venerdì 24 aprile 2015

IV DOMENICA di PASQUA - Il Buon Pastore


IV Domenica di Pasqua - Anno B

 I testi

At 4,8-12
In quei giorni, Pietro, pieno di Spirito Santo, disse: "Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato ad un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d'Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo. In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati".
Sal 117
Celebrate il Signore, perché è buono;
perché eterna è la sua misericordia.
È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell'uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti.
      Ti rendo grazie, perché mi hai esaudito,
      perché sei stato la mia salvezza.
      La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo;
      ecco l'opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore;
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.
Celebrate il Signore, perché è buono:
perché eterna è la sua misericordia.

1Gv 3.1-2
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Gv 10,11-18
11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12 Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13 perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio".

 Sguardo d’insieme sui testi

La prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, presenta Pietro il quale, dopo una sintetica proclamazione dell’annunzio cristiano, afferma che Gesù è la pietra scartata, diventata testata d'angolo, con chiara allusione al salmo 117. L’apostolo vuole preparare la strada all’evangelizzazione dei gentili, nella convinzione che anche per loro la salvezza non può avvenire se non in base alla logica del vangelo. (Non sembra però che Pietro pensasse ad una conversione di tutta l’umanità al movimento giudeo-cristiano: il suo è un un invito ad aderire a Cristo come persona e non a una comunità religiosa specifica).
Il salmo 117, probabilmente scritto al tempo di Giuda Maccabeo, nel 165 a.C., dopo la vittoria su Nicanore e la purificazione del tempio di Gerusalemme, ha una struttura di tipo cultico. Inizia con l'invito a tutto il popolo a celebrare l'eterna misericordia di Dio e si conclude ripetendo lo stesso invito. E’ rimasto fondamentale nella riflessione evangelica, che leggiamo nel testo della pericope  del testo odierno di Giovanni, il simbolo della pietra, o rupe, che indica il sicuro sostegno che JHWH offre a chi si affida totalmente a Lui. Ciò è meraviglia da celebrare in ringraziamento, perché eterna è la sua misericordia.
La seconda lettura, tratta dalla prima lettera di Giovanni, evoca il grande amore che Dio ha avuto per ciascuno di noi, tanto che possiamo chiamarci ed essere figli di Dio. Infatti l’esperienza di Dio che ha accompagnato Gesù in tutta la sua vita, è ora partecipata ai suoi.

Analisi del vangelo

11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
L’Io sono viene ripetuto in questo brano per ben tre volte (il numero tre significava, secondo la simbologia ebraica, ciò che è completo).
La frase richiama l’Io sono di Esodo, in cui YHWH rivela a Mosè la sua identità. Giovanni probabilmente vuole educare la comunità a riconoscere in Gesù colui che la comunica (l’identità)  ulteriormente, rispecchiando nella sua vita il volto amorevole di Dio. (La frase si trova anche nella letteratura di altre religioni per descrivere l'Essere supremo).
I profeti Isaia, Ezechiele, Geremia avevano attribuito il titolo di Pastore a Dio che si prende cura del suo popolo. Giovanni aggiunge un elemento: Egli (alla lettera pone) la propria vita, cioè la mette a repentaglio con un gesto di amore incondizionato.
12 Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13 perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Pare che l’evangelista non voglia entrare in polemica con il mondo ebraico, dal quale la comunità cristiana si è ormai distaccata; per questo si limita a rivolgere un monito ai suoi affinché non ripetano gli stessi errori del passato, e mette la figura del mercenario a confronto con quella del pastore, anziché a quella di un cattivo pastore, in modo da mettere in rilievo soltanto l’altruismo del vero Pastore.
14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me,
Il verbo greco ginòsko indica una conoscenza sostanziata di amore, che coinvolge tutta l’esistenza. Come tale Giovanni la propone alla comunità con lo sguardo rivolto alle successive comunità (è da tener sempre presente l’intento pedagogico e catechetico del suo vangelo).
15 così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.
Mentre per il Profeta Ezechiele il pastore si prendeva cura del suo gregge, Gesù si riferisce alla sua intima relazione col Padre, al fine di comunicarla ai suoi seguaci.
16 E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per un errore di traduzione, quasi sicuramente di Girolamo, si confuse il termine recinto con quello di gregge; infatti la traduzione latina era: et fiet unum ovile et unus pastor (e saranno un solo ovile e un solo pastore). Di conseguenza per secoli, fino al Concilio Vaticano II, la Chiesa si auto-considerava l’unico ovile nel quale trovare la salvezza; da qui lo slogan ‘fuori dalla Chiesa non c’è salvezza’. Certamente Giovanni pensa alle pecore che non sono del recinto ebraico. Ma fin dal Prologo egli non propone una chiesa tesa a conquistare tutti i popoli al cristianesimo; la sua è una visione universalistica in riferimento al disegno divino nei riguardi dell’umanità creata a Sua immagine e somiglianza (senza vie obbligate).
17 Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio".
Qui si aggiunge un nuovo elemento: il rapporto tra Gesù e il Padre è legato al dono di sé che è pure il suo comando: Ho il potere. Gesù, mentre dona, riprende la vita donata; la sua morte è risurrezione, ingresso alla Vita. In queste righe, che riflettono la fede pasquale della Chiesa delle origini, brilla la piena signoria di Dio sulla morte, in Gesù come sarà in noi.
Una strana nota personale
Nella mia prima età mi ero fatta, come tanti, un’immagine incantata e alquanto dolciastra di un Gesù Buon Pastore, quale vedevo riprodotta in statuette e in ‘immaginette’.
A farmela smantellare è intervenuta, non una visione illuministica, bensì un banale accaduto.
Mi trovavo in montagna quando mi capitò di assistere alla transumanza. Ne ero interessata e… ne trassi una benefica delusione: vidi pastori rozzi e violenti nei riguardi delle pecore disubbidienti: le redarguivano con parolacce e non lesinavano nell’uso del bastone.
Però il fatto (certamente non quello solo) mi ha spinto a ripensare l’immagine del Buon Pastore sotto un altro profilo: quello della misericordia di Dio che ho pian piano vista risplendere in innumerevoli volti.
I volti degli oppressi bisognosi di aiuto e dei  loro soccorritori. Di un tale che mi sollevò da terra in una mia brutta caduta, di una mamma che mi parlava della sua fiducia in Dio pur avendo persa l’unica figlia, del giovane –episodio recentissimo- vestito in arancione, inginocchiato e in procinto di essere decapitato dai senza-volto dell’Isis, di qualcuno dei tanti assassini stravolti e devastati dal male, etc.
Quanti altri volti ho visto contrassegnati da tratti sconvolgenti!
Però, man mano che invecchio, ho sempre più compassione per i cattivi che non sanno vedere il dolore degli altri, che per le vittime innocenti; insomma i buonisti mi appaiono peggiori dei cattivi.
Avrò perso la bussola che tutti utilizzano, e me ne sto costruendo un’altra? Qualcuno mi aiuti a capire! Sono pronta ad affrontare il dialogo più feroce!

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