venerdì 29 maggio 2015

La SS. TRINITA' - anno B


I testi

Dt 4,32-34.30-40
Mosè parlò al popolo dicendo: «Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo? O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi? Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro. Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre».
Sal 32
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.
      Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
      dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
      Perché egli parlò e tutto fu creato,
      comandò e tutto fu compiuto.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
      L’anima nostra attende il Signore:
      egli è nostro aiuto e nostro scudo.
      Su di noi sia il tuo amore, Signore,
      come da te noi speriamo.
Rm8.14-17
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Mt 28,16-20
16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17 Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18 Gesù si avvicinò e disse loro: A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".

Brevi commenti ai testi
 
Prima lettura - Nella pagina del Deuteronomio che la liturgia propone Mosè invita il popolo a prendere coscienza della straordinaria novità del Dio che lo ha liberato dalla schiavitù e ha fatto con lui un patto di fedeltà. Egli è il Dio unico, nel senso che nessuno degli altri dèi ha elargito tanti favori al suo popolo. Ad Israele, dunque, spetta l'obbedienza alle leggi, che sono le clausole del patto siglato e la condizione per poter vivere bene e a lungo nella terra in cui dovrà rientrare.
Salmo E’ un inno (di cui la liturgia riporta pochi versi) indirizzato al Creatore del cosmo e signore della storia; un inno alla parola divina che crea: Dalla parola del Signore furono fatti i cieli. E’ significativo l’uso del simbolo parola o dell’equivalente soffio della bocca per descrivere la creazione e l’azione storica di Dio [è bene accennare al logos di cui parla il quarto vangelo, senza dimenticare che l’idea di un Dio creatore attraverso la parola era già stata sviluppata nell’antico Oriente. Per la Bibbia, invece, tale simbolo vuole, da un lato esaltare la trascendenza divina, dall’altro escludere ogni dualismo sostanziale tra Dio e la materia]. Il salmista, unito ai giusti, conclude esprimendo la sua professione di fede e di speranza con un’ardente e toccante invocazione: Su di noi sia il tuo amore,  Signore, / come da te noi speriamo.
Seconda lettura In questo squarcio della Lettera ai Romani, Paolo parla della trasformazione avvenuta in coloro che, guidati dallo Spirito di Dio, possono invocare Dio con il nome familiare di Abbà, papà, poiché si riconoscono coeredi di Cristo, e perciò partecipi delle sue sofferenze e della sua gloria, cioè della sua vittoria sulla morte. 
Vangelo – Nel brano di Matteo, l’espansione del movimento cristiano viene fatto risalire allo stesso Gesù come frutto del suo comando e del suo potere trasmesso ai discepoli. [Secondo un’autorevole opinione, non risulta che Gesù abbia dato questo mandato alla sua comunità o abbia fatto una dichiarazione sul mistero della Trinità. Il contenuto di questo mistero, così come è stato definito nei concili del sec. IV (Nicea e Costantinopoli), non c’è nel Nuovo Testamento].
Analisi del Vangelo

16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
I protagonisti di questo racconto sono gli Undici (manca Giuda).
La Galilea dove essi si recano è indicata in quanto luogo teologico, anziché geografico: in essa Gesù aveva iniziato la sua predicazione e da essa vuole che ricominci la missione dei suoi discepoli perché "facciano discepole tutte le genti".
Anche il monte, non specificato, è simbolico: in quanto alto, rappresenta la vicinanza alla divinità.
17 Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù è presentato come il Signore, Kyrios; il termine non è esplicitamente utilizzato, ma viene suggerito dal fatto che i discepoli si prostrano davanti a lui. Tale gesto è descritto come espressione della fede, che però rimane mescolata al dubbio; la simultaneità di fede e di esitazione è caratteristica tipicamente umana.
Il verbo dubitarono viene adoperato dall’evangelista sia in questo brano sia in quello in cui Pietro tenta di camminare sulle acque. L’accostamento tra i due episodi vuole indicare che tutti i discepoli non hanno ancora la fede sufficiente per seguire Gesù nella pienezza del suo essere.
18 Gesù si avvicinò e disse loro: A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.
La frase posta in bocca a Gesù è una citazione dal profeta Daniele ed è formulata sul modello del decreto col quale il re Ciro aveva promesso ai Giudei di tornare da Babilonia in patria. Ma c’è un cambio sostanziale: mentre in Daniele tutti i popoli, nazioni e lingue lo (il Figlio dell’uomo) servivano, in Matteo Gesù viene, non a dominare le nazioni, bensì a liberarle.
19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,
Dicendo fate discepoli, matheteusate, tutti i popoli, Matteo delinea un orizzonte infinito che supera la storia di Israele. C’è da osservare che i discepoli dei rabbini non mettevano al primo posto la relazione personale con il maestro, bensì la dottrina che il maestro insegnava. Non così nel vangelo: il discepolo si lega alla persona del maestro e si impegna a condividere il suo progetto di vita; invitato a ammaestrare, non diventa un maestro, perché non insegna qualcosa di proprio.
Il verbo battezzandoli, baptizontes, specifica, attraverso l’immersione, l’obiettivo: la triplice pienezza della sfera divina [è l’unica volta in cui nel NT si parla di battesimo come immersione].
Dalla formula nel nome, al singolare nonostante che sia riferita ai Tre, risulta il riferimento all’Uni-Trinità Divina. [Gli studiosi notano che essa (la formula) sia un’aggiunta fatta dalla comunità cristiana: prima si faceva solo menzione di Cristo; eppure appartiene ad un’epoca più antica, dal momento che si trova anche nella Didaché].
20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".
La frase insegnando (qui abbiamo un altro verbo, didaskontes) a osservare ha un preciso significato: i discepoli sono incaricati di mettere in pratica ciò che insegnano; il loro essere discepoli deve coinvolgerli in maniera esistenziale alla stregua di come fu coinvolto Gesù.
La promessa io sono con voi costituisce un finale a sorpresa: il Signore risorto non è partito, ma è venuto per restare: fin dall’inizio del Vangelo Matteo, nella sua annunciazione aveva usato il nome Emanuele, Dio con noi, cioè salva; e la modalità con cui Dio salva è appunto rappresentata dalla sua presenza e condivisione con l’umanità. La locuzione fino alla fine del mondo indica, più che una scadenza temporale, una totalità, e perciò ha il significato di sempre.
 
Preghiere alla Trinità
- Caterina da Siena (sec. XIV) così prega: Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce in me la sete di cercarti… Ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi viene donata dalla tua potenza, o Padre eterno, e dalla tua sapienza, che viene dal tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo, poi, mi ha dato la volontà con cui posso amarti.
- Elisabetta della Trinità (secolo scorso): O Fuoco che “consumi”, Spirito d’amore, vieni sopra di me affinché si realizzi in me come una incarnazione del Verbo; ch’io Gli sia una umanità aggiunta, nella quale Egli possa rinnovare tutto il suo Mistero. E tu, o Padre, chinati sulla tua povera piccola creatura, coprila con la tua ombra e non vedere in lei che il Figlio amato nel quale hai posto tutta la tua compiacenza. O miei Tre, mio tutto, mia Beatitudine, Infinita Solitudine, Immensità in cui mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda. Seppellitevi in me, affinché io mi seppellisca in Voi, nell’attesa di poter contemplare, nella vostra stessa luce, l’abissale grandezza.
- (poveramente) la mia: Non so implorarti o Dio che ti riveli Relazione, anziché statico Essere. Ti riveli e ti nascondi nelle miserie mie e nei limiti del creato che mi appare caotico perché incapace di relazionarsi. Ti prego senza conoscerti, ma sentendo che senza di Te nulla regge e il male insidia… Eppure sei Tu il saldo Centro di tutto in me, accanto e fuori di me. E allora (unita a chi ha letto i miei aridi commenti) ti invoco con le parole del salmo: Su di noi sia il tuo amore,  Signore, / come da te noi speriamo.

venerdì 22 maggio 2015

PENTECOSTE 2015 - anno B


I testi

At 2,1-11
1 Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2 Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3 Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4 e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 5 Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6 A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7 Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8 E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9 Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10 della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11 Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio»
Sal 103
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.
      Togli loro il respiro: muoiono,
      e ritornano nella loro polvere.
      Mandi il tuo spirito, sono creati,
      e rinnovi la faccia della terra.
Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.
Gal 5,16-25
Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.
Gv15,26-27; 16,12-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 26 Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27 e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. 16,12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

Alcune note sui testi
Prima lettura – Negli Atti Luca riprende il ricordo di un’esperienza carismatica attribuita al primo gruppo dei discepoli, lo rielabora alla luce delle leggende giudaiche e  presenta la discesa dello Spirito come l’evento che dà inizio alla chiesa, concepita come popolo di Dio dei tempi escatologici.
A partire dal v.4 è descritto il fenomeno della glossolalia, un carisma che alla lettera consiste nel lodare Dio in una lingua sconosciuta. Leggendo il testo, in un primo momento sembra che i presenti parlassero ognuno una lingua diversa dall’altro, ma dal seguito del racconto appare che si trattasse piuttosto di un miracolo di audizione, simile a quello che, secondo la tradizione, si era verificato al Sinai: è probabile che essi parlavano normalmente e i presenti li comprendevano nella propria lingua, come è detto nel v.6.
E’ interessante tener presente l’antitesi tra ciò che è narrato circa la torre di Babele (Genesi 11,1-9), dove nessuno capiva ciò che diceva l’altro, e la Pentecoste dove genti parlanti lingue diverse capiscono allo stesso modo: il che evidenzia la destinazione universale della rivelazione divina. L’umanità redenta, attraverso l’unico e quindi unificante linguaggio dello Spirito, recupera la capacità di capire, pure nella differenza delle culture. 
L’elenco delle nazioni che fa Luca è costruito seguendo un itinerario immaginario intorno ai quattro punti cardinali per indicare tale universalità.
Salmo – Siamo di fronte ad uno dei capolavori del Salterio, qui riportato soltanto in pochi versi. Il salmista esordisce con un invito a se stesso a benedire il Signore. Di fronte alla bellezza e alla potenza della creazione esprime il suo stupore e la sua lode a Dio, esclamando: Sei tanto grande, Signore, mio Dio! e conclude riprendendo il tema della teofania gloriosa di YHWH.
Seconda lettura – Pare che Paolo faccia un catalogo dei desideri della carne. Ma è bene chiarire che egli non intende stabilire nei dettagli, come farebbe un moralista, quali azioni siano effettivamente viziose e quindi da evitare; piuttosto usa materiale di repertorio, con il quale viene delineato in modo piuttosto generico il comportamento contrario alla volontà di Dio; d’altronde egli stesso, dicendo che le opere della carne sono ben note, dimostra di richiamarsi alla morale corrente, ispirata agli insegnamenti sia del giudaismo che della filosofia greca. Dunque i termini che appaiono nel catalogo non possono essere utilizzati per formulare norme morali specifiche, presentandole come oggetto di una particolare rivelazione divina.
Vangelo – I pochi versi di Giovanni riportano ai discorsi d’addio di Gesù prima di affrontare il momento finale. Il testo è composto dai primi due in cui Gesù promette ai discepoli lo Spirito santo (15,26-27), e dagli altri quattro (16,12-15)  nei quali Egli specifica la di Lui azione.
Un’osservazione.
Con l’andare del tempo, sulla scorta dai ricordi ricevuti dai primi testimoni e illuminati dalle esperienze fatte, i credenti cominciarono a capire meglio non solo la persona di Gesù, ma anche le implicazioni del suo insegnamento nelle nuove situazioni in cui venivano a trovarsi. Questo progresso nella conoscenza è stato attribuito dal cristianesimo primitivo all’opera dello Spirito, in cui trova forma l’attrattiva profonda che l’esempio e le parole di Gesù hanno esercitato nei credenti. Il vangelo di Giovanni è esso stesso un tentativo di esprimere la vita e l’insegnamento di Gesù alla luce di questa nuova e più profonda comprensione data dallo Spirito.
Analisi del vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 26 Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me;
Il termine Paràclito che l'evangelista ha preso dal suo ambiente culturale, è un termine giuridico; infatti letteralmente significa il chiamato-vicino, l’avvocato.
Il termine Spirito, in ebraico ruah e in greco pneûma, indica, nel suo significato primordiale, soffio di vento, cioè spazio nel quale il vivente si muove e respira. Questo significato ha lasciato qualche traccia anche nella successiva teologia dello Spirito Santo. Di lui, infatti, si parla molto spesso con un avverbio di luogo; da ciò l’uso della preposizione “nello” quando si afferma che una persona parla “nello Spirito”.
Il titolo Spirito della verità è una dizione propria del quarto vangelo, usata per mettere in evidenza l'azione dello Spirito in chi crede e si comporta con rettitudine.
Nella frase vi manderò dal Padre, Gesù parla del Padre senza l’aggiunta ‘mio’ usata dallo stesso evangelista in altri passi, perché con la venuta dello Spirito il Padre sarà di tutti.
27 e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Questa testimonianza dei discepoli li abilita a propagare il messaggio evangelico. La locuzione fin dal principio sottolinea che chi crede nello Spirito vive la fede in maniera stabile.
16,12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Perché i discepoli comprendano in profondità, dovranno attendere che ricevano lo Spirito.
13 Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
L'azione di Gesù e dello Spirito indicata, prima disgiunta, sarà riunificata.
Il verbo annunciare, anaggéllein, che è ripetuto per tre volte negli ultimi tre versetti, significa rivelare una cosa sconosciuta; ma il prefisso ana indica che si tratta di un ripetere ciò che lo Spirito suggerirà, ascoltando le parole di Gesù.
Le cose future annunciate dallo Spirito non sono predizioni; esprimono piuttosto la capacità che la comunità dei credenti acquisterà nel comprendere e nell’affrontare gli avvenimenti futuri.
14 Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
Lo Spirito comunicherà ai credenti il patrimonio spirituale di Gesù, il suo essere in comunione di amore totale (=la sua gloria) col Padre.
15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
La comunione di Gesù col Padre nello Spirito fa di quest’ultimo il Soggetto dell’annunzio; cioè chi annuncerà lo farà attraverso l’opera dello Spirito.
Qualche altra nota
- Nella Bibbia giudaica la Pentecoste era un’importante celebrazione religiosa di ringraziamento per il primo raccolto, una festa calcolata affinché coincidesse con la maturazione del grano. Era concepita perché fosse celebrata da tutti i popoli, non solo da quello di Israele ma anche dagli stranieri. Poiché la sua data era calcolata contando sette settimane dalla Pasqua ebraica e rappresentava il giorno in cui era offerto il frutto del primo cereale dell’anno (cioè l’orzo che matura prima del grano). La Pentecoste perciò era strettamente legata alla Pasqua ebraica, non solo perché la sua data dipendeva dalla Pasqua, ma perché proprio in questa occasione ci si scambiava il frutto del raccolto.
- Che significa in ebraico ruach? Nella sua radice significa lo spazio atmosferico tra il cielo e la terra, uno spazio aperto, spirituale, vitale, in cui avviene il contatto col Divino; nella Bibbia significa due cose tra loro strettamente collegate: il vento e il respiro. Questo è vero anche per il nome greco pneuma e per il latino spiritus. Anche il termine italiano Spirito ha conservato questa parentela originaria con il vento e il respiro.
- L’azione dello Spirito non consiste nel confortare, ma nel consolare, cioè nell’eliminazione radicale delle cause di sofferenza, a cui non c’è chi non aspiri. Le temporanee esaltazioni spirituali e gli atti di generosità verso i bisognosi dovrebbero concretizzarsi nell’impegno costante verso di essi. E la cortina di tornasole della generosità è nell’impegno fondamentale a superare l’egocentrismo che si insinua anche nel compiere le cosiddette opere buone.
- Il vento con il quale si manifesta lo Spirito è l'unica cosa che non si può imbottigliare e mettere in circolazione. Pretendere di rinchiudere lo Spirito Santo in concetti, definizioni, tesi, trattati, quasi in altrettante scatole o lattine, significa perderlo e vanificarlo.

LA STUPENDA SEQUENZA CHE LA LITURGIA PROPONE:
Vieni, o Spirito creatore,
visita le nostre menti,
riempi della tua grazia
i cuori che hai creato.
      O dolce consolatore,
      dono del Padre altissimo,
      acqua viva, fuoco, amore,
      santo crisma dell'anima.
Dito della mano di Dio,
promesso dal Salvatore,
irradia i tuoi sette doni,
suscita in noi la parola.
      Sii luce all'intelletto,
      fiamma ardente nel cuore;
      sana le nostre ferite
      col balsamo del tuo amore.
Difendici dal nemico,
reca in dono la pace,
la tua guida invincibile
ci preservi dal male.
      Luce d'eterna sapienza,
      svelaci il grande mistero
      di Dio Padre e del Figlio
      uniti in un solo Amore.
Sia gloria a Dio Padre,
al Figlio, che è risorto dai morti
e allo Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.


venerdì 15 maggio 2015

Festa dell'ASCENSIONE - anno B

I testi

At 1, 1-11
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l'adempimento della promessa del Padre, «quella - disse - che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand'ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo».
Sal.46
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l'Altissimo,
grande re su tutta la terra.
      Ascende Dio tra le acclamazioni,
      il Signore al suono di tromba.
      Cantate inni a Dio, cantate inni,
      cantate inni al nostro re, cantate inni.
Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.
Ef 4, 1-13
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell'amore, avendo a cuore di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini». Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.
Mc 16, 15-20
15 In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17 Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno. 19 Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. 20 Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Premessa
- Il racconto dell’Ascensione, cioè della salita al cielo di Gesù, si muove nella visione mitologica dell'epoca, che vedeva il mondo diviso in tre piani: a) al centro la Terra; b) al di sopra il cielo, che, visto dalla terra, appare posto in alto e, appunto per questo, è considerato luogo dell’ultra-terreno); c) al di sotto gli inferi, termine derivato dal latino infërus che significa situato-sotto (la Scrittura usa il termine ebraico Shéol per indicare il luogo dei morti, buoni e cattivi, anche se la sorte degli uni non è considerata  identica a quella degli altri).
- Il racconto più dettagliato è quello di Luca nel suo vangelo e negli Atti degli Apostoli. In questi ultimi l'ascensione di Gesù è avvenuta 40 giorni dopo la Pasqua, a differenza del suo stesso vangelo dove egli sembra riunire in un solo giorno i due eventi. I quaranta giorni sembrano essere un tempo-limite e potrebbero indicare l'autorità dei primi testimoni, oppure la durata-tipo dell'insegnamento del Risorto ai discepoli.
Veloce sguardo d’insieme sui testi
La prima lettura – Il fulcro del racconto di Luca è nella  domanda dei discepoli:  «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Tale domanda tradisce le loro persistenti attese apocalittiche giudaiche. Gesù risponde, spiegando che l’instaurazione del Regno non coincide con la fine dl mondo. Sullo sfondo compare l'immagine biblica del destino del mondo e un riferimento alla salita al cielo di Elia descritta in 2Re in 1Mac.
Il salmo – E’ stato definito dagli studiosi un’ovazione a YHWH, la quale celebra, attraverso il simbolo politico del regno, il governo divino sul mondo e sulla storia. Dio è definito terribile (termine che per noi moderni ha il significato negativo dell’incutere terrore) e re di tutta la terra: chiaro segno di apertura nell’intolleranza religiosa di Israele, ed auspicio di una pacificazione universale.   
La Lettera agli Efesini – Viene data un'interpretazione ecclesiale dell’evento dell’Ascensione e del suo rapporto con la Resurrezione e la Pentecoste.
Il vangelo - La pericope di oggi è tratta dalla conclusione del vangelo di Marco, aggiunta più tardi da parte di scribi cristiani per correggere il modo brusco con cui l'evangelista aveva posto fine al racconto originale. Sembra una specie di riassunto dei racconti di apparizione del Risorto (dipendente sia da Giovanni che da Luca), con collegamenti al testo degli Atti. Non si trova nei manoscritti più antichi ed è sconosciuta a molti padri della chiesa.
Analisi di Mc 16, 15-20
15 In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura.
La costruzione della frase evidenzia l'universalità della missione affidata da Gesù ai suoi in funzione di raggiungere, non solo tutti gli esseri umani, ma ogni creatura: cioè il lieto annuncio dovrà essere permeato di una forza di amore così grande da abbracciare il creato intero.
16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.
La perentorietà dell’affermazione è, in apparenza, sconcertante [chi non è battezzato sarebbe dannato!]. Invece va letta, come nell’intenzione dell’autore, in una prospettiva escatologica, riguardante il giudizio finale, la cui coreografia è circonfusa di splendore e di terrore.
17 Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno.
La missione universale è confermata da segni che indicano simbolicamente il potere conferito da Gesù ai suoi ai fini di avvalorare la missione affidata a loro. Essi dovranno aiutare tutti, senza alcuna esclusione, a raggiungere la pienezza di Dio. Si elencano cinque tipi di miracoli: il male è sconfitto (scacciare i demoni); lo Spirito Santo è effuso in una continua Pentecoste su tutti i popoli e su tutte le culture (parlare le lingue); i serpenti, simbolo della tentazione, saranno neutralizzati; il veleno, segno di tutto ciò che insidia la vita, sarà debellato; i malati saranno confortati e guariti.
E’ da notare che tali segni accompagneranno quelli che credono, e non, come ci si aspetterebbe, coloro che predicano o annunciano; infatti la salvezza è per tutti coloro che sapranno scavare nel proprio cuore e trovare la via della fede, da tradurre in opere di bene. L’aggiunta nel mio nome è ulteriore conferma del potere riconosciuto a Gesù glorificato.
19 Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
A Gesù viene attribuito il titolo di Kyrios, Signore, che nei vangeli è presente solo qui (ma è tipica di Paolo e degli Atti).
Marco, secondo il suo stile sobrio ed essenziale, racchiude l'evento in due sole espressioni: fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio, due azioni in cui è concentrato, simbolicamente, il significato profondo della Pasqua. La resurrezione di Cristo ha reso evidente che la morte non è la fine di tutto, è, bensì, l’entrata nella Vita, attinta a Colui, il Padre, che ne è la Fonte. Con l'indicazione sedette alla destra di Dio l’autore si riferisce ad un testo in uso nella prima comunità per professare la fede nella glorificazione e intronizzazione del Risorto.
20 Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
L’affermazione il Signore agiva insieme con loro può sembrare enfatica, o almeno ottimistica; è invece  la professione di fede da parte di chi conta nell’aiuto di Dio, secondo la promessa fatta da Gesù di essere con loro sino alla fine dei tempi (Mt. 28,20).
L’agire di Gesù insieme con chi diffonde e crede nel vangelo rincuora i discepoli nell’apparente perdita della sua presenza fisica. Il testo greco adotta una parola composta, sun-erghein, che dà l’idea di una piena sinergia tra Lui e loro: il mistero dell’ascensione è tutto nella sinergia che si instaura tra Gesù e i suoi discepoli; non c’è una sottrazione, ma una moltiplicazione della sua presenza nel mondo.
Considerazioni
- Perché qui Marco descrive in termini di fisicità l'Ascensione? Quando moriva un grande personaggio (Eracle, Empedocle, Romolo, Elia, Enoch, Alessandro Magno, ecc.) veniva raccontato che non era morto ma che era salito al cielo; la sua fine era ingresso nella gloria e mezzo per comprendere meglio i suoi messaggi.
- Le  poche righe lasciate dall’evangelista sono una descrizione non fisica ma teologica di ciò che è successo. Vogliono dire: “Io non ci sarò più, ma ci sarete voi. Voi sarete le mie labbra, le mie mani, i miei piedi, i miei occhi e il mio cuore”.
- L'Ascensione dovrebbe ricordarci la bellezza dello spostamento del polo attorno a cui gira la vita umana: da ogni interesse terreno ad una visione delle cose dilatata al Cielo, cioè a ciò che non è destinato a finire.
- L'essere umano vive nella misura in cui spera. L'uomo moderno commette il peccato di togliere la speranza che, con la morte, si abbrevierà il raggio di distanza tra quello che chiamiamo aldilà in quanto oltre il tempo, e presente temporale. Lo sguardo rivolto al Cristo che ascende al Padre, è, dunque, uno sguardo che ci radica nel segmento di storia in cui viviamo, con l'impegno di combattere il male e aprirci alla fraternità e alla solidarietà, le sole capaci di instaurare nel mondo giustizia e pace.
- Elsa Morante, nel suo celebre romanzo ‘La Storia’ così si esprime: “Ah, Cristo, sono duemila anni che aspettiamo il tuo ritorno”. “Io - risponde lui - non sono MAI partito da voi. Siete voi che ogni giorno mi linciate, o peggio ancora, tirate via senza vedermi, come s’io fossi l’ombra di un cadavere putrefatto sotto terra. Io tutti i giorni vi passo vicino mille volte, mi moltiplico per tutti quanti siete, i miei segni riempiono ogni millimetro dell’universo, e voialtri non li riconoscete, pretendete di aspettare chi sa quali altri segni volgari”.
- La spiritualità dell’ascensione è una spiritualità del quotidiano: il Cristo risorto è con noi e opera attraverso di noi tutti i giorni, e non a giorni alterni. Ogni giorno va vissuto quindi come fosse l’unico o l’ultimo.

venerdì 8 maggio 2015

VI DOMENICAdi PASQUA - anno B

I testi
At 10,25-26.34-35.44-48
Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!». Poi prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.
Sal 97
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
      Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
      agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
      Egli si è ricordato del suo amore,
      della sua fedeltà alla casa d’Israele.
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni.

1Gv 4,7-10
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Gv 15,9-17
n quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i ì comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.11 Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. 12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14  Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15  Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi.  16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
 Veloce sguardo d’insieme sui testi
Prima lettura - Dio non guarda ai meriti di ciascuno, o perlomeno usa altre scale di valori. Pietro se ne rende conto quando varca la soglia della casa del pagano Cornelio: a contato col ‘diverso’, riesce a rompere con i pregiudizi e gli stereotipi, ed a superare i limiti della propria cultura e tradizione religiosa.
Salmo - Il tempo della composizione di questo salmo è  probabilmente quello del post-esilio. Il motivo dell’invito ad un canto nuovo non è però ristretto al solo ritorno dall'esilio; nasce da tutti gli interventi di Dio per la liberazione di Israele dagli oppressori e dai nemici ed appare aperto al futuro messianico: infatti ogni episodio è visto come preparazione alla diffusione della salvezza che dio offre a tutti.
Seconda lettura – Giovanni, affermando che chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio, dimostra che la conoscenza di Dio non consiste nell’affermare la sua esistenza o nel conoscere tutte le verità della fede, ma piuttosto nell’amare il prossimo come Lui ci ha amato.
Vangelo – Il brano di oggi rappresenta la logica continuazione dell’allegoria della vite e dei tralci, e ne indica l’applicazione alla vita concreta.
L’uso insistente dei termini amore, amare, amici, mette in evidenza il tema fondamentale dell’amore fraterno, che ha per modello l’esempio dato da Gesù nel servizio reso agli altri fino al dono supremo della sua vita.
Analisi del Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Giovanni, a partire dall’inizio dell’Ultima Cena, usa spesso il verbo amare nella forma greca agapaô, molto rara nella grecità classica e divenuto un termine specificamente cristiano nel NT, soprattutto nel suo vangelo.
L'amore che Gesù propone non è un atto di osservanza, che consiste, più che nella pratica religiosa nella sua forma esteriore, nel rapporto continuo  col Padre (questo è il senso del rimanere nel suo amore). La misura di tale rapporto è espressa con la congiunzione greca kathōs, tradotta con come, che ha un valore causale, oltre che comparativo, cioè deve uguagliare quello di Gesù. E’ da notare l’uso del tempo aoristo: ho osservato, che non ha connotazione temporale, ma esprime un'azione puntuale, compiuta nella sua totalità.
11 Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
La gioia è un tema presente in diversi passi del testo giovanneo. Gesù la sperimenta perché ha compiuto l'opera affidatagli dal Padre e la comunica a chi accoglie il suo amore.
12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.
Il comandamento di cui parla Gesù è accompagnato dall’attributo mio per sottolineare che è unico o, come è detto in altri contesti, nuovo. Il termine originale greco, entolé, anziché fare riferimento ad una imposizione, è esortazione ad imboccare la stessa via dell’amore fraterno di Gesù. Giovanni, nel formare la sua comunità, tiene presente che in essa serpeggiava anche un'interpretazione ideale, mistica o gnostica, la quale poteva distogliere dal senso di concretezza che deve avere l’amore cristiano.
13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
Questo versetto riprende un detto diffuso nel mondo antico come una sentenza.
Nell’AT il concetto di amicizia viene utilizzato per indicare il rapporto con Dio in Abramo, in Mosè e in coloro che ‘abitano con la Sapienza’. Ma qui Gesù sta parlando di se stesso. Il testo suggerisce che, se l'amore ha spinto Gesù a morire sulla croce, non bisogna fermarsi a guardare soltanto a tale epilogo, poiché questo è preceduto da tutto il suo percorso di vita, fatto di condivisione con i propri amici.
14  Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando.
E’ notevole l’insistenza sul termine amici, phíloi, collegato al comandamento dell’amore.
15  Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi.
Sorprende la contrapposizione di amici a servi che nella Bibbia in genere non hanno una connotazione negativa.
L'affermazione tutto ciò che ho udito… è ricorrente nel quarto vangelo. Richiama il legame tra conoscenza e amore come nella Bibbia ebraica, nella quale conoscere non ha un significato astratto, ma esprime una relazione esistenziale.
16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
Il rapporto di amicizia che lega i discepoli al Maestro non dipende soltanto da una scelta, come fa supporre il verbo eklegesthai: è anche un mandato, come suggerisce il verbo títhêmi; e ciò perché l’incarico affidato da Gesù ai discepoli avesse un’efficacia non limitata nel tempo.
Ed ecco due verbi, a prima vesta contrastanti, i quali qualificano il mandato: andare e rimanere. Che segue Gesù non può, non deve stare inerte, ma deve restare unito alla Fonte ai fini di conservare la pregnanza del dono ricevuto. Da qui l’assicurazione che il Padre concederà ai suoi quanto chiederanno nel suo nome: espressione che significa rappresentanza.
17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
Gesù chiede un ricambio di amore, non alla sua persona, ma agli altri! Questa la quintessenza di tutta la pericope.
Riflessioni
- Agostino d’Ippona così commenta la gioia cristiana di cui parla Giovanni al v.11: Non è certo che tutti vogliano essere felici; poiché chi non vuole avere gioia di Te, che sei la sola felicità, non vuole la felicità.
- Leggendo il vangelo di oggi, si ha l’impressione di entrare in un circolo di amore: dal Padre a Gesù, da Gesù ai discepoli, dai discepoli agli altri, e questi tra di loro; ma è il Padre, sorgente di Vita e di Amore a rendere dinamico il circolo.
- PERSONALE Dove vedo risplendere l’amore di Dio? In un sorriso gratuito, in un gesto disinteressato, nell’atteggiamento di chi, anziché arrotolarsi sul proprio dolore, guarda, ascolta, vive il vissuto degli altri; bella, a proposito, l’espressione pronunziata da chi, avendo ricevuto il torto più grande, come ad esempio l’uccisione di un proprio caro: Che questo non succeda più. E’ cosa divina, anziché vendicarsi, lanciare in questo povero atomo che chiamiamo terra un seme di bontà.
– Aggiungo una mia… puerilità: resto incantata di fronte alla cagnolina Lassie, la quale (certamente ben addestrata) non fa che aiutare chi si trova in difficoltà o può diventare vittima del forte; e, appena compiuta la ‘missione’ se ne va tranquilla per i fatti suoi… passaggio, quest’ultimo, da non prendere sotto gamba!