la storia non potrà mai dare.
La proposta divina, perenne nella storia perché iscritta nel profondo del cuore umano, va rintracciata, lungo i tortuosi sentieri del cammino di liberazione umana, in ogni filone culturale profetico e mistico. Ha un nome: il sentire in grande di Diomakrothymía-. Come quello sotteso sotteso nel termine ‘COMPASSIONE’, cardine del buddismo, o ‘PIETAS’, di cui canta la cultura classica greca e latina, o ‘PAZIENZA ESIGENTE’ del Dio biblico, sia nella Scrittura Antica: Ez 18,32 Non voglio la morte di chi muore, ma che si converta e viva, e in Gl 2,13b Ritornate al Signore vostro Dio perché è misericordioso e buono, paziente e colmo di compassione e tardo all'ira, sia nella Nuova: Lc v.3 Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
Un passo evangelico, quello di oggi, molto denso e tutto da ‘ruminare’: distante le mille miglia dal subito e veloce della società odierna, incapace di usare con coraggio la libertà, preferendo la schiavitù più insidiosa: il cedimento al fascinoso invito delle sirene a non compiere l’esodo verso la patria, simbolo di una dimora meno lacerata dalla precarietà.

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