Non si può vivere la fede soltanto rpiegandosi sulla propria interiorità. Anche il concetto di volontà legato alla fede pone delle difficoltà per capirne il senso; nessun volontarismo affidatto al soggetto autocosciente è adeguato all'atteggiamento fondamentale per nutrire la fede, della quale non pochi si dichiarano privi, mentre parecchi altri la scambiano coi devozionalismi di varie specie o la cercano con dei palliativi idolatrici. La fede è dono dello Spirito, ma in che senso?
Mi stupiva, frequentando in tempi trascorsi lezioni di yoga, il primo passo che richiedeva l'accorgersi del proprio respiro e controllarne i movimenti; ma come mai la cosa più naturale del mondo doveva essere controllata? Ho capito che nel respiro si concentra ogni movimento del corpo e lasciarne escluso il contributo della mente, significava affidarsi a meccanismi che possono essere dannosi senza il suo intervento regolatore. Vivere senza sentirsi vivere è un assurdo; ciò è un ben per gli animali che non misurano il tempo e perciò il loro è un continuo presente. Noi umani possiamo assomigliare a loro sia nel bene che fa l'affidarsi al presente, sia nel male che si produce quando non si riesce ad afferrare il tempo ed a concentrarlo nel presente accorgendosi della propria singolarità, e quindi potendola spingere verso traguardi complessivi. Infatti l'insoddisdazione umana che ci porta a cercare sempre un di più, è figlia di questa lacerazione dell'io in istanti non coordinati.
Due parole circa lo Spirito.
Lo Spirito è ruah, soffio vitale donato da Dio ad un essere creato, capace di accettare il dono della vita e dargli senso nella libertà conquistata momento per momento. La fede è accettazione 'volontaria' (= sottratta allo spontaneismo) di questo dono, con sentimento di riconoscenza creaturale e quindi con possibilità di ricambiare tale dono....
La pillola di oggi è confezionata. Speriamo che qualcuno mi dica di non avere capito questo o quello.
Ausilia