venerdì 27 settembre 2013

Domenica XXVI T.O. annoC

 29.9.2013 DOMENICA XXVI T.O. anno C
Amos 6, 1a.4-7
Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d'avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell'arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei dissoluti.
1 Tm 6, 11-16
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio, il beato e unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l'immortalità e abita una luce inaccessibile: nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo. A lui onore e potenza per sempre. Amen.
Lc 16, 19-31
19 In quel tempo, Gesù disse ai farisei: C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20 Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21 bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22 Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23 Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24 Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25 Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26 Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27 E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28 perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29 Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro”. 30 E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31 Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”.
VISIONE D’INSIEME con libera laboriosa utilizzazione degli esegeti
Il brano di questa domenica è inserito in una breve sezione in cui domina ancora il tema della ricchezza, e che sembra l'antitesi dell’assunto della domenica scorsa: là un amministratore aveva agito in favore dei creditori e dei poveri, qui un ricco si disinteressa del povero Lazzaro.
Pare che la parabola sia nata in ambiente ellenistico-cristiano o in ambiente ebraico-cristiano, per manifestare, forse indirettamente, la limitatezza strutturale del cristianesimo e di qualunque religione sul piano sociale.
Ad una lettura superficiale la parabola potrebbe dire: "I ricchi vanno all'inferno e i poveri in paradiso". Letta così, si coglierebbe l’invito per i poveri a sopportare con pazienza la miseria di quaggiù perché lassù avranno la rivincita. Ma il senso della parabola è molto più profondo; indica quello che accadrà a te, se tu vivrai disinteressandoti, facendo finta di non vedere qualcosa che c'è e che dovresti vedere, ma che per comodità non vuoi vedere. Questo vangelo, infatti, non parla dell'aldilà ma del qua.
La pagina evangelica mette in guardia da un rischio grave: che la presenza del povero diventi un’abitudine, e non susciti più né scandalo né indignazione. Il ricco, volutamente senza nome, incarna chi cerca di sfuggire all’ordine dei giorni, rendendo festa anche la feria.
Forse la considerazione più rilevante da fare è questa: l’ascolto della Parola di Dio nel profondo del cuore umano è più importante dei miracoli: una precisazione che il vangelo di Luca pare rivolga ai credenti della seconda generazione, i quali non avevano avuto esperienza diretta delle apparizioni del risorto.
Scendendo ad alcuni particolari, c’è da dire che non si possono cogliere nel testo rilievi moralistici: non si può arguire che l'uomo ricco si fosse macchiato di azioni nefande, né che il povero fosse moralmente ineccepibile; semplicemente, il ricco fa il ricco, non curandosi del povero alla sua porta, e il povero viene consumato dalla sua miseria; ma, dove non arriva la sensibilità degli uomini, giunge la compagnia degli animali (i cani) che cercano di alleviare le sofferenze del povero come la natura ha loro insegnato.
Il cambiamento dello scenario della parabola, che passa in modo drastico a descrivere la morte di entrambi, fa della morte una protagonista importante. La morte è preziosa memoria dei limiti che scandiscono l’avventura umana, tesa ad evitare l’angoscia della morte. La scena surreale del dialogo tra il ricco e Lazzaro sottolinea il fatto che nella vita può esserci un troppo tardi: occorre vivere il momento presente come l’oggi di Dio; il momento presente è l’occasione per giocarsi il tutto della vita.
La liturgia domenicale si apre con una pagina veemente di Amos, un contadino dell'VIII secolo a.C., che, divenuto profeta, frusta le alte classi della Samaria, capitale del regno settentrionale d'Israele. Paolo dice quanto sia importante nella vita avere delle mete, perché vivere senza obiettivi non è possibile; ed è da notare che non dice devi esser giusto, ma: tendi alla giustizia, alla pietà, alla mitezza, alla fede, alla carità, alla pazienza.
Qual è il messaggio essenziale da trarre dalla parabola? Quello del discorso della pianura (delle beatitudini), di cui tratta lo stesso Luca in 6,21.24, dove il guai si traduce nel beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati ecc. Il comportamento del ricco ha un nome preciso, ingiustizia, come omissione; infatti il monito è volto ad ascoltatori che non vogliono ascoltare, abituati come sono alla presenza di bisognosi senza diritti.
L’appello rivolto da Paolo all’esercizio della carità trasporta in un’atmosfera respirabile, vitale. Plauto, nella commedia Aulularia descrive lo stato di apprensione e di ansia di un padrone di casa apparentemente povero e miserabile, che in realtà nasconde nella propria casa una grossa pentola piena di monete d'oro. Timoroso che questa gli venga sottratta improvvisamente da qualche malintenzionato, si atteggia con fare diffidente e sospettoso nei confronti di tutti percuotendo anche uno dei suoi servi da lui visto come probabile ladro della pentola. Complice la sua ostinata avarizia viene però smascherato e derubato della pentola, che passa per diverse mani. Gli verrà restituita solo dopo aver acconsentito alle nozze della figlia con colui che al momento la possiede. La storia di Plauto è affascinante e densa di significati nel suo tratteggiare l'insulsaggine e la l'assurdità di quanti si preoccupano della tutela egoistica del proprio status rassicurante.
SUCCINTA PARZIALE ANALISI  TESTUALE
V.20: un ricco: l’appellativo epulone (=banchettatore) non è lucano; è stato usato in relazione alla parabola da Pietro Crisologo (406–450), vescovo di Ravenna. Il nome di Lazzaro ha fatto di lui il protettore dei malati di lebbra, tanto che i lebbrosi venivano raccolti nei cosiddetti lazzaretti; stava alla sua porta: non sulla porta della sua casa, ma nel suo portale, la parte dell’edificio in cui sta la porta che dà sulla strada; coperto di piaghe: il riferimento è a Deut 28 dove le piaghe sono considerate un castigo inviato da Dio quasi fossero segno della colpevolezza del povero.
V.21: i cani nella mentalità giudaica ritenuti animali impuri, sono gli unici ad aver pietà del povero.
In un suo bel commento, don Giovanni Nicolini osserva: non sembra che i ricchi di Israele abbiano una qualche coscienza e volontà di male; ne sono semplicemente immersi; per questo non mi sembra impropria l'espressione "spensierati di Sion" del v. 1 di Amos. La loro condizione di ricchezza li rende sicuri. Il verbo in ebraico parla di confidare e affidarsi. L'atteggiamento del ricco della parabola raggiunge un unico obiettivo: scavare un abisso così profondo che nemmeno Dio può attraversarlo...
V.22: sia il povero sia per il ricco tutto si capovolge con  la morte; seno di Abramo significa la pienezza di vita destinata al povero; il lapidario fu sepolto suggella il destino della fine definitiva del ricco che ha dissipato la sua esistenza in cose secondarie.
V.23 e seguenti: per Luca ricchezza e povertà non sono semplicemente una condizione sociale, ma un modo di porsi di fronte a Dio. La concezione della separazione inesorabile tra vita terrena e vita ulteriore, è tratta da un libro conosciutissimo a quell’epoca, il libro di Enoch, dove il regno dei morti viene considerato un grande baratro; in esso il punto più luminoso è il seno di Abramo, il punto più oscuro è il luogo destinato al malvagio. Il termine inferi traduce il termine greco ade, che significa regno dei morti.
VV.30 e 31, conclusivi, sono di grande attualità. Vale la pena ricordare la storiella zen (questo termine nella dottrina di Buddha significa concentrazione meditativa): un professore universitario andò un giorno a far visita al maestro zen, il quale gli versò del the in una tazza e,  quando questa fu colma, continuò a versare. Alla richiesta di spiegazione il maestro replicò: tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo zen, se prima non vuoti la tua tazza? Anche gli Apostoli stentavano a credere alla verità della risurrezione: il Vangelo di Matteo si conclude proprio con il dubbio degli Undici. Invece i miracoli sono rassicuranti perché non c’è chi non cerchi conferme nelle proprie congetture.
Altre note in ordine sparso
Molti rabbini pensavano che i grandi meriti di Abramo sarebbero stati utilizzati a beneficio di tutti i discendenti; Abramo avrebbe potuto salvare i suoi figli persino dalla Geenna; tutti gli israeliti, ad eccezione di determinate classi di delinquenti particolarmente gravi, sarebbero stati un giorno liberati dalla Geenna. Gesù non è di questo parere. Non basta l'appartenenza a un popolo per essere salvi. Conta il modo con cui si è vissuto.
Il tema del doppio giudizio sarà ripreso anche da Dante nella Divina Commedia, in particolar modo nel 6° canto -siamo nel cerchio dei golosi, il 3°- e non a caso, si ravvisa un influsso della parabola odierna.
Il vero protagonista della storia è il mendicante e, attraverso di lui, Cristo-mendicante del cuore dell'uomo. I poveri hanno gli stessi sentimenti interiori ed esteriori dei poveri di JHWH. Non a caso il termine usato da Mt è pitokoi, da cui deriva pitocco, miserabile. A questi poveri Gesù è inviato come Messia (Mt 11,5; cf. Lc 4,18 che cita Is 61,1-2). Il motivo della beatitudine non sta nella situazione precaria vissuta dal fedele, me nel sicuro intervento di Dio. In questo senso, la povertà è la migliore condizione per accogliere il Regno di Dio. Esso, perciò, è già, al presente, dei poveri. È fatto di loro (cf. Sof 3.12). 
A conclusione uno stupendo testamento di Primo Mazzolari: Credo nello Spirito. L’uomo si vanta di seminare la morte e di fare il deserto. La nostra grandezza la misuriamo con la morte! Essa è davvero l’opera delle nostre mani, il capolavoro del nostro orgoglio. Facciamo concorrenza a Satana, in opposizione allo Spirito che fa vivere ogni cosa, che nasconde la vita nel più piccolo seme e la libertà nel cuore dell’ultimo uomo. Lo Spirito non ha granai, non ha banche, industria pesante, eserciti, aviazione, marina, clientele… non ha niente e muove tutto, e dove l’uomo è passato distruggendo, egli, in silenzio, fa rigermogliare ogni cosa. Per lui ho una famiglia che si dilata fino agli estremi confini della terra, annuncio di un regno che sospira anche nei cuori dei tiranni. Non ci sono separazioni né disuguaglianze né ingiustizie in questa famiglia, che sta come le pietra che gli fa da sostegno, e che continua a camminare dietro il Pellegrino che lo guida  “Credi tu questo?”. “Sì, o Signore, ma tu aiuta la mia poca fede” 


venerdì 20 settembre 2013

XXV domenica T.O. annoC

22 settembre 2013 XXV DOMENICA T. O. anno C
Amos 8, 4-7; Salmo 112 ;1Timoteo 2, 1-8: Luca 16, 1-13
Am 8,4-7
Il Signore mi disse: «Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano”». Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».
Sal 112
Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore. Sia benedetto il nome del Signore, da ora e per sempre. Su tutte le genti eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua gloria. Chi è come il Signore, nostro Dio, che siede nell’alto e si china a guardare sui cieli e sulla terra? Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo.
1Tm 2,1-8
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo –dico la verità, non mentisco–, maestro dei pagani nella fede e nella verità. Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
Luca 16, 1-13
In quel tempo, Gesù 1 diceva anche ai discepoli: Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2 Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 3 L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4 So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dalla amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5 Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?” 6 Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7 Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8 Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9 Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. 10 Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11 Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12 E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 13 Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
IMPOSTAZIONE ESEGETICA
Per aprire un varco alla comprensione del brano evangelico di questa domenica bisogna risalire al tempo della sua stesura redazionale, quando nella comunità lucana serpeggiavano gli opposti atteggiamenti dei rigoristi e dei lassisti. I primi, fanatici nella pratica legalistica della povertà, si ritenevano giusti contro i secondi. In entrambi gli atteggiamenti manca la distinzione tra uso della ricchezza e idolatria per la stessa.
La questione non è di poco conto. L’affronta Luca attraverso una parabola che riporta solo lui tra gli evangelisti. La differenza tra attaccamento e distacco nei riguardi della ricchezza, emerge con fatica nel percorso narrativo, il quale appare piuttosto ambiguo. Eppure dalla lettura complessiva, nonché confrontata attraverso altre parabole, si può ricavare stimolo per fare un passo ulteriore verso la compenetrazione del senso delle varie frasi in una visione d’insieme equilibrata, in modo da e raggiungere il cuore del messaggio evangelico.
Il primo verso -diceva anche ai discepoli- accosta, attraverso l’anche, i discepoli ai farisei. A Luca preme mettere a fuoco il pernio attorno a cui ruota l’insegnamento di Gesù, sintetizzabile così: senza la relazione con Dio e con gli altri  la giustizia risponde a criteri soltanto umani e, come tale, non e’ vera giustizia; o meglio: LA MISURA DELL’AMORE PER DIO E’ L’AMORE PER IL PROSSIMO; E VICEVERSA.
Qualche passaggio di Lc 16,1-13 
Se al brano che leggiamo fossero stati aggiunti i seguenti tre versetti (dal15 al 18), giungeremmo subito a capire il senso complessivo della parabola. Le altre letture  potrebbero aiutare a trovarlo.
Amos assicura, alla pari di Luca, che l’autentica carità può, e talora deve, ispirarsi a criteri di prudenza umana, propedeutica alla Sapienza divina. Egli ha parole durissime per la malizia di chi sfrutta i poveri, fino a porre in bocca allo stesso Dio giuramento e vendetta [bello questo aspetto viscerale che riveste principi alti]: Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: ‘Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere’. Ma la denunzia divina tocca tasti di grande concretezza: Voi non vivete altro che per fare i soldi, vergognatevi! Non vedete l’ora che passi il novilunio (la festa della luna nuova sospendeva le transazioni commerciali), e via continuando; fa da ritornello la copertura formale di azioni in apparenza buone, in realtà cariche di malizia e di insidia a danno dei poveri
Paolo, nella prima Lettera a Timoteo, non si discosta da questa linea. Egli esorta alla preghiera vera: quella del povero, fatta di domande e di ringraziamenti, e rivolta all’unico Dio, mediato da Cristo grazie al sacrificio della sua vita [mediazione innegabile che, di fatto, vediamo ripetersi in tante figure profetiche della storia].
Luca fa commentare la parabola a Gesù, il quale ne compendia il senso nel  v. 9: fatevi degli amici per­ché essi vi accolgano nella ca­sa del cielo. Essi, non Dio, hanno le chiavi della vera vita, già in questa terra, in attesa dell’aldilà.
* Sen­za volerlo, l'amministratore fa qualcosa di profetico: opera verso i debitori allo stes­so modo con cui Dio continuamente opera verso l'uo­mo, donando e perdonando. Il principio-guida è sempre lo stesso: conta fare ciò che Dio fa, anche quando ci si affida ad amici conquistati per prudenza, forse anche per furbizia umana: attraverso mezzi impropri si può aprire una breccia di ingresso alla Comunione universale, che è divina ed umana nello stesso tempo. Chi legge con superficialità, traendo spunto dalla furbizia dell’amministratore infedele, potrebbe essere tentato a relativizzare tutto, a voler stare nello stesso tempo sui due campi, quello dell’altruismo di Dio e quello dell’egocentrismo umano.
* Nel linguaggio parlato vi è una certa assonanza tra il termine mammona relativo all’idolo del denaro, e il termine
amen che esprime la sottomissione a tale idolo; infatti dicendo amen si accetta passivamente tutto.
* L’ultimo spezzone del versetto 13 del brano, pur accostato in maniera composita a frasi che hanno diversa origine ed introdotto quasi a caso da Luca, scioglie ogni dubbio sul superamento dell’ambiguità: Non potete servire Dio e la ricchezza. L’espressione non concede spazi ad alternative. La logica super partes di Dio, elemento-chiave per la comprensione del brano, è ben lontana dalla pseudo-logica dei compromessi.
LA PAROLA nella letteratura e nella vita  
Il vescovo Attilio Nicora, in una sua lettera pastorale sulla sobrietà, afferma che che il cristianesimo è vita di comunione, e non di competizione.  
Gandhi classifica così i sette peccati sociali: politica senza principi, ricchezza senza lavoro, piacere senza coscienza, sapienza senza carattere, commercio senza moralità, scienza senza umanità, culto senza sacrificio.
Benedetto da Norcia, nella sua Regola scrive: Nel monastero il vizio della proprietà deve essere assolutamente estirpato fin dalle radici. Tutto sia in comune a tutti, come dice la Scrittura, e nessuno dica o consideri sua proprietà qualsiasi cosa. Certamente egli non sogna di trasformare il mondo in un grande monastero, ma nella regola benedettina risalta un principio a cui nessuno può sottrarsi: la possessività è il vizio umano che maggiormente intacca la convivenza umana.
Francesco d' Assisi ha sposato la povertà, in quanto fonte di liberazione, di pace, di perfetta letizia e di fraternità.
Teresa di Lisieux considera la povertà nell'ottica della infanzia spirituale. E ne spiega il concetto: La santità non consiste in tale o tal'altra pratica, bensì consiste in una disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli nelle braccia di Dio, consci della nostra debolezza e fiduciosi fino all'impudenza nella sua bontà di Padre… Quello che piace al buon Dio nella mia anima è il vedermi amare la mia piccolezza e povertà, è la cieca speranza che ho nella sua misericordia… Non temere: più sarai povero, e più sarai amato da Gesù!.
Y. Congar, grande teologo domenicano, scriveva così: Essere perduti al ‘mondo del mondo’ e rinascere al ‘mondo di Dio’ vuol dire impegnarsi in una vita di libertà spirituale e di servizio, della quale è condizione una certa povertà [poderosa una povertà evangelica che può lottare le tante forme di povertà e di ingiustizia oggi presenti].
Mathilde Ludendorff, figlia di pastore protestante, vissuta tra l’800 e il ’900, presenta la parabola odierna come la più raccapricciante delle parabole [abbiamo anche noi accennato alle possibili ambiguità interpretative].
Bandler e Grinder che in un libro di alcune decine di anni fa, La struttura della magia, presentano la loro scoperta dei primi modelli comunicativi, ci regalano un interessante apologo, non inventato, che fa al caso nostro:  un uomo  si credeva Gesù Cristo. Gli psichiatri avevano provato tutti i metodi classici, ma nessuno riusciva a fargli cambiare idea. Bandler va da questo uomo e gli chiede: "Lei è Gesù Cristo?". E l'altro: "Sì, figlio mio". Al che Bandler: "Torno tra un istante". L'uomo rimane un tantino confuso; tre o quattro minuti dopo torna con un metro a nastro e gli chiede di allargare le braccia, ne misura l'apertura, misura quindi l'altezza dell'uomo, e se ne va. L'uomo che si proclama Gesù Cristo resta un tantino incerto. Qualche minuto dopo Bandler ritorna con un bel trave di legno, un altra appuntito da una parte, un martello e dei chiodi. Bandler ri-chiede: "E' lei Gesù Cristo?". E l'uomo: "Lei lo ha detto, io lo sono!". Bandler: "Bene, bene!". Così distende l'uomo sopra il trave, gli apre le braccia (l'uomo è totalmente confuso ed esterrefatto), prende un chiodo e il martello. In quell'istante l'uomo gli chiede: "Ma si può sapere cosa sta facendo?". Bandler: "Lei è Gesù Cristo, sì o no?": L'uomo: "Gliel'ho detto, io lo sono". Bandler: "Bene, bene, perché io sono il governatore romano Ponzio Pilato e lei sa bene cosa adesso gli faccio...". Non finisce di dire queste parole che l'uomo si mette ad urlare: "No, no, lo giuro, non sono io Gesù Cristo, non sono io...".
* Anch’io ho da raccontare un apologo dal vivo. Un elettricista mi metteva a posto i fili di un lampadario. Ha profittato dell’occasione per sfogarsi a denunciare con acrimonia storture che riscontrava ovunque: nella politica attuale, nelle ideologie (le aveva masticato chissà da dove), nelle religioni, sette, corporazioni, guerre, crimini. Non riuscivo a controbattere le sue amarezze. Dopo vari tentativi falliti, l’ho incalzato con brevi domande: ma tu come ti comporti di fronte a tutte le storture? preghi? cosa insegni ai tuoi bimbi? Salverai il mondo vedendovi solo il lato negativo, senza scoprire un briciolo di bene? Restai stupita di queste domande che forse avrei dovuto fare piuttosto a me stessa. Fatto sta che le domande coglievano nel segno il vuoto interiore, tipico di una società malata perché senza Dio. L’elettricista, commosso, mi ha chiesto di voler essere mio amico e confidente. Ma io rimango colpita tuttora dalle improvvisazioni che non erano mie, che provenivano da Qualcun Altro.
* Un’ultima suggestione mi giunge proprio mentre trascrivo le precedenti. Stamane, attraverso il sito delle teologhe ho tra le mani il testo dell’intervista di Spataro a papa Francesco. Leggo fra l’altro il tocco col quale il papa ‘corregge’ il commento fatto da Beda il Venerabile all’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, “Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi”: il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando.

venerdì 13 settembre 2013

XXIV domenica T.O,

15/09/2013 XXIV Domenica del Tempo Ordinario anno C
Esodo 32,7-11.13-14
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”». Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.
Timoteo1.12-17
Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli.
Lc15,1-32
1 In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: ‘Costui accoglie i peccatori e mangia con loro’. 3 Ed egli disse loro questa parabola: 4 Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5 Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: ‘Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta’. 7 Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. 8 Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9 E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: ‘Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto’. 10 Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte. 11 Disse ancora: Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane dei due disse al padre: ‘Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta’. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13 Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17 Allora ritornò in sé e disse: ‘Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati’. 20 Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio’. 22 Ma il padre disse ai servi: ‘Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23 Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’. E cominciarono a far festa. 25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27 Quello gli rispose: ‘Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo’. 28 Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29 Ma egli rispose a suo padre: ‘Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31 Gli rispose il padre: ‘Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.
INQUADRAMENTO ESSENZIALE
a) Il brano odierno e le prime letture
Nella splendida pagina dell'Esodo si parla di un Dio che si accorge di essere stato troppo fiducioso nei confronti di un popolo di schiavi, e decide di voltargli le spalle. Allora Mosè lo sfida e rifiuta di seguirlo: tra Dio e il popolo Mosè sceglie il popolo. E Dio si stupisce della sua sfida, tanto da cambiare idea (simpatico modo di avviare chi legge ad entrare nella mentalità consona a quella divina!).
Il campo in cui Luca si spende è la sua comunità. Formata in maniera prevalente da coloro che, insoddisfatti della vita condotta all’interno della società religiosa di provenienza, hanno seguito Cristo, e ora ripetono lo stesso paradigma dell’Antica Alleanza. Mescolati ai pagani (l’evangelista ne parla in Atti 8,4 e 11,18), si comportano come i farisei. Il termine pharisaios vuol dire  separato; ebbene, anche loro si avvertono separati dai ‘cattivi’; chiusi nella certezza di essere giusti; si sentono a posto col notes dei propri meriti completo, incuranti della necessità di metanoia, mentre è questa a permettere l'abbandono di certezze posticce e l'adeguamento alla mentalità divina.
Animato da preoccupazione di carattere pastorale, avverte la necessità di richiamare, mettendole assieme, le tre parabole della misericordia per spingere i suoi ad entrare nel cuore del vangelo: la BENEVOLENZA EQUANIME DI DIO.
E’ difficile per l’evangelista far capire cosa sia l’equanimità divina. Allora si rifugia nel concetto di PREFERENZA che Dio avrebbe  per coloro che all’occhio umano appaiono indegni. Usa i termini che possano spiegare l’atteggiamento d un Dio che sa guardare a situazioni e avvenimenti con uguale benevolenza per ogni sua creatura senza eccezione di sorta, attraverso immagini sotto forma di parabole. Si tratta di immagini –attenzione! solo immagini- utilizzate in forma didascalica.
C’è di più. Nel tessuto narrativo un sentimento serpeggia ad animare le tre scene: LA GIOIA DE RITROVAMENTO. Gioia di comunione e di compartecipazione. Il ritrovare l’orientamento della propria vita in Dio ha l’aspetto della gioia e della festa, non soltanto dal punto di vista escatologico, ma anche concreto.
b) Ambientazione del capitolo 15
Ci troviamo di fronte ad uno dei testi più alti della letteratura di ogni tempo e per questo più studiati da ogni punto di vista. Qui la rivelazione cristiana raggiunge il suo vertice: possiamo conoscere a memoria queste parabole, ma ogni volta che le leggiamo, si aprono orizzonti nuovi. Leggerle aiuta anche noi che viviamo in epoca postmoderna, e non abbiamo risolto il problema di Dio, di chi è, di come ascoltarlo e di come parlare con Lui e di Lui; laddove i catechismi restano affidati ad osservanti religiosi...
Non è l’unica volta in cui Luca ambienta le sue parabole in un banchetto. Ma, se nel capitolo 14 Gesù pranzava con i farisei, in questo caso condivide la tavola con i peccatori. Ora farisei e scribi, indignati per il suo comportamento di amico dei peccatori, si tengono a distanza. Da zelanti della Torah, evitano ogni prossimità con i peccatori, cioè con coloro che per status o professione non compiono le prescrizioni della Legge.
L’evangelista sottolinea l’atteggiamento di Gesù, che, ricalcato su quello del Dio misericordioso, realizza già sulla terra la comunione con Dio.
La sproporzione, di cui nel v,4, tra 99 e 1 mette in risalto l'interesse del pastore per la singola pecora, cioè per il singolo in quello che è; ed analogo è l’interesse per l’unica dramma perduta [la paga di un solo giorno lavorativo], o l’ansia dell’attesa del padre per il figlio scialacquone e dalla condotta immorale. In ciascuna parabola la vera motivazione della ricerca di ciò che è perduto e nel finale: quando sulla polarità trionfa il suo superamento, che dilata l’orizzonte delle visioni umane.
Lo scopo di Luca è quello di educare alla scuola di Gesù, Maestro di vita nelle radici più profonde dell’essere umano.
A ben notare, il nome Dio non è presente in tutto il capitolo: è solo sfiorato al termine delle prime due parabole con l'accenno alla gioia in cielo e agli angeli di Dio. Eppure il protagonista è proprio il Dio così come si è manifestato in Gesù, e come si propone, mediante lui, a tutti. [I concetti sottesi nei termini Figlio di DioVerboMediatore, andrebbero letti in questa chiave].
L’orizzonte costituito dalle parabole di Luca rivela la sua capacità letteraria e la sua spiritualità. Non ce n’è un'altra prospettiva che possa pareggiare con tale orizzonte: ieri come oggi, quando le scienze umane ed i principi etici, frutto sempre di convenzione, presumono l’illuministica autonomia della ragione. Il ricorso alla religione può essere per molti una scappatoia al senso di responsabilità, ma certamente senza un punto di riferimento oltre l’orizzonte umano vacilla tutto.
RISPONDENZE
Anzitutto una considerazione
Le letture di oggi hanno tutte un punto focale: nessuno può fare a meno della Misericordia divina.

Nel peccato di Israele, impaziente nell'aspettare la rivelazione del vero Dio per mezzo delle tavole della legge e che vuole disporre immediatamente di un Dio a misura propria, si possono leggere tante sfaccettature della realtà odierna in fatto di religione. Le riscontriamo perfino all'interno dei movimenti ecclesiali, quando, raggiunto un certo stadio di eccessi, la devozione e la pietà si trasformano in mero fanatismo, nascosto dietro l’apparente sete di Dio identificata nel culto dei propri santi, in cielo o ancora in terra.
Sono poco diversi i devoti di ogni risma, i quali intimidiscono di fronte ai potenti ecclesiastici -anche al semplice livello del proprio parroco- ma non si convertono  nel profondo del cuore. Ed è poco diverso un bestemmiatore assiduo di mia conoscenza, il quale chiama la madre di Gesù puttana e venera santa Rita.

Vale la pena percorrere un breve giro di orizzonte, tra autori cristiani o non, vicini e lontani.
Archimede (III secolo a.C.) avrebbe pronunziato la frase: datemi un punto d'appoggio e solleverò la Terra. F. Nietzsche ne La gaia scienza fa dire al folle che ha sentito parlare della morte di Dio: Dov’è che ci muoviamo noi? via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? e all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Primo Mazzolari scrive sotto forma di preghiera: La mia vita si svolge tra questi due momenti, come tra due poli opposti: la mia povertà e la tua sovrabbondante misericordia. Donde il mio sospiro e il mio grido ‘veni, Domine, et noli tardare’. Lorenzo Milani scrive nel testamento lasciato ai suoi ragazzi: Ho voluto più bene a voi che a Dio; ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto sul suo conto. Oscar Wilde afferma: Credo nel Dio che ha creato l'uomo, non nel Dio che l'uomo si è creato. Papa Francesco, nella sua semplicità, sembra rispondere al grande Wilde, nella lettera ad E. Scalfari dell'11 settembre scorso: la grandezza dell’uomo sta nel poter pensare Dio. E’ cioè poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma Dio non è un’idea... è realtà con la R maiuscola. Gesù ce lo rivela come un Padre di bontà e misericordia infinita. van Riyn Rembrandt ritrae in un grande, stupendo quadro, l’immagine del Dio misericordioso: impressionanti le mani del padre poste sulle spalle del figlio, inginocchiato di fronte a lui: una è di uomo, robusta, l'altra di donna, più sottile. H.U. Von Balthasar, teologo della croce, parla della Parola-bambino: La Parola è un piccolo figlio che ci viene donato perché possa rannicchiarsi in noi e cercare rifugio e protezione nella nostra debole carne umana  [terribile questa Parola che, a motivo della sua impotenza, simile a quella di un bambino, può essere facilmente respinta in mille modi. Dio viene a noi non come vincitore, ma come colui che invoca protezione…]. Etty Hillesum in una preghiera traccia il suo bisogno di rispondere alla misericordia di Dio con la propria: Ti prometto, o Dio, che cercherò sempre di trovarti una casa, un ricovero. Io mi metto in cammino e cerco un tetto per te. Ci sono tante case vuote, te le offro come all'ospite più importante.


venerdì 6 settembre 2013

XXIII DOMENICA T. O. annoC

8.09.2013 - XXIII DOMENICA T. O. anno C
Sap 9.13-18
Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza.
Dalla lettera a Filèmone 1.9-10.12-17
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.
Luca 14, 25-33
25 In quel tempo, una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: 26 Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27 Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. 28 Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29 Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30 dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 31 Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32 Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere la pace. 33 Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
PREAMBOLO
Le prime due letture sono di stupenda bellezza; ogni commento sarebbe, non solo superfluo, ma soprattutto limitante. Mettono a fuoco in forma didascalica ed esauriente la tematica proposta nel brano di Luca: LA RINUNCIA COME MEZZO che rende possibile la penetrazione della luce divina dentro il cuore umano. Penetrazione che trascende il povero approccio esegetico alla Parola di Dio.
Quando Teresa di Calcutta afferma che Dio scrive dritto attraverso le nostre righe storte, mette in chiaro il concetto di fondo circa l’accesso umano alla comprensione della Verità, che trascende ogni espressione umana e si apre un accesso in noi. Certamente non senza la nostra cooperazione, sostanziata di preghiera.
Quale rinuncia
Anzitutto la rinuncia è fattore necessario, ma non esauriente, per una crescita che riguardi la totalità della persona; per quest'ultima ci va la Sapienza. La frase della prima lettura -Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienzaè indicativa: attraversiamo sentieri storti, ma il dono della Sapienza viene in soccorso delle storture  raddrizzandole. Ecco l’unico mezzo di salvezza, cioè di possibilità di emergere da tali storture; di evitare la parzialità, causa di infelicità; e di raggiungere la pienezza dell’umano. Gesù ne è maestro. Come dice Karl Rahner, l’atto di fede in Gesù si realizza e diventa concreto afferrando la realtà dell’uomo in tutte le sue dimensioni, da quella corporea a quella sociale e storica.
La lettura evangelica
Nel brano che leggiamo tutto è dimensionato da un ragionamento umano, un calcolo da fare prima di dar corso ad una iniziativa, ma che offre strumenti di discernimento circa le possibilità umane in ordine all’obiettivo da raggiungere.
Il discorso verte essenzialmente sulle relazioni parentali, nelle quali si concentra ciò che è di più caro al cuore umano e che è causa delle più profonde lacerazioni. Nessuno può negare che tra gli averi, il più forte sia quello degli affetti di cui si ambisce avere il possesso. Ma il dilemma consiste nello scegliere, più che tra amore divino ed amore umano, tra umanità disumanizzata e umanità piena.
La raccolta delle singole frasi sparse in altri contesti evangelici permette  di riassumere il tutto nella frase: fai i conti con la realtà. Infatti la Sapienza non insegna un dippiù, bensì l’essenziale; indica semplicemente l’unico orientamento, atto a conseguire la pienezza umana alla quale tutti aspiriamo. Ecco perché Gesù propone ed ammonisce nello stesso tempo: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Ci sono due parolette a far paura: NONRINUNCIA. Eppure in esse c’è la più grande affermazione: CHI SI FA DISCEPOLO DI GESÙ PUÒ RAGGIUNGERE IL SUO STESSO OBIETTIVO.
La tematica del brano lucano non è nuova: non sono nuove le singole frasi né la cornice in cui sono inquadrate.
Di omelie evangeliche su questo brano sono piene interminabili pagine. E -lo confesso- anch’io ho cercato di trovare luce nella consultazione esegetica, quando, ad un tratto, mi è parso di avere sprecato tempo. E sono ricorsa, mi sono quasi rifugiata in esemplari di attualizzazione del vero essere discepoli di (o come) Gesù.
ESEMPLARI DI RINUNCIA NELLA STORIA
Papa Francesco a Santa Marta, dove ama dimorare, così si è espresso:
Si può conoscere tutto, si può avere scienza di tutto e questa luce sulle cose. Ma la luce di Gesù è un’altra cosa. Non è una luce dell’ignoranza, no! E’ una luce di sapienza e di saggezza, ma è un’altra cosa che la luce del mondo. La luce che ci offre il mondo è una luce artificiale, forse forte – più forte è quella di Gesù, eh! – forte come un fuoco d’artificio, come un flash della fotografia. Invece, la luce di Gesù è una luce mite, è una luce tranquilla, è una luce di pace, è come la luce nella notte di Natale: senza pretese…..
E’ una luce che si offre e dà pace….. La luce di Gesù non fa spettacolo, è una luce che viene nel cuore. Tuttavia è vero che il diavolo tante volte viene travestito da angelo di luce: a lui piace imitare Gesù e si fa buono, ci parla tranquillamente, come ha parlato a Gesù dopo il digiuno nel deserto …. Dobbiamo chiedere al Signore la saggezza del discernimento per conoscere quando è Gesù che ci dà la luce e quando è proprio il demonio, travestito da angelo di luce ….
Quanti credono di vivere nella luce e sono nelle tenebre, ma non se ne accorgono.
Come è la luce che ci offre Gesù? La luce di Gesù possiamo conoscerla, perché è una luce umile, non è una luce che si impone: è umile. E’ una luce mite, con la fortezza della mitezza. E’ una luce che parla al cuore ed è anche una luce che ti offre la Croce. Se noi nella nostra luce interiore siamo uomini miti, sentiamo la voce di Gesù nel cuore e guardiamo senza paura la Croce: quella è luce di Gesù…..
Ma se, invece, viene una luce che ti rende orgoglioso, una luce che ti porta a guardare gli altri dall’alto, a disprezzare gli altri, alla superbia, quella non è luce di Gesù: è luce del diavolo, travestito da Gesù, da angelo di luce……Sempre dove è Gesù c’è umiltà, mitezza, amore e Croce…… Mai, troveremo un Gesù che non sia umile, mite, senza amore e senza Croce…. Dobbiamo allora andare dietro di Lui, senza paura….. la luce di Gesù è bella e fa tanto bene……
Gesù non ha bisogno di un esercito per scacciare via i demoni, non ha bisogno della superbia, non ha bisogno della forza, dell’orgoglio. Che parola è mai questa che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno? Questa è una parola umile, mite, con tanto amore; è una parola che ci accompagna nei momenti di Croce. Chiediamo al Signore che ci dia oggi la grazia della sua Luce e ci insegni a distinguere quando la luce è di Lui e quando è una luce artificiale, fatta dal nemico, per ingannarci.
Un prete, tra coloro che sono esposti a possibili esclusioni dalla chiesa perché predilige il modo di essere-prete che gli pare evangelico (e voglio precisare che non si tratta di un ‘prete sposato’!), mi ha fatto visita, dato il mio condizionamento di non poter raggiungere fisicamente i fratelli nella fede. Mi è sembrato un mandato dal Dio misericordioso. Vive così come si esprime in una intervista che gli è stata fatta:
E’ Gesù che mi ha insegnato a cercare sempre e solo l'umanità, ad impegnarmi a diventare più umano. Gesù chiama Simone pietra (Mt 16,13-20), ma anche scandalo, lo chiama Satana (Mt 16,21-27). Tutti noi siamo insieme pietra e scandalo, siamo insieme Pietro e Satana, perché questa è la condizione umana. Non voglio ‘costruire’ sulla condizione umana; voglio conoscerla, accoglierla e spassionatamente amarla. Perché parlo spesso di morte? Perché non posso vivere senza conoscerla, accoglierla, spassionatamente amarla. Perché costruirci sopra una teologia negativa quando essa c'è, riguarda tutti ed è scritta nel nostro DNA? Quando essa è dono, opportunità, grazia che ci permette di vedere finalmente Lui? Credo fermamente a quanto affermava Teillhard de Chardin, "Non siamo esseri umani che vivono un'esperienza spirituale, siamo esseri spirituali che vivono un'esperienza umana".
Mi ha sempre impressionato una frase di Jonathan Swift: "Abbiamo abbastanza religione per odiare il prossimo, ma non per amarlo". Ho l'impressione che le religioni non amano la vita, perché non la conoscono; preferiscono teologizzarla senza guardarla, interpretarla senza amarla, dogmatizzarla senza accettarla. Se Dio è Creatore, questa creazione svela qualcosa di Dio nel momento in cui noi la accogliamo, la accettiamo, possibilmente l'amiamo. Se osserviamo la storia capiamo che succede sempre ciò che…può succedere. Perché allora tutte le volte sembra che capiti la prima volta? Perché tutte le volte che ci succede qualcosa che è già avvenuto miliardi di volte rimaniamo sbalorditi, scandalizzati, disorientati? Perché tanto orrore per la morte se so che questa esperienza tocca tutti gli umani? Perché non accettare, diventando vecchi, che è assai probabile che diventeremo incontinenti, impotenti, disorientati? Non posso far finta che tutto ciò non esista. E che capiti solo agli altri. Faccio un secondo esempio. Se il Maestro ha detto che "Quando avete fatto tutto, dite: 'siamo servi inutili' (Mt, 7,20), perché i cristiani pretendono di essere ricompensati per il bene che fanno? Perché esigono privilegi ed esenzioni? Gesù assicura ai discepoli che andrà a Gerusalemme dove verrà sì flagellato e ucciso, ma dove anche risorgerà. Ho trovato così poche persone che accettano la croce e credono nei fatti alla resurrezione… Anche Pietro non capisce.
Etti Hillesum, non-cristiana, morta nell’inferno di Auschwitz, lascia alcune perle, scritte furtivamente in strisce di giornali…
Devi vivere e respirare con la tua anima. Se vivi soltanto con la mente, la tua esistenza è davvero povera. * Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo. * Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima. * Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza prima aver fatto la nostra parte dentro di noi. * Siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica cosa che veramente conta, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. * La mia vita è diventata un colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio. A volte, quando me ne sto in un angolino del campo, i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti al cielo, le lacrime mi scorrono sulla faccia, lacrime che sgorgano da una profonda emozione e riconoscenza.
Teresa d’Avila, grande esemplare della via della Sapienza, stende queste righe poetiche nel suo stile barocco:
Libero e lieto è il cuore innamorato
Che tutto e solo si concentra in Dio.
Per Lui rinuncia ad ogni ben creato,
per Lui si lascia in disdegnoso oblio.
Il suo pensiero è tutto in Lui sacrato,
ed Ei l’appaga in ogni suo desio.
Così, fra mezzo a questo mar sconvolto,
passa sereno nella pace avvolto.