venerdì 23 dicembre 2016

Natale 2016 - Messa del giorno


 Natale 2016

Giovanni 1, 1-18
 

 

1 In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2 Egli era, in principio, presso Dio: 3 tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. 4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5 la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l' hanno vinta. 6 Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7 Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8 Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 9 Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 10 Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11 Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12 A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13 i quali, non da sangue [sangui] né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. 14 E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15 Giovanni gli dà testimonianza e proclama: "Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me”. 16 Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17 Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18 Dio,nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

 

Commento

La celebrazione del Natale rischia di impantanare la verità evangelica in una favola che va a toccare le corde dei sentimenti, ma che poco o nulla incide nella vita del credente, tanto meno nella gente comune.

Anche i credenti dimenticano che i vangeli non sono una cronaca, bensì una interpretazione della nascita di Gesù, alla luce della sua morte e risurrezione. Per giungere al significato profondo della narrazione evangelica, bisogna farlo riemergere dal cumulo di leggende, tradizioni, devozioni, folklore, in cui è quasi seppellito.

Diamo un breve sguardo a ciascun evangelista.

Matteo presenta una ragazza, Maria, che, incinta, viene sospettata di adulterio dal proprio sposo, e per questo rischia di essere lapidata ecc. Egli, nei versetti che danno seguito alla lettura fatta la domenica scorsa, narra che l’annuncio della nascita di Gesù provoca il panico nella città santa, Gerusalemme: da Erode, re illegittimo, ai sacerdoti, dagli abitanti ai teologi. E la stella sarà scorta soltanto nel disprezzato mondo pagano, i cui rappresentanti, i magi, verranno per rendere omaggio al piccolo Gesù. La risposta del potere al dono di Dio all’umanità, sarà la strage compiuta con la complicità delle autorità religiose, le quali hanno fornito al sanguinario Erode ogni informazione su dove trovare il bambino.

Anche per Luca non sono le persone religiose ad accorrere alla nascita del Salvatore, ma i disprezzati pastori d’Israele. In lui la descrizione della nascita di Gesù è ricca di elementi che solo lui ha narrato.

Marco, invece, è molto conciso: tende a precisare che Maria ebbe Gesù, senza "conoscere" Giuseppe, e che ciò avvenne per opera dello Spirito Santo.

Giovanni pone tutto il suo lavoro in chiave di creazione, tema che, assieme a quello della Pasqua-Alleanza, è una delle linee maestre della sua teologia. Ne leggeremo un assaggio nel commento al Prologo, che la liturgia propone per la Messa del giorno.

 

ANALISI

1 In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2 Egli era, in principio, presso Dio: 3 tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

In questi primi tre versetti Giovanni fonda la sua interpretazione della nascita di Cristo nel ‘prima’ della creazione.

Prima che Dio creasse il mondo con la sua Parola, esisteva il Progetto divino che doveva guidare l’azione creatrice. Tale progetto è reso in una Parola, il Logos. Il significato di questo temine greco è: ragione ultima dell’esistenza del mondo e, in particolare, di quella umana. In altre parole, tutto, compresa ogni singolarità, ha senso in Dio.

In un primo momento (momento logico) c’è quasi un dialogo tra Dio e Se stesso; c’è un’intima sollecitazione divina ad uscire fuori da Sé per realizzare la sua energia creatrice nel mondo, fino al suo culmine, l’essere umano.

4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;

Per la prima volta appare in questo vangelo un tema caro a Giovanni, quello della vita, zoé, termine che indica la qualità di vita non soggetta alla morte, quindi divina, in contrapposizione a bĺos, la vita animale. La luce di cui si parla è la fonte della stessa vita, irradiazione divina nell’esistenza umana.

5 la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.

Ecco una coppia di nomi molto usata nella Bibbia: luce e tenebre. Le tenebre sono immagine del male. Siccome si parla di vittoria della luce, resta sottintesa la lotta tra bene e male, senza la quale l’essere umano non sarebbe libero di scegliere. Certamente l’evangelista si proponeva di incoraggiare la sua comunità, sottoposta ad un crescendo di ostilità (tra i credenti giudei tradizionalisti), a dire di sì alla luce nonostante le difficoltà.

6 Venne un uomo mandato da Dio il suo nome era Giovanni.

Il discorso viene bruscamente interrotto da un nuovo personaggio, Giovanni, il battezzatore.

7 Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.

La qualifica della testimonianza rievoca le vocazioni dei profeti come Mosè, Isaia, Geremia, o il profeta atteso, annunciato da Malachia.

Il termine tutti evidenzia il contesto universalistico in cui è immersa la prima parte del prologo.

8 Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.

Questa precisazione può rivelare la presenza di qualche polemica all'interno della comunità cristiana; forse i seguaci di Giovanni (il Battista) affermavano che fosse lui il vero Messia, quindi l'evangelista delimita la sua missione, pur esprimendo per lui grande stima.

9 Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.

Il discorso ritorna al Logos e si focalizza sul suo incontro con l'umanità. Il Logos qui è ricordato come luce vera, in contrapposizione con le false luci che sarebbero apparse nel mondo, le quali non sono altro che ingannevoli idoli.

10 Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo...

C’è amarezza nello scrittore nel notare che il mondo non lo ha riconosciuto. Questo mancato o tradito ri-conoscimento non aveva apportato alcun bene al popolo di Israele, nonostante i richiami di Dio attraverso i suoi profeti.

11 Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.

Il Logos è venuto nella sua proprietà, termine espresso ne i suoi, cioè il popolo prediletto, primizia dell’umanità intera.

12 A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,

L’evangelista, distanziandosi dalla tradizione giudaica, parla di un Dio che è da accogliere, più che da cercare. La locuzione figli di Dio indica un'appartenenza profonda a Dio, vissuta nella fede: tali si diventa mediante la pratica costante di un amore che assomiglia a quello di Dio.

13 i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.

Giovanni oppone i due tipi di nascita, quella umana e quella divina. Generati da Dio non sono coloro che vengono al mondo come frutto del desiderio di sopravvivenza, ma coloro in cui si rende palese e si concretizza l’amore di Dio.

14 E il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

Questo versetto dà senso a tutto l'inno e introduce all'incarnazione del Logos, ultima tappa della storia in cui Dio si comunica. L’espressione incarnazione, in greco sárkosis, non appare direttamente nel Nuovo Testamento e sarà adottato per la prima volta nel II secolo dal Padre della Chiesa Ireneo nella sua opera Contro le eresie, e diverrà comune a partire solo dal IV secolo, quando si accentueranno le discussioni e le diatribe cristologiche.

I vangeli di Matteo e Luca fanno una modifica rispetto a Giovanni: non parlano di carne ma di ‘uomo’; la loro stessa impostazione narrativa, che parte dalla genealogia e dal racconto della nascita di Gesù  e si sviluppa secondo una trama storica di eventi per approdare a una morte, è l’attestazione più limpida del legame intimo di Cristo con la carne, fatta appunto di avvenimenti, tempo, spazio, esistenza.

A lungo si potrebbe riflettere attorno a questo nodo d’oro nel quale anche il soprannaturale è carnale, per usare l’espressione di Charles Péguy. Si potrebbe individuare il tessuto delle allusioni e dei rimandi alle categorie Parola e Sapienza, care all’AT, senza però escludere del tutto ammiccamenti al Logos greco, che si era infiltrato nello stesso giudaismo di Filone d’Alessandria d’Egitto (celebre pensatore giudeo-ellenistico del I secolo). Sarebbe anche possibile ritrovare una sottile ma efficace punta polemica contro l’affacciarsi, nella cristianità delle origini, di tentazioni gnostiche o docetiche, che rifiutavano la pesantezza, il paradosso in cui ci si imbatte in quel diventare carne, oppure come espressione mitica dell’agire atemporale di Dio.

La frase e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, fa riferimento alla tenda del santuario portatile di JHWH nel cammino dell'esodo. Il Dio che si rendeva presente nell'arca dell'alleanza, cioè nella Legge, ora si rende presente in una carne mortale; la sua gloria significa la sua manifestazione.

15 Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me».

Giovanni Battista si fa garante in prima persona della superiorità di Colui che sarebbe venuto.

16 Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.

Ritorna il termine tutti: mentre le formulazioni teologiche sono inevitabilmente inadeguate in quanto espresse con un linguaggio e una cultura destinati a mutare nel tempo, i gesti che comunicano vita sono compresi universalmente e in ogni epoca. E la prova che porta la comunità cristiana è quella di una risposta d’amore all’amore ricevuto. Risposta che permette al Signore di effondere ancora più forza d’amore, e questo in un dinamismo senza fine, che condurrà l’essere umano all’autentica crescita.

17 Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

C’è un parallelismo tra Mosè e Gesù.

Tra i due membri della frase non vi è contrapposizione, bensì progressione. dalla Legge alla Verità: la seconda supera, mentre dà completezza alla prima.

18 Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Nella conclusione Giovanni risale, con uno slancio in verticale, a Colui presso il quale era il Logos. La sottolineatura che Dio, nessuno lo ha mai visto, e che l’Unigenito (cioè il prediletto) lo ha rivelato, serve a ricordare che l’essere umano non può vedere Dio a causa della sua condizione di limite; lo può indirettamente attraverso i suoi testimoni, soprattutto attraverso Cristo.

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La tradizione del presepe, che in questi giorni trova posto nelle nostre case, ha proprio la caratteristica di farci contemplare un’umanità rudimentale, non corrotta dal paganesimo (l’imperante mondo degli idoli teleinformaici)...: vi troviamo i magi, i pastori, la lavandaia, il fabbro, il boscaiolo, il pescatore, il fornaio… tutti attorno al bimbo nella mangiatoia.

Oggi, però, non è più così. Anche il presepe e l’albero (simbolo di vita, diffuso in tutte le culture) fanno da contorno al nulla. Già!... il nulla che somiglia alle tenebre.
Che questa amara constatazione sia di stimolo ad essere diversi, a reagire, a vivere il  Natale nelle profondità del nostro cuore, e a fare tutto il poco che possiamo per fare trionfare la luce sulle tenebre. Così come racconta Pedro Bloch (scrittore brasiliano): Preghi Dio, piccolo? - Sì, ogni sera. - E cosa gli chiedi? - Niente. Gli domando se posso aiutarlo in qualche cosa.

domenica 18 dicembre 2016

IV DOMENICA di AVVENTO


IV DOMENICA di AVVENTO T.O. anno A

 

Mt1,18-24
18 Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20 Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21 ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22 Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24 Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
 
Is 7,10-14
In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».
 
Commento
 
La genealogia di Gesù da Davide a Giuseppe
Per Matteo, l’evangelista che leggiamo quest’anno liturgico, la discendenza di Gesù risale a Davide e giunge fino a Giuseppe, padre legale di Gesù; anche per Luca risale a Davide, ma giunge a Maria.
Il racconto di Matteo presenta Giuseppe come colui che inserisce Gesù nella dinamica della storia.
Gesù, attraverso Giuseppe, suo padre legale, è il successore diretto di Davide. (Quest’ultimo, divenuto re di Israele alla morte del padre Saul, fu fondatore della dinastia che regnò per quattro secoli, dal 1010 al 970. Egli possedeva la saggezza del capo e l’anima del poeta: sono molti i salmi di cui egli sarebbe stato autore).
Isaia, nel suo profetizzare, guarda sempre alla storia di Israele; infatti il suo linguaggio è di sapore nazionale.
Nell’elenco genealogico che parte da Davide compaiono nomi di persone che hanno ben poco di storico o che non meriterebbero di essere ricordate; d’altra parte l’importanza di tale genealogia consisteva nel dimostrare che Gesù aveva una discendenza davidica, al fine di assicurare la storicità di Gesù, il suo essere nostro fratello.
In Gesù agirà lo Spirito [per ora ci limitiamo a ricordare che esso fin dalla creazione aleggiava sul creato come soffio di Vita].
Il nome Giuseppe vanta altri protagonisti storici: il Giuseppe di cui parla la Genesi, il cosiddetto fratello di Gesù, cioè appartenente al clan nazaretano, il Giuseppe d’Arimatea che diede il suo sepolcro a Gesù, e, al di fuori del NT, un personaggio famoso, lo storico Giuseppe Flavio, testimone laico e diretto del periodo in cui visse Gesù.
 
L’Annunciazione a Giuseppe
L’annunzio di cui parla il vangelo consiste in una comunicazione divina attraverso l’angelo; infatti il mondo ebraico non poteva ammettere che Dio potesse avvicinarsi agli esseri umani; e quando doveva riferire una rivelazione, attribuiva tale compito di messaggero divino all’angelo del Signore.
Giuseppe, per Matteo, entra in scena attraverso l’annunciazione, ricevuta nel momento drammatico in cui era sposato a Maria durante l’anno in cui i due prossimi sposi non dovevano vivere assieme. Secondo la  Legge del Deuteronomio la donna trovata incinta in tale anno veniva lapidata perché colpevole di adulterio come se fosse sposata; in alternativa poteva essere ripudiata. Matteo allora usa la terminologia del ripudio: pensò di ripudiarla in segreto.
Nel versetto 19 ci sono tre parole che creano alcuni problemi: a) dikaios, giusto: Giuseppe da un punto di vista legale sarebbe stato ingiusto a non consegnare Maria alla giustizia; ma alla sua decisione si opponeva la sua coscienza e/o la sua sensibilità]; b) deigmatisai, verbo usato raramente, dal significato altrettanto incerto nel significato. La traduzione ufficiale circa la decisione presa da Giuseppe, or ora citata, non voleva accusarla pubblicamente, sembra implicare che Giuseppe considerasse Maria colpevole, e perciò sarebbe meglio usare la versione: non voleva svelare il suo mistero; c) apolusai; questo verbo nella traduzione ufficiale ha il significato di respingere, separare, ripudiare; nel brano di oggi contiene una contraddizione perché non può significare divorziare, almeno in questo passo: il divorzio era un atto pubblico davanti a dei testimoni, ma qui il verbo è accompagnato dall’avverbio lathra, che significa segretamente; come può farsi un atto pubblico in segreto?
Ma quel che più interessa all’evangelista è il nome del figlio, Emmanuele (ebr. Imanu-El) cioè Dio (El) con noi, fra noi. Il Dio-con-noi costituisce il tema conduttore col quale si apre e si chiude il vangelo di Matteo; le ultime parole dette da Gesù saranno la rassicurazione: Io sono con voi tutti i giorni.
Va sottolineato che la narrazione di Matteo è intrisa di intenti teologici. Qui l’evangelista vuole trasformare in vaticinio la citazione del cap.7, v.14, del profeta Isaia, Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (in verità Il profeta sta parlando al re Acaz della nascita del figlio Ezechia).
Si potrebbe affermare che tutto il vangelo di Matteo ha le sue basi in tale profezia. Gesù, il promesso dell’AT, è venuto a portare la liberazione spirituale al popolo eletto.
 
Giuseppe negli apocrifi
Negli apocrifi ci sono tutti gli elementi del vangelo, ma ironizzati, o tali da appagare il gusto del dello straordinario, proprio di parecchia gente.
- Quando Maria era fidanzata, si era innamorata di un soldato di nome Pantera. A causa della relazione con lui, lei sarebbe rimasta incinta, e Giuseppe l’avrebbe cacciata da casa.
- Giuseppe viene definito vecchio, vedovo già con quattro figli e due figlie, e morirà a 111 anni.
- Egli ha delle difficoltà con il piccolo Gesù che fa tanti miracoli, sa tutto e si ribella ai maestri.
- Esiste una’altra diceria su Maria: cacciata di casa, va a partorire nel deserto (l’apocalisse userà tale immagine).
- Esistono deliziose storielle su Giuseppe il falegname.
- E tante altre.
 
Un pensiero personale
In mezzo a quel poco che ho cercato di raccontare, la frase che mi risuona spesso nella mente e nel cuore è quella citata, dopo essere stata corretta: Giuseppe  non voleva svelare il suo mistero.
Quando si vive il mistero nella propria interiorità, a comunicarlo, più che le parole, sarà tutto il nostro essere, se compenetrato dell’esperienza di Dio. Lo stesso concetto è espresso nella illuminante frase di Luca: Maria conservava tutto nel suo cuore.

venerdì 9 dicembre 2016

III DOMENICA di AVVENTO anno A





 
III DOMENICA di AVVENTO

 

Is 35,1-6a. 8a. 10
 
Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.

Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa.

 

Mt 11, 2-11

 
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».  Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui»
 
Breve Commento
 
Dalle letture bibliche di questa domenica si potrebbe trovare l’ispirazione  per scenari simbolici: un tronco secco da cui spunta un germoglio fresco; un alito di vento insemina polline; un ciclone sradica prati e città abitati da viventi in pace (ISAIA); un profeta senza risorse terrene agglutina popoli e individui distribuendo pace e giustizia ai più deboli, fino ai confini della terra e finché dureranno sole e luna (SALMO).
Egli  èil Battistaè colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui (MATTEO). 
 
Il contesto storico di Isaia si riferisce allo scontro tra il profeta e il re Acaz che, come il suo predecessore Ezechiah, era un re che aveva deluso le attese dei fedeli di JHWH Dio. Il popolo sperava che la sua fedeltà alla Alleanza con JHWH avrebbe portato un periodo di pace e benessere. Invece i due re avevano tradito queste attese. Isaia è convinto che Dio interromperà la monarchia, come un boscaiolo che taglia a pelo di terra il tronco di un albero che non dà frutto; tuttavia, il boscaiolo JHWH non sradica l'albero perché Dio non castiga, ma purifica: innesterà un germoglio, cioè una realtà umile e debole che farà crescere un Movimento di uomini capaci di creare ciò che la monarchia non aveva creato.  All'epoca di Isaia le Campagne militari degli Assiri contro Israele si succedevano senza tregua, seminando morte, distruzione e deportazioni. Oltre alla guerra, si aggiungeva la decadenza morale e l'ingiustizia sociale anche fra la gente: latifondisti privi di scrupolo, consumatori spendaccioni, usurai, giudici corrotti, benestanti privi di solidarietà. Isaia, dopo aver denunciato queste categorie popolari passa a prospettive positive. Annuncia la venuta di un Consacrato, che, insieme con un piccolo Resto di discepoli, cambierà lo stato delle cose.
Il vangelo di questa domenica parla ancora di Giovanni Battista in carcere.
Sorprende che lui sia assalito dal dubbio se Gesù sia o non sia il Messia atteso. Infatti manda un gruppo dei suoi discepoli a chiedergli: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?
Noi lettori non ci meravigliamo, perché abbiamo letto nella domenica scorsa che nella sua predicazione nel deserto aveva dimostrato di attendere un Cristo in lotta contro i peccatori da punire severamente. Invece Gesù risponde che la sua missione è di misericordia verso i deboli oltre che di annuncio della salvezza per tutti.
La pagina evangelica ci spinge ad accettare la sfida di non fermarci ad una lettura superficiale e a scorgere in profondità i segni di una pur timida speranza.
E’ dentro di noi che i ciechi vedono: quante volte si sono aperti i nostri occhi, chiusi a lungo dal pregiudizio, dalla superficialità e dalla disperazione.
gli zoppi camminano: quante volte i nostri passi impacciati dalla timidezza e impediti dalla paura hanno osato vie inesplorate.
i lebbrosi sono risanati: quante volte siamo riusciti a liberarci da qualcosa che poteva sfigurarci e di nuovo abbiamo accettato di stare di fronte al volto di un altro senza temere di esserne allontanati.
  i morti risuscitano: quante volte abbiamo dato vita a qualcosa di umanamente impossibile, quante volte ci siamo dischiusi abbandonando forme di disfattismo o di pessimismo.
 ..i sordi odono: quante volte abbiamo provato ad ascoltare l’altro e la vita, non a partire da nostre pre-comprensioni, ma da come essi si presentavano a noi.
ai poveri è annunciata una lieta notizia: quante volte abbiamo toccato con mano la gioia di sentirci amati quando sentivamo di non meritarlo: la gioia di uno sguardo, di una parola, di un gesto.
E beato colui che non trova in me motivo di scandalo: Per noi ci sarebbe poco di che rallegrarci per un Messia di basso profilo. È scandaloso un Dio non evidente, un Dio che non si impone e la cui rivelazione è tutta sul versante del perdono e della guarigione delle ferite umane. Beatitudine riferita a noi quando accettiamo di stare nella vita, abitati non da una logica di pretesa ma di riconoscimento e di accoglienza del reale, così com’è.
Ci sta stretto un vangelo così. Tanto è vero che per non scandalizzarci troppo, lo abbiamo riscritto e pubblicato in edizioni rivedute e corrette, fregiando il nostro Dio di tutte quelle caratteristiche che a noi umani sembrerebbero consone a un-dio-come-si-deve… Ma, ahimè, lo abbiamo spogliato di quei tratti più tipici di lui: quelli di chi, di nuovo, continuamente, si compiace di rivelarsi nei gesti del prendersi cura (comprensibili da tutti, poveri compresi) e non in percorsi che sono appannaggio di pochi.
E così abbiamo di nuovo aspettato un altro: ci siamo messi alla scuola di altri maestri, abbiamo elaborato ideologie, costruito templi, privando gli uomini della lieta notizia che Gesù era venuto a portare l’annuncio di salvezza per tutti.
Sapremo raccogliere questo invito? Sapremo sfidare la cultura permissivista e lassista di oggi ed agire controcorrente?  

 

 

domenica 4 dicembre 2016

II Domenica di Avvento


II DOMENICA di AVVENTO anno A

 

Mt3,1-12

1In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». 3Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! 4E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. 5Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui 6e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 7Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque un frutto degno della conversione, 9e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 10Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

 

Commento

 

Matteo e alcuni dati biografici
- Poiché lungo il nuovo anno liturgico leggeremo il vangelo di Matteo, è bene fornire elementi essenziali per una comprensione meno approssimativa del testo che la liturgia propone ogni domenica.
- Sappiamo che i vangeli, pur narrando eventi storici, non sono libri storici: questi assumono una colorazione particolare a seconda della diversa penna del loro autore, ciascuno con una sua formazione, una sua  sensibilità, un suo progetto. E allora è legittimo chiederci chi sia Matteo.
Il suo nome semitico era Levi. Normalmente lo conosciamo con con l’altro nome, Matteo, che deriva dall’ebraico Matithya e significa dono di Dio.
- C’è un un fatto che è ricordato da tutti gli evangelisti: la sua ‘chiamata’ a Cafarnao, mentre era al tavolo delle imposte. Cafarnao era un centro dal quale passava una strada che attraversava la Palestina e sfociava in Siria. Su di essa Matteo era seduto per espletare la sua odiata funzione di esattore. Poi l’incontro con Gesù gli cambiò la vita.
- Gli studiosi affermano che il vangelo che vanta il suo nome (anche se altre mani hanno scritto per lui o almeno sulla sua parola) fu redatto dopo il 70, data della distruzione di Gerusalemme.
- Matteo, pur restando con tutto il peso della tradizione ebraica, è convinto seguace di Cristo e offre un suo ritratto del tutto diverso da quello degli altri sinottici: è un Cristo solenne, la cui parola è decisiva ed efficace.
- Oltre a questi dati strettamente biografici, ci resta di individuare la sua fisionomia morale e spirituale all’interno delle sue pagine.
 
Matteo e l’ekklesìa (brevi appunti)
- Tante volte abbiamo sentito dire che c’è qualcosa di completamente nuovo con l’Avvento di Cristo: inizia una nuova era, tanto che le date segnalano un a.C. e un d.C.
- E’ di estremo interesse il fatto che Matteo trovasse una perfetta continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Per lui già nell’Antico esisteva una chiesa che rappresentava il vero Israele dei profeti, ed ora continuava col cristianesimo. Ne deriva che egli non vede alcuno stacco tra Antico e Nuovo, e che il suo vangelo è intriso di giudaismo e di semitismo.
- Seguendo la tradizione ebraica antica, egli non osa usare la parola JHWH per disegnare l’azione di Dio nella storia; e perciò ricorre ad un modo eufemistico di nominare il regno di Dio sulla terra: regno dei cieli. Gesù non è soltanto qualcuno che si attende e che ritornerà alla fine del mondo; è il vivente presente in mezzo ai suoi; li guida e li cementa nella comunione di amore col Padre che è nei cieli.
- Ormai le varie comunità sbocciate e maturate attorno al kerigma (il messaggio orale) formavano l’ekklesìa (termine che usa lui solo tra gli evangelisti), costituita di giudeo-cristiani, cioè di giudei che conoscevano bene l’Antico Testamento e che poi erano divenuti cristiani; ed è per catechizzarli che Matteo scrive il suo vangelo.
- Il Gesù di Matteo non solo non annulla il legame storico-salvifico con Israele; piuttosto lo porta a compimento. La sua presenza nella chiesa la rende partecipe della sua relazione filiale col Padre. La perfezione non sta nell’osservanza di un codice di leggi, ma nel vivere come figli del Padre, i quali si ispirano al suo (del Padre) amore universale.
- C’è un termine che Matteo martella con insistenza: mathetes, discepolo. Ed è sintomatico il fatto che lui ponga i discepoli attorno a Gesù, mentre Luca mette in rilievo la presenza delle folle.
- La figura del discepolo caratterizza non solo l’apostolo, ma anche il cristiano. Ciò che conta nel  credente in Cristo è la testimonianza, la missionarietà, la donazione totale, la comunità con i fratelli e le sorelle. [Mi si perdoni questa parentesi. C’è da tirare fuori un sospiro di sollievo a pensare che negli scritti di Matteo e degli altri evangelisti non non ci sono, come oggi, cristiani qualificati con titoli onorifici, denotanti le cariche ricoperte… e  tutti rigorosamente di genere maschile!)].
- Altra nota: il Nostro utilizza il vangelo di Marco ampiamente; e ciò significa che è quest’ultimo a scrivere il primo vangelo, anche se nella sistemazione canonica dei quattro, risultò Matteo come primo evangelista.
 
Il brano di oggi per sommi capi
- Il brano di oggi ci distoglie dal clima natalizio che impera nella nostra cultura, non più cristiana. Per attendere i passi che ci riportano alla nascita di Gesù, dobbiamo attendere ancora; e ricordiamo che è l’evangelista soltanto Luca ad avere avuto maggiore attenzione alla nascita e ai primi anni della vita di Gesù.
- Nelle prime domeniche di Avvento è protagonista il precursore, Giovanni Battista, l’austero asceta, forse appartenente a qualche comunità monastica di Esseni, organizzati fuori dal contesto sociale. Interessanti sono i motivi, le immagini con cui la figura del Battista viene interpretata da Matteo, come la cintura di cuoio legata intorno ai fianchi, che era un segno di riconoscimento del profeta Elia, e il mantello intessuto di peli di cammello, che era l'indumento tipico del profeta secondo Zaccaria.
- La collocazione della sua predicazione nel deserto della Giudea differisce da quella di Gesù che svolse la sua missione nella Galilea.
- L'attività di Giovanni è completamente orientata e subordinata verso colui che viene. Il suo messaggio consiste in un preciso imperativo, convertitevi, e in un motivo altrettanto chiaro: perché il regno dei cieli è vicino.
- Isaia nella prima lettura ci parla di un germoglio che nascerà dalla radice di Iesse, di un virgulto che permetterà al lupo di dimorare con l’agnello, al leopardo di sdraiarsi accanto al capretto, al lattante di giocare sulla buca della vipera: un germoglio, un principio, qualcosa di estremamente fragile, debole, in balia di tutto e di tutti.
- Ed è questa la strada da preparare: quella di chi lascia al Signore di venire nella forma del seme, del germoglio, del bambino, nella forma della nostra umanità.
- Nel v.8 vengono indicati i frutti della conversione, che esprimono un nuovo orientamento da dare alla propria esistenza. Tale indicazione, per un verso si colloca nella linea dei profeti che facevano consistere la concretezza della conversione nel distacco radicale da tutto ciò che finora aveva un valore; dall'altro, va oltre e intende mostrare che la conversione è un volgersi verso il regno dei cieli, verso una novità che si presenta imminente con le sue esigenze e prospettive.
Il battesimo di Giovanni non è importante perché numerose sono le folle che si recano per riceverlo, ma ha valore perché è accompagnato da precisi impegni di conversione, anche se esso (il battesimo) non ha il potere di cancellare i peccati.
- Anche i farisei e i sadducei si recano per riceverlo, ma vi si accostano con animo ipocrita. Essi  pongono la loro fiducia e speranza nella discendenza da Abramo, in quanto appartenenti al popolo eletto. Giovanni si serve dell'immagine dell'albero che viene tagliato, immagine che nell'AT rimanda al giudizio di Dio. Un testo di Isaia così lo descrive: «Ecco il Signore, Dio degli eserciti, che strappa i rami con frastuono, le punte più alte sono troncate, le cime sono abbattute». Invece l'immagine del fuoco ha la funzione di esprimere l'ira imminente che si manifesterà con il giudizio di Dio.
- L'invettiva di Giovanni verso questi gruppi impastati di falsa religiosità, sottolinea che la funzione del suo battesimo, accolto con sincera decisione di cambiare vita, protegge chi lo riceve per via del giudizio purificatore di Dio.
- Infine la predicazione di Giovanni pone un confronto tra i due battesimi, le due persone: quella di Giovanni e quella di Colui che deve venire. La differenza sostanziale è che Gesù battezza con spirito e fuoco mentre Giovanni solo con acqua. Tale distinzione sottolinea che il battesimo di Giovanni è completamente subordinato a quello di Gesù.
- Il finale della predicazione di Giovanni parla del giudizio che incombe su chi non si converte con l'immagine della pula. La stessa azione che il contadino compie sull'aia quando pulisce il grano dalla pula, sarà attuata da Dio nel giudizio sulla comunità.
Le parole dure e violente di Giovanni contro i farisei ed i sadducei possono suscitare in chi legge sensazioni spiacevoli perché assumono i caratteri di una imposizione assoluta, anziché essere la semplice richiesta (rispettosa della libertà umana) di un radicale mutamento della scala dei valori.
Giovanni sembra un profeta dell’Antica Alleanza. Ha i tratti e il vestito del profeta Elia, e, come lui, chiama con toni duri il popolo alla conversione. Le folle lo ascoltano. Ma sappiamo che il correre dietro a persone carismatiche tocca la superficie, non il profondo del cuore.
Ciò che converte il freddo in calore è la vicinanza del fuo­co. La forza che cam­bia le persone è il calore dello Spirito, forza non umana, im­mane, divina. A noi spetta avvicinarci e attingerla per portare buoni frutti.
G. Ravasi sottolinea che il rigore ascetico e il durissimo richiamo di Giovanni è un appello forte al fine di far sorgere dalle ceneri di una religione incolore, inodore e insapore, una fede operosa e impegnata.
Scrive Al­da Merini: la fede è una ma­no / che ti prende le viscere / la fede è una mano / che ti fa partorire. / Partorire un frutto buono.
E G. Baudry: Alla fiamma tremula / d’una lampada d’ebano / gravata dalla notte / ronzante di astri / l’anima diviene / ciò che ascolta. / Solo l’attesa / illumina. / La mia parte / è vegliare.