venerdì 1 maggio 2015

V DOMENICA di PASQUA - anno B

I testi

At 9.26-31
In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso. La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.
Sal 21
Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre!
      Ricorderanno e torneranno al Signore
      tutti i confini della terra;
      davanti a te si prostreranno
      tutte le famiglie dei popoli.
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
      Ma io vivrò per lui,
      lo servirà la mia discendenza.
      Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!».

1Gv 3,18-24
Fglioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Gv 15,1-8
1 Io sono la vite vera, e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie, e ogni tralcio che porta frutto, lo monda affinché porti più frutto. 3 Voi siete già puri per la parola che vi ho detto. 4 Rimanete in me, e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé se non rimane nella vite, così neppure voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, questi porta molto frutto, poiché senza di me non potete far nulla. 6 Se uno non rimane in me, viene gettato fuori come il tralcio e si dissecca; e questi (tralci) si raccolgono e si gettano nel fuoco, e bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete, e vi sarà fatto. 8 In questo è glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
 Veloce sguardo d’insieme sui testi
Prima lettura - Paolo, dopo la conversione, vuole incontrarsi con i discepoli della chiesa-madre a Gerusalemme perché sia riconosciuta, anche visibilmente, la sua comunione con i fratelli che sono stati i testimoni privilegiati della risurrezione di Cristo.
Salmo – Siamo di fronte ad una delle suppliche più celebri del Salterio, cara alla tradizione cristiana. Nei pochi versi che la liturgia domenicale ha selezionati,  l’autore vuole far conoscere come il fedele trova conforto in ogni prova: quanti cercano il Signore lo troveranno, i poveri saranno saziati, tutti i confini torneranno al Signore e davanti a lui si prostreranno tutte le famiglie, tutti coloro che sono già morti e risorgeranno, la discendenza del popolo che crederà in lui conoscerà il vero Dio e vedrà la grande opera che ha compiuto.
Seconda lettura - Tratta dalla prima lettera di Giovanni, in essa Giovanni esorta i Cristiani dell’Asia Minore, a cui erano destinate le sue lettere, ad amare Dio nella Verità, e di conseguenza con il prossimo (suggestiva l’espressione: Dio è più Grande del nostro cuore e conosce ogni cosa).
Vangelo – Siamo nel lungo discorso di addio durante l'ultima cena; Gesù, attraverso l’immagine della vite, racconta la sua persona, la profondità del suo rapporto con il Padre e con i discepoli.
Analisi di Gv 15,1-8
1 Io sono la vite vera, e il Padre mio è il vignaiolo.
Anzitutto è da richiamare il senso dell’Io sono di cui si è parlato la scorsa domenica [confronta].
La dichiarazione posta in bocca a Gesù è densa di significati biblici, e richiede un attento esame.
Nell’AT ci sono tre attori: 1) il vignaiolo rappresenta Dio che si prende cura de 2) la vigna, cioè il suo popolo, 3) la vite, non una pianta qualsiasi della vigna, ma l’unica vera (l’aggiunta vera è superflua, dato l’uso dell’articolo determinativo la anziché l’indeterminativo una).
Nel NT cambiano gli attori: 1) il vignaiolo è Gesù assieme ai vignaioli (i discepoli) che daranno continuità visibile alla sua missione; 2) la vigna è il Regno di Dio da instaurare nell’umanità affratellata; 3) la vite è il Padre: Gesù, attingendo la linfa dalla comunione con il Padre, la comunica a sua volta a chi aderisce a Lui.
2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie, e ogni tralcio che porta frutto, lo monda affinché porti più frutto.
Il credente si colloca all’interno della vita di Dio, ne diventa parte. Ciò comporta che egli resti vitale, portando frutto. L’idea del portare frutto è essenziale: Giovanni ripete l’espressione per ben sette volte (tre volte in 15,2 e poi 4.5.8.16).
Il verbo greco katháirei è tradotto con mondare, potare, purificare: un’azione che non implica un taglio, una eliminazione, bensì una liberazione da quegli elementi ingombranti i quali impediscono con i germogli superflui una vigorosa fruttificazione.
Il tralcio rappresenta il discepolo: Giovanni stimola i membri della comunità ad attingere pienamente alla linfa dell’amore vitale che Gesù per primo ha attinto dal Padre; come lui, non dovranno concentrarsi sulla propria perfezione interiore, ma farne dono agli altri perché a loro volta portino frutto.
3 Voi siete già puri per la parola che vi ho detto.
Gesù assicura ed incoraggia i suoi: chi ha ascoltato la parola, cioè il messaggio da Lui annunziato (da tradurre in termini di servizio come nella lavanda dei piedi ), è puro, cioè rinnovato.
4 Rimanete in me, e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé se non rimane nella vite, così neppure voi se non rimanete in me.
Rimanete in me è la parola chiave del nostro testo, ripetuta 8 volte in 4 versetti, che ha un forte legame con la prima lettera di Giovanni dove è spesso ricorrente. Rimanere, come il suo sinonimo dimorare, è un verbo particolarmente caro a Giovanni, che lo usa più volte nella forma reciproca per indicare la comunione, prima tra Padre e Figlio, poi tra Figlio e discepoli. Si noti l’uso, anziché dell’imperativo iniziale, dell’indicativo, il che crea il ritmo di un testo scritto a conferma del compimento dell’Alleanza dell’AT.
Come il tralcio…: Riprendendo il paragone con la vite, Giovanni spiega l'unità tra Gesù e i credenti con questa immagine vegetale, in certo senso più forte di quella del pastore e del suo gregge.
5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, questi porta molto frutto, poiché senza di me non potete far nulla.
Con un richiamo al v.1 Gesù definisce di nuovo se stesso come la vite e i discepoli come i tralci, indicando esplicitamente il suo rapporto personale e vitale con i credenti.
6 Se uno non rimane in me, viene gettato fuori come il tralcio e si dissecca; e questi (tralci) si raccolgono e si gettano nel fuoco, e bruciano.
Questo versetto con il suo monito sembra fare riferimento ad un momento di fragilità e crisi della comunità giovannea, come nella sua prima lettera; ma la prospettiva è universale. Nella ripresa del tema è da notare una variante: la sorte dei tralci non è la potatura, bensì la morte (il fuoco, di cui avevano parlato Ezechiele, Matteo e paralleli).
7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete, e vi sarà fatto.
L'invito a rimanere ha il senso della reciprocità come nei vv.4.5. Anche qui il soggetto attivo è indirettamente il Padre, che esaudisce le preghiere rivolte a Lui tramite Gesù.
8 In questo è glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Nel testo la glorificazione di Dio in Gesù è espressa col verbo greco gignomai, il quale indica una trasformazione, ma in questo contesto allude a) alla sua condizione di Risorto nel  compimento-pienezza di Vita, b) al destino di salvezza riservato ai discepoli che lo accolgono restando uniti a Lui.
Sorprende che Gesù dica diventiate miei discepoli, perché si rivolge a coloro che sono già suoi discepoli; forse si tratta di una sottolineatura: i discepoli sono tali se ne diventano meritevoli portando molto frutto, cosa possibile soltanto se si resta uniti a Lui.
Il significato sacramentale del testo è solo secondario, nonostante che il discorso si riferisca all'ultima cena e l'immagine della vite rimandi al vino-sangue di Gesù. Il messaggio dell'evangelista non è diretto principalmente alla comunione eucaristica, ma al duplice intimo rapporto Padre-Figlio, e Gesù-discepoli.
Riflessioni
 
- G.Ravasi così compendia: Alla pallida spiritualità di molti cristiani che sentono la loro religiosità come un obbligo o come un mantello esterno, Gesù oppone la religione della comunione interiore, della vivacità, dell’amore, dell’adesione gioiosa.
- Il futuro teologo svizzero Hans Urs von Balthasar nel suo volumetto Il chicco di grano (1944) commentava così il rapporto tra amore di Dio ed opere concrete di amore del prossimo: Il razzo è come un raggio di fuoco che rapido vola verso il cielo. Raggiunge il centro, scoppia (nell'attimo dell'estasi) e mille scintille discendono rapide verso la terra. È Dio che ti rimanda, lacerato in mille pezzi, ai tuoi fratelli. La vera esperienza mistica ti proietta, sì, verso l'infinito di Dio, ma non ti lascia sospeso nella luce. Ti rimanda ai fratelli, alla storia, alla terra. Divenuto fuoco, puoi riscaldare; trasformato in scintilla, puoi illuminare; trasfigurato in Dio, diventi un seme di luce che si sfrangia per raggiungere il gelo e le tenebre di tanti uomini e donne. L'amore per Dio non è tale se non è anche amore per i fratelli.
- PERSONALE - Da un bel po’ di tempo sono alquanto disincantata rispetto ad una visione di gloria destinata ai santi, sia quelli aureolati sia quelli ritenuti tali per merito delle opere di bene compiute. Cerco, invece, di alimentare la mia fede, sottoponendola a purificazione-potatura (implorata con la preghiera!) dalle scorie di umani ragionamenti e prospettive. Una fede nuda, che non aspiri alla decantata ‘realizzazione personale’: non perché questa non sia importante, ma perché reputo vera realizzazione quella ricevuta in dono da Dio.
Intanto un interrogativo subentra e mi pervade: mi sta a cuore la mia salvezza o quella di tutti (compresi coloro che nemmeno ne sono sfiorati dal desiderio)? Che farmene di una felicità non condivisa? Non vi dico qual è la mia risposta, ma invito chi legge a porsi la stessa domanda e a darsi la risposta.

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