venerdì 29 agosto 2014

Domenica XXII T.O. anno A

I PASSI LITURGICI

Ger 20, 7-9
Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui,non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.

Salmo 62
O Dio, tu sei il mio Dio, / dall’aurora io ti cerco, / ha sete di te l’anima mia, / desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua. / Così nel santuario ti ho contemplato, / guardando la tua potenza e la tua gloria. / Poiché il tuo amore vale più della vita, / le mie labbra canteranno la tua lode. / Così ti benedirò per tutta la vita: / nel tuo nome alzerò le mie mani. / Come saziato dai cibi migliori, / con labbra gioiose ti loderà la mia bocca. /  Quando penso a te che sei stato il mio aiuto, / esulto di gioia all’ombra delle tue ali. / A te si stringe l’anima mia: / la tua destra mi sostiene.


Rm 12, 1-2
Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Mt 16, 21-27
21 In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22 Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: ‘Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai’. 23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!. 24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26 Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27 Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni’

SGUARDO D’INSIEME su

a) Geremia
La tentazione di ritirarsi davanti alle difficoltà della missione non ha risparmiato il grande profeta Geremia. Si trova tra due fuochi: da una parte la chiamata obbligante del Signore e dall’altra la durezza del popolo che rifiuta la sua parola e lo schernisce perché il suo messaggio non è consolatorio. Non può fuggire da nessuna parte: né dal Signore né dal popolo.
Il suo sfogo con Dio assomiglia a quello di un innamorato che è deluso del proprio partner: Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre... Ma la Parola di Dio dentro di lui è come una lava incandescente che non riesce a contenere e lo sostiene nella fatica del suo ministero. Sicché, alla fine, confessa di non poter spegnere il ricordo della parola del Signore e tanto meno soffocarla, perché essa è un fuoco che brucia nella compagine del suo essere fisico e spirituale (le ossa).
Espressioni, le sue, di grande profondità che potrebbero essere proprie di chiunque ascolti la voce interiore a ‘fare del bene’, anche a coloro che gli fanno del male.
Il profeta, nella liturgia odierna, ha qualcosa che lo accomuna al Gesù descritto da Matteo. Il punto di contatto potrebbe consistere, non tanto nelle sofferenze legate ad una missione troppo impegnativa, ma nel fatto di doverle accettare come  necessarie [vedi analisi al v.21 del passo di Matteo]. Diverso, però, è il modo di reagire di Geremia e di Gesù di fronte alla necessità di obbedire alla Chiamata: a costringerli è, nel primo il fuoco della Parola, nel secondo la conformità al disegno di colui che chiama, sente e predica come Padre.

b) SALMO 62
Nel salmo, di grande intonazione mistica, c’è poco da commentare, perché l’elevazione spirituale ha dell’ineffabile, e il mistico, come il poeta degno di questo nome, si può esprimere in parole che perdono la loro bellezza se analizzate.
L'orante, pur attraversato dalla crisi del male suo e del mondo, conserva una grande pace; sa unire gioia e sofferenza perché non smarrisce il centro della sua esistenza, radicata in Dio. Usa sei designazioni simboliche e metaforiche per indicare il suo desiderio di percepire intimamente il Signore: 1) all'aurora ti cerco; 2) di te ha sete…"; 3) a te anela…; 4) come terra deserta, arida, senz'acqua; 5) ti ho cercato; 6) per contemplare.
Al termine della supplica e dell'azione di grazie, l’orante esprime la riconoscenza per ciò che il Signore fa per lui: tu sei stato il mio aiuto; sotto le tue ali; la forza della tua destra mi sostiene.
Giovanni XXIII, come tanti altri mistici, riproduce nel suo orientamento di vita lo stesso schema: dolore intenso e desiderio ardente di infinito, di Dio. Questo papa affermava che la vita di ciascuno è indirizzata verso il bene o il male a seconda di come si reagisce alla sofferenza; si tratta solo di saper scegliere.

c) PAOLO
Per trasformare il culto a Dio in sacrificio gradito a Dio bisogna non conformarsi a questo mondo. Conformarsi a Dio significa assumere la forma, lasciarsi plasmare da Dio, rinunziando allo spreco delle energie fondate sulla concupiscenza della carne, cioè gli appagamenti terreni, ed esponendosi al tocco divino nelle facoltà più alte.

d) Matteo
Nel passo di oggi Matteo presenta un Gesù che vuol mettere chiarezza sulla sua identità perché, nell’affidare il suo messaggio ai seguaci, sente il bisogno di far capire bene quale è la quintessenza del compito che gli  è stato affidato dal Padre. Egli, auto-proclamandosi ormai come Cristo, è giunto al punto di voler perpetuare, attraverso di loro, la missione di risvegliare la consapevolezza e la fiducia umana nell’attuazione del disegno creativo di Dio, mai annullato a causa del peccato.
La definizione dell’identità di Gesù non può tracciarsi attraverso il concetto di un messianismo regale, trionfatore, potente e muscolare, in grado di restaurare il regno di Israele anche con la violenza. La sua vera identità di Messia è quella del Servo Sofferente di YHWH di cui parla Isaia.
Su questa base dovrà fondarsi la futura chiesa.
Pietro, Cefa, la roccia, colui al quale Gesù ha affidato un compito basilare nella chiesa, se non entra in quest’ottica, può divenire scandalo, cioè pietra di inciampo nel cammino di fede.

ANALISI TESTUALE DEL PASSO EVANGELICO

21 In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
In quel tempo -letteralmente allora-, Gesù (autorevoli codici, Sinaitico e Vaticano, hanno Iesûs Christós: Gesù Messia), cominciò a spiegare, cioè a dire chiaramente, il rapporto che esiste tra la Scrittura e quanto stava per accadergli; infatti doveva [lett. era necessario], andare a Gerusalemme e soffrire: la scelta di questo verbo che non ha equivalente nell’aramaico è intenzionale; venne adottato nel cristianesimo primitivo per indicare la morte di Gesù, a causa della sua somiglianza tra la parola greca pascha (Pasqua) e il verbo paschein.
Poiché aveva violato la Legge e la tradizione, Egli è destinato alla morte da parte di tutte le classi del sinedrio: gli anziani, custodi della tradizione; i capi dei sacerdoti, custodi del tempio e del sacrificio; gli scribi, custodi della Legge. Ma doveva anche risorgere: il piano divino non riguarda soltanto la sua sconfitta umiliante, bensì anche la suprema glorificazione. (Quest'ultima parte dell'annuncio rimane oscura per i discepoli, dal momento che non la prendono in considerazione, shoccati come sono dall'annuncio della passione e morte del loro Maestro).
22 Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: ‘Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai’.
Come in precedenza Pietro è stato l’unico a prendere la parola e a rispondere alla domanda che Gesù aveva rivolto a tutti i discepoli (v. 16), altrettanto ora è l’unico a reagire alle parole di lui. E’ da notare che è la prima volta in cui Matteo, nel suo vangelo, chiama Simone col nome di Pietro, come continuerà a chiamarlo quando egli farà qualcosa contraria al volere del Maestro.
Pietro reagisce perché turbato: non può accettare, anche in virtù del suo amore per Cristo, la sorte che gli sarebbe toccata, e tanto meno può condividerla. E’ vero, lui aveva riconosciuto in Gesù il Figlio del Dio vivificante, ma non riesce a comprendere che, per trasmettere la vera Vita, egli avrebbe dovuto subire la condanna ad una morte ignominiosa.
23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!.
La contro-reazione di Gesù è quanto mai forte.
Probabilmente la frase di Gesù, Va’ dietro a me, va intesa come richiamo perché Pietro si metta di nuovo nella sua posizione di discepolo, senza la pretesa di precedere il Maestro insegnandogli la strada. Egli lo invita ad ‘andare dietro’, cioè a seguirlo, accettando umilmente di condividere la sua sorte.
Il contrasto con la scena precedente, in cui Gesù aveva proclamato beato l'Apostolo rivelandogli la sua missione nel piano di Dio, non può essere più netto e più crudo: Gesù lo chiama addirittura Satana. Il termine, di matrice ebraica, significa avversario, accusatore. Pietro ora non è più l’apostolo delegato a rappresentare Cristo nella storia, ma quasi il suo antagonista, il nemico che nel deserto aveva cercato di persuaderlo a imboccare la via del potere e del successo, boicottando il disegno del Padre. (E’ da notare che l’evangelista adopera lo stesso verbo pronunziato da Gesù per cacciare i demoni e gli elementi ostili all’essere umano).
La parola greca scandalo indica una pietra di inciampo. La frase -non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!- significa: non permetterti di prevaricarmi o di insinuarmi suggerimenti impropri sotto parvenza di bene.
24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Rivolgendosi ai discepoli, l’evangelista fa comprendere che quanto espresso da Pietro è condiviso dal resto del gruppo. Gesù li richiama alla fedeltà alla prima e ultima beatitudine, le quali parlano della via per essere introdotti al Regno (Mt 5,3.10).
La frase Se qualcuno vuol venire dietro a me...etc. è di un radicalismo inaudito; l’abbiamo già ascoltata da Gesù nel "discorso missionario" (Mt 10, 37-39). Ma rinnegare se stessi non significa annientare la propria persona o personalità, bensì, come preciserà il versetto successivo, arricchirla e potenziarla, portandola al suo massimo sviluppo attraverso il dono di sé.
È la seconda volta che Gesù parla di croce ai suoi discepoli. Questa non viene data dal Signore, ma presa dal discepolo come accettazione del disonore (la croce era patibolo infamante) che comporta il seguire Gesù. (Si realizza in tal modo il programma di vita che Paolo ci offre nella II lettura (Rm 12, 1-2): Vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio...).
25 Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi fa della propria esistenza un dono agli altri non solo non perde la sua vita ma la realizza in pienezza perché la dà per amore. Ciò può avvenire una sola volta con la morte fisica, ma può realizzarsi goccia a goccia in ogni gesto consumato nella quotidianità, motivato da solido amore e compiuto con amore, anziché espressione di spontanea e momentanea generosità.
26 Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Le parole guadagnare e perdere sono un richiamo alla prima beatitudine (Mt 5,3): porre la sicurezza della propria esistenza nell’accumulo dei beni significa limitarla fino a rovinarla; al contrario la condivisione generosa di quanto si è e si ha libera dai propri limiti e conduce alla pienezza del proprio essere.
27 Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni’.
Gesù dichiara che al disonore ricevuto da parte del sinedrio, corrisponde il massimo onore (gloria) da parte di Dio. Citando Proverbi 24,12, Gesù afferma che l’uomo è valutato per la vita che ha praticato e non per le idee religiose professate.

CONSIDERAZIONI

Dalai Lama insegna: Giudica il tuo successo da ciò a cui devi rinunciare per poterlo ottenere. Gesù ha proclamato questa preziosa certezza come reale pedagogia divina. Egli, infatti, senza l’auto-consegna  alla crocifissione non avrebbe potuto portare a compimento il più grande progetto di amore e di salvezza che il Padre ha impostato su di lui.
Per un forte ideale ci si può uccidere, come fa il kamikaze. Ma un tale sacificio della propria vita è portatore di morte agli altri; invece il dono della vita per amore degli altri è portatore di vita.
Anche nelle piccole cose, certi gesti di dono possono essere fatti in maniera distruttiva o costruttiva: ciò che fa la differenza è il compierli per una (pur sottesa) gratificazione personale e il compierli mettendo in primo piano il bisogno degli altri.
Il dolore può essere inutile o utile. La differenza la fa sempre l’Amore che o ha l’impronta divina o non è amore.
Mi piace concludere con le ultime righe del più bel libro, postumo, di Oscar Wilde, “De Profundis”. Dice così all’amico: Venisti a me per imparare il Piacere della Vita e il Piacere dell’Arte. Forse sono stato scelto per insegnarti qualcosa di più splendido: il significato del Dolore, e la sua bellezza.   








sabato 23 agosto 2014

Domenica XXI T:O.anno A

DOMENICA XXI T.O Anno A
Is 22,19-23
Così dice il Signore a Sebna, maggiordomo del palazzo: Ti toglierò la carica, ti rovescerò dal tuo posto. In quel giorno avverrà che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkìa; lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua cintura e metterò il tuo potere nelle sue mani. Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda. Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire. Lo conficcherò come un piolo in luogo solido e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre.
Sal 137
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza. 

Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

Rm11,33-36
O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio? Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli.
Mt 16,13-20
13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?. 14 Risposero: “Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. 15 Disse loro: Ma voi, chi dite che io sia?. 16 Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. 17 E Gesù gli disse: Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli. 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

1. PUNTUALIZZAZIONI SUI PASSI DELLA LITURGIA ODIERNA

Prima lettura - Isaia, profeta dell’VIII secolo a.C., parla di un oscuro avvicendamento al potere nel regno di Giuda: Dio rimuove il sovrintendente del palazzo, Sebnà, e pone al suo posto Eliakìm, chiamandolo mio servo e dandogli la chiave della casa di Davide, in quanto destinata ad un grande futuro. Questa chiave che apre e chiude è simbolo  della vigilanza su tutto ciò che è pertinente alla vita del palazzo.
Risulta evidente che Matteo abbia modellato le parole messe in bocca a Gesù su quelle di Isaia.

Salmo 137 - L’autore scioglie un inno di ringraziamento a YHWH, l’unico Dio, da distinguere dagli altri Elohim o divinità inferiori che, secondo l’immaginario dell’Antico Oriente, facevano parte della corte celeste (alcuni traduttori li chiamano angeli). Il tema dell’unicità di Dio da salvaguardare nel popolo eletto nell’AT risulta in consonanza con l’unità da realizzare nella comunità ecclesiale; l’iniziativa di questo affidamento e scelta parte da Dio.
L’autore del salmo elenca i motivi della riconoscenza al Signore (termine equivalente a YHWH), che mantiene la Promessa, definita più grande del tuo nome per esprimere l’illimitatezza della sua fedeltà [ma sarebbe meglio tradurre: in forza del tuo nome].
Alla fine mette in rilievo un’altra grande dote  del Signore, celebrata nella Bibbia costantemente: la sua predilezione verso i più bisognosi di aiuto.

Seconda lettura - Paolo pronunzia una esclamazione sulla profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio. Parla implicitamente di una chiave -dal forte richiamo profetico-, necessaria per avere l’accesso al mistero di Dio, luogo ideale dove si possono ammirare  magnificenze, ma non si possono penetrare i segreti di Dio.

Mt 16,13-20 – Succinta analisi del testo

13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?.
Matteo ambienta la sua narrazione in un ambiente localizzato alle pendici del monte Hermon, alle sorgenti del Giordano, nella regione di Cesarea, la quale prende il nome dalla città che Filippo aveva ereditato dal padre, Erode il grande. (All’epoca di Gesù la zona era un gran cantiere per la ricostruzione della città).
Per far conoscere la sua identità ai discepoli, Gesù li conduce in terra pagana (straniera), lontano dall’influsso di farisei e sadducei (come è detto nei versetti precedenti che oggi non leggiamo): è significativo questo suo desiderio di essere riconosciuto come Messia proprio là dove vigevano culti pagani.
Il termine Figlio dell'uomo è molto usato da Gesù per designare se stesso come Messia.
Alcuni esegeti notano che nella domanda -La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?- l’evangelista intende sottolineare il contrasto tra gli uomini e il Figlio dell’Uomo, cioè tra coloro che non rappresentano ancora pienezza di umanità e colui che invece la rappresenta (Gesù). Altri esegeti si fermano a considerare che l’espressione -il Figlio dell’uomo- nell’AT era riferita al Messia in quanto portatore dell’imperituro Regno di Dio sulla terra. Così sentenziava Daniele: I tanti re di questo mondo, finiscono, passano, come la loro forza; si rivelano ignobili, caduchi, volgari, pieni di ossessioni. Il suo regno non finisce.
14 Risposero: “Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”.
Le risposte sono rassicuranti, semplici, in continuità con le attese di Israele: Gesù è un profeta, si tratta solo di stabilire quale.
Gesù aveva in precedenza inviato i suoi discepoli a predicare (Mt 10,7), ma frutto della loro predicazione era stata la confusione totale nel disegnare la figura di Gesù, pur restando in linea con la tradizione profetica: per qualcuno è Giovanni il Battista, poiché si credeva che i martiri sarebbero subito risorti -Mt 14,2-; per altri è Elia, il profeta del quale era preannunciato l’arrivo quale battistrada del Messia -Mal 3,23-, per altri Geremia in base ad una tradizione popolare che riteneva il profeta sopravvissuto alla lapidazione in quanto trasformato da Dio in pietra.
Nessuna di queste risposte è appropriata; pertanto Gesù si rivolge ai suoi discepoli per sapere la loro opinione.
Tutto ricorda da vicino la riflessione di Erode in Mt 14,2
15 Disse loro: Ma voi, chi dite che io sia?.
La domanda di Gesù non attende una formulazione della sua identità, ma interpella sulla qualità del rapporto che il credente intrattiene con Lui.
E’ da notare che la richiesta è rivolta a tutti i discepoli; ma da essi non viene fuori una risposta.
16 Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Simon Pietro, sempre immediato, ha il coraggio di rispondere. E’ la prima volta che, definendo Gesù come Messia, egli aggiunge un aggettivo che si riferisce al Padre come  vivente contro le false interpretazioni riguardo al Messia, specialmente quelle di stampo politico. Nel significato dell’appellativo è sottesa  la comunicazione profonda tra il Padre e il Figlio.
17 E Gesù gli disse: Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.
Figlio di Giona è praticamente il cognome con cui Pietro veniva meglio identificato. Questo profeta era stato l’unico ad aver fatto, inizialmente, esattamente il contrario di quello che il Signore gli aveva richiesto: invitato ad andare a predicare la conversione alla città pagana di Ninive, Giona si era imbarcato su una nave che andava in direzione opposta (Giona 1,1-3). Ma l’errore non aveva impedito a Dio di far trionfare su di lui il Suo disegno. Anche la scelta di Pietro nelle sue imperfezioni serve a mettere in risalto che l’azione divina è prevalente.
L’espressione carne e sangue rinvia all’umano sia nella sua debolezza e fragilità, sia nelle componenti più elevate: intelligenza, intuizione, sapienza, creatività.
18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.
Benché molti siano i punti del NT in cui si parla di Pietro, il dibattito esegetico si riduce spesso alla discussione sul significato e la traduzione di questo versetto: si parla della durezza o resistenza di Pietro ad una chiamata tanto alta? o della solidità della base che Pietro dovrà essere per l’edificio della chiesa?
Un’altra questione è di minore importanza: nel testo greco Simone viene chiamato pitros, e nella seconda parte del versetto, con un gioco di parole, petra: si tratta probabilmente di un artefatto realizzato nella traduzione dall’aramaico, nel quale il termine al femminile è la traslitterazione dell’alfabeto latino, Cefa. Interessante è notare che la traduzione francese del vangelo di Matteo non ha questo problema della lingua italiana, dato che la frase risulta così: Tu es Pierre, et sur cette pierre je bâtirai mon Eglise.
L’espressione potenze degli inferi è una figura che indica il regno della morte, localizzato nelle caverne sotterranee della terra: Gesù assicura che il regno del Dio vivificante è più forte di quello della morte e che la vita trionferà, sconfiggendo definitivamente la morte, realizzando in tal modo le promesse profetiche.
19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.
L’immagine della consegna delle chiavi era nota in Oriente: chi deteneva le chiavi del palazzo o della città, era il responsabile della sicurezza di quanti stavano dentro.
La consegna che Gesù fa a Pietro non si riferisce tanto ad una realtà futura, quanto ad un’attività da compiere su questa terra e per questa terra.
Una interpretazione è sicura: Gesù, consegnando simbolicamente le chiavi a Pietro, lo incarica di insegnare ed interpretare la Legge: legare e sciogliere erano espressioni del linguaggio rabbinico, col significato di avere l’incarico di dichiarare la verità o la falsità di una dottrina. Infatti Gesù trasferisce al discepolo quello che era stato finora l’incarico degli scribi, come risulta bene in Luca11, 52, nel suo “Guai! ([a traduzione letteraria sarebbe Ahi!]: a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza! Voi non siete entrati e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito.
20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Una volta definita l’identità di Gesù, ci si aspetterebbe che il Signore avesse inviato i discepoli a proclamarla; ma non è così. Gesù proibisce ai discepoli di divulgare l’affermazione di Simon Pietro: la realtà di Gesù sfugge ad ogni definizione, perché egli è, sì, il Messia, ma non è Messia nel modo in cui finora si era inteso.

2. QUALCHE CONSIDERAZIONE

Il testo del vangelo odierno è stato molto studiato e commentato. Si tratta di uno dei più insicuri e meno attendibili dal punto di vista della critica testuale, ma è certo che da esso si sono tratte importanti conseguenze nella storia della Chiesa cattolica.
Seguendo il racconto di Matteo, Gesù ha fatto una domanda ai Dodici sul suo messianismo, e perciò la risposta di Pietro è stata interpretata come quella del loro portavoce. Secondo parecchi esegeti, da ciò si dovrebbe trarre una conseguenza di non poco conto: la compartecipazione dei successori degli apostoli [i quali negli sviluppi successivi della chiesa sarebbero diventati vescovi] nel governo della chiesa, la quale avrebbe diffuso nel mondo il messaggio di Gesù. Pietro avrebbe avuto la funzione di salvaguardare l’unità tra i Dodici e nella comunità ecclesiale (= assembleare) del popolo degli aderenti alla fede in Dio attraverso Cristo. Oggi, per indicare che il governo della Chiesa è affidato al papa assieme ai vescovi, si parla di collegialità episcopale. Senza dimenticare che il governo di cui si parla, altro non è che servizio, spogliato di quella patina di ipocrisia, che nel mondo laico si traduce in potere nel senso peggiore del termine.
Ciò che si respira attraverso le letture bibliche di oggi è il riferimento a
a) un Dio Padre di tutti, quindi fonte di Unità;
b) alla Chiesa cattolica, il cui stesso nome significa universale: ad essa spetta il compito di farsi carico del messaggio di quell’Unità, che già nell’AT era il principale oggetto dell’ispirazione profetica; basti ricordare Isaia, il quale mette in bocca allo stesso Dio queste espressioni: l’egiziano mio popolo, l’assiro, opera delle mie mani e Israele mia eredità.
Senza l’unità della chiesa, prolificano gruppi che raccolgono persone attorno a singoli ideali religiosi, spesso ideologizzati, e perciò fanatizzanti. Nel consegue la separazione tra popoli e tra varie fedi. [Il mio pensiero va alle aggregazioni comunitarie che corrodono il principio di unità, come nell’islamismo attuale, come in Ruanda dove Hutu e Tutsi si uccidono a vicenda con ferocia nel nome dell’unico Dio; senza dimenticare le Crociate, o le divisioni tra cristiani o  il campanilismo di tanti gruppi ugualmente cattolici…].

3. LA PAROLA DI DIO NELLA NOSTRA ESISTENZA

La cosa più essenziale nell’ascolto di questa pericope evangelica consiste nel lasciarsi abitare e lavorare dalla domanda di Gesù ai discepoli: Ma voi, chi dite che io sia?.
E si potrebbero associare altre domande, rivolte ad ogni persona nell’intimo del cuore: cosa fai tu di fronte alle sofferenze talvolta atroci di tante persone? che cosa fai tu per seguire le orme di Gesù, il quale non elargì mai risposte teoriche, ma visse il dolore e il male del mondo?
Non è il caso di moltiplicare le parole.
Più che arzigogolare con ragionamenti, associamoci
a) al salmista che innalza un inno di adorazione del mistero, di lode riconoscente a Dio che risponde a chi lo invoca e accresce la nostra forza, di abbandono all’opera delle sue mani;
c) a Paolo che ribadisce gli stessi contenuti, stando in attesa, non del contraccambio, ma della grazia divina che rafforzi la capacità di elevarci aldilà dei grandi e piccoli crucci personali;

c) a Matteo che non dimentica di far esprimere a Gesù un monito: non disperdere il dono della fede, facendolo divenire fideismo e/o oggetto di cronaca, di fascino per il sensazionale...

mercoledì 13 agosto 2014

ASSUNZIONE DI MARIA IN CIELO

ASSUNZIONE DI MARIA IN CIELO
= I PASSI LITURGICI
 Ap 11,19; 12, 1-6.10
Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza. 
Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. 
Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. 
Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. 
Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio.
Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo».
Sal 44
Figlie di re fra le tue predilette;
alla tua destra sta la regina, in ori di Ofir.
Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio:
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre.
Il re è invaghito della tua bellezza.
È lui il tuo signore: rendigli omaggio.
Dietro a lei le vergini, sue compagne,
condotte in gioia ed esultanza,
 sono presentate nel palazzo del re.
1Cor 15,20-26

Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.
39 In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 
40 Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. 
41 Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto.
42 Allora Maria disse:
43 L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
44 perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
45 D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
46 Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia
47 per quelli che lo temono.
48 Ha spiegato la potenza del suo braccio,
49 ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
50 ha rovesciato i potenti dai troni,
51 ha innalzato gli umili;
52 ha ricolmato di beni gli affamati,
53 ha rimandato i ricchi a mani vuote.

=  ANALISI ESSENZIALE DEL TESTO EVANGELICO
39 In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
- Non è chiaro perché Maria abbia percorso in fretta i 150 km circa che la separavano dalla casa di Elisabetta: non certo per assisterla, come ha suggerito una tradizione spirituale posteriore; probabilmente aveva bisogno di conferme a quanto l'angelo le aveva detto, o meglio voleva condividere la propria straordinaria esperienza con qualcuno che stava vivendo una situazione che si avvicinava alla sua.
- Nel dire che Maria andò in fretta, Luca sottolinea la sua prontezza nel servizio (il verbo greco usato indica l’azione risoluta), come l’Israele fedele che vive al di fuori dell’influsso della capitale e corre in aiuto del giudaismo ufficiale.
- Dicendo città di Giuda, Luca evoca la storia di Israele e l'elezione di Giuda a preferenza di tutti i figli di Giacobbe.
40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Giovanni, mentre è ancora nel grembo di Elisabetta, riconosce la presenza di Gesù: già da ora inaugura la sua funzione di precursore, cioè di colui che indica la presenza del Messia in mezzo al suo popolo.
41 Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto.
L’esultanza di Elisabetta nell’esclamare a gran voce una benedizione evoca l’atteggiamento di esultanza del popolo di Israele davanti all'arca dell'Alleanza: Maria -pare voglia sottolineare l’evangelista- è arca della presenza del Signore (cioè YHWH): questo termine è usato dalle comunità cristiane a partire dalla Risurrezione.
42 Allora Maria disse:
- Il cantico di Maria prorompe dal cuore degli umiliati (sottomessi e diseredati) di tutti i tempi, i quali  attraverso la fede colgono il cambiamento profondo che Dio realizzerà intervenendo personalmente a favore dei poveri.
43 L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
44 perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
Ecco il motivo della gioia e della lode a Dio di Maria. Dio ha guardato alla bassezza (tapeinosis) della serva. Maria è collocata tra i cosiddetti poveri di YHWH, tali per umile condizione sociale, o per qualche situazione penosa (malattia, sterilità…).
Ciò che qui si traduce con umiltà non è dunque una qualità morale ma uno stato di povertà o di umiliazione, anche se per i poveri di YHWH ciò assume una connotazione religiosa poiché tali poveri vengono messi nella condizione di fidarsi totalmente di Dio.
45 D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Luca certamente riporta la convinzione elaborata dalla comunità circa la risonanza che avrà in tutti i tempi ciò che si avvera in lei.
46 Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia.
Nelle grandi cose sono compendiati gli interventi di Dio nelle varie tappe della liberazione, in particolare per l’uscita dall’Egitto, (Dt 10,21: primo esodo).
47 per quelli che lo temono.
48 Ha spiegato la potenza del suo braccio,
in questo e nei seguenti versetti è da notare l’uso dell’aoristo: ha spiegato, ecc.. Dio non ha ceduto e non cederà mai di fronte all’ordine ingiusto della società che discrimina.
49 ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
50 ha rovesciato i potenti dai troni,
51 ha innalzato gli umili;
52 ha ricolmato di beni gli affamati,
Luca riprende le frasi antitetiche, che si trovano nell’AT e nelle beatitudini, tese a dare rilievo alla preferenza di Dio per i ‘deboli’.
53 ha rimandato i ricchi a mani vuote.
54 Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia,
Dio è Santo e forte, ma la sua realtà non sarebbe completa se non si ricordasse della sua misericordia. Il termine ebraico che esprime la misericordia è molto profondo: ricorda l'amore paziente, la fedeltà di Dio alle sue promesse, nel contesto dell'Alleanza.
55 come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre.
L'attenzione si sposta sulla storia del popolo eletto: il rovesciamento di situazione proclamato da Maria è come la risposta di fedeltà all'impegno che  YHWH aveva preso con i primi patriarchi a favore del suo popolo. Questa promessa è per sempre, cioè abbraccia tutta la storia dell'umanità.
56 Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Luca sottolinea la prolungata permanenza di Maria al servizio della sua parente, alludendo all’ultimo periodo della sua gestazione. Non parla, invece della sua presenza al momento del parto, mentre è molto logico che l’avesse assistita proprio in quella difficile circostanza: all’evangelista non interessano i fatti di cronaca, ma il valore teologico del servizio prestato. Il ritorno a casa sua forse serve a chi scrive per ricordare che Giuseppe è assente nella gestazione del figlio: cosa che fa pensare ad un ripensamento dei fatti avvenuti attraverso l’elaborazione e/o dibattiti della comunità.

= L’INNO DEL MAGNIFICAT
E’ da notare che le parole del Magnifìcat sono attinte all'Antico Testamento, intessuto come è di riferimenti a brani dei Salmi e dei Profeti.
Il Magnificat non è uno dei tanti canti di devozione, ma un vero inno religioso dal contenuto rivoluzionario, in quanto afferma che la fede deve cambiare la storia, creare valori nuovi, essere sorgente di coraggio. Soprattutto afferma che la rivoluzione del Vangelo non passa necessariamente attraverso i grandi appuntamenti della storia, ma attraverso piccoli gesti quotidiani vissuti con amore. Perché ciò si realizzi è necessario leggere la propria vita all'interno del piano divino, ed è ciò che Maria insegna mentre canta il suo Magnificat.
Lo fa risuonare sulle sue labbra, intrecciato con la benedizione pronunziata da Elisabetta, nonché con le parole che le che le aveva detto l’angelo Gabriele nell’annunciazione.

= LA FESTIVITA’ DELL’ASSUNTA
a) La liturgia nella prima lettura rimanda all’Apocalisse, dove è descritta la Donna vestita di sole, insidiata da un drago rosso che sputa fuoco e avvelena la terra a colpi di coda: l’immagine è di grande valenza simbolica nel suo rappresentare il trionfo del Bene sul Male.
Perché questo rimando liturgico all’Apocalisse?
La donna dell'Apocalisse non è Maria, ma rappresenta le prime comunità di credenti, le quali dovevano affrontare l’ostilità delle autorità del tempo in quanto la novità evangelica contestava la politica disumana legata al loro potere.
Anche Paolo nella seconda lettura parla della sconfitta del Male (che comprende la morte), e si riferisce al Cristo risorto come colui per mezzo del quale è avvenuta la rinascita, la nuova Vita.
b) La celebrazione festiva è nata quando è stato definito il dogma da Pio XII il 1 Novembre 1950. L'oggetto della definizione dogmatica è che Maria, pienamente glorificata, è nella stessa condizione del Cristo risorto ed è in comunione  con tutti i giustificati dalla Grazia.
L'Assunta garantisce la dignità e il destino finale di ogni corpo umano, in quanto risusciterà; ed è segno di sicura speranza che anche noi giungeremo alla gloria trasfigurante della resurrezione di Cristo, come dice la Lumen Gentium n. 68.
Vale la pena fermarsi un momento sul termine assunta o presa; esso non significa un movimento verso l'alto, ma solo che Maria è stata sottratta alla dimora terrena temporanea, nella quale il corpo è destinato a diventare cenere. Questa sottrazione alla terra di un corpo perituro perché sia glorificato, cioè reso imperituro, è espressa bene dal termine ebraico biblico halak, usato per significare una fine misteriosa, come quella di Enoch (cfr. Gen.5,24) o quella di Elia (2 Re 2, 3-10), entrambi rapiti in cielo.

= DALLA STORIA AL MITO E VICEVERSA
- Nel corso dei secoli Maria è diventata una figura mitica; cosa che non aiuta un’autentica fede. [alcuni parlano con irrispettosa durezza di “concorrenza che farebbe Maria rispetto a Cristo”, scambiando gli atteggiamenti idolatrici dei devozionalisti con la concreta semplicità che avvolge questa meravigliosa Donna, “UMILE ed ALTA”].
- Un rapido sguardo al culto mariano:
- Nel primo millennio si faceva consistere la grandezza di Maria nella sua disponibilità al piano di Dio; infatti veniva invocata come la prima prima credente e discepola di Cristo.
- Nel secondo millennio, quando la trascendenza di Dio era avvertita nell’aspetto della lontananza e della irraggiungibilità (basti pensare alle immagini del Cristo Pantocrator); quando non si poteva leggere la Bibbia, la messa era in un linguaggio (latino) incomprensibile ai più, Dio veniva imprigionato in discussioni per pochi eletti e l'immagine del Dio Padre del vangelo era sostituita da quella del Dio giudice, Maria divenne la Mediatrice e, nello scorrere de tempo, sempre più perfetta, così come risulta dalla formulazione dogmatica dell’Immacolata Concezione (1854) e dell’Assunzione (1950).
- Durante il Concilio (1963), che ha costituito lo sbocco di tanti movimenti di pensiero non allineati a molte credenze ingenue consolidate, è iniziata una stagione nuova, in alcuni casi di esaltazione innovativa a tutti i costi, in altri di semplice rifiuto e anche di protesta, in alcuni altri di maturazione spirituale.
Certamente il processo del cambiamento di vedute su Maria è sfociato in qualche buon risultato, in particolare nella revisione del culto, nonché dei cardini fondamentali della fede in Dio attraverso la Chiesa.
- Oggi si lamenta l’accantonamento dei temi caldi del Concili, ma non si può dire che esso non abbia avuto i suoi effetti. Fatto sta che –a parte i mille fenomeni visionari e i persistenti atteggiamenti idolatrici dei più, prevale in persone ‘di buona volontà’ un atteggiamento più cauto nel modo di rapportarsi a Maria. Per queste ultime lei è, come nei primi tempi del cristianesimo, una di noi, nostra sorella nella fede,  umile e coraggiosa discepola di Cristo, Donna nel senso pieno del termine, a partire dalla sua femminilità e terrestrità.
A volte, nel parlare di Maria ai nostri fratelli separati soprattutto di area protestante (come si sa, per ragioni culturali e storiche, in Oriente la situazione è diversa) o nel proporla al di là dei confini propri della cattolicità, si avverte che lei possa rappresentare un ostacolo al dialogo sui massimi sistemi, o che la sua figura sia, per gli stessi credenti in seno alla chiesa (cattolica), priva di consistenza teologica, oltre che troppo legata alla sfera sentimentale e quindi un piuttosto sdolcinata. Di ciò bisogna tener conto per tentare un rinnovamento delle coscienze.
- Concludo citando Paolo VI nella sua Marialis Cultus: All’uomo contemporaneo, non di rado tormentato tra l’angoscia e la speranza, prostrato dal senso dei suoi limiti e assalito da aspirazioni senza confini, turbato nell’animo e diviso nel cuore, con la mente sospesa dall’enigma della morte, oppresso dalla solitudine mentre tende alla comunione, preda della nausea e della noia, la beata Vergine Maria, contemplata nella sua vicenda evangelica e nella realtà che ella possiede nella città di Dio, offre una visione serena e una parola rassicurante: la vittoria della speranza sull’angoscia, della comunione sulla solitudine, della pace sul turbamento, della gioia e della bellezza sul tedio e sulla nausea, delle prospettive eterne.

 - Aggiunta di approfondimento per chi lo desidera -

= MARIA E Il FEMMINISMO
Non presenterò Maria come una femminista ante litteram! Piuttosto mi propongo di delineare alcuni, pochi, aspetti dell’attuale dibattito in campo femminista, senza la pretesa di essere esaustiva. Mi avvalgo delle annotazioni fatte da varie studiose a proposito della Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna (stesa da papa Ratzinger nel luglio 2004):
- Come si può chiedere oggi alle donne d’accettare di essere oggetto di una “interpretazione autentica” (che dovrebbe indicare loro come sono e come debbono essere) da parte di uomini maschi e celibi che si scrivono tra loro su di esse? E’ vero che nella Chiesa cattolica le donne non sono ammesse ad alcun ministero ordinato e nemmeno a molte funzioni che di per sé non richiederebbero una ordinazione. Ma come mai non si sente la necessità di ascoltare le donne e la loro comprensione di sé, la loro elaborazione teologica e antropologica?
- Ogni volta che si sente parlare dello specifico femminile nasce la questione: qual è lo specifico maschile? Perché non se ne parla? Lo specifico maschile è forse tutta la attività umana, salvo la specifica funzione femminile materna? Senza questa parte, il discorso soltanto sulla donna trascina con sé, contro intenzione, proprio una prospettiva antropologica di non-reciprocità, confermando l’androcentrismo che pure si vorrebbe superare.
- A differenza della “Mulieris dignitatem”, la Lettera si occupa delle ideologie estremiste di genere (gender) che nega­no l'identità sessuale, perché l'influenza di queste teorie è notevolmente aumen­tata nell'ultimo decennio. Nella persona umana, il sesso e il ge­nere –e cioè il fondamento biologico e la sua espressione culturale- certamente non sono la stessa cosa, ma non sono nean­che completamente indipendenti. Su questo punto la Lettera si propone di stabilire una relazione corretta tra i due: né la donna né l'uomo possono andare contro la propria natura sen­za rendersi infelici. La rottura con la biologia non libera né la donna, né l'uomo; è piuttosto un cammino che porta alla patologia. Ma c’è da mettere in rilievo che una promozione autentica non con­siste nella liberazione della donna dal proprio modo di essere ma nell'aiutarla ad essere se stessa. [Mi permetto di aggiungere qualcosa che ho maturato lungo molti anni: la donna e l’uomo debbono entrambi auto-liberarsi “per” (o meglio “prima di”) aiutarsi l’uno l’altra. Dubito molto dell’aiuto esterno, sia maschile sia femminile: per costruire la propria indipendenza bisogna cominciare a fare da sé].  
- Come cristiani [io direi: “in quanto persone umane e cristiane”], l'uomo e la donna possono esercitare la loro libertà con maturità; possono convivere nell'uguaglianza dei diritti, nella responsabilità condivisa per il futuro del nostro mondo.
- [La precedente frase contrasta con questa successiva, che non mi trova d’accordo]. È la donna che, "nel suo essere più profondo ed originale, “esiste per l'altro", ed è a lei che è affidata in modo tutto particolare la vocazione di amare e nutrire la vita. Ciò è strettamente collegato alla capacità fisica della maternità.  
- La preoccupazione primaria di questa Lettera non è l’abuso degli uomini sulle donne, ma la minaccia del femminismo. Le femministe, ci viene detto, "danno forte risalto agli stati di subordinazione per provocare l'antagonismo" [accusa che dobbiamo respingere, ma tenere presente per smentirla nell’ordine dei fatti].
- Il problema più profondo di questa Lettera, più che sociologico, è teologico. A partire da Agostino la chiesa occidentale ha capito sempre la differenza sessuale come dimensione eterna dell'esistenza umana, ma ha anche tradizionalmente insegnato che la differenza fra gli uomini e le donne è di grado piuttosto che di sostanza. Cristo era maschio non perché il corpo maschile fosse ontologicamente differente dal corpo femminile, ma perché era la versione più perfetta della stessa cosa [affermazione che fa rabbrividire; e non è l’unica].
- Oggi, scartando una comprensione gerarchica della differenza sessuale a favore di un modello di complementarità (i sessi sono uguali ma differenti), la chiesa ha dovuto trovare nuove giustificazioni per l'esclusione delle donne dal sacerdozio. Una di queste è stata l'identificazione della mascolinità, essenziale al sacerdozio, con la mascolinità di Cristo, che a sua volta è identificato con la paternità di Dio. E’ difficile immaginare però un modello sessuale più polimorfo di quello supposto da una comunità di uomini e di donne costituiti come sposa di Cristo: la sposa femminile è in realtà un termine collettivo che raccoglie entrambi i sessi (e in alcuni casi può addirittura non includere affatto le donne, per esempio quando il gruppo si esprime in una comunità di tutti maschi), mentre lo sposo è essenzialmente e biologicamente maschio. La femminilità quindi è stata colonizzata da uomini come spose di Cristo, dal momento che Maria ha realizzato unicamente il suo ruolo materno; il corpo femminile si dissolve nella comunità della chiesa.
- In sintesi la Lettera mostra buon senso e intelligenza, ma è unilaterale nella rappresentazione del femminismo e fa un certo numero di affermazioni problematiche. Inoltre rischia, rispetto a quanto riguarda le donne, di far sembrare la gerarchia cattolica ancor più anacronistica. Quale altra istituzione oggi redigerebbe un documento sulle donne, facendolo scrivere da un gruppo di uomini (e cioè la Congregazione per la dottrina della fede, con la firma del cardinale Ratzinger)?

 = POESIOLA

ormai ti vedo o Maria
mamma sorella compagna
tra tante e tanti
incontrati nel tempo fugace

ormai ti vedo accanto
all’umanità che attende
segretamente la salvezza
 con il peso del dolore e


con la gioia della fiducia