sabato 30 aprile 2011

La fede e il male del mondo

Non si può vivere la fede soltanto rpiegandosi sulla propria interiorità. Anche il concetto di volontà legato alla fede pone delle difficoltà per capirne il senso; nessun volontarismo affidatto al soggetto autocosciente è adeguato all'atteggiamento fondamentale per nutrire la fede, della quale non pochi si dichiarano privi, mentre parecchi altri la scambiano coi devozionalismi di varie specie o la cercano con dei palliativi idolatrici. La fede è dono dello Spirito, ma in che senso?
Mi stupiva, frequentando in tempi trascorsi lezioni di yoga, il primo passo che richiedeva l'accorgersi del proprio respiro e controllarne i movimenti; ma come mai la cosa più naturale del mondo doveva essere controllata? Ho capito che nel respiro si concentra ogni movimento del corpo e lasciarne escluso il contributo della mente, significava affidarsi a meccanismi che possono essere dannosi senza il suo intervento regolatore. Vivere senza sentirsi vivere è un assurdo; ciò è un ben per gli animali che non misurano il tempo e perciò il loro è un continuo presente. Noi umani possiamo assomigliare a loro sia nel bene che fa l'affidarsi al presente, sia nel male che si produce quando non si riesce ad afferrare il tempo ed a concentrarlo nel presente accorgendosi della propria singolarità, e quindi potendola spingere verso traguardi complessivi. Infatti l'insoddisdazione umana che ci porta a cercare sempre un di più, è figlia di questa lacerazione dell'io in istanti non coordinati.
Due parole circa lo Spirito.
Lo Spirito è ruah, soffio vitale donato da Dio ad un essere creato, capace di accettare il dono della vita e dargli senso nella libertà conquistata momento per momento. La fede è accettazione 'volontaria' (= sottratta allo spontaneismo) di questo dono, con sentimento di riconoscenza creaturale e quindi con possibilità di ricambiare tale dono....
La pillola di oggi è confezionata. Speriamo che qualcuno mi dica di non avere capito questo o quello.
Ausilia


venerdì 29 aprile 2011

Dire la fede

Sarà l'argomentare sulla fede che rende povera la corrispondenza in questo secondo blog che affido alla lettura? Non so, ma ritengo che per poter esprimere ciò che sento per davvero, non posso fare a meno di parlarne io, perché di essa si nutre il mio essere.
Nelle ore piccole ascoltavo Ravasi parlare di Trinità. Mi fermo brevemente su un particolare, senza svilupparne tutti i concetti: l'incarnazione del Figlio di Dio continua attraverso l'umanità.
Posso accennare a come vivo questa incarnazione.
Per me lo Spirito è Tutto, e se mi confronto col Vangelo vedo che Cristo afferma che, andandosene, avrebbe lasciato in noi lo Spirito (aggiungo: come guida, alimento e anima della nostra anima). La psicologia non potrà mai spiegare cosa significhi ciò. Altro che parlare di ascolto della propria coscienza come guida dei nostri comportamenti, come via per realizzare la libertà interiore con tutte le sue potenzialità! Tutto ciò implica la molla che scatta in noi quando lasciamo operare lo Spirito. La passività nei riguardi dell'azione dello Spirito è tutt'altro che inattiva; è, per dirla laicamente con la Weil, l'attenzione spirituale a cogliere l'essenza di noi e di tutto.
L'incarnazione di Dio nell'umanità rende possibile questa azione dello Spirito in noi, perché senza il divino nell'umano attraverso l'uomo-Cristo, anche i detti sapienziali che imperlano tutta la storia umana sarebbero affascinanti spinte verso la verità dell'essere creato, ma inefficaci a restituire all'umanità la sua dignità di creatura in dialettica di amore con Dio.
Ma allora perché non si sradicano il male e il dolore dal mondo? Alla prossima.
Ausilia

sabato 23 aprile 2011

Dio ha un volto?


Sentivo stanotte Ravasi che parlava di Trinità. Ho ascoltato col massimo di attenzione: è Pasqua e il mio essere vibra di ricerca del volto di Dio. Cosa sarebbe questo volto se Cristo non gli avesse dato forma? L'indefinibile Uno dai mille nomi. E avremmo le sue personificazioni rivelative (come nel caso della Trinità raffigurata da tre personaggi-angeli la cui distinzione si conclude nella loro Unità), ma dalla personificazione alla persona il passaggio richiede un salto di sostanza.
Allora penso all'unica personificazione che identifica Dio attraversa la carne, nella persona di Cristo. il Cristo che ha sigillato (per noi) il suo essere-persona attraverso un corpo soggetto alla morte, ma così tutt'uno nella persona da assumere il suo cadavere nella realtà perenne di Figlio di Dio.
Com'è difficile spiegarlo a chi non vive l'esperienza di Dio!
Eppure si cercano con avidità le visioni, si è attaccati a quell'immagine descritta dai veggenti o ideata dagli artisti e si rimane così sicuri di una presenza dai contorni precisi......
No mio Dio, io ti cerco oltre ogni immagine, oltre ogni formulazione teorica, oltre ogni rappresentazione e oltre ogni....conversione.
Lo so. Viviamo e conosciamo un'esperienza simbolica anche nella fede, ma se questa si radica nella profondità di noi stessi, nel "fondo dell'anima", come si esprimono i mistici, allora ogni spiritualismo e ogni materialismo non hanno ragione di essere. Se la mia persona è mistero a me stessa, tanto più tu sei Mistero che si rivela nei mille volti dell'Amore: lacerato ed offeso, crocifisso al male del mondo, ma sempre VIVO nel tuo Corpo glorioso.
Ausilia    


martedì 19 aprile 2011

Amore e vita

Mi chiedo come si esalti da quasi-tutti la vita, tenendo la morte lontana come un tabù, se per vivere per davvero si ignora l'amore. Si ignora perché dell'amore ci si trastulla, e non si ha il coraggio di AMARE in maniera... immortale. Se si ama non si muore. Che ne dici?

I post finora pubblicati


LUNEDÌ 18 APRILE 2011

Armando sulla paqua

Ausilia
A volere commentare i tuoi pensieri, si resta costretti a pensare proprio quando sembra che tutto mi vada bene e quindi si sente meno il bisogno di Dio e le garanzie della risurezione di Gesù si possono mettere in riserva per il dopo, perché se un dopo è inevitavile per ora è evitato.
Tanto più che io di solito sono portato a riflettere, nell’occasione della pasqua quando si leggono le passioni evangeliche (a proposito, venerdì scorso ho assistito alla passione secondo Luca messa in oratorio da una compagnia di Novara con commenti cantati da artisti di valore in musiche suggestive), io mi perdo a far confronti tra le narrazioni dei diversi vangeli, e mi perdo in soggettivi discorsi apologetici... E’ ora, invece, tu mi suggerisci con i tuoi pensieri, di guardare prorpio il morire e risorgere di Gesù e lasciarsi coinvolgere perché lì sta la soluzione delle nostre angoscie.
Mi fa piacevolmente riflettere, e godere, quando tu rilevi che “L'umanità di Cristo non ci sarebbe più se il corpo si fosse distaccato defintivamente dalla sua anima”. E mi è venuto in mente un nostro dogma secondo cui “ciò che Cristo ha assunto mai viene dismesso: uomo si fece e uomo resta!”. Se a noi piace tanto essere uomini e aspiriamo ad una umanità perfetta, eccola qui realizzata, promessa e garantita.
A noi umani succde, però, che la vita ci piace tanto, che proprio questa può apparirci tutto ciò che possiamo avere e la difendiamo come se essa davvero fosse tutto. Nei momenti in cui, come in questo, metto di fronte la tendenza umana (ad accontentarsi dei beni di questa) e il dono di quella promessa realizzata in Cristo, mi chiedo come far capire questo agli altri cui la risurezione di Cristo non crea nè certezze nè emozioni? Me lo chiedo spesso e mi chiudo in angosciosa impotenza. E non so neppure a chi porre questa domanda: perché accade questo? Tu che ne dici?
Armando

DOMENICA 17 APRILE 2011

Appunti di Pasqua

Nell'attesa della risposta di Armando sento il dovere di comunicare quanto mi ha colpito oggi nel cogliere alcuni elementi necessari a capire la pasqua. Non si esce dall'argomento sulla morte, anzi ci troviamo di fronte ad un ottimo sussidio per introdurci nel cuore della tematica.
a) La Pasqua, all'interno sel cristianesimo, evidenzia l'importanza di prim'ordine del corpo. Se questo muore, viene meno la persona, fatta di anima, di corpo, di spirtito. Dio ha creato la persona in un corpo..
b) Nel corpo si innestano tutte le facoltà umane, soprattutto quelle interne: sentimenti, assoggettamento alla sofferenza, capacità di gioire e di elevarsi alle gioie alte.
c) La Passione di Cristo è la passione del suo corpo, che pone davanti al mistero di un Dio che soffre.
d) Senza la Passione di un Dio, l'umanità sarebbe sola a capire il suo destino di sofferenza e di morte, senza potergli da un senso.
e) La Resurrezione del corpo di Cristo è promessa della nostra....
f) Il Dio di tutte le religioni (in modi culturalmente differenziati) è un Dio che salva: un Dio che solleva l'umanità dal destino del perituro, poichè il legame dello spirituale al corporeo è sostanziale nell'essere della persona.
g) Il succo del discorso è che la persona è chiamata a realizzare l'unità sempre più integrale di corpo e di anima; se non prende questo orientamento l'individuo è travolto da vicende interne ed esterne senza senso.
h) La pretesa (oggi di moda) di far dipendere tutto, compreso ogni bene spirituale e morale, dal ben-essere della persona, depaupera corpo e anima: non è la salute corporale che dona la felicità, in quanto essa si rivela, prima o poi, fragile e provvisoria, anche con le tecniche più raffinate di strumenti oggi in voga. Invece pian piano il corpo acquisisce dall'educazione spirituale, e soprattutto dalla disponibilità alla grazia, l'integrazione unificante di tutte le potenze. E lo spirito, senza aver sofferto i limiti del corpo, resterebbe condizionato da essi: la persona è divisa, disintegrata.
i) Dunque la pasqua è resurrezione del corpo di Cristo. La sua passione e morte si  fanno passaggio alla resurrezione totale..... L'umanità di Cristo non ci sarebbe più se il corpo si fosse distaccato defintivamente dalla sua anima. 
Parole, queste, che non significano nulla per chi non le traduce ogni momento nella vita.
Ausilia
     

GIOVEDÌ 7 APRILE 2011

Rispondo subito

Caro amico,
Non mi dispiace quello che dici, perché io, volendo conversare con te, non mi aspettavo altro, e mi piace confrontarmi con te (oltre che, si intende, con chi vuole mettersi a contatto) perché sei uomo dell'istituzione, che infatti trova la pace quando legge chi e che cosa lo rassicura. Forse ti avviene quello che avviene in me quando leggo la Parola di Dio (si capisce sempre "mediata") e, se mi lascio guidare dallo Spirito, ritrovo tutto quello che è accessibile entro i limiti dell'umano. Il discorso sulla Chiesa per me è scontato: questa è realtà umana assistita dallo Spirito nell'essenziale: come ha indicato il Vaticano II, bisogna distinguere tra ciò che è essenziale e ciò che è alquanto relativo. Resta, cioè, aperto il campo alla coscienza che si lascia illuminare dallo stesso Spirito.
Mi spiace che le 'nostre' parole di donne ti rechino turbamento. o forse... mi piace...
Continueremo,
Ausilia

La risposta di Armando

Carissima Ausilia,
Leggo, e enche rileggo, i testi che voi donne effondete. Li trovo concentrati attorno al vostro io: mi pare che diciate e non diciate, vogliate e non vogliate. Forse tu dirai che voi donne sapete meglio penetrare nella vostra psicologia o meglio nel vostro io profondo. Meglio di noi uomini.Non nego che il vostro parlare effonda un non so che di affasciante che mi attrae, ma mi lascia un so che di incompiuto. Chissà cosa c’è ne cuore umano!Io, invece, quando mi esamino, desidero subito scoprire e giudicarmi e trovare. Già, si dice che la filosofia moderna è una ricerca, ma a me capita di trovare... e una volta trovato non mi giro più intorno.Stamane, prima di soffermarmi su qualcuno dei vostri quasi soliloquoi, venivo dalla lettura dell’ultimo libro de papa: mi pareva di trovare delle risposte, ma poi voi mi avete di nuovo messo nel turbine.Esco da questo turbine dicendoti che quando io mi esamino mi trovo subito nel bisogno di chiedere perdono. Perdono a tutti quelli che ho conosciuto e soprattutto a Dio. Già, Lui è lì a togliermi la paura per il male compiuto o il bene non fatto. Stamattina chiedo perdono a colui che sa cosa sta nell’uomo.Forse i miei pensieri sono troppo semplici e poco svisceranti per voi, ma essi mi danno pace emi tolgono da una matrice di angoscia che pure mi si ricrea leggendo il vostro girare intorno.Cordialità
Armando

MARTEDÌ 5 APRILE 2011

Non so com'è avvenuto

Uno squarcio di primavera ad un tratto ieri mi ha percosso attraversando tutto il mio essere (corpo-anima-spirito). Sarà stato un commento-al-vivo al mio discorso sulla morte? Non so, ma certamente sentivo che la vita è tutto per me, carica di bene, di male, di contraddizioni, di tensione all'infinito degli ideali da tradurre in fatti, e di tutto ciò che sono sempre stata.
Mi sono lasciata andare a queste sensazioni benefiche ed è durata un po'.
No, non è per sentire lontana la morte che mi sentivo piena di vita, né ho voglia di teorizzare, né, tanto meno, di costruire una mia teologia sulla morte e sulla vita; sentosemplicemente che la vita farcita di 'mancanza' di ogni genere anela a divenire Vita per davvero, e non una semplice comparsa... "Non basta vivere", dice in un suo libro M. Veneziani. La mancanza di cui si alimenta la vita comune, riempita da succedanei, deve dar posto alla NOVITA'. "Cieli e terra nuova", come è promeso nella Scrittura.
Attendo questo passaggio.
Ausilia 

LUNEDÌ 28 MARZO 2011

Sulla morte

[Riprendiamo a partire dall'ultimo post in Dialoghi e Pensieri]
 
La morte tabù Le mie riflessioni sulla morte partono dal mio assistere alla lenta distruzione del me-stessa costruito per tutta una vita, fino a che non mi sono proposta di inabissarlo nel mistero di me.
Anzitutto mi pongo la domanda se sia possibile ed utile nutrirsi di strategie anti-morte, come cercano di fare quasi tutti.
Finora io sono riuscita a vivere il dramma come dato di fatto che faccia da vademecum ascetico: e ascesi significa passaggio in salita, tanto più necessario in vista del disfacimento della porzione di vita ‘deperibile’ che è in me, la quale si identifica col mio io, ma non con tutta me stessa.
Tutti si chiedono che cosa ci sia dopo la morte e temono che non ci sia niente: provano perciò un senso di scacco nel vedere svanire ciò per cui hanno faticato, lottato, sofferto, acquistato, goduto, sperato eccetera. Non manca in alcuni la rassegnazione ad un destino crudele che però non vogliono guardare vis-à-vis e preferiscono proiettarlo sempre più lontano.
Eludere l’idea della morte
La vulgata della morte-da-cacciare dal proprio vocabolario mi disgusta nei suoi sviluppi di diffusa ideologia dello star-bene a tutti i costi: basterebbe volerlo, adoperarsi, nutrirsi della certezza che, essendo il presente ‘tutto’, questo si potrebbe prolungare indefinitamente; in sintesi bisognerebbe cacciare le angosce dei poveri depressi, passivi, afflosciati su se stessi, e ritrovare il gusto di vivere una sorta di giovinezza prolungata, nella quale si includerebbe la vecchiaia da non nominare nemmeno. La malattia, poi, non esisterebbe: ormai si attende, più che il miracolo della guarigione, il miracolo a portata di mano di tutti dell’auto-guarigione. E il discorso si dirama in più direzioni: dalle diete biologiche al ricorso a terapie ‘pulite’, cioè che sarebbero più efficaci delle medicine eccetera, all’appoggio al soprannaturale ‘toccato’ da veggenti: a tutto ciò che dà l’euforia di captare lo straordinario attraverso le mediazioni, collaudate da veri e propri miracoli, dallo straordinario che si incarna nel sacro (da alcuni demonizzato e inconsciamente usato); l’importante è sopprimere l’angoscia e vivere vivere vivere.
La morte trasformata in farsa
La morte non elusa (colpa di cedimento della persona!) diventa farsa, sceneggiata, giubilazione: letteralmente c’è l’esatto contrario dell’affliggersi e mostrare afflizione da parte di chi resta tra i vivi: con l’esaltazione di pochi giorni mesi anni, si ritiene di pensionare in eterno il morto, in modo dignitoso.
A me tutto questo, con annessi e connessi, pare la sintesi ed il culmine dell’ipocrisia di cui si nutre la vita in ogni suo aspetto formalizzato e non, in modo che, al contrario degli animali, anche ciò che non è regolato da leggi sia inquadrato nel sistema-vita a tutti i costi.
Alla ricerca della verità
Mi resta la domanda: dove son finite la fede, la speranza, l’amore? Quasi nessuno è ormai avvezzo a queste parole nel loro profondo significato, lontano anche dall’anti-ideologia che propone lo svincolamento da sistemi, comprese le religioni strutturate. Ebbene, anche il porsi tra gli anti-formalisti radicali è una falsa liberazione da ciò che è strutturato, perché, volere o no, ogni ‘anti’ si dà una struttura. Anzi il mitico ritorno alla natura è ancor più terribilmente preda della necessità. Le catastrofi naturali fanno da segnaletica della necessità della necessità.
Io non voglio seguire o contrappormi a nessuna teoria. Voglio porre freno al razionalismo divoratore, quindi anche alle anti-teorie che si fanno teoria-altra. L’unico atto di libertà che mi è concesso è quello di essere me-stessa. Attenzione! il me-stessa scavato nella profondità del mistero, quindi non illusorio, non costruito, non rassicurante, ma denudato e consegnato alla scomoda verità. La verità mai esauribile in una semplice definizione, posta nel confine tra la vita e la cosiddetta morte.
Ausilia